sabato 23 luglio 2016

BCE: Cos'è la moneta ?

Cos’è la moneta?

24 novembre 2015
https://www.ecb.europa.eu/explainers/tell-me-more/html/what_is_money.it.html

Le banconote e le monete metalliche in euro costituiscono moneta, così come anche il saldo di un conto bancario. Ma cos’è in realtà la moneta? Come si crea? E qual è il ruolo della BCE?

L’evoluzione della natura della moneta

La natura della moneta è mutata nel tempo. In origine ha assunto generalmente la forma di moneta merce: un oggetto fabbricato di un materiale che aveva valore di mercato, ad esempio le monete d’oro. In epoche successive, la moneta rappresentativa era costituita da banconote che potevano essere cambiate con una certa quantità di oro o argento. Le economie moderne, fra cui l’area dell’euro, si basano sulla moneta fiduciaria, ossia dichiarata a corso legale ed emessa da una banca centrale ma, diversamente dalla moneta rappresentativa, non convertibile ad esempio in una quantità fissa di oro. La moneta fiduciaria non ha valore intrinseco, la carta utilizzata per le banconote è in linea di principio priva di valore, ma è accettata in cambio di beni e servizi, perché gli utilizzatori confidano che la banca centrale manterrà il valore della moneta stabile nel tempo. Se la banca centrale non dovesse tenere fede a questo impegno, la moneta fiduciaria perderebbe l’accettazione generale come mezzo di scambio e ogni interesse come riserva di valore.
Oggi la moneta può esistere anche indipendentemente da una rappresentazione fisica, ad esempio su un conto corrente come registrazione informatica, oppure come deposito su un conto a risparmio. La moneta digitale, o elettronica, costituisce valore monetario memorizzato, ad esempio, in una carta prepagata o uno smartphone. Gli addebiti diretti, i pagamenti in Internet e quelli con carta sono tutte forme di pagamento che non implicano l’uso di contante. (Tra gli sviluppi più recenti vi sono persino le valute digitali decentrate o i circuiti di moneta virtuale come Bitcoin, che funzionano senza un’istanza di controllo centralizzata quale una banca centrale. Da una punto di vista giuridico non sono considerati moneta.)
I pagamenti elettronici hanno visto una rapida crescita, ma l’utilizzo del contante è ancora molto diffuso. Nell’area dell’euro il contante è usato in percentuale elevata per i pagamenti inferiori a 20 euro. Il valore del contante in euro è garantito dalla BCE e dalle banche centrali nazionali dei paesi dell’area dell’euro, che insieme formano l’Eurosistema.

Le funzioni della moneta e come la BCE ne segue gli andamenti

La moneta, in qualsiasi sua forma, assolve tre diverse funzioni. È un mezzo di scambio, un mezzo di pagamento con un valore in cui tutti confidano. La moneta è anche unità di conto che permette di attribuire un prezzo a beni e servizi. Ed è anche riserva di valore. In realtà circola, vale a dire è utilizzata per i pagamenti, solo una parte del contante in euro in circolazione, Ad esempio, molti dei biglietti da €50 circolanti sono accumulati come riserva di valore.
In genere le banche centrali definiscono e tengono sotto osservazione vari aggregati monetari. I loro andamenti possono fornire informazioni utili sulla moneta e sui prezzi. Sono necessari vari aggregati perché molte delle diverse attività finanziarie sono sostituibili; inoltre la natura e le caratteristiche di tali attività, delle operazioni e dei mezzi di pagamento mutano nel tempo. L’Eurosistema ha definito un aggregato monetario ristretto (M1), uno “intermedio” (M2) e uno ampio (M3) ai fini dell’analisi monetaria della BCE. La BCE esamina gli andamenti di questi aggregati, insieme a molte altre informazioni e analisi, nel quadro della propria strategia di politica monetaria.

Come si crea la moneta?

