Nel persistere generalizzato della crisi economica, che appare dirigersi verso un'irrecuperabile deflazione, in ogni Paese, e più che mai nel nostro, si chiedono riforme alle istituzioni esistenti, come se una sorta di ritorno alla legalità costituisse un viatico per la ripresa.
Purtroppo il predominio dell'ideologia portante del capitalismo finanziario ha prodotto una sostanziale corruzione dei diritti e delle stesse istituzioni legislative che minacciano non solo l'essenza stessa della democrazia, ma anche le interne strutture di sistemi totalitari, sicché le stesse riforme debbono avere dimensioni ben più ampie e diverse rispetto a quelle che paiono ovunque in discussione. La dimensione globalizzata del capitalismo finanziario ha fatto sì che la corruzione della legalità dai Paesi di maggiore influenza politica ed economica si espandesse velocemente anche negli altri.
E non è un caso allora che negli Stati Uniti, ancora scadenti detentori dell'ordine mondiale, da qualche tempo si discuta ampiamente sulla corruzione della politica prima, ma dei diritti e della legalità dopo, ultime responsabili delle ricchezze improntate a criteri di assoluta disuguaglianza. In un lungo e argomentato articolo sull'ultimo numero del New Yorker, dal titolo "The Crooked and the Dead", un impietoso resoconto dello stato istituzionale dell'America è riassunto nel sottotitolo: "La Costituzione protegge la corruzione?".