martedì 25 agosto 2020

Del capitale fittizio e del furore rivoluzionario



Tratto da: Un modello dinamico di crisi - Indagine sul futuro prossimo del capitalismo, n+1 Magazine, 2008
https://www.academia.edu/7265219/Un_modello_dinamico_di_crisi_Indagine_sul_futuro_prossimo_del_capitalismo?email_work_card=abstract-read-more

 ...Unificando i parametri del "nostro" modello con quello standard del MIT e con quello della GFN, senza dimenticare il picco del petrolio, la proiezione che se ne ricava è inesorabile: al 2030 il sistema salta. Pur avendo spiegato come leggere le proiezioni di un modello dinamico, siamo sicuri che fra vent'anni qualche cretino verrà a chiederci conto delle nostre "profezie"

 Il consumo del pianeta e la genesi del capitale fittizio

   Occorre dimostrare perché hanno torto coloro che vorrebbero un mondo capitalistico riformato, coloro che non capiscono perché questo sistema non possa superare le proprie distruttive contraddizioni. Che non capiscono quindi l'ineluttabilità del "consumo" capitalistico del pianeta, per cui il loro grido di dolore non è altro che vano piagnisteo.

  Secondo la teoria della rendita il prelievo puro e semplice dalla terra e il prelievo che il proprietario del campo (o della miniera o del pozzo petrolifero) effettua sul profitto del settore produttivo, hanno delle analogie. Nel nostro testo "Vulcano della produzione o palude del mercato?"  l'analogia è estesa a qualunque settore, produttivo o meno, in grado di sfruttare una rendita di posizione (ad esempio un monopolio) che permetta un prelievo extra rispetto al profitto medio. Marx utilizza lo stesso criterio per distinguere il capitale reale (produttivo o di credito) da quello fittizio. Incominciamo dal prelievo puro e semplice dalla terra. Un raccoglitore di funghi che venda al mercato il suo raccolto ricava del denaro, partecipando alla generale produzione e ripartizione del valore. Se tutto il ricavato servisse solo a riprodurre il raccoglitore stesso, è come se egli si nutrisse direttamente di funghi, si confezionasse i vestiti con tessuto d'erba e si facesse le calzature con giunchi intrecciati. Ma se il ricavato eccedesse i suoi bisogni immediati e da ciò ne risultasse un gruzzolo in banca, allora bisognerebbe chiedersi da dove sbuchi quel denaro extra e che cosa rappresenti. L'origine, lo sappiamo, è nel valore altrui (profitto o salario di chi compra i funghi), ma ciò nell'intera società non si vede, mentre si vede benissimo il gruzzolo che aumenta. Se il gruzzolo che si forma in un anno è pari a 50 euro e il tasso d'interesse medio è del 5%, è come se il nostro raccoglitore avesse un capitale di 1.000 euro. Lo stesso discorso vale ad esempio per un pescatore, un cacciatore o un cercatore d'oro.

