venerdì 14 giugno 2019

Galloni: “I minibot possono salvare l’euro”




Parla l’economista Nino Galloni: “I minibot possono salvare l’euro”

Interviste
Fonte: https://www.lospecialegiornale.it/2019/06/13/parla-leconomista-nino-galloni-i-minibot-possono-salvare-leuro/

La Camera dei Deputati ha approvato all’unanimità una mozione che dà via libera all’introduzione dei minibot, titoli di Stato di piccolo taglio da utilizzare per pagare i debiti della pubblica amministrazione. Dalla Banca Centrale europea è arrivato un brusco stop, con il presidente Mario Draghi che li ha bollati come “valuta illegale” e “nuovo debito”. Nel governo il Premier Conte e il Ministro dell’economia Tria hanno già stoppato l’idea, tanto cara invece alla Lega, ed in particolare al Presidente della Commissione Bilancio di Montecitorio Claudio Borghi che è uno degli ideatori. Lo Speciale ha chiesto un commento in merito all’economista Antonino Galloni, già direttore generale del Ministero del Lavoro, della Cooperazione, dell’Osservatorio sul Mercato del Lavoro, Politiche per l’Occupazione Giovanile e Cassa Integrazione straordinaria nelle grandi imprese. Ha ricoperto anche l’incarico di sindaco all’INPDAP, all’INPS, all’INAIL in rappresentanza del Ministero del lavoro e all’OCSE. È presidente del Centro Studi Monetari, un’associazione per lo studio dei mercati finanziari e delle forme di moneta emettibili senza creare debito pubblico. La persona quindi più accreditata a parlare di minibot e di incidenza sul debito pubblico.

Mario Draghi ha detto che i minibot o sono valuta illegale oppure sono debito aggiuntivo. Come risponde?

“Innanzitutto qui c’è un grosso problema rappresentato dalla liquidità. Draghi, come presidente della Bce, controlla la liquidità del sistema, ma non la sua distribuzione fra l’economia reale – che ne ha poca – e l’economia finanziaria che, invece, ne ha troppa. E’ normale che esprima disagio, in quanto le banche, vincolate dai parametri di Basilea, non erogano prestiti alle piccole imprese. Da ciò si deduce che a soffrire di più siano le economie, come quella italiana, che si fonda proprio sull’attività delle piccole imprese, quelle appunto che hanno maggior bisogno di liquidità. Ciò premesso è chiaro che i minibot non sono una moneta così come intesa dalle banche centrali e dal Trattato di Lisbona che parla esplicitamente di valuta a corso legale in tutta l’Unione europea. Qui non parliamo di banconote, bensì di statonote nella loro versione non a corso legale, una sorta di moneta fiduciaria e quindi non illegale”.

Dunque si tratta di altro debito?

“No. I minibot andrebbero di fatto a colmare il divario creato dalla carenza di liquidità fra il bilancio di competenza dello Stato, dove il debito è già formato e compensato, e la cassa che non ha erogato i soldi per saldare il debito stesso. In teoria lo Stato, dopo aver impegnato la cifra necessaria a pagare i debiti senza però averla erogata, per sistemare questa situazione può emettere qualcosa che abbia valore di titoli di debito, dal momento che non può stampare euro essendo, questa, prerogativa esclusiva della Bce. Una moneta fiduciaria, per giunta non a termine, non sarebbe dunque debito aggiuntivo, ma un qualcosa che poi circolerà nel sistema e al massimo tornerà allo Stato per il pagamento delle tasse”.

Il ministro Tria, sposando le convinzioni di Draghi, ha detto che il governo non discuterà di minibot, ma Lega ed M5S hanno ribadito che la loro introduzione è contemplata nel contratto di governo. Chi ha ragione secondo lei?

“Nel contratto di governo i minibot ci sono, senza ombra di dubbio. Non capisco sinceramente l’atteggiamento di Tria e ancora meno quello di Confindustria. Perché sostenere che con i minibot si aumenterebbe il debito, dal momento che si tratta di un’accusa infondata? Se il Papa domattina dicesse che Gesù in realtà è morto di freddo, penso gli si chiederebbe conto di tale dichiarazione. La stessa cosa andrebbe fatta con Tria, bisogna chiedere a lui perché sostiene questa posizione”.

C’è chi, anche fra gli economisti, sostiene che i minibot possano rappresentare l’anticamera per l’uscita unilaterale dell’Italia dall’euro. E’ d’accordo?

“Non la vedo affatto così. Io sono favorevole ai minibot anche se preferirei che avessero corso legale e non fossero moneta fiduciaria perché così avrei la certezza che tutti li accetterebbero. Faccio un esempio. Se ho un credito nei confronti della pubblica amministrazione pari a circa 200mila euro e mi vengono offerti minibot fiduciari di quel valore, farei molta fatica ad accettarli, perché avrei difficoltà a riutilizzarli. Se invece mi offrissero il corrispettivo in lire o in moneta parallela con cui poi io potrei andare ad acquistare un immobile, allora potrei prendere la cosa molto seriamente. Io rispetto molto di più chi mi critica per i minibot perché vorrebbe uscire immediatamente dall’euro e dall’Unione europea, rispetto a chi l’euro lo vuole difendere. E sa perché? Perché i minibot possono fungere benissimo da valvola di salvezza sia per l’euro che per la Ue. Del resto la Francia non sta nell’Unione e nell’eurozona pur potendo emettere il franco africano? E la Germania non sta nell’Unione e nell’eurozona pur potendo tenere fuori dal bilancio pubblico la spesa previdenziale e quella dei Lander? Noi potremmo quindi beneficiare benissimo di questa valvola di sfogo. E in una moneta parallela, si chiami minibot o valuta a corso legale nazionale, io intravedo la possibilità di rafforzare l’euro, non di indebolirlo”.

Perché?

