lunedì 30 settembre 2013

Fiorella Mannoia e l’Africa: “Sankara ha riacceso in me la passione

Fiorella Mannoia e l’Africa: “Sankara ha riacceso in me la passione per la politica”

Intervista e foto di Monica Ranieri
Storie di Sud, quel Sud “sempre depredato, sempre derubato, sempre saccheggiato e sempre abbandonato a se stesso”, ma Sud da conoscere e di cui, e in cui, non avere paura. Storie che hanno ispirato l’ultimo progetto artistico di Fiorella Mannoia e che l’hanno portata a conoscere meglio l’ Africa, attraverso una grande passione per la figura del presidente del Burkina Faso Thomas Sankara, e ad impegnarsi nel sostenere, come madrina e parte dell’organizzazione, l’ Undicesima Edizione del Festival Ottobre Africano, che dal 6 al 27 ottobre propone un ricco programma di eventi culturali tra Parma, Reggio Emilia, Milano e Roma. E proprio a Roma Fiorella Mannoia, dopo aver partecipato ieri alla conferenza stampa per la presentazione del Festival, tornerà lunedì 21 ottobre, quando, presso la Casa delle Letterature, parlerà di “Arte come mezzo di cambiamento sociale” insieme a Gabin Dabirè e Odile Sankara.
Se la conoscenza del Sud per Fiorella è partita dallo choc della lettura del libro di Primo Aprile “Terroni”, la vera rivelazione è giunta con la conoscenza della figura di Sankara:  “il libro di Aprile mi ha scioccato, mi ha fatto riflettere sulla condizione del sud del mondo in generale, che stranamente condivide lo stesso destino, e i discorsi di Sankara, sapere di un uomo che si è spogliato di ogni avere, che riceveva i capi dei governi stranieri sotto gli alberi perché diceva che quella era la vera Africa e loro quello avrebbero dovuto vedere, sapere che quando è morto ha lasciato una chitarra, due bauli di libri e nient’altro questo ha riacceso in me la passione per la politica”.
Come nasce la tua partecipazione all’Ottobre africano?Il mio avvicinamento all’Africa viene da questo mio progetto, un disco che si chiama “Sud”, in cui ho raccolto canzoni sul Sud in generale: quando ho deciso di fare questo disco ho chiamato Gabin Dabirè, un musicista africano che vive da quarant’anni nel nostro paese, l’ho contattato per confrontarmi con lui e sapere quali erano i musicisti che secondo lui avrei dovuto chiamare per aiutarmi in questo progetto. Dalle nostre “chiacchiere” è emersa la storia di Sankara, che non conoscevo. Quello è stato il mio primo avvicinamento e i racconti di Gabin hanno modificato la mia visione dell’Africa, anzi, mi hanno aperto le porte dell’Africa.
Quel era invece la visione che ne avevi prima?La visione che ne hanno tutti, superficiale, non conoscevo niente dell’ Africa in realtà, della sua cultura, non conoscevo Thomas Sankara, conoscevo Nelson Mandela, ma perché è il personaggio più famoso, e notizie superficiali come sono superficiali le notizie che ci arrivano, se non quando sono pilotate. Conoscevo poco e attraverso il racconto di Gabin su Sankara, libri su di lui e ricerche, mi sono talmente appassionata a quest’uomo che ho cominciato a saperne di più sull’Africa in generale: se parti da Sankara, capisci, quando parla di debito, ad esempio, capisci e ti vai a domandare perché il debito, perché ha un debito, a chi lo deve pagare, alla Francia, perché? E allora da lì, dalla parola debito vengono un sacco di diramazioni. E cominci a capire, anche attraverso altre conoscenze. Sempre parlando di Sud, ma del Sudamerica, ho letto un libro straordinario, “Le vene aperte dell’ America Latina” di Eduardo Galeano, che è in questo momento credo il mio scrittore preferito vivente: anche lì si sono aperte le porte della verità, su quello che l’ Occidente ha fatto sia in America Latina che in Africa, l’Europa prima, gli Stati Uniti dopo. Poi quando entri in contatto con la verità i parametri cambiano e gli orizzonti si allargano e a quel punto conosci figure come Saro-Wiwa, assassinato insieme agli altri attivisti per aver contrastato le trivellazioni della Shell, la Shell ha anche patteggiato per cui in parte riconoscendosi responsabile di quelle morti. Poi sono andata in Africa, sono stata insignita dell’onorificenza del Cavaliere del Panafricanismo in Benin proprio per la mia divulgazione per la figura di Sankara, sono andata con Amref in Kenya, sto collaborando ancora con Amref, ormai sono legata a doppio filo.
Come hai vissuto il momento della premiazione in Benin?Sono stata ad Ouidah, in Benin, purtroppo solo per due giorni, ma ci sarei andata anche se avessi avuto a disposizione solo 24 ore perché ci tenevo molto e ne sono rimasta emozionata. Credo sia stata l’onorificenza più bella che io abbia mai ricevuto perché sapere che quello che hai fatto in un altro paese per un uomo come Sankara è arrivato fino nel Benin dimostra che aveva proprio ragione lui quando diceva che le idee non si uccidono, passano di bocca in bocca e possono arrivare anche da una cantante italiana con i capelli rossi che parla di un presidente africano assassinato.
Come è nata poi la collaborazione con Cleophas Adrien Dioma?Sempre tramite Gabin lo scorso anno è venuta in Italia la sorella di Sankara, Odile, alla quale hanno raccontato la mia passione, il mio impegno per la divulgazione di questa figura, e ci siamo incontrati in questa occasione. Da quella volta io e Odile siamo diventate amiche, ci chiamiamo sorelle, poi quest’anno è arrivata anche Blandine, l’altra sorella di Sankara, e ho conosciuto anche lei. E Cleo mi ha chiesto se volevo essere madrina di quest’ ottobre africano e mi ha proposto di provare a portarlo a Roma. Quest’anno siamo partiti tardi, però abbiamo gettato le basi, se dovesse arrivare qualche finanziamento il nostro progetto è quello di organizzare per l’anno prossimo almeno una tre giorni di conoscenza qui a Roma, a cui conto di invitare musicisti stranieri, anche l’Orchestra di Piazza Vittorio che è proprio l’esempio più eclatante di come le culture si possono integrare, e poi Gabin, musicisti e ballerini nostri e loro, mi piacerebbe che le due cose potessero unirsi. Mi piacerebbe anche organizzare qualcosa intorno al cibo, con chef africani e italiani di modo che le persone si sentano anche incuriosite nell’assaporare cucine provenienti da paesi che non conoscono, accendere la curiosità. La curiosità di sapere chi è l’ “altro” che ci sta intorno secondo me abbatte anche le paure.
La paura. In conferenza stampa hai parlato della strategia della paura che divide e del ruolo dell’artista nel cercare di andare oltre questa paura.Credo che la paura sia indotta, avere paura non è un sentimento di cui vergognarsi, io lo capisco, ma è l’alimentare le paure che diventa criminale ed è questo che non perdono ad alcuni esponenti della Lega, perché questo si chiama terrorismo: si fa terrorismo anche con le parole, non solo con le armi, perché poi le parole si tramutano in armi come è successo a Firenze, come è successo ultimamente a Napoli. Le parole sono importanti e fanno male, per cui cavalcare la paura per fini elettorali, quello è criminale. Si approfitta di un momento in cui gli italiani sono preoccupati per il proprio futuro, ed è da capire e non li biasimo, ma non devono prendersela con gli stranieri quanto piuttosto con chi non è stato capace di tirare fuori questo paese dalla corruzione, perché è questo il nostro problema, questo non è un paese in crisi, è un paese corrotto. Allora anziché prendersela con lo straniero dovresti prendertela insieme allo straniero, andare a reclamare i propri diritti uniti, non divisi, perché tanto la società multietnica sarà il nostro futuro, è inutile mettersi di traverso, non porta a niente. Allora quando la gente mi rimprovera di pensare agli africani, e non agli italiani, rispondo che ho il dovere di trasmettere le mie idee, che sono idee di amore e di fratellanza, questo è il mio dovere, ed il dovere, credo, di politici, di sacerdoti, il dovere di tutti quelli che hanno a che fare con il pubblico. Il mio dovere è trasmettere pace. La paura nasce quando tu non capisci e non ti metti nei panni dell’altro, e non riesci a capire, anche a voler capire, il perché sono arrivati qui, perché stanno qui: ma stanno qui per i nostri telefonini, per le nostre scarpe, per il nostro petrolio, per la nostra acqua. Stanno qui per il nostro benessere, perché sono stati sfruttati a casa loro per portare benessere a noi e c’è gente che ancora sta sfruttando indisturbata sotto gli occhi di tutto il mondo, sono là a portargli via sementi e risorse, trivellando, inquinando. Indisturbati perché nessun governo pone un freno. Attraverso la comunicazione ufficiale tutte queste cose non emergono, te le devi andare a cercare. La cosa che può salvarci è la conoscenza, mentre l’ignoranza genera paura, diffidenza.

