sabato 29 ottobre 2011

Marra propone la soluzione islandese


Signoraggio: Alfonso Marra propone 

la soluzione islandese


di: Un indignato, Rinascita, 28 ottobre 2011

Scary sideshow: A graffiti artist attached a mannequin to a noose hanging alongside a major Florida highway as a part of the Occupy movement
Nella foto: un manichino che rappresenta un banchiere, impiccato a Miami, USA

Un nuovo ‘92 sta per esplodere, ma planetario e ben più grave, a partire, dice giustamente l’avvocato e scrittore Alfonso Marra, fondatore del sito www.marra.it (FermiamoLeBanche) che assiste i cittadini nelle cause contro le banche per sconfiggere il crimine del signoraggio primario e secondario e che è diffusore di vari spot di qualità sull’argomento, dall’arresto quantomeno di coloro che hanno commesso consapevolmente il crimine del signoraggio, tra i quali - salvo assoluzione per incapacità di intendere e di volere - governatori delle banche centrali, capi di governo, ministri, responsabili delle banche commerciali, alti dirigenti sindacali, giornalisti, “economisti” di regime eccetera. Signoraggio primario che consiste nel fatto che la Banca d’Italia, la BCE, la FED, e le altre banche centrali sono incredibilmente private e stampano i soldi al costo della carta e dell’inchiostro per poi venderli, al valore facciale, agli Stati, che glieli pagano con i buoni del tesoro, creando così, attraverso questa immensa truffa, il debito pubblico, per eliminare il quale è sufficiente nazionalizzare le banche centrali; mentre, per eliminare l’ancor più grave signoraggio secondario, occorre pareggiare i tassi passivi a quelli attivi, in modo che gli interessi vadano ai proprietari dei soldi (e allo Stato per i prestiti frutto del moltiplicatore monetario), sicché alle banche vada solo la remunerazione del servizio. Signoraggio dal quale dipendono anche le tasse, che sono illegittime e vanno eliminate, perché servono solo a rastrellare denaro inverato per comprare dalle banche centrali il denaro da inverare (approfondisci su signoraggio..it).

La Grecia è fallita


La Grecia è fallita, adesso lo ammette anche la Troika


Come scrivevo il 7 maggio 2011 in "La Grecia: uno Stato da spremere come un limone" avevo già annunciato il fallimento del paese ellenico, ma adesso a dirlo sono direttamente i funzionari della troika (BCE, Ue, FMI) che hanno di recente terminato la loro revisione sulla finanza pubblica ellenica.
(Se qualche volta si ascoltasse anche il parere dei blogger indipendenti non sarebbe una cattiva idea!)
Qui è scaricabile il documento <<riservato>> (strictly confidential è scritto su ogni pagina) offerto da Linkiesta. In sostanza la troika ha spiegato che il debito greco è insostenibile. L’unica soluzione all’orizzonte è quindi quella di un aumento dell’intervento dei creditori privati, tramite il Private sector involvement (Psi), e, di conseguenza, un lungo piano di ristrutturazione del debito. 

Gli scenari prospettati alla Grecia, e che coinvolgono anche gli altri paesi PIIGS, sono due:

A) la troika concede l'abbattimento parziale del debito greco, la richiesta viene copiata pari pari da Italia, Portogallo, Spagna, Francia, Irlanda e Belgio, il fondo europeo salva-Stati si sovraccarica. Conseguenza: crisi bancaria europea.

B) la troika impone misure restrittive alla Grecia circa il risanamento del suo debito, si riduce la spesa pubblica, aumentano le tasse, tutto ciò prolunga l'attesa ma si arriva comunque al default. Conseguenza:crisi bancaria europea.

Purtroppo non ci si rende conto che l'Ue è un corpo malato con sangue infetto, e i medici-killer (la troika) preposti alla sua cura suggeriscono lievi trasfusioni di sangue che non fanno di certo guarire il moribondo.