“Perché se Draghi e la Bce non trovano il modo di risolvere il problema della distribuzione della liquidità, l’euro rischierà di saltare. E non perché esploderà la finanza, visto che troverà sempre il modo di alimentarsi, ma perché salterà l’economia reale, dal momento che le piccole e medie imprese non avranno più soldi, le famiglie non avranno più reddito e questo sarà il grande problema dell’Unione europea e dell’euro. Di questo dovrebbero seriamente preoccuparsi tanto alla Bce che alla Commissione europea”.
A parte i limiti dei loro congegni, come rendere davvero efficaci i minibot?
“Penso che sia giusta la proposta di stamparli in versione cartacea, visto il precedente della Grecia, dove l’ex ministro Varoufakis l’introdusse soltanto in forma telematica con il risultato che dai bancomat non uscivano né in forma di euro, né di nuove dracme. La quantità potrà essere agganciata ai debiti già impegnati dalla pubblica amministrazione, quindi parliamo di decine di miliardi. Il problema è capire chi potrà accettarli. In piccole quantità potremmo anche accettarli tutti, anche se poi vedo molto difficile che la cassiera del supermercato possa accettare il pagamento della spesa pari a 40 euro con quaranta di questi minibot. Personalmente avrei preferito una valuta parallela a corso legale ma solo in Italia, ossia non banconote valevoli in tutta l’Unione europea. Sono due cose molto diverse: banconote a corso legale in tutta l’Unione e statonote valide solo all’interno di un circuito nazionale”.

Come pensa finirà il braccio di ferro fra il governo italiano e la Commissione Ue sulla paventata procedura d’infrazione?

“Penso che la Commissione Ue commetta un grande errore nel volere una sottomissione dell’Italia, perché questo si ripercuoterà contro le posizioni moderate del premier Giuseppe Conte e del ministro Tria. La procedura d’infrazione per noi sarebbe dannosa, considerando che lo Sbloccacantieri e i minibot avranno effetti concreti sull’economia da qui ad un anno. La Commissione europea, per dimostrare un briciolo di buon senso dovrebbe congelare la procedura d’infrazione almeno fino all’aprile del 2020, in attesa dell’uscita dei dati consuntivi del 2019. A quel punto – se davvero l’Italia sarà cresciuta dell’1% – tanti complimenti a tutti; in caso contrario, qualora non ci fosse crescita ma aumento del debito, allora si riparlerà di procedura. Devo dire che i minibot un risultato positivo l’hanno già prodotto, avendo di fatto aperto un dibattito a tutti i livelli sulla moneta, e soprattutto avendo acceso i riflettori sul grave problema rappresentato dalla liquidità”.

sabato 8 giugno 2019

La precipitosa risoluzione del Banco Popular crea forti sospetti

La precipitosa risoluzione del Banco Popular proietta un'ombra lunga sulle banche europee

7 giugno 2019, di Garreth Gore, International Financing Review
Fonte: http://www.ifre.com/rushed-popular-resolution-casts-long-shadow-over-europes-banks/21390103.fullarticle


Alle 8:33 di lunedì 5 giugno 2017, un'e-mail è arrivata in una casella di posta al Banco de Espana. Una corsa bancaria era in corso al Banco Popular, una delle più grandi banche spagnole. A malapena tre minuti dall'inizio della settimana lavorativa, la situazione era già critica: la gente era velocemente a corto di soldi.

L'e-mail conteneva una richiesta formale: il Banco Popular si appellava alla banca centrale spagnola per 1,9 miliardi di euro in assistenza alla liquidità d'emergenza.

Per i funzionari del Banco de Espana, la richiesta non era inaspettata. Lavoravano da più di due mesi con una squadra di Popular per prepararsi a questo momento, da quando un controllo interno presso il mutuante aveva scoperto irregolarità finanziarie per un totale di centinaia di milioni di euro alla fine di marzo, irregolarità che includevano una rete di società lussemburghesi che progettava di nascondere l'estensione del problema dei mutui di Popular.

Alle 11:41 della mattina stessa, il denaro era nella Popular. L'iniezione è arrivata appena in tempo - secondo le persone coinvolte, la banca non sarebbe sopravvissuta per un'altra mezz'ora. Ma ogni sollievo era di breve durata. Mentre i depositi continuavano a vuotarsi, divenne presto chiaro che la banca avrebbe avuto bisogno di più aiuto. Alle 15:32, il Banco de Espana ha ricevuto un'altra email dalla banca, questa volta richiedendo un aumento dell'ELA a € 9,5 miliardi.


ENTRO I LIMITI

Sebbene alta, la quantità era entro i limiti precedentemente discussi. Il Banco Popular disponeva di 40 miliardi di euro di attività non gravate e il Banco de Espana aveva indicato in precedenza che 26 miliardi di euro di questi avrebbero soddisfatto i criteri segreti dell'ELA. Una volta applicati i tagli - tra il 35% per i beni migliori e il 90% per i peggiori - i funzionari hanno calcolato che la banca centrale potrebbe prestare denaro a poco più di 10 miliardi di euro, sebbene con un tasso di interesse penale superiore al 12%.

Ma, in primo luogo, era necessaria l'approvazione da parte della Banca Centrale Europea, che ha dovuto firmare una richiesta ELA superiore a 2 miliardi di euro. Nonostante fosse un giorno festivo in Germania, il consiglio direttivo della BCE discusse la questione per telefono. Il Banco Popular è stato confermato come solvibile e la richiesta è stata approvata. Ma quello che è successo dopo è stato uno shock: il Banco de Espana ha respinto la richiesta, citando documenti incompleti.

Il personale del Banco Popular ha lavorato tutta la notte per soddisfare le richieste dell'ultimo minuto della banca centrale, che stavano minacciando il suo accesso all'ELA vitale. La banca aveva ancora 21 miliardi di euro di garanzie collaterali accettabili - 5 miliardi di euro erano stati utilizzati per assicurare la prima tranche di ELA - e questi problemi con i documenti non erano stati prima segnalati. Il Banco de Espana alla fine ha dato il via libera a ulteriori € 1,9 miliardi il giorno successivo, ma era troppo poco, troppo tardi.

"Era imbarazzante", ha detto una persona coinvolta. "A marzo abbiamo iniziato le discussioni - a marzo! Stavamo facendo delle prove, andando avanti e indietro con la garanzia. L'avevano controllato. Ma la verità è che erano assolutamente determinati a non prenderli. Quando realizzarono che dovevano, non erano pronti. Abbiamo iniziato a colpire tutti questi piccoli singhiozzi e poi improvvisamente ci hanno detto che non potevano fare altro. "
Popular available collateral and ELA
Popular had €26bn of collateral, entitling it to €10bn of ELA
Source: Banco de Espana
 L'improvvisa negazione di ELA ha lasciato perplessi molti da allora.