Finalmente un sindaco che ha il coraggio



Finalmente un sindaco che ha il coraggio di affrontare quei temi scomodi, censurati, che trovano spazio solo sui blog liberi del web come il signoraggio, il debito e la geoingegneria! Complimenti al sindaco Mazzorato di Resana (TV) che ringraziamo sentitamente, perché si tratta di una iniziativa importantissima, sopratutto perché promossa da un primo cittadino! Bravissimo!

Il sindaco Mazzorato spiega perché il Comune sostiene il confronto su questi temi. "La crisi - dice - nasce da un sistema corrotto che si arricchisce alle spalle di noi cittadini e questo non lo tollero". "I privati (e non lo Stato) stampano la moneta al prezzo di un foglio di carta e la vendono a carissimo prezzo alle aziende e alle famiglie..."

I convegni sui temi sopracitati si svolgeranno a Resana (Tv) il 1° e il 19 Ottobre. Info: http://www.comune.resana.tv.it/it/UfficioStampa/ArchivioNotizie/NotizieInEvidenza/Notizia131001-incontro.html dal sito del comune.

domenica 29 settembre 2013

Sistema bancario: «cosca mafiosa», con tanto di «sicari»

«Il sistema delle banche tradisce i risparmiatori»


Ne aveva fatto una battaglia di principio e di sostanza: per Arrigo Molinari, nella veste di avvocato patrocinatore delle cause dei cittadini deboli contro i poteri forti, quella contro la Banca d’Italia e il suo governatore Antonio Fazio era diventata una sorta di sfida da vincere a tutti costi.
E l’occasione giusta - come gli piaceva dire - era capitata di recente: per la causa intentata «nell’interesse degli eredi di Pallavicino Maria Teresa e Pallavicino Carlo che hanno numerosi contenziosi civili incardinati nei tribunali di Genova, Savona e Imperia, relativi a rapporti di conto corrente e di mutuo fondiario con numerosi istituti bancari».
Ci si era dedicato con lo stesso entusiasmo che aveva messo in tanti anni di carriera in polizia. Tanto più che, diceva spesso, «i risparmiatori sono stati traditi, e bisogna che si prendano la loro rivincita». Le sue argomentazioni parevano ineccepibili, magari un po’ ardue da decifrare, ma, di questi tempi, sparare sulle istituzioni creditizie private e pubbliche, nazionali ed europee, poteva incontrare solo consensi. Nel mirino, però, più di tutti, la Banca d’Italia, «un elefante con 8mila addetti che godono di stipendi da 75mila euro all’anno e il cui capo è di fatto completamente inamovibile. Il vero scandalo è una schiera di dipendenti annidati in un vero e proprio carrozzone».
Molinari aveva affondato il coltello nella piaga, facendo ricorso contro l’istituto centrale e le sue sedi decentrate di Genova, Savona e Imperia, ma accomunando nell’istanza anche la Banca centrale europea. Sosteneva infatti che Palazzo Koch «aveva privato i ricorrenti della tutela amministrativa prevista dalla normativa vigente in materia di vigilanza sugli istituti di credito, stante il conflitto di interesse che si è venuto a creare tra la Banca d’Italia stessa e gli istituti di credito soci della Banca d’Italia».
In particolare, sottolineava Molinari, «il dibattito che è scaturito sulla cosiddetta vicenda Fazio non è tanto sulla regolamentazione dei poteri e sulla durata in carica del governatore, quanto una meritoria presa di posizione dello Stato italiano di riappropriarsi di risorse, il cosiddetto reddito di “Signoraggio“, nella quale era stato, seppure in parte, espropriato in favore di soggetti privati. Invero e singolare se non addirittura assolutamente inaccettabile che l’istituto di emissione in uno Stato sovrano sia in primis una società per azioni commerciale, nonché partecipata per la maggioranza assoluta da soggetti privati che nulla hanno a che vedere con le ragioni pubbliche che dovrebbero presidiare ogni determinazione relativa alla Banca centrale».
Ed è questo soprattutto che a Molinari, ormai compreso perfettamente nella parte di paladino dei diritti dei risparmiatori, non andava proprio giù. «Le banche - insisteva l’ex vicequestore di Genova - sono diventate padrone dell’arbitro». Seguivano, nel ricorso, espressioni particolarmente pesanti nei confronti del sistema, definito senza mezzi termini «mafioso». E una vera e propria «cosca mafiosa», con tanto di «sicari» e base a Montecarlo, aveva in qualche modo minacciato «i danti causa dei ricorrenti». Per questo si chiedevano «provvedimenti urgenti in merito alla proprietà della moneta per conseguire il risarcimento del danno da parte della collettività derivante dall’illecita attribuzione del reddito da “Signoraggio“ in favore di soggetti che ab origine e per loro natura non hanno titolo a percepire alcun provento dalla circolazione monetaria».
Nel portare avanti la sua battaglia anti-Fazio, Molinari si era rivolto anche al Giornale, telefonava in redazione quasi quotidianamente, dichiarando di condividere in pieno le argomentazioni sull’argomento pubblicate nelle nostre pagine. «Bravi. Dobbiamo fare azione comune - insisteva - per far cessare l’ingiustizia». E la fiducia nella causa non gli era mai venuta meno: «La Banca d’Italia, nata per essere pubblica, è in mano alle stesse banche che la Banca d’Italia stessa dovrebbe controllare. Il conflitto di interesse è grave. Una mia cliente - spiegava in dettaglio -, vessata e usurata da un gruppo bancario di primaria importanza, radicato in Liguria, con la quale è stata in rapporto con 18 rapporti di conto corrente e con 9 mutui ipotecari, non era affatto tutelata in quanto il gruppo bancario controlla la Banca d’Italia, essendo socia della stessa al 3,96 per cento». La conclusione era drastica: «Il sistema va riformato. A cominciare dai poteri del governatore»
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Cinque milioni di italiani sotto la soglia di povertà

Gli extracomunitari siamo noi

http://www.beppegrillo.it/2013/09/gli_extracomunitari_siamo_noi.html

Cinque milioni di italiani sono sotto la soglia di povertà, persone che non hanno le risorse per vivere. Gli indigenti sono raddoppiati dal 2007. A loro non pensa nessuno. Stiamo diventando un Paese di miserabili. Gli extracomunitari siamo noi. A quando i barconi in partenza dall'Italia per le coste dell'Africa o del Medio Oriente? In Italia non esiste, come negli altri Paesi della UE, un reddito di cittadinanza. Lo Stato, anche se hai pagato le tasse e i contributi per decenni ti lascia morire se perdi il tuo lavoro. La spesa per il cibo e le bevande è crollataai valori di vent'anni fa. Si ruba per mangiare come ai tempi di guerra. In alcuni supermercati hanno introdotto alle casse una bilancia per frutta e verdura sfusa. Non si fidano dei clienti che introducono nel sacchetto una mela o un cavolfiore in più dopo aver pesato per risparmiare pochi centesimi. I supermercati sono diventati come le banche. All'ingresso ci sono guardie giurate che ti guardano con sospetto. Neppure loro però possono nulla contro chi mangia direttamente in corsia, chi ingurgita veloce un pezzo di formaggio o una salciccia, magari rifugiandosi in bagno. Non c'è il corpo del reato. Non è possibile accusarlo di nulla e l'esame delle feci non è una prova assoluta. Per evitare l'esproprio alimentare stanno aumentando le telecamere. Il cliente è ormai controllato passo dopo passo. Si prospettano in futuro bilance all'ingresso e all'uscita dove ci si dovrà pesare. Se il peso aumenta di qualche grammo o di qualche etto sei arrestato, ma in galera almeno ti sfamano. La bomba sociale degli ultimi sta per scoppiare. A un uomo puoi chiedere tutto, ma non di non lasciare la sua famiglia senza cibo. Quanti milioni di affamati sono necessari prima di una rivoluzione? Il 13% dei pensionati, quasi due milioni e mezzo, riceve meno di 500 euro al mese. La pensione minima è di 495,43 al mese mentre vengono erogati miliardi di euro in pensioni d'oro. E' una follia, una provocazione che sta diventando intollerabile. Il conto alla rovescia è incominciato. Ripeto. Il conto alla rovescia è incominciato.