La BCE funge da banca delle banche commerciali e anche in questo modo influenza il flusso della moneta e del credito nell’economia per conseguire prezzi stabili. A loro volta, le banche commerciali possono rivolgersi alla BCE per contrarre prestiti, ossia riserve di banca centrale, di solito per finanziarsi a brevissimo termine. Per controllare la quantità di moneta “esterna” e quindi la domanda di riserve di banca centrale da parte delle banche commerciali, la BCE ricorre a uno strumento principale: stabilisce i tassi di interesse a brevissimo termine, il “costo del denaro”.
Inoltre le banche commerciali possono creare moneta “interna”, ossia depositi bancari, ogni volta che erogano un nuovo prestito. La differenza tra la moneta esterna e la moneta interna è che la prima è un’attività per l’insieme dell’economia, ma non è una passività per nessuno. La moneta interna invece è così denominata perché ha come contropartita il credito privato: se tutti i crediti detenuti dalle banche verso il settore privato fossero estinti, la moneta interna creata sarebbe annullata. Quindi, è una forma di moneta che viene creata, e può essere annullata, nel settore privato dell’economia.

Si legge spesso che la BCE “stampa moneta”. Di cosa si tratta?

In pratica, soltanto le banche centrali nazionali emettono fisicamente le banconote in euro. “Stampare moneta” è un’espressione colloquiale utilizzata per indicare il programma di acquisto di attività della BCE, una forma di “allentamento quantitativo”. Acquistando attività nel mercato finanziario, la BCE crea ulteriori riserve di banca centrale che possono aiutare a ridurre, tramite vari canali, i tassi di interesse a carico di famiglie e imprese; il fine è sostenere l’economia e, in ultima analisi, mantenere stabile il valore della moneta quando il margine di manovra per una diminuzione dei tassi di interessi direttamente controllati dalla BCE è limitato. In questo processo, la BCE di fatto non stampa banconote per acquistare le attività, ma crea moneta elettronicamente, che è accreditata al venditore o all’intermediario, ossia a una banca commerciale. Il venditore può quindi utilizzare la liquidità aggiuntiva per acquistare altre attività oppure, nel caso di una banca commerciale, per erogare credito all’economia reale. Gli acquisti contribuiscono a migliorare le condizioni monetarie e finanziarie, riducendo il costo dell’indebitamento per famiglie e imprese, che possono così investire e spendere di più. Il fine ultimo è che il tasso di inflazione torni su livelli prossimi ma inferiori al 2% in linea con il mandato di stabilità dei prezzi della BCE.

giovedì 21 luglio 2016

SALVA BANCHE: TRIBUNALE DI CHIETI "LA BANCA NON ERA INSOLVENTE"

SALVA BANCHE: TRIBUNALE DI CHIETI "LA BANCA NON ERA INSOLVENTE AL MOMENTO DELL'AVVIO DELLA RISOLUZIONE"
di Daniele Pesco, parlamentare M5S
La notizia è di qualche giorno fa, ma va ricordata in quanto apre una breccia in quella apparentemente inscalfibile facciata reputazionale di Bankitalia.
Dai giornali difatti si apprende che la sentenza sullo stato di insolvenza di Carichieti : " ha stabilito che in atti non ci sono elementi che consentano di affermare l’esistenza di uno stato di insolvenza al momento dell’avvio della risoluzione, mentre l’insolvenza vi era al momento in cui è stato emanato il provvedimento di liquidazione coatta amministrativa."
Ed anche :"Sempre a proposito della insolvenza i giudici avrebbero scritto che si basa su perdite scaturite da rettifiche di valore netto dei crediti di cui non è stata data alcune giustificazione. "
Che cosa vuol dire? Vuol dire che finalmente un tribunale ha messo in dubbio l'operato degli ultimi amministratori della banca tra cui i commissari di Bankitalia che hanno svalutato in modo eccessivo i famosi crediti deteriorati andando a intaccare in modo irreversibile il patrimonio, arrivando quindi al dissesto.
Ma è stato un dissesto indotto... in quanto al momento dell'avvio della risoluzione e cioè di quella attività partita col decreto salvabanche la situazione non era ancora compromessa del tutto.
Svalutare un credito deteriorato vuole dire andare ad abbassare il valore in bilancio di quei finanziamenti concessi dalla banca e sui quali si inizia a perdere le speranze di recupero. Alla svalutazione segue un accantonamento e cioè una parte del patrimonio disponibile della banca viene sacrificata per compensare la perdita di valore del credito. Se svaluto troppo, accantono troppo e rimango senza capitale per continuare a fare la banca. 
A questo punto è doveroso chiedersi:
chi può decidere quanto una banca deve accantonare? 
La banca decide in modo autonomo quanto accantonare e nel caso lo facesse in modo insufficiente decide la banca d'Italia e per le "banche significative" la BCE. 
In che modo? o tramite la cosidetta "moral suasion" o attraverso ordini a seguito di ispezioni o commissariando la banca.
Potrebbe essere uno strumento utilizzato da chi detiene il controllo delle licenze bancarie ( BCE e Bankit) per chiudere, accorpare e ridurre il numero di banche? 
Secondo me si.