"Fondamentalmente, la banca era ancora solvibile", ha detto Jerome Legras, capo della ricerca di Axiom, un gestore patrimoniale che si concentra sulle banche e possiede una piccola quantità di obbligazioni popolari. "Hanno soprattutto avuto un problema di cassa. Se era possibile prestare 80 miliardi di euro di ELA alle banche greche per tenerle a galla quando erano completamente insolventi, allora perché non potrebbero fare lo stesso con il Banco Popular? C'è un vero problema di coerenza. "

Alla fine della giornata di martedì, i capi del Banco Popular hanno concluso che la banca non poteva aprire il giorno successivo. Hanno notificato la BCE, che ha dichiarato il Banco Popular - una banca ritenuta solvibile un giorno prima - come "fallita o probabile che fallisse". Quella mattina il Banco Popular è diventata la prima banca, e ad oggi la sola, ad essere risolta usando le nuove regole europee introdotte dopo la crisi finanziaria del 2008 per rendere i fallimenti bancari più ordinati.

DEBOLEZZE STRUTTURALI

Il caos di ELA è solo uno di una serie di disavventure nel caso del Banco Popular che hanno sollevato dubbi sul fatto che il sistema per gestire le banche in fallimento sia adatto allo scopo. Attraverso decine di interviste e una raccolta di documenti riservati per un totale di migliaia di pagine, IFR ha messo insieme ciò che è accaduto durante gli ultimi giorni di Popular. È chiaro che, nonostante i problemi della banca siano stati segnalati con molti mesi di anticipo, quando alla fine la crisi ha colpito le autorità si sono trovati mal equipaggiate e mal preparate a fronteggiare adeguatamente la situazione.


 In effetti, lungi dall'essere una risoluzione ordinata, il caso Popular è diventato un pantano legale. Le istituzioni europee, inclusa la BCE e l'Autorità unica di risoluzione, istituita nel 2015 specificamente per pianificare e controllare la risoluzione delle banche in dissesto, sono ora imputate in oltre 100 casi legali. Un tema comune è che, nonostante molti avvertimenti e anni di preparazione, l'approccio delle autorità è stato frammentario e ad hoc.

La questione è molto più ampia del solo Banco Popular; ha implicazioni per la salute dell'intero sistema bancario europeo. Dalla risoluzione di Popular, c'è stato un aumento drammatico del costo del prestito anche per le banche più sane. Mentre una moltitudine di fattori è senza dubbio in gioco, molti credono che il modo in cui è stata affrontata la banca spagnola sia il maggior contributo. Gli investitori non si fidano più che le banche in fallimento verranno trattate in modo ordinato e legale.

"È assolutamente fondamentale che la legge sia rispettata", ha detto Richard East, un avvocato di Quinn Emanuel, che rappresenta un gruppo scontento di detentori di obbligazioni. "L'SRB non può inventare le regole man mano che procede. Il legislatore UE ha impiegato anni per progettare e stabilire queste regole sulla scia della crisi finanziaria. Gli investitori non possono investire con fiducia se vedono che il regolatore agisce al di fuori delle proprie regole ".
Gli ex azionisti e obbligazionisti della fallita banca spagnola stanno guidando la carica per avere le risposte - e un cambio. I due gruppi sono stati duramente colpiti: tutte le azioni sono state annullate, mentre 2 miliardi di obbligazioni sono state poi salvate in blocco e poi azzerate. La banca è stata poi venduta a Santander per un token di € 1. Gli investitori sostengono che il processo di risoluzione, supervisionato dall'SRB, era difettoso. Stanno chiedendo miliardi di euro in compensazione.


VALORE SBALLATO

Come il Banco de Espana, l'SRB ha perso opportunità vitali nella corsa al crollo di Popular che lo ha lasciato criticamente impreparato. È chiaro che, già ad aprile, l'organo di risoluzione era talmente preoccupato della situazione che, durante una visita di routine a visitare le banche spagnole a Madrid, ha ritenuto prudente spostare il suo incontro già prefissato con il Banco Popular, dagli uffici della banca stessa al Banco de Espana, in modo da non destare sospetti.

Durante l'incontro, è stata discussa la crescente situazione di liquidità di Popular - oltre 5 miliardi di depositi che lasceranno la banca quel mese. Ciò avrebbe dovuto essere motivo di preoccupazione, dato che quasi tutti i piani ordinari dell'SRB per una risoluzione di Popular erano incentrati su potenziali problemi di solvibilità, non su problemi di liquidità. Nonostante ciò, l'SRB non ha visto criticamente il bisogno di avviare un "dialogo speciale" con la banca in quella fase.

Forse uno dei motivi era perché l'SRB sapeva che era seriamente impreparato per far fronte a una crisi di liquidità. A causa di una lenta introduzione dei finanziamenti per l'agenzia di risoluzione, e nonostante siano stati istituiti più di due anni prima, l'SRB aveva solo 10 miliardi di euro di fondi per combattere una crisi, meno di un quarto della sua potenza di fuoco pianificata. Anche le regole interne hanno severamente limitato il modo in cui tali fondi potrebbero essere utilizzati.

"Questo è stato il primo caso nella nostra storia e tutti gli elementi non erano presenti", ha detto una persona coinvolta nel processo di risoluzione. "Abbiamo costruito la nostra strategia sullo strumento del bail-in. Ma a causa delle caratteristiche della crisi, sarebbe stato difficile da attuare. E non eravamo sicuri che tutti gli strumenti sarebbero stati disponibili da una prospettiva di liquidità. In quel momento, l'importo disponibile era limitato. "

La persona ha affermato che l'SRB ha realizzato rapidamente che solo una delle potenziali opzioni del suo strumento per la risoluzione era davvero disponibile: una vendita di Popular a una banca più sana che poteva iniettare liquidità. Anche allora, ha aspettato fino al 23 maggio per iniziare qualsiasi lavoro serio, quando commissionò a Deloitte di mettere insieme una valutazione dettagliata di Banco Popular, che avrebbe influenzato qualsiasi futura vendita della banca.

ALTA INCERTEZZA

Il 28 maggio l'SRB ordinò a Deloitte di "stabilire rigorosamente le priorità ... concentrandosi solo sulle attività e passività chiave in presenza di un'incertezza valutativa considerevole". Tre giorni dopo ha chiamato per dire che la ditta contabile aveva solo altri due giorni per completare il suo lavoro.