Enrico Brignano e la banca

sabato 28 settembre 2013

Amoroso: via dall’euro

Amoroso: via dall’euro, o facciamo la fine della Jugoslavia

di www.libreidee.org  28/09/2013
 
Amoroso: via dall’euro, o facciamo la fine della Jugoslavia
La ricreazione è finita, presto vi dovrete arrangiare anche per le pensioni. Questo, in sintesi, il discorso-choc che il sovrano olandese Guglielmo Alessandro ha rivolto alla nazione: la globalizzazione impone anche all’Olanda l’addio al glorioso sistema del welfare e delle protezioni sociali. E’ l’élite, direttamente, che parla: la stessa élite feudale che si è impadronita della moneta, imponendoci l’Eurozona, per poi dirci: scusate, non ci sono più soldi. Falso. I soldi li “fabbricano” loro, mentre a mancare sono i politici in grado di difenderci. Enrico Letta, che rincorre i diktat della Merkel, governa con Berlusconi, che nel suo videomessaggio del 18 settembre, di fronte alla catastrofe economica dell’Italia, proclama: «Occorre imboccare la strada maestra del liberalismo: meno Stato, meno spesa pubblica». Il liberismo: cioè il tunnel senza uscita del quale siamo già prigionieri, da vent’anni. Attenti, avverte il professor Bruno Amoroso: di questo passo, già a novembre sprofonderemo nel baratro della Grecia, saremo esposti a tempeste mai viste e rischiamo di fare la fine della Jugoslavia.
 
L’economista italo-danese dell’università di Roskilde, allievo di Federico Caffè e compagno di scuola di Mario Draghi, dice che l’incubo della Amorosobalcanizzazione è dietro angolo: «E’ possibile che ci troveremo davvero nei guai tra pochissimi mesi, in una situazione di tipo greco: quando, per intenderci, ci saranno 50.000 statali mandati a casa e niente più soldi per gli ammortizzatori sociali». Che succederebbe? «La crisi andrà a destra, come sempre: prevarranno prima i nazionalismi e poi le fratture all’interno degli stessi Stati: il nord dell’Italia contro il sud, la Catalogna contro il resto della Spagna». E’ uno degli scenari della crisi europea, il peggiore: l’implosione dell’Europa del sud, magari accelerata dalla “fuga” della Germania, decisa a non pagare i costi necessari a tenere in vita i nostri paesi devastati dall’euro. In quel caso si annunciano «guerre interne» e «conflitti sociali e politici», gestiti «da chi è interessato, come è stato per la Jugoslavia, che fu distrutta perché la Germania era interessata alla Croazia e alla Slovenia», mentre altri volevano la secessione del Kosovo.
 
Non c’è scampo, se l’Europa meridionale resta ingabbiata nella camicia di forza della moneta unica: «Con l’euro sono arrivate disposizioni come il Fiscal Compact e il patto di stabilità: non solo si decide il valore della moneta, ma anche i danni che un paese riceve». Esempio: «Se la Danimarca è in crisi economica, è lei che decide come farla pagare ai cittadini, distribuendone il carico. Nell’Eurozona invece questa libertà non ce l’abbiamo, perché col Fiscal Compact non possiamo fare politiche che secondo noi sono eque, ci dettano pure come dev’essere organizzato il mercato del lavoro». I danesi, rimasti fuori dall’euro, «possono decidere se vogliono un mercato del lavoro di giovani o di vecchi», noi invece siamo in trappola, dentro una camicia di forza: situazione «da risolvere entro un anno, se vogliamo evitare il disastro». Come? Nell’unico modo possibile: tornando alla sovranità monetaria. «E’ una condizione necessaria: solo attraverso la sovranità sulla moneta è possibile fronteggiare la disoccupazione». Ma attenzione: tornare semplicemente all’antica valuta nazionale non risolverebbe il problema, avverte Amoroso, se i politici al potere dovessero restare quelli di oggi: «Anche con la lira, uno come Enrico LettaLetta continuerebbe con le politiche neoliberiste che ci hanno portato al disastro».
 
Il problema è politico, insiste Amoroso, co-firmatario del “Manifesto per l’Europa” elaborato da “Alternativa”, il laboratorio politico fondato da Giulietto Chiesa. Obiettivo: aprire una vertenza con Bruxelles, cestinando il Trattato di Maastricht che introduce l’Eurozona. La scommessa: rinegoziare tutto, a cominciare dalla moneta, per togliere all’élite finanziaria di Bruxelles il potere assoluto che esercita su di noi, instaurando finalmente una condizione di democrazia che metta fine all’autoritarismo della Commissione Europea, non eletta da nessuno. «I paesi del sud hanno un rilevante potere contrattuale», sottolinea Amoroso: «L’Italia, la Spagna e gli altri paesi dell’Europa meridionale possono chiedere nuove condizioni per restare in Europa, e ne avrebbero la forza, perché rappresentano un grande mercato di sbocco per i prodotti dell’export del nord». Certo, non si esce dal tunnel con Berlusconi e Letta. «Serve un grande rivolgimento politico, ma forse non siamo lontani: in Grecia c’è Syriza, in Spagna gli Indignados, da noi metà degli italiani non votano più, e di quelli che votano almeno il 20% sceglie i grillini». Il piano di Amoroso si chiama euro-sud: sarebbe come tornare allo Sme, quando gli Stati europei già cooperavano tra loro, mantenendo però un’elasticità nei cambi, con possibilità di svalutazione fino al 15%.
 
Sarebbe una via d’uscita democratica e realistica: «Quelli che invocano “più integrazione” vivono su un altro pianeta: la Gran Bretagna non rinuncerà mai alla sterlina, né accetterà mai che sia Bruxelles a spiegarle come spendere i soldi per l’istruzione». L’Unione Europea è composta di 27 paesi, di cui solo 17 hanno aderito all’euro: gli altri 10 non vi aderiranno mai. «Quindi, già oggi, non è vero che l’Europa ha una sola moneta: ne ha 11. Semplicemente, con l’euro-sud, ne avrebbe 12».  Il continente era già unito prima della moneta unica, con il Sistema Monetario Europeo: l’euro, voluto dalla Francia che sperava di controllare la potenza economica della Germania unita, ha semmai introdotto una spaccatura, tra l’Europa del nord e quella del sud. Un disastro: «L’euro non ha unito l’Europa, non ha creato coesione sociale e territoriale ma conflitto, non ha diminuito l’inflazione, La protesta della Greciapovertà e disuguaglianze sono aumentate». Di questo passo, la moneta unica «farà implodere tutto il sistema europeo».
 