sabato 16 luglio 2016

Analisi contabile: la passività *fantasma* della Banca "d'Italia"

Analisi contabile
Il vero tesoretto: la passività *fantasma* della Banca "d'Italia"


La banca privata denominata fraudolentemente "Banca d'Italia", espone in bilancio 2015 una voce passiva chiamata "banconote in circolazione" per 174,3 miliardi di euro (pag.28 del bilancio). Vedi:
https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/bilancio-esercizio/2016-bilancio-esercizio/bil-eserc-2016.pdf

A fronte di questa voce passiva, dovremmo trovare nel bilancio della Tesoreria di Stato una corrispondente voce attiva sempre per 174,3 miliardi di euro come "signoraggio da banconote in circolazione". Ma è inutile cercarla: non c'è. E il motivo è semplice: dal 1907 il servizio di Tesoreria dello Stato è appaltato, e si badi bene: senza regolare gara, alla stessa Banca d'Italia che non ha evidentemente interesse a restituire allo Stato questa somma enorme. Ma non è tutto: abbiamo parlato delle sole banconote, ma il denaro elettronico creato da bankitalia dove trova corrispondenza nell'attivo del Tesoro ? Da nessuna parte. 

Qui casca l'asino: è una bomba a tempo che ci porterà dritti ad una nuova repubblica.

Marco Saba, 16 luglio 2016 

Vedi anche:

Tesoro sommerso: l'errore contabile del ministro Padoàn

giovedì 14 luglio 2016

Davigo sui criminali dai colletti bianchi

Davigo: "I reati dei colletti bianchi? Scritti per non farli andare in carcere"

ADNKRONOS / CRONACA
Davigo: I reati dei colletti bianchi? Scritti per non farli andare in carcere
Piercamillo Davigo (Fotogramma)
"La cosa grave in Italia è che i reati dei colletti bianchi sono scritti in modo tale da non consentire che vadano in carcere". Lo ha detto il presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati Piercamillo Davigo durante il programma ‘Siamo Noi - Lungo le strade della Misericordia’ su Tv2000 dedicato al tema delle carceri.
"Il settimo comandamento 'non rubare' - ha sottolineato Davigo - può essere declinato con il furto o con l’appropriazione indebita. Il furto è un reato tipico della delinquenza comune, l’appropriazione indebita è un reato commesso solitamente da un colletto bianco. E’ praticamente impossibile commettere un furto semplice, quasi sempre è aggravato e per questo sono consentiti l’arresto e la detenzione. Per l’appropriazione indebita non è consentita la custodia in carcere".
"I reati dei soggetti che riempiono le carceri - ha aggiunto Davigo - sono facili da commettere ma anche facili da scoprire e reprimere. E’ invece molto più difficile fare un processo per falso in bilancio che avere un processo per furto d’auto".
"Negli ultimi decenni nell’Occidente - ha proseguito Davigo - la classe media si è sempre più assottigliata, c’è stato un impoverimento della fascia bassa e un arricchimento vergognoso delle posizioni di vertice. Una volta un amministratore, quando guadagnava tanto, percepiva dieci volte il salario dei suoi operai, oggi guadagna cento volte di più. Normalmente negli altri Paesi rubano i poveri e non i ricchi perché non hanno bisogno di rubare. In Italia invece rubano anche i ricchi".
"Sono convinto - ha concluso Davigo - che la maggior parte degli italiani non sono ladri ma derubati. Gli elettori danno l’idea di essersi rassegnati. Negli anni ’90 c’era indignazione, oggi vince la rassegnazione".