Come risultato della cronologia compressa, quando Deloitte ha completato il rapporto, ha avvertito che i suoi risultati erano "altamente incerti". Precedeva inoltre il suo lavoro con l'avvertimento che "non aveva accesso a certe informazioni critiche". Riflettendo su questa incertezza, la relazione di Deloitte ha stimato che il valore di Popular potrebbe valere almeno 1,8 miliardi di euro nel migliore dei casi, 8 miliardi negativi nel peggiore dei casi e 2 miliardi negativi in ​​uno scenario di "miglior stima".


Deloitte letter to Single Resolution Board
Deloitte letter to Single Resolution Board
Source: Single Resolution Board


Nonostante gli avvertimenti, il numero negativo di € 2 miliardi ha costituito la base per la vendita della banca e corrisponde esattamente alle perdite successivamente imposte agli obbligazionisti.

Il 3 giugno, mentre Popular e Banco de Espana stavano facendo i controlli finali sul processo ELA condannato, le autorità di risoluzione hanno contattato Santander e BBVA, trasportando le spalle su un processo di vendita fallito (che coinvolgeva cinque parti interessate). Dopo aver firmato gli accordi di non divulgazione il giorno successivo, i due hanno trascorso il lunedì e il martedì sui libri di Popular. Quando martedì è stato dichiarato il Banco Popular "fallito o probabile che fallisse", entrambi sono stati invitati a presentare offerte vincolanti.

Solo una offerta è arrivata: da Santander, per 1 €, ma solo a condizione che gli azionisti, i possessori di AT1 e di Tier 2 fossero salvati.

MANO SUPERIORE

Con insufficiente liquidità propria a sostegno del Banco Popular, e avendo già concluso che una liquidazione della banca in normali procedure di insolvenza comporterebbe rischi per la stabilità finanziaria, l'SRB non ha avuto altra scelta se non quella di accettare l'offerta. Secondo quanto riportato dalla stampa spagnola, gli avvocati di Santander hanno stipulato l'accordo di acquisto redatto dalle autorità di risoluzione e riscritto.

"L'asta è stata organizzata così rapidamente che è stato difficile per chiunque fare un'offerta seria e anche le valutazioni utilizzate per giustificare il prezzo di vendita erano difficili da comprendere", ha affermato Legras di Axiom. "Il raggio d'azione era enorme e la metodologia sembrava più simile a quella di fare un firesale sull'intero bilancio. Con questo tipo di approccio, qualsiasi banca, anche la più solida, sembrerà molto debole ".

Criticamente, gli investitori sostengono che la situazione ha chiaramente compromesso l'SRB e il suo obbligo di assicurare che gli azionisti e gli obbligazionisti siano stati trattati in modo equo. Santander aveva avuto accesso ai dati finanziari di Banco Popular come parte del processo di vendita privato per settimane, e le presentazioni interne mostravano che aveva pensato di pagare fino a € 1,6 miliardi per Popular solo poche settimane prima, ma non riuscì a fare un'offerta.

 Una persona coinvolta in quel processo di vendita fallito ha detto che, poiché all'improvviso il Banco Popular non stava più lavorando con i propri consulenti per organizzare un accordo, Santander aveva tutte le carte in regola.

"All'improvviso cambi la tua controparte da banchieri professionisti di M & A, con un'intera struttura di corporate governance e un consiglio e azionisti da convincere, a dipendenti pubblici di qualcosa chiamato l'autorità di risoluzione che non ha mai fatto nulla del genere", ha detto la persona.

"Questi impiegati statali, che a malapena hanno le capacità per capire come viene valutata una banca, sono chiamati negli ultimi giorni con una missione - una missione impossibile - di disporre di beni secondo regole che sono state pensate anni prima e completamente separate dalla realtà del modo in cui le cose funzionano e dalla velocità con cui accadono le cose. Santander deve aver pensato: 'abbiamo una grande mano negoziale qui' ".

PROTEZIONI DELL'INVESTITORE

I legislatori europei prevedevano almeno la possibilità di una risoluzione affrettata, e all'interno delle regole che governano l'SRB è richiesto di condurre una valutazione "indipendente" di una banca dopo l'evento per determinare se gli azionisti e gli obbligazionisti fossero cambiati o meno, e se potrebbero aver visto un risultato migliore in caso di insolvenza. Se è così, il risarcimento è dovuto.

Mentre l'SRB afferma che tale valutazione è stata fatta, gli investitori credono che non sia "indipendente". A Deloitte, la stessa azienda che ha effettuato la prima valutazione, è stato chiesto di farlo, cosa che gli investitori ritengono sia un chiaro conflitto di interessi. Il secondo rapporto Deloitte concludeva che le perdite per azionisti e obbligazionisti sarebbero state molto maggiori in un normale processo di insolvenza.

"Questa è la valvola di sicurezza dell'intero regime", ha detto East, l'avvocato di Quinn Emanuel. "L'SRB sta semplicemente inventando le cose mentre procede; non sembra davvero sapere cosa sta facendo. "

"A meno che non ci sia una revisione seria e approfondita del caso Banco Popular da parte del Tribunale dell'Unione europea, non si impareranno lezioni", ha detto. "Questa è la nostra unica speranza perché l'SRB ha fermamente negato agli azionisti e agli obbligazionisti l'accesso a documenti e dati per gli ultimi due anni ... e non ammetterà che qualcosa è stato sbagliato".

Il rischio di risoluzioni fallite rimarranno finché il regime attuale rimarrà in vigore, altri credono.

"Il procedimento offre tanto margine di manovra e flessibilità alle autorità che praticamente possono fare tutto ciò che vogliono", ha affermato Legras. "E il risultato è che si può finire con qualcosa che è abbastanza ragionevole e ben gestito - o l'esatto opposto. Esistono pochissime garanzie per gli investitori e le parti interessate. È una mangiatoia gratis per le autorità. "
 


Note:
ELA = Assistenza liquida d'emergenza
SRB = Consiglio singolare di risoluzione 

mercoledì 5 giugno 2019

Signoraggio bancario: rivelazioni di una spia francese

martedì 4 giugno 2019

LE BANCHE NELLO STATO FASCISTA


LE BANCHE NELLO STATO FASCISTA

(tratto dal testo dell’economista politico ebreo Paul Einzig, “The economic foundations of Fascism”, del 1934)

Uno degli aspetti più interessanti dell'esperimento fascista italiano è la sua influenza sul sistema bancario. Esternamente, non c'è stato alcun cambiamento spettacolare. Le banche hanno mantenuto la loro individualità e indipendenza. A tale riguardo, il cambiamento causato dalla crisi è stato molto più pronunciato in alcuni altri paesi, come ad esempio la Germania, dove il governo ha acquisito un'influenza dominante su alcune delle principali banche commerciali.