Secondo Amoroso, solo una nuova alleanza politica tra i paesi dell’Europa del sud potrà rinegoziare un’unione con Bruxelles: la sovranità monetaria potrà produrre politiche per l’occupazione e, al tempo stesso, introdurre meccanismi di controllo sulla finanza speculativa. Uscire da soli dall’euro potrebbe essere traumatico, per via della svalutazione e dell’inflazione? In fondo, però, è stato traumatico anche entrare nell’euro. E soprattutto, restarvi. Senza più spesa pubblica, le nostre economie sono al collasso. L’uscita negoziata dall’attuale euro, secondo Amoroso, sarebbe invece più sicura e senza scossoni. Obiettivo perfettamente alla portata dei nostri paesi, a una condizione: devono prima liberarsi degli attuali governi. Ecco perché – mentre la grande crisi avanza e minaccia di travolgerci – diventa fondamentale costruire un’alleanza, da Atene a Lisbona passando per Roma e Madrid, in vista delle decisive elezioni europee della primavera 2014.

giovedì 26 settembre 2013

TAMBURRO OSPITE DEL MOVIMENTO 5 STELLE

Germania: una vittoria elettorale per le banche

www.resistenze.org - popoli resistenti - germania - 24-09-13 - n. 467

DKP: Una vittoria elettorale per le banche e monopoli

DKP | solidnet.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

24/09/2013

Ciò che i mezzi di comunicazione main stream avevano annunciato
 da mesi, ieri con le elezioni federali tedesche è divenuto realtà: l'Unione Cristiano-Democratica e l'Unione Social-Cristiana (CDU / CSU) sono i chiari vincitori delle elezioni, tra l'altro a spese dell'FDP (Partito liberal-democratico), che resta fuori dal Bundestag. Il presidente del Partito Comunista Tedesco (DKP), Patrik Köbele, ha commentato così: "Indipendentemente dalla coalizione che verrà formata dall'Unione, non cambierà molto per la gente. Continueranno gli interventi di guerra del Bundeswehr. Si approverà il prossimo programma di salvataggio dell'UE a favore delle banche. E si inizierà la prossima rapina sociale per rafforzare le banche e i monopoli tedeschi ai danni dei lavoratori salariati del paese e dell'Europa. In questo senso, il risultato è una vittoria elettorale per le banche e i monopoli".

I risultati delle elezioni riflettono - sia pur in modo distorto - la coscienza della popolazione lavoratrice sotto i rapporti di forza attuali. Il fatto che anche ampi settori della classe operaia abbiano votato per i partiti che rappresentano la politica guerrafondaia, dei tagli sociali e della democrazia, è l'espressione della loro coscienza attuale: La propaganda, che "la Germania" andrebbe bene rispetto agli altri paesi dell'Unione Europea, ha avuto successo, afferma Köbele. Questo anche per la paura di un declino sociale, provocata intenzionalmente. Il Presidente del DKP, tuttavia, ha anche chiesto di non ignorare le contraddizioni: "Se da un lato i partiti dell'Unione vincono le elezioni, e d'altro lato il 74 per cento degli elettori della CDU sono, secondo un sondaggio della Infratest, a favore del salario minimo legale, ciò mostra forti lacune classiste nello spettro di elettori dei partiti dell'Unione". In questo senso, le prossime lotte fuori dal parlamento, ma anche le campagne elettorali del 2014, devono trattare gli interessi immediati della classe lavoratrice, per resistere uniti contro i prossimi attacchi del capitale. L'ingresso del partito Die Linke (La Sinistra) al Bundestag può contribuire a ciò.

Guardando al buon risultato della forza reazionaria "Alternativa per la Germania" (AFD), Köbele ha nuovamente elogiato la decisione della presidenza del DKP di presentarsi alle elezioni dell'Unione Europea nel 2014: "Se un partito, che esaspera sentimenti nazionalisti e razzisti, per poco non raggiunge il cinque per cento, è più che mai necessario che si presenti un partito comunista che unisce il suo NO all'UE delle banche e dei monopoli al NO al razzismo e al nazionalismo. Una cosa deve essere chiara: La resistenza contro l'UE può avere prospettive di successo solo se i lavoratori in Germania cercano l'unità con i lavoratori dei paesi della UE, che per i diktat di salvataggio della Troika cadono nella povertà di massa".

Esplicitamente, Patrik Köbele ha ringraziato i cinque candidati diretti del DKP, che si sono presentati a Heidenheim, Brandeburgo e Berlino, e ai compagni che hanno sostenuto attivamente la campagna elettorale. Hanno dato il loro contributo all'insegna della parola d'ordine: "Scegli la strada della resistenza", apparso nei cartelli elettorali. Si deve proseguire in questo cammino, ha concluso Köbele.

Il M5S è la nuova Linea del Piave

Ruocco (M5S) : “Chi ci comanda ci impone una suicida resistenza ad oltranza nell’area dell’Euro”



A volte la storia di un popolo si ripete.
In questo momento l’Italia è in balia di una classe imprenditoriale e politica asservita ai poteri extra nazionali.
Poco meno di cento anni fa, il 24 ottobre 1917, l’Esercito Italiano comandato da generali inetti e incompetenti, subì una delle più gravi disfatte della sua storia, Caporetto.
La Caporetto di oggi è Telecom, venduta a ‘Loro insaputa’’ di Barnabé e Letta.
A Caporetto, Cadorna, un generale incapace come e quanto ora Letta, diede un ordine suicida, resistere ad ogni costo all’avanzare del nemico.
Ma avvenne un miracolo, i fanti italiani in massa, disubbidendo ad un ordine insensato, si ritirarono spontaneamente fino al Piave dove fu possibile riformare una linea di difesa e poi di attacco e di riscossa sul nemico germanico, fino allo sfondamento di Vittorio Veneto.
Ora come allora chi ci comanda ci impone una suicida resistenza ad oltranza nell’area dell’Euro.
Gli italiani devono decidere con un referendum se rimanere in tale sistema.
Il M5S è la nuova Linea del Piave, da cui resistere, riorganizzare il tessuto sociale e ripartire per uno sviluppo sostenibile e solidale.
Nessuno rimarrà indietro.
Portavoce M5S Camera

martedì 24 settembre 2013

SICILIA: a settembre nasce il GRANO

A settembre, come previsto dall’art. 12 dello Statuto Speciale della Regione Siciliana, l’A.P.S. “Progetto Sicilia” presenterà all’A.R.S. un Progetto di legge di iniziativa popolare perché sia adottato il sistema monetario regionale Grano, complementare al sistema delle banche centrali europee, euro.

Lo studio elaborato da “Progetto Sicilia” certifica come, utilizzando uno strumento quale è la moneta siciliana Grano, sia possibile reperire tutte le risorse necessarie per finanziare gli investimenti infrastrutturali e strategici, finalizzati alla crescita ed allo sviluppo sostenibile nella nostra Isola. Questo consentirà di: dare lavoro a 250.000 siciliani; riequilibrare il deficit infrastrutturale rispetto al resto d'Italia; ridurre la differenza del numero degli occupati rispetto al tasso di attività; aumentare il reddito disponibile delle famiglie siciliane, riportando questi indicatori nelle medie nazionali; infine, il pil regionale crescerebbe nel 2014 da € 82 a 96 miliardi, pari ad un punto percentuale del pil nazionale.

Per realizzare questo importante obiettivo è indispensabile che un Progetto di Legge, redatto in articoli, sia presentato da almeno diecimila cittadini iscritti nelle liste elettorali dei comuni della Regione. E’ necessario sapere quanti siano disponibili a fare parte della costituenda associazione ed allo stesso tempo adoperarsi per la raccolta delle firme in forma cartacea nel proprio comune di appartenenza. La creazione di questo evento ha lo scopo di valutare se ancora esistono le condizioni perché il Popolo Siciliano ritorni ad essere Sovrano, esercitando un diritto riconosciuto dalla Costituzione. Quindi, siete tutti invitati a rendere manifesta la vostra volontà di cambiamento nell’interesse della Sicilia e dei Siciliani. Ognuno di voi dia la propria disponibilità a far parte dell’associazione “Progetto Sicilia” e/o impegnarsi nella raccolta delle firme a sostegno del Progetto di Legge che si intende presentare all’A.R.S. progettosicilia60@tiscali.it Questo è l’indirizzo di posta elettronica cui inviare i dati anagrafici completi per partecipare alla costituzione dell’associazione, diversamente, per la raccolta delle firme basterà: nome, cognome e residenza. Abbiamo ricevuto tante mail di conferma! Vi invitiamo a fare in fretta nell’inviare la vostra per aderire all’iniziativa. Sabato 13 luglio sarà costituita l’associazione Progetto Sicilia che promuoverà la presentazione del Progetto di Legge. Nei prossimi giorni comunicheremo la sede della nostra associazione. Oltre mille cittadini hanno già sottoscritto online la petizione popolare, promossa in dicembre, sul sito change.org, testimoniando il loro gradimento verso l’iniziativa; questo dimostra che siamo sulla strada giusta e ci legittima nel voler passare alla fase operativa che rappresenterà una pietra miliare nella storia della Sicilia. Tocca a noi tutti scrivere questa pagina di storia siciliana.
AnTuDo.