Intanto lo speculatore finanziario per eccellenza, George Soros, dispensa "buoni consigli" sulla situazione europea: “La BCE potrebbe poi affrontare un’altra forza motrice, ovvero la mancanza di fondi a favore del debito sovrano, abbassando il suo tasso di sconto, incoraggiando i governi in difficoltà a emettere buoni ordinari del Tesoro e spingendo le banche a sottoscriverli (un’idea di Tommaso Padoa-Schioppa). I buoni ordinari del Tesoro possono essere venduti in qualsiasi momento, il che li rende equivalenti ai contanti, ma fino a quando la rendita risulterà maggiore dei depositi presso la BCE, per le banche sarebbe più vantaggioso detenerli. In questo periodo d’emergenza i governi potrebbero quindi soddisfare i propri bisogni finanziari entro limiti concordati a basso costo con e la BCE non si troverebbe comunque a violare l’articolo 123 del Trattato di Lisbona.” (N.B.:L'art. 123 del Trattato di Lisbona vieta esplicitamente alla Bce l'acquisto diretto di titoli di debito emessi dai governi o da altri enti del settore pubblico, ma non ne impedisce l'acquisto sul mercato, con operazioni che un tempo venivano definite di mercato aperto.)
In poche parole la BCE, invece di sottoscrivere i buoni del Tesoro direttamente, finanzia le banche per comprarli e tenerli fino a scadenza. Soros però non tiene conto che stampando denaro aumenterebbe l'inflazione e si svaluterebbe il valore reale del debito, e il problema sarebbe semplicemente rimandato visto che, nel frattempo, il potere d’acquisto della moneta sarebbe indebolito (visto che i salari restano fissi), con conseguenze negative per l'intera collettività.

In casa Italia, invece, è simpatico il siparietto alla conferenza degli Stati generali del commercio estero fatto da Berlusconi (che non difendo per collusione e corruzione con la Troika al potere nel nostro Paese, ma che sentendosi messo "in castigo" e sottoposto al diktat europeo gli scappa un attacco all'euro) che dice: "C'é un attacco all'Euro che come moneta non ha convinto nessuno. Una moneta strana perché attaccabile dai mercati internazionali in quanto non è di un solo Paese ma di tanti che però non hanno un governo unitario né una banca di riferimento e delle garanzie". 
Ovviamente l'opposizione di sinistra, serva delle banche come tutte le grandi coalizioni politiche, insorge a difendere l'euro e l'Unione europea. Stessa cosa quell'usuraio di Ciampi che afferma: "Se non ci fosse l'euro, saremmo in guai molto seri" (peggio di così?).

Rimane sempre e soltanto una sola cura al cancro del debito: ripristinare la sovranità monetaria nelle mani dello Stato, riappropriandosi della politica monetaria che adesso è nella mani di speculatori e di istituzioni private non elette da alcun cittadino.

Le omissioni nella storia della Banca d’Italia


Chieti, 29 Ott ’11, Sabato, S. Massimiliano - Anno XXX n. 359 - www.abruzzopress.info - abruzzopress@yahoo.it - Tr. Ch 1/81- Nuovo ABRUZZOpress >>> Nazionale - Servizio Stampa - CF 93030590694 - Tel. 0871 63210 - Fax 0871 404798 - Cell. 333. 2577547  -  Dir. Resp. Marino Solfanelli