Imposimato scatenato contro la cupola bancaria

Banche: Salvo Mandarà "battezza" la fine del Truman Show

lunedì 11 luglio 2016

La BCE ammette: le banche commerciali creano denaro

La BCE ammette: le banche commerciali creano denaro

Il 7 luglio 2016 a Madrid, in Spagna, il vice presidente della BCE ha ammesso:

"Una motivazione fondamentale per la regolamentazione bancaria si riferisce al fatto che, quando concedono credito, le banche creano denaro creando un deposito corrispondente. Questa attività, che è al centro del nostro sistema di moneta-credito, comporta una significativa trasformazione di liquidità poiché i depositi sono molto più liquidi dei crediti."

Qui l'originale in inglese: 

"A crucial rationale for bank regulation relates to the fact that when they concede credit, banks create money by creating a corresponding deposit. This activity that is at the centre of our credit-money system, involves a significant liquidity transformation as deposits are much more liquid than credits."

Qui il testo ufficiale nel sito della BCE:

Challenges for the European banking industry

Lecture by Vítor Constâncio, Vice-President of the ECB, at the Conference on “European Banking Industry: what’s next?”, organised by the University of Navarra, Madrid, 7 July 2016

http://www.ecb.europa.eu/press/key/date/2016/html/sp160707_1.en.html

 

venerdì 8 luglio 2016

Brexit, banche e contabilità: parla l’economista Galloni

Brexit e banche, parla l’economista Galloni: “Si può uscire dal baratro senza l’Europa che alimenta la turbofinanza”

Brexit e banche, parla l’economista Galloni: “Si può uscire dal baratro senza l’Europa che alimenta la turbofinanza”
Economia


Negli anni Ottanta, da funzionario, fu isolato per le sue posizioni ostili ai trattati e critiche su euro, sistema finanziario e banche. Oggi le sue teorie vengono prese a prestito anche da chi lo avversava. "Bisogna ribaltare i paradigmi senza venire a patti con le istituzioni: sono parte del problema e non hanno soluzioni", è la sua ricetta. Ai Cinque Stelle che attingono alle sue tesi dice: "Sono disponibile, ma per un progetto senza compromessi"