“Non chiedetevi cosa può fare il vostro paese per voi. Chiedetevi che cosa potete fare voi per il vostro paese.” J. F. Kennedy

lunedì 23 settembre 2013

CRISI: PROPOSTE PROGRAMMATICHE

COMUNICATO STAMPA DEL  COORDINAMENTO NAZIONALE DELLE ASSOCIAZIONI PER FERMARE LE BANCHE E LA CRIMINALITÀ ECONOMICO-FINANZIARIA-GIUDIZIARIA

E’ iniziato il conto alla rovescia, a poche ore dalla manifestazione boicottata dal servizio pubblico e dai media di ogni tendenza politica, gli Enti organizzatori confermano la comune volontà di promuovere un network a livello nazionale ed europeo per contrastare la criminalità economica e azzerare il debito pubblico, seguendo il modello islandese e ungherese.

PROPOSTE PROGRAMMATICHE

1) AFFERMARE IL PRINCIPIO DI UGUAGLIANZA DEI CITTADINI DI FRONTE ALLA
LEGGE E IL DIRITTO AD UNA GIUSTIZIA DAL VOLTO UMANO, a fianco della parte
sana della magistratura non disposta a svendere il ruolo di garante della legalità, alle lobby
massonico-bancarie che hanno occupato le istituzioni, ed alle quali larghi settori della magistratura e dei partiti di regime garantiscono preventiva impunità e leggi “AD PERSONAM” E “AD
CASTAM”, con le quali l’attuale classe dirigente pretende di cucirsi addosso un salvacondotto
collettivo;

2) SOLLECITARE MISURE DI SOSPENSIONE DEI PROCEDIMENTI ESECUTIVI PER LE
PRIME CASE E LE AZIENDE IN CRISI E FARE RETE CON TUTTE LE ASSOCIAZIONI
ITALIANE CHE SI BATTONO PER IL RISPETTO DEI DIRITTI UMANI;

3) PROMUOVERE UN REFERENDUM POPOLARE PER CANCELLARE IL DEBITO
PUBBLICO COME IN ISLANDA, COINVOLGENDO LA PARTE SANA DELLA SOCIETA'
CIVILE E DELLA CLASSE POLITICA ;

4) INTRODURRE LA RESPONSABILITA' CIVILE E PENALE DEI MAGISTRATI, PER
MANIFESTA VIOLAZIONE DEL DIRITTO INTERNO ED EUROPEO NELLA ATTIVITÀ
INTERPRETATIVA E DI VALUTAZIONE DEL FATTO E DELLE PROVE;

5) AVVIARE LA COSTITUZIONE DI UN COORDINAMENTO NAZIONALE DELLE
ASSOCIAZIONI A SOSTEGNO DELLE VITTIME DELL'USURA BANCARIA E DELLA
MALAGIUSTIZIA E DI TUTTI GLI ENTI CHE SI ADOPERANO A TUTELA DEI
DIRITTI UMANI;

6) CREARE UNA MAPPATURA DELLE ASSOCIAZIONI OPERANTI IN ITALIA E IN
EUROPA VITTIME DI ABUSI A TUTELA DELLA LEGALITA' E DEI DIRITTI UMANI IN
MODO DA AGIRE CON MAGGIOR FORZA E INCISIVITA' SU PROGETTI COMUNI DI
LARGO INTERESSE COLLETTIVO;

7) PRESENTARE UN RAPPORTO ANNUALE ALLE AUTORITA' nazionali e sovranazionali
sullo STATO DELLA GIUSTIZIA e i casi più emblematici raccolti sia in Italia sia nell’ambito dei
Paesi aderenti all’Unione Europea, in stretta collaborazione tra tutte LE ASSOCIAZIONI
ADERENTI AL NETWORK, con le quali dar vita ad un «Osservatorio sulla legalità»,
assolutamente indipendente dai partiti, in maniera da poter analizzare e informare l’opinione
pubblica come si comportano i Tribunali e le Corti territoriali, in materia di osservanza delle leggi e
di rispetto della legalità e della dignità umana (spesso calpestate proprio da coloro che dovrebbero
fare rispettare le leggi);

8) Lotta al signoraggio monetario e Sovranità nazionale.

9) Soppressione di Equitalia.

https://www.facebook.com/events/160513997488093/

- 1) Avvocati Senza Frontiere
– 2) Il Delitto di Usura
– 3) Confedercontribuenti
– 4) AntiEquitalia
– 5) Movimento per la Giustizia Robin Hood
– 6) La Voce di Parma
– 7) Movimenti Lo Sai
– 8) Movimento Credito alle Imprese
– 9) Sete di Giustizia
– 10) SOS ABUSI
– 11) R.T.M. Radio Televisione
– 12) Accademia delle Libertà
– 13) Per il Bene Comune
– 14) Cosa Pubblica
– 15) Tutela Interessi Clienti banche
– 16) Comitati Parmalat e Bond Argentini
– 17) Zero 7 News
– 18) Caposaldo Associazioni Unite
– 19) Associazione Terra Nostra
– 20) Konsumer Lazio
– 21) Konsumer nazionale
– 22) Rete dei Cittadini Lazio
– 23) Redazione Qui Europa
– 24) A.S.P.A.L. Lazio
– 25) Imprese Comasche Riunite
– 26) Movimento di Resistenza Umana
– 27) Confconsumatori Salerno
– 28) Coordinamento per la Sovranità Nazionale

I nostri padroni visti da MOLTO vicino...

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LORD ROTHSCHILD MENTRE CAVALCA UNA TARTARUGA GIGANTE...