Ap – Commenti
Le omissioni nella storia della Banca d’Italia
di Antonio Pantano

Pubblicando l’elenco dei governatori della Banca d’Italia, in occasione della nomina nell’ottobre 2011 di Ignazio Visco al vertice di essa, si è taciuto il non breve periodo corrente tra la fine maggio 1944 e la fine aprile 1945, quando la banca centrale fu trasferita al Nord della penisola, da Roma a Milano, per sottrarla ai bombardamenti aerei nemici e sotto l’incalzare della avanzata delle truppe militari del fronte degli Alleati (USA, Gran Bretagna, URSS, Francia, ecc.). Queste furono nemiche dal 10 giugno 1940 e, per l’atto di resa (sotto forma di sospensione dello stato bellico) sottoscritto e subìto a Cassibile dal generale Giuseppe Castellano, assistito dallo avvocato Vito Guarrasi (cugino di Enrico Cuccia e, negli anni successivi, potente personaggio del sottobosco della politica siciliana e nazionale) plenipotenziari dello illegittimo (perché incaricato “motu proprio” dal sovrano, ma MAI ratificato dal Parlamento, con altri concomitanti errori formali e sostanziali inficianti la validità giuridica) governo Badoglio (vedasi: Elio Lodolini, Dal governo Badoglio alla Repubblica Italiana, Genova, Italia Storica, 2011) il 3 settembre 1943, divennero, dal giorno 8 settembre 1943, “occupanti del territorio italiano” (secondo la dizione del testo della “resa incondizionata”, che in Italia fu, invece, contra pacta et legem, chiamata falsamente ed arbitrariamente “armistizio”) ove imposero un proprio Governo Militare Alleato per i Territori Occupati – A.M.G.O.T. - , vigente fino al 31 dicembre 1945 e, per alcune prerogative, fino al 31dicembre 1947, con “impegni e vincoli” successivi tutt’ora vigenti.

E’ storia incontestabile che, nel trasferimento della sede e di tutti i servizi al Nord d’Italia (effettuato dopo l’abbandono della capitale da parte del re e del suo governo, avvenuto il mattino del 8 settembre 1943, con “fuga concertata con plenipotenziari germanici” conclusa all’alba del 10 settembre 1943 con l’imbarco ad Ortona sulla corvetta “Baionetta” e l’approdo la notte dello stesso giorno a Brindisi, in zona ormai controllata dal nemico Alleato) compiuto negli ultimi giorni del mese di settembre 1943 dal governo fascista della Repubblica Sociale Italiana, naturalmente subentrato alla “vacatio” su due terzi del territorio creata dalla tragicomica “fuga” della monarchia verso il nemico, il governatore della Banca d’Italia in carica, Vincenzo Azzolini, seguì doverosamente la sede, l’organico dirigenziale, le riserve monetarie e la riserva aurea presso di essa custodita, a Milano.

A causa del rientro a Roma di Azzolini, dopo 8 mesi dalla costituzione della R.S.I., verso il 28 maggio 1944 (certamente in vista della conquista di Roma da parte degli Alleati, ma ufficialmente “per urgenti motivi familiari”, con preavviso al suo Ministro che gli contestò il “sospetto” ed i rischi conseguenti – Azzolini fu incarcerato poi e condannato anche a 30 anni di reclusione dalla “giustizia del Regno d’Italia”), il Ministro delle Finanze della Repubblica Sociale Italiana, prof. Domenico Pellegrini Giampietro, con Decreto ministeriale n. 400 del 28 giugno 1944-XXII, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 159 il 10 luglio 1944-XXII, ratificato dal Consiglio dei Ministri il 14 novembre 1944, in forza di Decreto del Capo dello Stato del 8 ottobre 1943, confermò la nomina a Commissario Straordinario al governo della Banca d’Italia l’avv. Giovanni Orgera, insediato di fatto dal 1° giugno, che quell’incarico di surroga di tutti i poteri di governo della banca mantenne fino al 28 aprile 1945, cioè fino all’arrivo degli Alleati a Milano. Ciò, in modo inconfutabile, è confermato anche da pubblicazioni ufficiali dell’ufficio storico della Banca d’Italia.

Il regno del Sud, sedicente “Regno d’Italia”, fu svuotato di ogni prerogativa (senza territorio, senza parlamento, senza popolazione, tutti assoggettati al naturale governo dello A.M.G.O.T., ed esautorato anche nella fondamentale emissione monetaria) e fu costretto-ridotto ad almanaccarsi solo nella utopica creazione di un governo fantasma non governante. Molto più tardi, “tollerato” dagli Alleati per precostituire capisaldi per il dopo guerra, trovò necessario – per completare la gamma delle “poltrone fantasma” relative ad enti et similia, retribuite lautamente con valuta in AM-lire - nominare un governatore della Banca d’Italia per poter esercitare, dopo l’ingresso degli Alleati a Roma, una funzione formale nell’edificio di via Nazionale. E in ciò, per la suddivisione di posti (criterio caratterizzante poi tutto il regime postbellico), fu insediato il senatore del regno (economista liberista ma interessato anche fattivamente all’opera del Ministro delle finanze del governo fascista Alberto de’ Stefani, ed ai novatori criteri fascisti e corporativi, e sempre fedele monarchico) Luigi Einaudi, approdato a Salerno nel febbraio 1945, dopo cauta lunga permanenza in Svizzera in conseguenza degli sventati, ma a lungo preparati, accadimenti determinati dall’8 settembre 1943. Governatore nominale, giacché nei territori conquistati dall’avanzata militare Alleata, di fatto le sedi provinciali della Banca d’Italia, anche per assenza di fondi monetari, non svolgevano attività, essendo fondamentalmente interrotto il servizio di tesoreria per conto dello Stato, che solo al Nord, nella giurisdizione effettiva e veritiera della Repubblica Sociale Italiana, aveva corso ed efficienza, persino con emissione monetaria.