Alle cronache dell’epoca era passato come “l’oscuro funzionario che fece paura a Helmut Kohl”. Da una posizione di vertice al ministero del Bilancio dell’Italia anni Ottanta aveva osato avversare apertamente i trattati europei. Profetico, a tratti perfino eversivo nelle sue teorie macroeconomiche, metteva già in discussione le politiche neoliberiste, il futuro della moneta unica, il dogma degli investimenti senza debito. E ora, a distanza di trent’anni e di molti libri e conferenze, anche chi governa nei consessi internazionali, perfino chi manovra la nave dell’eurozona alla deriva, inizia a parlare la sua strana lingua. Chiamiamo Antonino Galloni che è sera. Il “pericoloso funzionario”, ormai vicino alla pensione, è alle prese con un pollo ruspante a chilometri zero, da cucinare con lime, vino, carote e timo: “Un peccato non usare certe ricette”, sospira. Le sue le ha scodellate da tempo al servizio di tutti ma per diversi decenni sono rimaste confinate sullo scaffale degli economisti eterodossi, quelli che i politici non ascoltano perché propongono cambiamenti radicali. Ex funzionario del ministero del Bilancio, direttore generale di quello del Lavoro, un tempo docente universitario, Nino Galloni non ha perso per strada le sue convinzioni che ha perfezionato nel tempo, soprattutto alla luce degli sconvolgimenti in corso. Le spiega con pazienza, al telefono, e si premura di avvertire i Cinque Stelle che tante volte alle sue tesi hanno attinto: “Sono pronto a dare una mano, purché l’ansia di governare non li faccia piegare alle richieste delle istituzioni internazionali di dimostrarsi affidabili a tutti i costi, perché così non cambierà nulla. Se qualcuno cerca un programma avanzato per uscire dal baratro, ecco, io ce l’ho”.
Partiamo dal baratro: le banche, i mercati e la finanza
Sempre lì siamo. E’ il conto che tutti paghiamo al dominio del pensiero unico di matrice neoconservatrice, quello che dagli anni Ottanta ha imposto un modello capitalistico irresponsabile che oggi non è più nemmeno di mercato ma guidato da algoritmi matematici. Il suo obiettivo è massimizzare l’emissione di titoli e i debitori – Stati compresi – perché siano deboli, poco solvibili e sottomessi. Questo costringe a far aumentare la circolazione di derivati e swap (scommesse su tutto, ci spiega). Così si fanno milioni di miliardi di dollari di titoli tossici. Il punto è come uscirne, perché è ormai chiaro che il soccorso che trasferisce Pil a copertura dei debiti delle banche non potrà durare per sempre. I titoli tossici e fasulli in circolazione, a livello planetario, rappresentano 54 volte il Pil mondiale. Stiamo salvando il peggio.

Appunto, come se ne esce?
C’è chi pensa a passare la nottata invece di fermare la roulette impazzita. Possiamo partire proprio dalle banche, ipotizzando un ruolo e una contabilità diversa. Si deve tornare alla separazione tra chi eroga credito operando come agente di sviluppo sul territorio e chi fa raccolta a fini speculativi. Nel credito, poi, si dovrebbe ragionare su una contabilità vera che metta nel conto economico delle banche tutti i versamenti delle rate a titolo di estinzione dei debiti, mentre ora vengono calcolati solo gli interessi.

Cosa cambierebbe?
Quella che oggi si chiama “perdita” o sofferenza sarebbe correttamente contabilizzata per quello che è: un mancato arricchimento. Si abbatterebbe il margine operativo, che resterebbe però sempre a livelli stratosferici, dell’ordine del 50-60%, detratti i costi di funzionamento della banca. E su quelli potrei fargli pagare le tasse, con un’aliquota che diventa bassa per tutti, ricavando così un gettito che concorra a tenere in piedi il sistema.

Un esempio, per capire…
Mettiamo che lei abbia un’impresa di spettacolo e si fa finanziare un milione di euro. Paga gli operai, i costi, l’intermediazione bancaria e alla fine riesce a restituire solo la metà. Ebbene quei 500mila euro, detratti i costi bancari che poniamo siano del 10%, la banca incassa comunque un attivo di 450mila euro netti. E’ una perdita o un guadagno? E più in generale: oggi si finanzia solo ciò che porta profitto ma siamo fuori dall’età della scarsità delle risorse e lo sviluppo responsabile potrebbe essere limitato solo dalla disponibilità del fattore umano, se solo si annoverassero tra le attività necessarie per un Paese i servizi alla persona, la cura dell’ambiente, l’innovazione tecnologica e tutti quei fattori che sono alla base dello sviluppo.

Perché non lo si fa?
Perché significherebbe avere piena occupazione e aumento dei salari, la gente non sarebbe più asservita e dunque un mondo rispetto al quale il vecchio modo di governare, basato sulla soggezione della gente, non funziona più e salta. Le soluzioni all’attuale crisi economica ci sono ma comportano un’emancipazione delle popolazioni, un aumento alla partecipazione democratica, il ripristino della classe media al posto della categoria dei cittadini-sudditi. Oggi la gente è disperata: non trova lavoro, non riesce a pagare il mutuo, ha paura di quello che può accadere al primo imprevisto. E sta buona. Senza questa sottomissione economica le classi dirigenti andrebbero in crisi: e come facciamo noi a sopravvivere?, si chiedono i parassiti.