E MENTRE GUIDA GIRAFFE...
File:WalterRothschildWithZebras.jpg

La denuncia di Karen Hudes

Toni Negri: la sovranità è stata privatizzata

Dalla fine delle sinistre nazionali ai movimenti sovversivi per l’Europa


di TONI NEGRI
→ Français
I. Quando si dice globalizzazione dei mercati si intende che con essa vanno imponenti limiti alla sovranità dello Stato-nazione. Il fatto di non aver compreso la globalizzazione come un fenomeno irreversibile costituisce l’errore essenziale delle sinistre nazionali nell’Europa occidentale. Fino alla caduta dell’Unione Sovietica la leadership americana consistette nel combinare, prudentemente ma con continuità, le specificità nazionali dei paesi compresi nelle alleanze occidentali (e nella Nato soprattutto) e la continuità dell’imperialismo classico, raggruppandoli dentro un dispositivo di antagonismo con il mondo del “socialismo reale”. Dal 1989 in poi, crollato il mondo sovietico, allo hard powerdella potenza americana si è man mano sostituito il soft power dei mercati: la libertà dei commerci e la moneta hanno subordinato, in quanto strumenti di comando, il potere militare e di polizia internazionale – il potere finanziario e la gestione autoritaria dell’opinione pubblica hanno d’altra parte costituito il campo sul quale soprattutto si è esercitata la nuova impresa politica di sostegno alla politica dei mercati. Il neoliberalismo si è fortemente organizzato a livello globale, gestisce l’attuale crisi economica e sociale a proprio vantaggio avendo verosimilmente davanti a se un orizzonte radioso…. A meno di rotture rivoluzionarie, non essendo immaginabile una trasformazione democratica e pacifica degli attuali ordinamenti politici del neoliberalismo sull’orizzonte globale.
Di contro, al rafforzamento del sistema capitalistico nella forma neoliberale, lo sbandamento delle forze politiche della sinistra dopo ’89 è stato massiccio. Accanto alle forze dogmatiche che, nella fedeltà a forme ideologiche arcaiche, rinunciavano ad ogni comprensione della lotta di classe in un mondo profondamente rinnovato dalla globalizzazione e dalle trasformazioni del modo di produrre, si è creata allora una nuova corrente di pensiero e di azioni socialiste che, nel tentativo di mediare con la novità della situazione, l’hanno spinto invece fino a punte estreme di alleanza con il neoliberalismo.
I processi di unificazione del continente europeo e gli istituti nei quali viene sviluppandosi la discussione sulla costituzione europea, hanno costituito un luogo esemplare del vuoto e dell’impotenza politica della sinistra, sia di quella “terza via” blairiana (il cui orientamento si è presto identificato con le pulsioni più forti ad una strutturazione politica dell’Unione europea a carattere neoliberale) sia, al contrario, di quei gruppi che hanno nascosto, dietro il rifiuto dell’unità e dello sviluppo delle istituzioni europee, la loro incapacità di costruire una linea alternativa a quella neoliberale: ciò avrebbe significato mettere in discussione lo Stato-nazione, il diritto pubblico nazionale ed il sistema amministrativo della modernità capitalista. Il fallimento di queste forze, prese nel loro insieme, è stato gigantesco.
Se vogliamo procedere nella discussione, chiediamoci dunque quali siano le condizioni teoriche e politiche che possono permettere di riaprire una prospettiva di lotta sul realistico terreno della costruzione sovversiva di un’Europa unita. È una questione posta oggi dai movimenti che stanno imparando a lottare contro la crisi sul livello europeo.
II. In cosa consiste il capitalismo finanziario e/o biopolitico? Consiste nella sussunzione della società, anzi, della vita stessa, sotto il dominio del capitale, senza alcun residuo. Come si esercita il comando dei mercati sulla struttura della società, oggi? Non posso evidentemente fermarmi troppo su questo punto. Basta dire che il comando funziona attraverso un uso invasivo del controllo monetario, indirizzato all’accumulazione della rendita finanziaria. Essa riorganizza i rapporti produttivi e riproduttivi secondo schemi di approfondimento – talora di vera e propria restaurazione – di rapporti di sfruttamento. L’azione dei mercati finanziari privilegia (per la sua valorizzazione) le industrie della produzione dell’uomo per l’uomo, cioè il welfare, servizi produttivi metropolitani, ivi compresi quelli informatici, ecc. – e le industrie estrattive, energetiche, ecologiche e diagrobusiness. Si tratta di una nuova figura dell’“accumulazione originaria” nella quale l’appropriazione capitalista si applica allo sfruttamento del bios – umano e naturale – alla captazione del valore espresso da un’intera società. Una prima definizione di “comune” (così come proposto dai movimenti) sembra così esser stata qui formulata: nel rovesciamento di quel campo dello sfruttamento.
A noi interessa a studiare le contraddizioni che su quel terreno, spesso caotico, dell’attacco neoliberale, sono stati evidenziate dai movimenti. Sono contraddizioni difficilmente superabili, che il potere tende a trattenere in una governance eccezionale, in un governo di emergenza di lunga durata, per ristrutturare l’intera società. Ma osserviamo da subito la serie di paradossi che questa governance si trova ad agire.
a. Un primo paradosso riguarda la produzione e consiste nel fatto che il capitalismo finanziario rappresenta la forma più astratta e distaccata di comando nel momento stesso in cui concretamente investe la vita intera. La “reificazione” della vita e l’“alienazione” dei soggetti vengono imposte da un comando produttivo, sopra una forza-lavoro cognitiva, che sembra essere – in quanto comando finanziario – divenuto del tutto trascendente. Questa forza-lavoro cognitiva, obbligata a produrre plusvalore, proprio perché cognitiva, immateriale, creativa, non immediatamente consumabile, si rivela autonomamenteproduttiva. Trascendenza finanziaria contro autonomia cognitiva: ecco una prima contraddizione.
Essa si presenta in maniera piena quando si consideri che, essendo la produzione essenzialmente fondata sulla “cooperazione sociale” (sia informatica, sia nelle pratiche di cura, sia nei servizi, ecc.), la valorizzazione del capitale non si scontra più semplicemente con la massificazione del “capitale variabile” ma con la resistenza e l’autonomia di un proletariato che si è riappropriato di una “parte” del capitale fisso (presentandosi quindi, se volete, come “soggetto macchinico”) e di una continua “relativa” capacità di organizzare autonomamente le reti lavorative sociali.
b. Il secondo paradosso è quello della proprietà. La proprietà privata (quella che definiamo giuridicamente come tale) tende ad essere assoggettata sempre di più alle figure dellarendita. La rendita nasce oggi essenzialmente da processi di circolazione monetaria che si effettuano nei servizi del capitale finanziario e/o in quelli del capitale immobiliare – oppure dai processi di valorizzazione che si realizzano nei servizi industriali.
Ora, quando i beni (privati) si presentano come servizi, quando la produzione capitalistica si valorizza essenzialmente attraverso i servizi, la proprietà privata sfuma le sue tradizionali caratteristiche di “possesso” e si rappresenta piuttosto come prodotto della cooperazione sociale che costituisce e rende produttivi i servizi. Come restituire alla proprietà privata quella funzione fondamentale (nell’ordinamento sociale) di cui il capitalismo ha bisogno? Quando la proprietà viene socializzandosi, come restituirle la qualità del comando privato?
Questo ci si chiede spesso e si risponde: sono i poteri pubblici che devono farlo. Ma, nelle società postindustriali, la mediazione pubblica dei rapporti di classe risulta sempre più difficile, perché la sovranità è stata privatizzata (patrimonializzata dal capitale finanziario) nella stessa misura nella quale la proprietà privata si è dissolta, si presenta cioè non più come possesso ma come uso di un servizio. Il “pubblico sovrano” non si scontra più con le corporazioni, i sindacati, le istanze collettive del lavoro (che d’altra parte si rappresentavano essi stessi come soggetti privati), ma con la cooperazione e la circolazione sociale di figure che si compongono e si ricompongono continuamente nella produzione materiale e nella produzione cognitiva: insomma, con quello che chiamiamo “comune”. Intendiamo qui dunque per “comune” il riconoscimento che la produzione oggi si realizza in maniera sempre più cooperativa: questa cooperazione è bensì direttamente comandata dal capitale finanziario ma è direttamente agita dalle nuove figure della forza-lavoro cognitiva – cioè da quelle medesime potenze sociali che un tempo chiamavamo “classe operaia”. C’è dunque una progressiva “patrimonializzazione privata” dei beni pubblici che, mentre distrugge l’istituto della pubblica proprietà, deve far valere l’ideologia della proprietà privata – e a questo combinato disposto seguono la messa in moto (a seguito di quella dissoluzione) di una deriva continua della gestione del pubblico nell’emergenza, lo scivolamento dell’emergenza nella corruzione, la distruzione del comune nel potere di eccezione.