Al sud d’Italia lo A.M.G.O.T. stampò e pose in circolazione titoli monetari – le famose AM-lire – per valore di 640 miliardi di lire, utili e necessari alle proprie truppe di occupazione per intrattenere rapporti civili, ma perniciosi per la pesante inflazione provocata nello intero sistema della circolazione monetaria italiana e protrattasi per anni, a causa della circolazione forzosa di quella carta moneta formale, di nessun valore reale. Senza ragione, ma solo al mero fine di falsare la storia, la Banca d’Italia odierna ha omesso l’indicazione e l’opera del commissario Orgera, svolta con zelo tra il maggio 1944 e l’aprile 1945 (un intero anno!), riconosciuta, però, nella Relazione presentata nel luglio 1946 dal governatore Einaudi, che elogiò quel Commissario per la rettitudine e la correttezza utili alla Banca ed allo Stato, precipuamente per il dopoguerra, che fu meno pesante proprio per ciò che fu attuato, e lasciato in eredità dalla Repubblica Sociale Italiana (vedasi: Collana storica della Banca d’Italia, I nazisti e l’oro della banca d’Italia, Laterza, 2001).

Va aggiunto, per dovere di verità, che il ministro delle finanze Domenico Pellegrini Giampietro, con l’assorbimento integrale allo Stato della Banca d’Italia s.p.a., anche mediante il commissariamento (secondo i Decreti citati), e delle sue disponibilità in liquidità monetaria e riserve auree, NULLA cedette gratuitamente ai germanici. Al contrario del Governo Badoglio, che barattò la riserva aurea in cambio di convenienze “personali” lasciando il Governatore Azzolini in balìa di un documento esibito il 10 settembre 1943 dal rappresentante della Banca del Reich di Germania, così che tra il 22 ed il 28 settembre 1943 quella riserva fu trasferita a Milano, sotto “protezione militare germanica”, senza, comunque, che MAI uscisse dal suolo nazionale, nemmeno quando la stessa Banca d’Italia, trasferì quella riserva in provincia di Bolzano il 16 dicembre 1943, nel comune di Fortezza, ove istallò apposita propria sede (vedasi: Domenico Pellegrini Giampietro, L’oro di Salò, Milano, in Candido, da 2 marzo a 1° giugno 1958) ove fu svolta sorveglianza da gendarmeria italiana e germanica. Sorveglianza che terminò il 5 maggio 1945, con il “subentro forzoso” delle truppe Alleate, che di tutto si accollarono proprietà e dominio.