E’ un fan delle teorie del controllo sociale alla Bildenberg?
I poteri forti esistono e dominano perché non c’è una classe politica degna di questo nome. Quando ci sono i Roosevelt, i Kennedy, i Moro, i Mattei è chiaro che questi poteri occulti hanno meno peso e importanza. Attraverso gli squilibri finanziari, monetari e bancari mantengono il controllo sulla formazione delle stese classi dirigenti che poi vanno formalmente a governare i paesi.

Che margini ci lasciano?
Si potrebbe ancora rovesciare il tavolo delle regole, forse. Ad esempio autorizzando i disavanzi dei Paesi in funzione del tasso di disoccupazione e non di parametri finanziari decisi chissà dove e come. Ma certo non lo può fare questa Unione Europea e le istituzioni che sono parte del problema.

E perché?
Perché sono lontanissime e tendenzialmente ostili a favorire la consapevolezza delle masse che un certo meccanismo si è rotto. E tendono a tamponare le situazioni per mantenere lo status quo. Le democrazie che guidano sono in crisi perché non sono riuscite a stabilire la differenza tra cittadino e suddito. Per ristabilirla, serve recuperare sovranità e capire quale è il modello economico oggi sostenibile. Ritengo che sia arrivato il momento di infrangere dei tabù e di tentare politiche opposte, di aumento dei salari e della spesa pubblica in disavanzo, di riconoscere la sostenibilità dei rendimenti negativi una volta si sia capito che credito e moneta sono a costo zero non hanno bisogno di copertura ma solo di stimolare la produzione di quei servizi necessari alla comunità di cui si dice erroneamente che mancano i soldi.

Ma abbiamo il debito pubblico alle stelle…
E’ vero. Ma su questo si deve fare un ragionamento finalmente vero e più onesto. Quando andiamo in banca ad accendere un mutuo ci viene concessa una somma fino a cinque volte il nostro reddito annuale. Il reddito di un Paese è il Prodotto interno lordo, ma il debito va paragonato al patrimonio che è di gran lunga superiore. Questa idea per cui siamo appesi ai conti economici delle entrate e delle uscite è una mistificazione che comprime le possibilità di sviluppo e di piena occupazione.

Da molto tempo è ai piani alti del ministero del Lavoro. Come sta andando l’occupazione?
Oggi ho incarichi di controllo ma non ho mai smesso di ragionare su dati, parametri e interventi che di volta in volta vengono fatti. Purtroppo non si è cambiato strada, le esigenze della società continuano a non trovare una risposta attraverso il lavoro. Un errore fondamentale è stato fatto quando ero direttore generale, allora lo denunciavo e oggi timidamente qualche ammissione arriva anche dal ministro. La flessibilizzazione è diventata sciaguratamente precarizzazione perché non si è realizzato il principio secondo cui il lavoratore flessibile doveva costare di più alle imprese di uno stabilizzato.

E le misure del governo?
Col Jobs Act si sono ridotti i diritti dei lavoratori stabili per renderli più appetibili alle imprese e ha funzionato, tuttavia ha eroso la stabilità di chi era garantito. L’effetto lo si vede nell’esplosione dei 500mila voucher che hanno portato altrettanti lavoratori sotto lo schiaffo del caporalato segnando una grande sconfitta per il ministero, per il governo e per il Paese. Tocca chiedersi cosa succederà: se pretendiamo il rispetto della legalità finiremo per togliere lavoro a questa gente per poi reimportare arance e pomodori dal Nord Africa. E’ questo il sacco in cui si trova il lavoro. E tocca capire anche cosa succederà dopo tre anni, quando termineranno gli incentivi previdenziali. Nel frattempo assistiamo a un paradosso: in certi momenti l’occupazione (precaria) è cresciuta più del Pil, e allora il grande successo di queste politiche è… far calare la produttività.

