martedì 7 aprile 2020

Sovranità o barbarie

Sovranità o barbarie


di Thomas Fazi e William Mitchell, tratto da "Sovranità o barbarie", cap. 11




   È giunto il momento di tirare le fila di quanto detto finora. Nel corso del
libro abbiamo visto come il processo di integrazione economica e valutaria
europea, fin dai suoi albori, abbia avuto una duplice finalità: il rafforzamento
delle élite economiche a scapito della maggioranza dei cittadini (e in
particolare dei lavoratori) e il superamento surrettizio – cioè all’oscuro della
popolazione – del modello democratico-costituzionale impostosi pressoché
ovunque in Europa nel dopoguerra, fondato sulla centralità del lavoro e
sull’estensione di diritti sociali ed economici a chi precedentemente ne era
stato escluso, nonché sul diritto dei cittadini a determinare, per mezzo dei
meccanismi offerti dalla democrazia rappresentativa, gli indirizzi di politica
economica dei loro rispettivi paesi. Tale obiettivo può oggi considerarsi
pienamente raggiunto: l’unione monetaria ha ormai assunto la fisionomia di un
sistema compiutamente postdemocratico e persino controdemocratico,
adoperato dalle oligarchie europee e nazionali per imporre politiche antisociali
e completare l’oligarchizzazione delle economie e delle società europee iniziata
almeno quarant’anni or sono. A tal fine non vengono escluse neanche
ingerenze dirette nei processi democratici degli Stati membri (come nel caso
della Grecia e dell’Italia): come ha scritto Luciano Gallino, il processo
democratico, già pesantemente compromesso dall’integrazione europea e in
particolare dall’unificazione monetaria, è ormai “stato svuotato di senso in
tutta l’Europa” 515 . Il risultato è stato un drammatico peggioramento delle
condizioni materiali dei lavoratori e delle classi popolari e medie in tutto il
continente (in particolar modo nei paesi della periferia, i più penalizzati
dall’integrazione europea). L’esempio dell’Italia è paradigmatico di tutto ciò.
Abbiamo altresì visto quanto siano velleitarie e irrealistiche le proposte di
riforma in senso progressivo e soprattutto di democratizzazione dell’Unione
europea. Al di là delle evidenti criticità di tali proposte – la difficoltà di pensare
a un elettorato postnazionale in presenza di rilevanti differenze linguistiche e
culturali, il tendenziale rafforzarsi sul piano sovranazionale della “presa
oligarchica” e dell’influenza delle lobby, la necessità di mutamenti radicali nelle
egemonie interne ai singoli Stati e ai rapporti di forza tra di essi per unaridefinizione complessiva delle istituzioni europee, ecc. –, esse tendono a
ignorare un punto cruciale: non si può democratizzare uno spazio che nasce e
si sviluppa proprio all’insegna della desovranizzazione, della de-democratizzazione e della depoliticizzazione. Il livello europeo è
strutturalmente postdemocratico e per questo irriformabile.