In Italia il governo ha accuratamente evitato di approfittare della crisi per mettere sotto il suo controllo le banche che hanno richiesto la sua assistenza. L'assistenza è stata fornita liberamente come in qualsiasi altro paese, ma le banche sono rimaste sotto il controllo dei loro azionisti.
L'iniziativa economica dello Stato corporativo viene lasciata in mani private; è integrata dall'intervento statale solo se e quando l'iniziativa privata è considerata inadeguata per servire gli interessi pubblici.

In Italia le principali banche hanno fornito assistenza preziosa allo sviluppo delle industrie, e i leader del nuovo regime politico non hanno visto alcuna ragione, quindi, per cui dovrebbero interferire con questa attività.

Allo stesso tempo, si è constatato che l'iniziativa privata nel settore bancario era inadeguata a soddisfare i mutati requisiti. Per questo motivo, il governo ha ritenuto necessario istituire un certo numero di istituzioni finanziarie il cui compito era quello di integrare le attività delle banche esistenti. Questa non fu affatto una nuova partenza, perché in Italia il governo è stato strettamente associato al settore bancario per alcuni secoli.

Le banche di vecchia data come il Banco di Napoli, il Banco di Sicilia e il Banco di San Giorgio avevano strette relazioni con il governo. Il numero di istituzioni statali e semi-statali e la loro relativa importanza nel sistema bancario del paese, tuttavia, è aumentato notevolmente sotto il regime fascista. Alcune delle istituzioni finanziarie appena create servivano a scopi speciali.
Così, l'Istituto di Credito per il Lavoro Italiano all 'Estero è stato creato per finanziare l'espansione italiana nelle Colonie e all'estero.

Il Consorzio di Credito per le Opere Pubbliche è stato istituito per finanziare le società di servizi pubblici e l'Istituto di Credito per le Imprese Utili per scopi analoghi. Un'altra banca semi-ufficiale specializzata è l'Istituto per il Credito Navale.

Un secondo gruppo di istituzioni finanziarie ufficiali comprende quelle create per facilitare il lavoro delle banche esistenti e dei loro clienti industriali e commerciali. C'è l'Istituto Mobiliare Italiano e l'Istituto per la Ricostruzione Industriale recentemente creato.
Il loro compito è stato quello di sollevare banche e altre imprese dalle loro partecipazioni in titoli e beni congelati che altrimenti avrebbero interferito con la loro liquidità.

Un terzo gruppo di banche controllate dal governo comprende i vari tipi di casse di risparmio sotto il controllo diretto o indiretto del governo. La più importante tra queste è la Cassa di risparmio postale, che è diventata un forte rivale delle banche commerciali come collettore di depositi.
È evidente che, grazie al suo controllo su questi tre tipi di istituzioni finanziarie, la posizione del governo nel sistema bancario del paese è molto forte, anche se non ha acquisito il controllo di nessuna delle banche commerciali. Questo tipo di intervento non è, tuttavia, peculiare del sistema economico fascista. Incontriamo accordi simili in altri paesi; in effetti, non c'è quasi nessun paese in cui l'influenza del governo nel sistema bancario non sia aumentata a causa della crisi. Forse in Italia la quantità di interventi governativi nel settore bancario come risultato della creazione di nuovi tipi di istituzioni finanziarie è maggiore che nella maggior parte degli altri paesi, ma questo di per sé non può essere considerato come un'influenza caratteristica del sistema fascista sull'attività bancaria.

Oltre a integrare l'iniziativa individuale quando è considerata inadeguata per soddisfare le esigenze di interesse pubblico, il regime fascista mira a guidarlo, sia positivamente che negativamente. Il suo scopo è di impedire che l'iniziativa privata operi contro l'interesse pubblico e di stimolare le sue attività in conformità con l'interesse pubblico. Il governo italiano esercita una forte influenza sull'attività bancaria attraverso l'intermediazione delle Corporazioni, che ha una forte influenza sulla politica, sulle attività e sull'atteggiamento di tutte le banche. È molto più di un'associazione professionale che prescrive regole di etichetta e passa risoluzioni la cui adozione è facoltativa per i suoi membri. La decisione della Corporazione delle banche e delle società d’assicurazione è in pratica un atto legislativo obbligatorio per ogni banca.

Per dare solo un esempio della misura in cui la Corporazione è stata utilizzata per la regolamentazione dell'attività bancaria in Italia, sebbene non vi siano restrizioni di cambio legale, le banche osservano alcune regole in modo più rigoroso rispetto a qualsiasi paese in cui tali regole sono state applicate con la legge. In conformità con la decisione della Corporazione, le divise estere possono essere vendute solo per esigenze commerciali reali o per il pagamento dell'indebitamento esterno. Questa misura ha efficacemente controllato il deflusso di capitali italiani, senza che il Governo debba ricorrere a restrizioni legali. Ancora una volta, alle banche italiane è stato proibito dalla loro Corporazione di concedere crediti in lire agli stranieri.
Di conseguenza, la speculazione sulla Lira è stata resa praticamente impossibile, senza alcuna legge specifica a tal fine.

In teoria, le restrizioni sono atti volontari da parte dei banchieri; dopotutto, la Corporazione che passa le risoluzioni è costituita dai propri rappresentanti. In pratica, tuttavia, la Corporazione non ha altra alternativa che soddisfare i desideri delle autorità.