Cosa pensa della Brexit? E’ il segno della disgregazione dell’Europa?
Ha creato un po’ di panico a livello delle classi dirigenti perché si è visto che la gente non si è fatta condizionare e ha scelto in base alla valutazione dei propri interessi. Significa che, in fondo, era stato sottovalutato l’impatto che le classi più umili, le persone più anziane, percepivano delle situazione come negativa. Gli inglesi che hanno votato “si” vogliono liberarsi di una serie di vincoli e problemi e tornare a un maggior realismo in economia, a una maggiore centratura sul livello locale e in parte anche sulle tradizioni. Ma in concreto a breve cambierà poco perché già la Gb non faceva parte dell’euro e ora potrà negoziare accordi di comune interesse. Se la sterlina si svaluta andremo in vacanza a Londra spendendo di meno e verranno meno turisti inglesi da noi. Ma la conseguenza più grande è che si possono rimettere in gioco parecchi equilibri.

Tanto rumore per nulla?
Diverso è se si considera la cosa a livello geopolitico. E’ chiaro che la Corona inglese non si sia spesa per il “remain”. Significa che aveva strategie alternative, come quelle mai nascoste di recuperare il controllo della sua colonia preferita cioè gli Usa che in questo  momento sono un po’ allo sbando. Quindi tramite la finanza e altri strumenti che sono il nocciolo duro dell’Inghilterra pensa di avvicinarsi di più ai cugini d’Oltreoceano. Non significa che il Regno Unito, se tale rimane, si allontani dall’Europa ma certo si avvicinerà di più all’America e potrebbe ad esempio rilanciare il TTIP, che era mezzo morto.

Se ci fosse un referendum in Italia come finirebbe?
Non è questo il punto. Se usciamo dall’Europa è per andare dove? Penso che l’Italia potrebbe giocare un ruolo fondamentale nel dialogo Usa-Russia per spostare il baricentro dell’economia europea verso il Mediterraneo che è necessario anche per gestire i flussi migratori e respingere il terrorismo a sfondo religioso. Paradossalmente, per giocarsela in Europa, l’Italia dovrebbe rompere con essa e fare un accordo restrittivo con la Russia, ma meglio portare avanti un dialogo tra Usa-Russia di cui siamo i principali referenti e beneficiari. Il governo italiano dovrebbe battersi per il superamento delle sanzioni.

Come reagirebbe l’Europa?
Il problema è che Renzi o chiunque altro, anche se legittimati da un referendum no euro, non potrebbero cogliere questa prospettiva  perché Francia e Germania non lo consentirebbero: loro che hanno avuto maggiori vantaggi di noi da questa Europa a due velocità, già soffrono e non ci stanno a perdere peso.

Le sue tesi piacciono al M5S che oggi ambisce a governare. Risponderebbe a una “chiamata”?
Sì, ma mi preme chiarire un aspetto. Dall’origine del Movimento ad oggi è successo qualcosa di importante e potenzialmente rischioso. Quando l’orizzonte era l’opposizione la mediazione era esclusa, non si scendeva a patti col potere. Oltre all’esigenza del consenso però il Cinque Stelle oggi coltiva l’ambizione del governo e questo sdoppia la sua matrice. Da una parte continua la deriva positiva degli anti-sistema al grido “onestà-onestà”, dall’altra una crescente propensione ad accreditarsi come referenti affidabili, anche presso i consessi internazionali. Ecco, se prevalesse la logica del “vedete, siamo bravi ragazzi” temo che anche mettendo a disposizione le mie ricette non cambierebbe nulla. Se invece vincesse lo spirito delle origini a favore di programmi e posizioni radicalmente innovativi, beh, io ci sarò”.