Il pubblico sovrano si pone ormai solo in maniera paradossale e tende a dissolversi, a fronte del “comune” che emerge all’interno dei processi di produzione sociale e nella cooperazione valorizzante. Quel comune è piuttosto direttamente captato dai poteri finanziari, dal mercato globale: hic Rodhus, hic salta.
c. Il terzo paradosso è quello che il biocapitale verifica nel suo confronto con i corpi dei lavoratori. Qui lo scontro, la contraddizione, l’antagonismo si esprimono nel modo più evidente, perché il capitale (nella fase postindustriale, nell’epoca cioè in cui diviene egemone la produzione cognitiva) deve mettere direttamente in produzione i corpi umani, facendoli diventare macchine, non più semplicemente merce-lavoro. Ciò deriva dal fatto che (nei nuovi processi di produzione) sempre più efficacemente i corpi si sono specializzati ed hanno conquistato una relativa autonomia. Non a caso, attraverso la resistenza e le lotte della forza-lavoro macchinica, si sviluppa sempre più espressamente la richiesta di una produzione dell’uomo per l’uomo, cioè per la macchina vivente “uomo”. Su questo sviluppo si applica l sfruttamento del capitale finanziario.
In effetti, nel momento in cui il lavoratore si riappropria di una parte del “capitale fisso” e 1) si presenta, in maniera variabile, spesso caotica, come attore cooperante nei processi di valorizzazione, come “soggetto precario”, ma, d’altra parte, 2) come soggetto “autonomo” nella valorizzazione del capitale, si dà una completa inversione nella funzione del lavoro rispetto al capitale: il lavoratore non è più solo lo strumento che il capitale usa per conquistare la natura – che vuol dire banalmente produrre merci; ma il lavoratore, avendo incorporato lo strumento, essendosi metamorfosato dal punto di vista antropologico, riconquista “valore d’uso”, agisce “macchinicamente”, in un’alterità ed autonomia dal capitale, che tendono a divenire complete. Tra questa tendenza oggettiva e i dispositivi pratici di costituzione di questo lavoratore macchinico, si colloca una lotta di classe che ormai possiamo dire “biopolitica”.
Tutti e tre questi paradossi restano irrisolti nello sviluppo del capitale – si configurano anzi come contraddizioni accentuate dalla crisi. Di conseguenza, quanto più la resistenza diviene forte, tanto più diventa feroce il tentativo di restaurazione del comando da parte dello Stato (organo del capitale), tanto più decisivo diviene l’uso della violenza. Ogni resistenza viene quindi condannata come esercizio illegale di contropotere, ogni manifestazione di rivolta definita devastazione e saccheggio. Ulteriore effetto – ed ancora è pura mistificazione: nell’esercitare il massimo di violenza, il capitale ed il suo Stato devono mostrarsi come figura necessaria e neutra; il massimo della violenza è esercitato da strumenti e/o da organi “tecnici”. “Non c’è alternativa”, proclamava la Thatcher.
III. Se questa è la costituzione politica del presente, nella crisi e nel progetto neoliberale di una stabilizzazione, è evidente che nei movimenti di resistenza si esprimono indignazione, rifiuto e ribellione e viene formandosi il disegno di costruire nuove istituzioni che corrispondano alla potenza sociale della cooperazione produttiva. Ripercorriamo dunque i terreni sui quali abbiamo verificato paradossi e contraddizioni.
Ad a. Confrontandosi al “paradosso della produzione”, si tratta di ribadire vecchio punto del programma comunista – cioè quello dell’“autovalorizzazione” operaia e proletaria, riappropriandosi progressivamente, sempre più decisamente, del capitale fisso impiegato nei processi produttivi sociali, contro il moltiplicarsi delle operazioni di valorizzazione-cattura-privatizzazione che il capitale finanziaria sviluppa. Riappropriarsi del capitale fisso significa costruire “comune” – un comune organizzato contro l’appropriazione capitalista della vita, un comune come sviluppo di “usi” civici e politici e come capacità di gestione democratica ed autonoma, dal basso. Riconquista di sapere e di reddito sono obbiettivi che qualificano in maniera primaria il proletariato cognitivo – sono fin dall’inizio obbiettivi “politici”, tanto quanto lo era per il lavoratore industriale “la lotta contro la riduzione del salario relativo che significa” (lo ricordava Rosa Luxemburg) “lotta contro il carattere di merce della forza-lavoro, cioè contro la produzione capitalistica presa nel suo insieme. La lotta contro la caduta del salario relativo non è più una battaglia sul terreno dell’economia mercantile ma un attacco rivoluzionario alle fondamenta di questa economia; è il movimento socialista del proletariato”.
È in questa rubrica che vanno riprese, studiate, e ripetute le esperienze fatte, per esempio in Italia, nell’agitazione militante sui referendum per riappropriarsi e dare nuova figura giuridica ai “beni comuni”.
Ad b. Confrontandosi al “paradosso della proprietà”, cioè nell’andare contro/oltre la proprietà privata, urge nei movimenti la necessità di emergersi in quel contesto contradditorio di servizi e reti sociali che oggi strutturano la cooperazione produttiva. Qui il confronto pone subito il tema di muoversi “dentro e contro” le istituzioni del potere pubblico. Si incrociano qui due linee principali: la prima è quella che muove contro la inerte ma feroce mediazione repressiva dei poteri pubblici nei confronti delle lotte di riappropriazione; la seconda è la lotta che strategicamente investe il ruolo ed il potere della moneta.
Sul primo terreno, fondamentale è la capacità di rompere con la governance gestita in forme neoliberali – per es. dai governi tecnici. Che si tratti di pura mistificazione lo abbiamo già detto. Abbiamo tuttavia discusso molte volte se era possibile immaginare, negli scontri che i movimenti aprono attorno alla governance pubblica, l’aprirsi di una sorta di “dualismo di potere” ed il problema resta aperto – dubito però se ne possa decidere astrattamente, fuori dalle lotte. È su questo punto, proprio in relazione all’intensità delle lotte sull’uso del comune, che va lanciata la proposta di nuovi principi costituzionali, di nuovi diritti e di una nuova legalità: il comune, il reddito, il rifiuto del debito e l’insolvenza, la libertà di movimento, l’esercizio cooperativo del sapere, il commonfare, la riappropriazione della moneta – su questi temi ritorneremo in conclusione.
Veniamo poi al secondo tema, ad investire cioè con i movimenti, la questione della moneta. A tutti è chiaro che, se la moneta è mezzo di conto e di scambio difficilmente eliminabile, gli va tuttavia tolta la possibilità di essere strumento di strutturazione della divisione sociale del lavoro e di accumulazione del potere padronale contro i produttori. Alla Banca centrale va contestata l’indipendenza – la Banca va assoggettata alle necessità della “produzione dell’uomo per l’uomo” e sotto posta ad un disegno strategico di riconfigurazione comune degli assetti sociali biopolitici. Il problema non è tanto quello di separare le “banche di deposito” da quelle “di investimento”, quanto quello di dirigere risparmio ed investimento verso equilibri che garantiscano la produzione dell’uomo per l’uomo. Questa è battaglia politica che i movimenti più maturi hanno già ingaggiato. Essa consiste – questa volta senza resipiscenze ideologiche e senza indugi – nel contestare e sabotare la governancemonetaria del biopotere, cioè nell’introdurre, ad ogni occasione possibile, claims e rotture dal basso. Bisogna cominciare a chiedersi che cosa sia una “moneta del comune” e sviluppare l’ipotesi che essa debba garantire riproduzione e la quantità di reddito necessario per ogni cittadino ed il sostegno alle forme di cooperazione che costituiscono la moltitudine produttiva.
Ad c. Torniamo ora sull’ultimo “paradosso”: quello “fra biocapitale e corpi” dei lavoratori. Qui la contraddizione è superabile solo eliminando il capitalista: questa dolorosa contraddizione nasce infatti dal fatto che il capitalista non può fare a meno di sfruttare il lavoratore se vuole costruire profitto e dal fatto che senza lavoro vivo non c’è possibilità di produzione né di ricchezza.
È dunque questo il terreno proprio della politica. Dalla parte del potere del capitale è il terreno della decisione sugli indecidibili, con l’incertezza che sempre lo scuote fra fascismo e democrazia.
Ma è anche il terreno costituente da parte dell’insieme dei corpi-macchina, singolari e potenti, nell’esercizio della lotta di classe. Per questi corpi far politica è costituire “istituzionalmente” la moltitudine, cioè strappare le singolarità alla solitudine ed situarle, istaurarle nella moltitudine, ovvero trasformare l’esperienza sociale della moltitudine inistituzione politica.