Sarebbe, tuttavia, un errore considerare le decisioni della Corporazione come una mera forma particolare di legislazione imposta alle banche. In una certa misura sono di fatto volontari, perché le stesse banche capiscono l'interesse pubblico coinvolto. Se tutte le banche fossero animate da uno spirito pubblico non ci sarebbe bisogno di costrizione. Ma finché alcune banche saranno disposte a eluderle, queste restrizioni autoimposte porteranno un premio alla slealtà e una penalità sulla lealtà. Per questo motivo, i tentativi di regolare le restrizioni di cambio con l'azione volontaria delle banche sono falliti nella maggior parte dei paesi. In Gran Bretagna, ad esempio, durante i primi giorni dopo la sospensione del gold standard il 20 settembre 1931, la restrizione sul trasferimento di fondi britannici all'estero era basata sulla decisione volontaria delle banche. Dopo alcuni giorni, tuttavia, è stato ritenuto auspicabile approvare misure legislative.

Il motivo per cui la decisione "volontaria" è stata sufficiente in Italia è che le banche fedeli hanno la certezza che, anche in assenza di sanzioni legali, la slealtà sarà prevenuta e punita.
Ad esempio, l'esportazione di banconote italiane in grandi quantità è contraria ai regolamenti stabiliti dalla Corporazione delle banche. Nel 1932 un socio di una piccola società di private banking fu catturato alla frontiera mentre cercava di portare con sé molti milioni di lire in banconote.

Poiché non vi era alcuna legge contro l'atto, l'importo non è stato confiscato dalle autorità, ma la sua esportazione è stata impedita. Il banchiere non fu processato per il reato - che tecnicamente non era un atto incriminabile - ma, per "crimine contro il regime fascista", fu confinato in una certa città (non dov’era la sede della sua banca) e fu multato pesantemente. Tali casi sono tuttavia estremamente rari, non solo a causa della gravità con cui sono trattati anche in assenza di legislazione, ma anche perché il fatto che le banche non siano svantaggiate dalla loro lealtà incoraggia lo sviluppo di un spirito sinceramente fedele. Non è solo la paura della punizione che impedisce alla grande maggioranza dei banchieri di ignorare la decisione della loro Corporazione, ma anche la consapevolezza che i loro rivali obbediranno alle stesse regole.

L'influenza delle autorità sulle banche in Italia non si limita all'applicazione dei regolamenti tecnici; si estende alla sfera della politica bancaria fondamentale. Sebbene le banche non siano nazionalizzate, in pratica il governo ha un potere su di loro che difficilmente potrebbe essere maggiore se lo fossero. Ciò non significa che il loro atteggiamento verso i singoli clienti e le singole transazioni sia soggetto a interferenze governative.

A tale riguardo, la libertà delle banche italiane è pari a quella delle banche in qualsiasi paese.
È considerevolmente più grande che nel caso delle banche controllate dal governo in Germania. Si ricorderà che Herr Hugenberg, ministro dell'Economia del governo di Herr Hitler, dopo aver esposto per qualche tempo un'opposizione militante al governo del dott. Bruning, divenne nel 1932 piuttosto passivo.

La storia dice che il gruppo di imprese industriali che controlla dovette grandi somme alla Darmstaedter und Nationalbank; quella banca passò sotto il controllo del governo, e l'allora governo fu in grado di "silenziare" Herr Hugenberg dalla minaccia di chiedere il rimborso dei suoi crediti bancari. Tali casi non sono noti in Italia. Le banche sono lasciate a decidere autonomamente se concedere o rifiutare crediti ai loro clienti.

L'intervento del governo nell'Italia fascista ha un obiettivo diverso. Il suo obiettivo è garantire il migliore utilizzo delle risorse bancarie disponibili. A tal fine, le autorità sfruttano la loro influenza in uno spirito veramente dittatoriale e le banche sono talvolta costrette a perseguire una politica che può essere interamente contraria ai principi in cui sono stati educati.

Uno degli esempi più caratteristici di intervento del governo a cui le banche presentavano solo con riluttanza era il rafforzamento del prezzo delle azioni bancarie, industriali e commerciali della Borsa. Quando nelle prime fasi della crisi il declino delle quotazioni azionarie ha iniziato a destare disagio nell'opinione pubblica, il signor Mussolini ha ordinato alle banche di sostenere il mercato delle proprie azioni e delle quote delle società di cui erano interessate. Poiché la tendenza avversa del mercato azionario si è rivelata di natura più duratura di quanto previsto, il risultato di questa azione è stato che, attraverso l'intermediazione delle loro affiliate, le principali banche sono diventate i loro principali azionisti, così come il principali azionisti in un gran numero di imprese industriali e commerciali.

Inutile dire che i banchieri stessi hanno visto questo sviluppo con crescente preoccupazione e non hanno perso l'occasione di segnalare alle autorità gli svantaggi e i pericoli di immobilizzare le loro risorse in questo modo. Ma il signor Mussolini rimase irremovibile, e le banche non ebbero altra scelta che continuare i loro acquisti. Il loro unico conforto era la certezza che, qualora fosse necessario, avrebbero potuto contare su un supporto ufficiale tempestivo ed efficace.

Finché tutto è andato liscio, non è stato necessario adottare misure eccezionali. Gli importi spesi per acquisti di azioni sono tornati alle banche, direttamente o indirettamente nelle forme di depositi, e il processo si è praticamente finanziato. Le banche erano tuttavia sotto la minaccia permanente di un eventuale ritiro all'ingrosso dei depositi.

Sebbene alcune delle banche di piccole e medie dimensioni abbiano dovuto essere assistite durante le prime fasi della crisi, non è stato fino all'inizio del 1931 che un'emergenza di natura più grave minacciava di insorgere. A seguito di un articolo piuttosto malizioso scritto dal signor Mario Alberti, allora uno dei principali direttori del Credito Italiano, che attaccava i suoi colleghi direttori, di cui l'articolo era stato successivamente diffuso in Italia e all'estero in forma di opuscolo, c'erano segni di una corsa su diversi rami di quella banca. Tuttavia, fu subito pronta un'azione per contrastare il male.

Sebbene prima di quell'incidente il signor Alberti fosse stato persona grata a Roma, non sfuggì alla sua ben meritata punizione; fu segretamente licenziato e privato di tutti i suoi incarichi di amministratore, e il cattivo effetto del suo articolo fu placato dall'annuncio pubblico dell'approvazione da parte di Mussolini dei direttori attaccati conferendo loro alte decorazioni. Allo stesso tempo, sono stati presi accordi per liberare il Credito Italiano dalle sue eccedenze di titoli che sono stati trasferiti a società holding finanziate in gran parte con risorse ufficiali.