mercoledì 6 luglio 2016

Bini Smaghi (SocGen): se cade Mps cade l'Europa

banche e assicurazioni

Bini Smaghi (SocGen): se cade Mps cade l'Europa

Il presidente del gruppo bancario francese, ex membro del board della Bce, ha spiegato in un'intervista che la banca senese è un problema di portata sistemica per l'Ue
di Elena Dal Maso
http://www.milanofinanza.it/news-preview/bini-smaghi-socgen-se-cade-mps-cade-l-europa-201607061139032204
Bini Smaghi
La crisi del sistema bancario italiano può allargarsi al resto dell’Europa. Vanno quindi ripensate le regole sugli aiuti di Stato agli istituti di credito. Lo ha appena detto il presidente di Société Générale , Lorenzo Bini Smaghi, in un’intervista alla tv di Bloomberg.
L’economista italiano di origini fiorentine è stato membro del board della Banca centrale europea negli anni scorsi (dal 2005 al 2011). “Abbiamo adottato regole sul denaro pubblico, che devono essere riviste e anche sospese in un momento in cui sta per scoppiare una crisi potenziale”.
Il comparto bancario italiano è zavorrato da 360 miliardi di crediti in sofferenza che stanno spingendo a ripetuti ribassi Piazza Affari dopo l’esito del referendum sulla Brexit. E il governo italiano è in trattative con Bruxelles perché l’Europa allenti la presa sull’applicazione rigida della normativa comunitaria in materia di aiuti degli Stati alle banche.
Bloomberg scrive che il problema si fa più pressante dal momento che gli stress test dell’Eba, attesi per fine mese, rischiano di mettere in evidenza una carenza di capitale (l’ennesima) nel Monte dei Paschi . Il mercato bancario europeo dovrà affrontare il rischio di una crisi sistemica, a meno che i governi non accettino l’idea che siano i cittadini a pagare il conto alla fine, e non gli azionisti e obbligazionisti delle singole banche, ha aggiunto Bini Smaghi.
L’economista ha aggiunto che troppe banche italiane e anche tedesche non producono utili e che è necessario avviare un risanamento più importante. L’Italia, secondo Bini Smaghi, deve fare di più sul versante dei non-performing loans e il premier Matteo Renzi dovrà avviare una politica impopolare che includa il taglio dei costi e di personale. Fra l'altro oggi i sindacati dei dipendenti di Mps  hanno messo le mani avanti dicendo che non intendono accettare un'altra riduzione degli addetti.
“Ciò di cui abbiamo bisogno”, ha agigunto Bini Smaghi, è una soluzione europea, mentre fino ad ora abbiamo avviato soluzioni nazionali. Abbiamo bisogno di uno scudo di protezione chiaro”. Sulla Brexit, Bini Smaghi ha detto che si attende negoziati “molto lunghi”. E ha avanzato preoccupazioni sull’intenzione del Regno Unito di abbattere le aliquote fiscali sul reddito delle imprese dal 20 al 15% per attirare capitali dall'estero, perché innescherebbe una competizione fiscale all’interno dell’Europa.
Secondo il presidente di Société Generale , dobbiamo essere cinici e vedere se l'Europa dimostra di saper comprendere, nelle prossime settimane, "come gestire tutta una serie di situazioni che non funzionano ora per evitare un effetto contagio" che distruggerebbe l'Unione. Le regole sul salvataggio delle banche sono state stabilite, ha sottolineanto poi l'economista italiano, ma in casi estremi c'è la possibilità, a discrezione, di sospenderle. E qui ha citato il sistema del bail-in.
Oggi anche Mediobanca  Securities ha scritto in una nota che la priorità ora è di evitare il bail-in. E che i negoziati politici dell’Italia con Bruxelles possono avere forti ripercussioni sulla stabilità finanziaria del sistema in tutt’Europa.

Le banche su Radio anch'io del 06/07/2016

A Tabellini, Imperatore, Giavazzi e compari, non gli è ancora arrivato che le banche non sono intermediari ma emittenti di denaro...

Qui il link: http://www.radio1.rai.it//dl/portaleRadio/media/ContentItem-1ed1867a-25ab-430a-be8b-bd18ef26e022.html

lunedì 4 luglio 2016