Inoltre, come già pubblicato più volte (vedasi: anche Antonio Pantano, Ezra Pound e la Repubblica Sociale Italiana, Roma, Pagine, 2009), la situazione finanziaria generale lasciata dalla Repubblica Sociale Italiana alla sua cessazione, con attivo di bilancio dello Stato di 20,9 miliardi di lire, MAI più verificato dopo nella storia successiva della Repubblica oggi vigente, fu certificata da una commissione del Senato degli U.S.A. presieduta dal sen. Winkersham, che, con dichiarazione diffusa il 25 agosto 1945, affermò aver trovato nella sola R.S.I. del nord Italia situazione attiva di bilancio e florida nelle riserve e nei depositi bancari, al contrario di tutti gli altri stati europei visitati, inclusi gli scandinavi. Floridezza che permise all’Italia del dopoguerra facile ripresa economica e finanziaria, seppur gravata dagli oneri di svalutazione delle AM-lire imposti e confermati dagli USA nel 1947, dalle penalizzazioni relative alla condizione di Stato perdente, ratificate anche nello obbligato “trattato di pace” imposto a Parigi il 10 febbraio 1947, e per i vari piani Marshall, inclusi i costi per la restituzione della “famosa” riserva aurea, definita, per volere dei vincitori, solo il 29 giugno 1998, con accredito e restituzione di ultima frazione da parte dell’ internazionale  “Pool dell’oro” organizzato e gestito dagli Stati dei paesi vincitori la seconda guerra mondiale.          
A.P.

Nota: La lunga vicenda della moneta di occupazione  "americana" si concluse con la legge n. 3598 del 28 dicembre 1952, che obbligò il Ministero del Tesoro a rilasciare alla Banca d'Italia Buoni del Tesoro Ordinari per un ammontare corrispondente... 
a quello delle fraudolente Am-lire ritirate e bruciate in seguito alla Convenzione del 1946...
Questo doppio addebitamento all'Italia delle spese del falsario Alleato costituì il corpo principale dell'odioso debito pubblico del dopoguerra.


Il dettaglio del valore facciale delle emissioni cartacee è il seguente:
1 Lira -              82,240,000
2 Lire -            147,584,000
5 Lire -            674,880,000
10 Lire -       1,358,720,000
50 Lire -       7,184,600,000
100 Lire -   26,000,000,000
500 Lire -   33,895,000,000
1000 Lire - 73,300,000,000




La dottrina del “debito odioso”


La dottrina del “debito odioso”
di Massimo Mazzucco - 28/10/2011

Fonte: Luogo Comune



Quando gli Stati Uniti sconfissero la Spagna, nel 1898 (ricordate l’auto-affondamento del Maine, prima false flagdella storia moderna?) presero il possesso, fra altri territori, dell’isola di Cuba. 

A quel punto la Spagna disse: “Benissimo, vi siete presi Cuba? Ora vi accollate anche il debito monetario che Cuba aveva nei nostri confronti“. 

Gli Stati Uniti ci pensano un po’, e poi risposero: “Spiacenti, ma i prestiti che avete fatto all’isola di Cuba non erano intesi ad aiutare la sua popolazione, ma anzi a rafforzare il sistema di repressione che li manteneva in stato di schiavitù nei vostri confronti. Non ci riteniamo quindi obbligati ad onorare il loro debito verso di voi. Tanti saluti e buon Natale.” 

Vi era già stato un precedente simile, nel 1883, quando il Messico rivoluzionario di Benito Juarez aveva ripudiato il debito assunto per conto della nazione dall’imperatore Massimiliano I. In quel caso però il ripudio del debito fu motivato dal modo palesemente illegale con cui Massimiliano era salito al potere in primo luogo. 

Nel 1918 toccò alla Russia rivoluzionaria ...



... di ripudiare il debito assunto in precedenza dallo Zar Nicola, con una motivazione simile a quella degli Stati Uniti per Cuba.

Nasceva così il concetto di “debito odioso”, che sarebbe poi stato formalizzato a livello internazionale dal giurista russo Alexandr Sack, professore di diritto all’università di Parigi. Nel 1927 Sack pubblicò un saggio, intitolato “Gli effetti della trasformazione dello stato sul debito pubblico e su altre obbligazioni finanziarie”, nel quale affermava: "Se un governo dispotico incorre in un debito non per bisogni o per interessi dello Stato, ma per rafforzare il regime dispotico, per reprimere la lotta della popolazione contraria al regime stesso, tale debito è odioso per la popolazione dell'intero Stato. Questo debito non è un'obbligazione per la nazione: è un debito del regime che lo ha contratto, è un debito personale del potere che lo ha assunto; di conseguenza esso si estingue con la caduta di questo potere.”