Quando durante la seconda metà del 1931 la crisi finanziaria si aggravò, fu ritenuto opportuno compiere un ulteriore e ancor più importante passo verso il collocamento della situazione bancaria italiana su fondamenta più solide. Era un segreto di Pulcinella che le partecipazioni in titoli della più grande banca, la Banca Commerciale Italiana, ammontavano a miliardi di lire. Sebbene i depositanti si fidassero della banca implicitamente, a Roma fu debitamente realizzato che non era consigliabile mettere la loro fiducia in una prova troppo severa, lasciando che questa situazione continuasse nel mezzo di una grave crisi internazionale. Pertanto, prima che potesse sorgere un'effettiva necessità di sostegno, furono presi provvedimenti per sollevare la banca dalle sue enormi partecipazioni. A tal fine, l'Istituto Mobiliare Italiano - a cui si è fatto riferimento in precedenza - è stato creato e ha ricevuto risorse adeguate per effettuare la gigantesca transazione. Sebbene in una certa misura l'operazione abbia comportato un aumento delle risorse liquide della banca, ha in gran parte portato alla sostituzione delle azioni con titoli di Stato. In seguito allo sgombero delle banche, la società controllata dal governo è diventata l'azionista delle principali imprese industriali del paese. Questo stato di cose non dovrebbe, tuttavia, essere interpretato come una forma mascherata di nazionalizzazione. Il governo non intende mantenere un controllo finanziario, per quanto indiretto, rispetto alle imprese private. Intende mantenere le azioni fino a quando una ripresa della domanda pubblica non consente alla holding di collocarle sul mercato.

Da questo esperimento si è appreso che non era consigliabile utilizzare le risorse delle banche commerciali allo scopo di detenere azioni industriali.

Con l'istituzione delle nuove istituzioni finanziarie semi-ufficiali, il governo fascista è ora in grado di perseguire la sua politica senza dover coinvolgere le banche. Le nuove istituzioni emettono obbligazioni garantite dal governo, in modo che l'intero processo si traduca in realtà ad alleviare gli investitori delle loro partecipazioni azionarie in un momento in cui non sono disposti a detenerle e a sostituire le partecipazioni - direttamente o tramite intermediari di banche - da titoli di Stato che in un momento di crisi hanno più fiducia.

Le risorse delle banche, così liberate dalla loro forzata immobilizzazione, non furono tuttavia lasciate inutilizzate. In assenza di un'adeguata richiesta commerciale di credito, le banche furono costrette ad impiegare i loro fondi eccedenti per il finanziamento delle vaste opere pubbliche intraprese dal governo fascista.

Nel capitolo V abbiamo descritto l'ambizioso programma del governo fascista, che comprende la bonifica delle paludi, l'elettrificazione, la fertilizzazione della terra, ecc. Sono stati effettuati su una scala molto più ampia che in qualsiasi altro paese che si adopera per fornire assistenza ai disoccupati. La parte predominante di queste opere pubbliche, come la bonifica del terreno, ad esempio, è produttiva e auto-liquidante. Sono stati in gran parte finanziati dalla emissione di titoli governativi o garantiti dal governo, riscattabili per lo più tra dodici e venticinque anni. Poiché la domanda pubblica di questi titoli non era sufficiente, le risorse delle casse di risparmio e in parte delle banche commerciali sono state impiegate per realizzarle.

L'idea di compromettere le risorse delle banche e delle casse di risparmio in titoli di Stato a lungo termine potrebbe sembrare scioccante a prima vista. Va tenuto presente, tuttavia, che l'Italia non è affatto l'unico paese in cui le banche sono persuase dal governo a cedere in tal modo dai principi ortodossi. In quasi tutti i paesi le banche hanno dovuto prendere parte ai loro rivali più deboli e hanno inoltre dovuto finanziare i loro governi. Sebbene sia la Gran Bretagna che gli Stati Uniti siano paesi parlamentari e democratici in cui la libertà delle persone e delle banche di impiegare i loro fondi non subiscano interferenze con la dittatura, in entrambi i paesi le banche sono state persuase dal governo ad accrescere le loro disponibilità di titoli di Stato; in Inghilterra questo era per facilitare le operazioni di conversione, mentre negli Stati Uniti si doveva risolvere un deficit di bilancio. Per la seconda ragione, le banche francesi hanno dovuto investire le loro riserve inutilizzate in titoli di stato. È anche un fatto ufficiale che la Caisse de Depots et de Consignations, che gestisce i fondi delle casse di risparmio francesi, investa di gran lunga la maggior parte delle risorse in titoli di Stato. Date le circostanze, colui che è riuscito a mantenere intatti i principi classici della solida liquidità bancaria dovrebbe lanciare la prima pietra all’Italia.

Inoltre, poiché la crisi ha gettato nel crogiolo tanti principi e dottrine consacrate, è forse lecito sollevare la questione se, dopo tutto, le nostre regole pre-crisi sulla liquidità non fossero basate su nozioni fittizie. Se ci fosse una corsa agli sportelli, che fosse in Italia o in Inghilterra o negli Stati Uniti, potrebbe essere facilmente aiutata. Se mai dovesse esserci una corsa generale su tutte le banche, in qualsiasi paese, anche il più alto grado di liquidità non le salverebbe; potevano essere salvate dalle autorità solo con la dichiarazione di una moratoria o con l'inflazione. In questo senso non c'è differenza tra la situazione bancaria in Italia e in altri paesi.

Tutti sono ben consapevoli che le principali banche, le cui risorse sono state "requisite" per il finanziamento di opere pubbliche, riceverebbero tutto il supporto che si desidera in caso di emergenza. Stando così le cose, non c'è ansia nelle menti dei depositanti, e non c'è motivo per cui l'emergenza dovrebbe sorgere.

Infatti, a causa dell'esistenza della dittatura, le banche italiane sono meglio salvaguardate contro il panico delle banche dei paesi democratici, con la loro libera stampa, i comitati d'inchiesta del Senato e il diritto generale di chiunque di fare del male nei limiti della legge. In Italia qualsiasi politico o giornalista rumorista sarebbe stato sommariamente trattato. Il caso del signor Alberti mostra che anche chi occupa posizioni elevate deve pagare la pena di agire contro l'interesse pubblico, anche se non c'è una lettera nella legge contro di esso. Nei paesi democratici, le banche possono essere il banco di comando delle politiche di partito e gli attacchi demagogici alle banche durante le campagne elettorali possono facilmente suscitare un'ondata di sfiducia tra il pubblico. Tali cose non possono accadere nell’Italia fascista. Chi avesse tentato di minare la fiducia nelle banche, sia dalla tribuna che attraverso "campagne sussurrate", si sarebbe presto ritrovato sull'isola di Lipari o in un posto anche peggiore.