Perciò, i movimenti attuali, sempre più impetuosamente, chiedono anche di superare il modello costituzionale della modernità – sette-, otto- e novecentesco – dove il potere costituente veniva meno dopo aver concluso l’azione rivoluzionaria. Più realisticamente si afferma oggi che il potere costituente non possa essere chiuso nella ricostruzione dell’Uno del potere. Non si fanno rivolte per prendere il potere ma per tenere sempre aperto un processo dei contropoteri, sfidando i dispositivi di cattura sempre nuovi che la macchina capitalista produce. L’esperienza delle lotte ha insegnato che la rappresentanza politica sempre va in crisi perché (attratta nel meccanismo della sovranità, distillata nella puzzolente e magica alchimia elettorale) non regge il confronto con la verità e la ricchezza sempre rinnovate della composizione sociale della classe lavoratrice.
Tutti i movimenti a partire dalla primavera 2011 vogliono una “controdemocrazia” conflittuale, che viva di rivendicazioni e protesta, di resistenza e di indignazione – basta con il costituzionalismo “normativo”! Essi pongono l’esigenza di costituzioni democratiche biopolitiche che non si trasformano in macchine oppressive attraverso il filtro della legalità e della formalità giuridica – ma si svolgono attraverso investimenti di “denaro comune”, rivolti al continuo riequilibrio dei rapporti sociali, ponendo i poveri al posto dei ricchi, e creando una vita costruita dall’uomo al servizio dell’uomo.
Occorre qui affermare chiaramente che, alla faccia di tutti i Nobel dell’economia, anche una produttività crescente è solo frutto di una società uguale e libera. Di una società del “rifiuto del lavoro”.
IV. Quanto più la crisi avanza e i movimenti maturano, tanto più si avverte che qualche cosa di decisivo è avvenuto nelle coscienze dei lavoratori. È banale dichiarare che “il ­­‘900 è finito”, soprattutto quando questa frase è detta per cancellare il ricordo delle formidabili esperienze di lotta operaia e i giganteschi tentativi di costruire una nuova società che nel ‘900 si sono realizzati. Ma il fatto che questi tentativi siano stati sconfitti (non in un giorno ma in un secolo, appunto) non significa per nulla che il loro potenziale sia esaurito. Anzi: la “vecchia talpa” ha continuato a scavare la sua speranza. Recuperare l’esperienza socialista? Sì – se la inseriamo tuttavia in una nuova teoria, in una nuova strategia… È quello che stanno facendo i nuovi movimenti.
Riconcentriamo allora la nostra attenzione su quanto avviene nei movimenti che si battono nella crisi contro la crisi. È così operando che ci potremo chiedere come studiare i processi di soggettivazione che in questa condizione si danno, e quali siano le condizioni favorevoli o ostruttive che permettono o bloccano una politica del comune.
Ora, in primo luogo, risultano senz’altro ostruttivi i richiami alle riforme costituzionali che vengono proposte sul livello europeo; quello che ci interessa qui – e che interessa i nuovi movimenti – è piuttosto considerare le azioni politiche che si possono condurre per favorire processi di soggettivazione adeguati ad un nuovo disegno sovversivo e comunista.
Guardando ai movimenti, dunque, un primo gruppo di iniziative può essere raccolto sotto la sigla: insolvenza. Contro il debito, a favore del reddito di cittadinanza, le lotte riprendono quelle vecchie sul salario relativo e divengono lotte rivoluzionarie perché mettono in questione la misura del lavoro. Sempre su questo terreno sono poi in corso esperimenti e tentativi di costruire una teoria ed una pratica dello “sciopero precario”: di comprendere cioè quali siano le lotte che “fanno male” al padrone nella nuova condizione dello sfruttamento sociale, a partire dalla condizione di precariato imposta ai lavoratori. Le lotte che riconquistano spazi, piazze, teatri, centri sociali, squat, ecc. entrano dentro questo quadro. Ma soprattutto vi entrano quelle iniziative che riescono a riappropriarsi e/o “mutualizzare” in forma alternativa la gestione di nodi di welfare, dell’educazione, di politiche dell’abitazione, ecc.. In questo caso, si lotta attorno al salario diretto e/o indiretto dei lavoratori, integrandone non solo la quantità monetaria ma anche la qualità sociale.
Destituzioni. È questo il secondo terreno sul quale si muovono oggi le lotte. Il primo punto consiste nel cercare di destituire le filiere del comando capitalistico. Nel neoliberalismo, il caos sociale e giuridico è considerato normale. Assumerlo, trasformando la governance da momento di litigiosità in momento di “contropotere”, è compito di ogni forza di opposizione al neoliberalismo. Abbiamo avuto in America latina esempi di movimenti rivoluzionari (operai e/o indigeni) che per lungo tempo hanno costruito ed imposto l’agenda dei governi. Non sarà facile in Europa ripetere questa esperienza ma si tratta di provare, senza illudersi che questa capacità di rottura possa consolidarsi in un meccanismo stabile di contropotere. In questo caso, l’effetto destituente è ancora preminente rispetto a quello costituente.
Taluni obiettano: questi movimenti sono inutili e talora dannosi, perché riots e tumulti non creano istituzione? Questi discorsi risultano oziosi, quando non siano provocatori se ritengono implicitamente la dimostrazione che riots e tumulti non possono creare istituzione: per ora non lo fanno – ribattiamo – perché l’effetto destituente è ancora propedeutico e principale.
Sempre su questo terreno di attività destituente, c’è un altro ambito di lotta che i movimenti percorrono – esso consiste nell’azione contro le strutture costituzionali del biopotere capitalistico. Il tema è quello – in questo caso – dello sviluppo di un potere costituente democratico, di massa, moltitudinario.
Questi terreni di ricerca e di lotta sono stati soprattutto identificatoi sul livello metropolitano. Laddove un tempo era la fabbrica che centralizzava l’organizzazione del lavoro, oggi è la metropoli che centralizza le reti di cooperazione del lavoro (cognitivo e non) e che attraverso gli incontri eleva il grado di tensione e di fusione della produzione e della lotta. Sul terreno metropolitano sempre di più stanno quindi organizzandosi luoghi di incontro, di militanza, e di organizzazione del lavoro materiale e del lavoro immateriale, del lavoro e del non-lavoro, della cultura e delle culture (con i migranti) – luoghi di organizzazione di lotte, di riappropriazione dei prodotti del “General Intellect”. È possibile cominciare a costruire istituti di autogoverno che attivino forme di nuova “mutualità” e di tutela sociale contro gli effetti più violenti della crisi? In molti casi lo è stato. E ancora: accanto a questi elementi di apertura che possiamo definire “intensiva” (rivolta cioè verso l’interno del tessuto sociale) va sperimentato un dispositivo “espansivo”, insomma un dispositivo di estesa apertura. Solo l’aggancio e la concatenazione fra le mobilitazioni in diversi paesi europei può determinare la soluzione di continuità delle politiche di crisi che oggi stiamo sperimentando.
Comunalizzazioni. Qui cominciano a giocare le iniziative costituenti. In Italia, per esempio, i movimenti ci hanno provato. Dal pubblico al comune: il cammino è quello di affermare il diritto di “accesso al comune”, di realizzare quel desiderio di comune che ormai abita nel cuore dei lavoratori. Ed infine, comunalizzare significa costruire nuove istituzioni del comune ed in particolare quella “moneta del comune” che permetterà ai cittadini di produrre in libertà e nel rispetto della solidarietà.
Da quanto fin qui detto, appare chiara un’alternativa: da un lato c’è il bio-valore captato (estratto) dal capitale su tutta la società; e quindi c’è la sua forma monetaria, la sua strutturazione funzionale allo sfruttamento della società intera. D’altro lato, che cosa significa, a questa altezza, costruire alternativa rivoluzionaria? Significa liberare la potenza della forza-lavoro dal dominio capitalistico, imporre l’uguaglianza come condizione di libertà.
Ponendo queste questioni, ed essenzialmente quella attorno alla moneta, siamo ritornati alla domanda che c’eravamo posti all’inizio: che fare nei confronti dell’Europa? Meglio: come si muovono i movimenti nei confronti dell’Unione europea? È chiaro che il terreno dell’unità europea è necessario ed irreversibile. Nella globalizzazione è impercorribile un cammino politico che non abbia dimensioni continentali. Talora non sembra che i movimenti lo abbiano compreso. È necessario dunque costruire nuovi modelli di solidarietà e nuovi progetti di collegamento che sappiano negoziare le differenze tra le geografie frastagliate non solo fra i vecchi stati-nazione, ma anche fra le diverse storie dei movimenti attuali. Lo richiede l’urgenza delle lotte, soprattutto quando il tema costituente va posto in maniera centrale. Per riempire quest’agenda, occorre sviluppare una ricerca continua e convergente, evitando le scadenze istituzionali europee e le campagne elettorali che ci vengono continuamente riproposte. Probabilmente il punto centrale di discussione consiste nel proporre un’azione contro la BCE, consapevoli che essa rinnova il Palazzo d’inverno nell’Europa di oggi.
* Intervento a una conferenza a Saint Denis – 18 gennaio 2013.