Con il Trattato di Versailles del 1919 il concetto di “debito odioso” venne applicato per la prima volta a livello multinazionale: Francia e Polonia furono parzialmente esentate dall’assumersi il debito contratto dai tedeschi nei territori conquistati di Alsazia e Lorena, e dalla Polonia stessa, poichè i prestiti erano stati finalizzati al mantenimento del controllo su quei territori, e non al bene delle popolazioni locali.

Con lo storico Caso Tinoco, del 1922, venne introdotto un concetto di fondamentale importanza, che contribuì alla formulazione definitiva della cosiddetta dottrina del “debito odioso”: la provata consapevolezza, da parte del creditore, dello scopo reale del prestito erogato. Quando il Costa Rica si rifiutò di onorare i debiti assunti dal dittatore Tinoco verso il Canada, il caso internazionale fu affidato al giudice Taft, ex-presidente della corte suprema americana e futuro presidente degli Stati Uniti. Taft dimostrò che al momento di erogare il prestito i canadesi sapevano benissimo che Tinoco lo avrebbe utilizzato per difendere la propria dittatura, già barcollante, nel tentativo estremo di reprimere la popolazione insorta contro di lui.

In base a questo fatto, Taft stabilì che il nuovo governo del Costa Rica non fosse obbligato a ripagare un debito che la sua popolazione non aveva mai assunto in primo luogo, mentre introduceva il precedente legale in cui si invita il creditore a rivolgersi direttamente al prestatario (il dittatore Tinoco, in questo caso) se vuole riavere il suo denaro.

Nel 1947 toccò all’Italia subire le conseguenze dei prestiti “sconsiderati”, o indirizzati comunque alla repressione del popolo stesso che li riceve: nel Trattato di Parigi venne stabilito che l’Etiopia non dovesse restituire i soldi ricevuti in prestito dall’Italia nel periodo coloniale, in quanto erano stati utilizzati proprio per rafforzare il suo predominio sulle popolazioni locali.

Se ora consideriamo il reale meccanismo su cui sono basati oggi i prestiti internazionali (World Bank e IMF soprattutto), ci rendiamo conto del potenziale devastante rappresentato dalla dottrina del debito odioso, se venisse applicata con lo stesso rigore con cui è stata applicata in passato: riuscendo a dimostrare che un qualunque stato del terzo mondo ha ricevuto prestiti che non sono stati utilizzati per il beneficio della popolazione, e dimostrando che questo fatto fosse noto già in partenza a chi ha erogato il prestito, il debito assunto da quello stato verrebbe immediatamente a decadere.

E’ quello che propongono gli autori Léonce Ndikumana e James Boyce nel libro “Africa’s odious debt” (Il debito odioso dell’Africa), nel quale spiegano come oltre il 50% dei prestiti erogati negli ultimi 20 anni verso le nazione africane sia sistematicamente “uscito” da quelle nazioni – sotto forma di commesse industriali prestabilite, verso gli stessi paesi eroganti, oppure di acquisto di armi da parte dei dittatori locali – entro un anno al massimo dall’erogazione.

Mentre il resto dei soldi prestati finisce quasi sempre nelle tasche dei governanti corrotti di quel paese, come nel caso del dittatore dello Zaire, Mobutu, che aveva usato i prestiti internazionali per far costruire una pista di atterraggio per il Concorde davanti a casa sua.

Il risultato di questi “aiuti umanitari”, spiegano gli autori del libro, è quindi duplice: da una parte gli stati che hanno ricevuto i prestiti si ritrovano in stato di schiavitù permanente verso i loro benefattori, mentre dall’altro, dovendo sudare sette camicie per ripagare il debito, sono costretti a tagliare anche quel poco di budget che hanno a disposizione per la salute pubblica, l’istruzione e le infrastrutture.

Lo schiavismo non è mai stato abolito, ha solo cambiato le apparenze.

Provate quindi ad immaginare che cosa sarebbe successo se Gheddafi avesse introdotto la moneta unica africana, basata sull’oro, convincendo nel contempo tutti gli stati del continente ad impugnare la dottrina del “debito odioso” contro i creditori occidentali.

In confronto la Terza Guerra Mondiale sarebbe apparsa come un corteo silenzioso di pacifisti.