Dal momento che le risorse delle banche sono utilizzate allo scopo di finanziare opere pubbliche, i depositi presso le principali banche sono diventati, di fatto se non in legge, garantiti dal governo. Si può dire che questo stato di cose differisce poco dalla completa nazionalizzazione delle banche. In realtà, c'è una sostanziale differenza a favore del sistema fascista. Si deve presumere che, una volta che le banche fossero nazionalizzate in un paese, l'intero sistema sarebbe centralizzato e tutte le attività di sovrapposizione eliminate. Ciò potrebbe essere utile dal punto di vista della riduzione delle spese generali, anche se dopo un certo punto gli svantaggi causati dalle dimensioni dell'organizzazione supererebbero di gran lunga tali economie. Inoltre, il monopolio governativo del credito sarebbe altamente dannoso per l'iniziativa individuale nella vita economica. Nella maggior parte dei casi, l'opinione di un particolare funzionario di banca renderebbe impossibile per chiunque ottenere credito per finanziare il suo piano. Così com'è, nei paesi in cui il settore bancario è in mani private, il richiedente può provare un certo numero di banche rivali, e se tutti rifiutano il suo schema le possibilità sono che qualcosa deve essere sbagliato con esso. Se è un buon piano, è probabile che l'una o l'altra delle banche rivali lo apprezzino. Ciò vale anche nell'Italia fascista. Il sistema economico fascista non elimina la sana concorrenza tra le banche, che è tutta per il bene dello sviluppo economico.

Infine, il sistema italiano può essere criticato sulla base del fatto che, poiché il governo è praticamente responsabile per le passività delle banche, quest'ultimo può essere incoraggiato a intraprendere iniziative speculative, poiché se queste iniziative riusciranno sarà il profitto delle banche, mentre se esse falliscono le banche possono sempre rivalersi sul governo. Questa argomentazione può avere qualche forza convincente in altri paesi in cui il governo assiste ampiamente le banche, ma non si applica in Italia.

Sotto il regime fascista gli errori commessi da leader di banche e capitani d'industria sono considerati imperdonabili. Nella maggior parte dei paesi i capi di banche e società possono perdere impunemente il denaro altrui finché rispettano la legge. Avendo rovinato le loro banche, potrebbero ritirarsi nella vita privata come milionari. Non così in Italia. Il signor Mussolini raramente perdona i fallimenti, anche se si verificano senza la colpa degli amministratori interessati.

In un caso, racconta la storia, i capi di una nota banca, che hanno subito pesanti perdite e hanno immobilizzato le sue risorse, sono stati convocati a Palazzo Venezia. Venendo ammessi al signor Mussolini, disse loro: "Signori, accetto le vostre dimissioni". Questo era tutto. In molti casi il Duce non ritiene nemmeno necessario comunicare la sua decisione agli amministratori interessati; ne vengono a conoscenza il giorno successivo dai giornali, dove verrà riferito che le loro dimissioni sono state offerte e accettate.

Se la negligenza grave o la malafede hanno contribuito a provocare il fallimento, i responsabili sono trattati in modo molto più grave, anche se sono innocenti agli occhi della legge. "Il crimine contro il regime fascista" è una nozione vaga ed elastica. Ha qualche somiglianza con il "Sabotaggio del piano dei cinque anni" nella Russia sovietica.

La differenza è che in Italia la pena non è la pena capitale, ma nel peggiore dei casi confinata sull'isola di Lipari. Anche così, la responsabilità dei direttori non è certamente una frase priva di significato in Italia. Le possibilità sono, quindi, che, nonostante la loro conoscenza che, se necessario, possano contare su un supporto ufficiale illimitato, i banchieri italiani saranno almeno altrettanto attenti quanto i loro colleghi in paesi stranieri dove sono gli azionisti e i depositanti che devono pagare penalità per i loro errori.

Il progresso della penetrazione dello spirito imprenditoriale nel settore bancario - come in ogni altra sfera di attività economica - consente al governo italiano di allentare gradualmente la sua salda presa. Mentre alcuni anni fa le banche ricevevano semplicemente l'ordine di finanziare questa o quella particolare impresa, oggi le autorità sono aperte alle discussioni e in molti casi si lasciano convincere dalle banche che queste ultime hanno ragione nel sostenere che non possono intraprendere la transazione in questione senza svantaggi per se stessi e per gli interessi pubblici.

Il fatto stesso che le banche siano più orientate verso il pubblico di quanto non lo fossero prima, è in grado di dare alle loro argomentazioni ulteriore forza agli occhi delle autorità fasciste. Come in altre sfere dell'attività economica, non è più il caso di comandare e obbedire, ma di iniziare una comprensione in accordo con gli interessi generali.

L'esperienza bancaria sotto il regime fascista in Italia dimostra che è possibile rompere la rigida ortodossia delle banche e influenzare la loro attività senza dover ricorrere all'estrema soluzione di nazionalizzarle. In questo caso, come nel caso della politica monetaria, la pianificazione scientifica non dovrebbe essere un atto isolato, ma dovrebbe far parte di uno schema generale di intervento per regolare la produzione e la distribuzione.

Suggerire che le banche in un paese con un sistema economico basato sul laissez-faire debbano essere sottoposte a un controllo più rigoroso e costrette a intraprendere nuovi estesi finanziamenti è assurdo fintanto che la produzione e la distribuzione sono autorizzate a proseguire nel loro attuale modo a casaccio. Se e quando la pianificazione scientifica viene introdotta nella sfera della produzione e della distribuzione, allora, e solo allora, è giustificabile aspettarsi che le banche facciano la loro parte nel nuovo sistema. Ma per individuarli tra tutti i rami dell'attività economica e costringerli a finanziare un'espansione della produzione senza sapere se l'espansione in quella particolare direzione è giustificata è scientificamente incoerente ed è una politica irresponsabile.