   Un privato che compri e venda azioni al computer senza alcun rapporto con le aziende che emettono capitale azionario e che guadagni 50 euro all'anno oltre al capitale iniziale è come se avesse, anche lui, un capitale aggiuntivo di 1.000 euro (senza il bisogno di calcolare il netto per il suo sostentamento, dato che ciò che guadagna in più è tutto valore altrui). Un monopolista che ricavi un sovrapprofitto non dalla speciale qualità dei suoi prodotti ma dalla condizione di monopolio, gode degli stessi vantaggi di un concorrente che abbia investito una maggior quantità di capitale per migliorare la produttività o la qualità dei suoi prodotti. È come se avesse investito anche lui. Questi capitali, che provengono dai meandri sociali della produzione e del mercato, agiscono come se esistessero solo per i singoli accaparratori finali. Essi sono chiamati da Marx capitali fittizi. All'inizio sono capitali reali e, se vengono depositati in banca e inseriti quindi nel circuito del credito, essi continuano ad essere reali. Ma, già distaccati dalla loro origine e diventati proprietà dei rentiers, una volta entrati nel giro creditizio finanziario si staccano del tutto dal capitale reale… e si moltiplicano. Un titolo cartaceo emesso su un valore reale può essere venduto più volte, comportandosi come moneta, così come all'origine succedeva solo alla classica cambiale scontata. Tra il 1971 e il 1974 due masse enormi di capitale circolante si autonomizzano definitivamente dalla produzione reale e tendono a diventare capitale fittizio irreversibile: la massa degli eurodollari, resi inconvertibili dal governo USA, e la massa dei petroldollari, derivata dalla decuplicazione dei prezzi petroliferi. Entrambe irreversibili: perché nessuna massa del genere avrebbe mai potuto ritornare al circuito primario della produzione di plusvalore senza far saltare il sistema dalle fondamenta. Da una parte capitale, cioè lavoro passato, morto; dall'altra non solo petrolio, ma tutte le risorse della Terra. Ora, la terra è uno degli elementi fondamentali del processo produttivo completo, con il lavoro e il capitale. Tutte le materie prime, è ovvio, vengono dalla terra, dall'agricoltura come dalle miniere, dalle foreste come dai pozzi petroliferi. Tutto il prelievo di biomassa e di minerali deve avere il suo corrispettivo in plusvalore proveniente dal settore produttivo per un ammontare deciso dall'unico criterio della domanda che cozza contro la proprietà e contro la quantità di plusvalore disponibile. La proprietà fondiaria è dunque come una forza estranea che limita l'investimento di capitale. Il quale è costretto ad aumentare la produttività, a trovare ogni espediente per superare questo limite, ingigantendo il ciclo produttivo complessivo e ingigantendo di conseguenza il bisogno di materie prime. Il consumo del mondo, la sua mineralizzazione, sono un prodotto specifico del capitalismo. Nessun'altra società è mai giunta né potrà mai giungere a tanta perversione economica.La rendita dev'essere sempre pagata, sia che riguardi un terreno coltivato, irrigato e ben concimato, sia che riguardi un terreno su cui non è stata apportata assolutamente alcuna miglioria. In questo secondo caso esso non "vale" nulla, non incorpora lavoro umano e quindi valore. Non dovrebbe perciò rientrare nel costo di produzione industriale. E invece anche la terra assume un valore a causa della proprietà capitalistica, come se fosse un prodotto del lavoro umano e non della natura. Infatti la rendita, l'abbiamo visto negli esempi precedenti, può essere riferita al capitale, pur senza esservi legata. Può essere cioè considerata, al pari di tutti gli altri redditi monetari, come l'interesse di un capitale immaginario che si concretizza nella forma irrazionale di prezzo della terra. E ciò anche se la terra non può avere un "prezzo", perché non può avere valore di scambio, come l'aria o il mare (per adesso), anch'essi fonti primarie e non prodotti del lavoro. Se il tasso d'interesse medio è − poniamo − del 5% e un dato terreno rende 50 euro all'anno, allora il suo prezzo è 1.000 euro (50/0,05). Ma la tendenza storica è verso la diminuzione del saggio di profitto, che comporta storicamente una diminuzione del saggio di interesse. Se ad esempio quest'ultimo si dimezza, ecco che la stessa rendita di 50 euro corrisponde a un capitale immaginario di riferimento raddoppiato (50/0,025 = 2.000 euro). Per questo, a parità di rendita, il prezzo della terra e degli immobili è destinato storicamente a salire:
"Quanto più capitale si investe nel suolo, quanto più grande è lo sviluppo del-l'agricoltura e in genere della civiltà, tanto più aumentano sia le rendite per acro sia la somma totale delle rendite, tanto più gigantesco è il tributo che la società versa sotto forma di soprapprofitti ai grandi proprietari fondiari" 
(Marx, Il Capitale, Libro III, cap. XLIII).

   Il discorso vale ovviamente anche per le miniere, per i pozzi di petrolio eper gli immobili d'ogni genere. Ora prendiamo il prezzo di produzione del-l'insieme di merci prodotte nel mondo. Come sappiamo, esso, a differenzadei prezzi di costo dei singoli rami produttivi o di una singola fabbrica, cor-risponde esattamente al valore. Scomponiamolo nei suoi elementi sociali,che sono quelli destinati alle tre grandi classi, capitalisti, proletari, pro-prietari fondiari:
 Prezzo = capitale costante + salario + plusvalore + interesse + rendita.

   Essendo il prezzo di produzione storicamente dato dalla media dei valoriche lo compongono, è chiaro che ogni variazione fra di essi non può che risolversi in un trasferimento a somma zero. Se aumenta il salario deve diminuire qualche altro elemento; e così per la rendita ecc. Siccome l'intero sistema capitalistico deve reggersi sul mantenimento di una produzione di plusvalore sufficiente a perpetuare il ciclo del capitale reale, ecco che diventa pericolosissimo ogni fenomeno che obblighi a ripartirne "troppo" all'interno del prezzo di produzione, fra gli elementi che lo compongono. Ma il sistema, giunto all'attuale dipendenza dalla rendita e dalla finanza (cioè dal capitale fittizio),
impone proprio una feroce ripartizione del valore. E siccome la componente salariale è data anch'essa, storicamente, dalla quantità di beni e servizi necessaria a riprodurre la forza-lavoro e può oscillare solo entro quei limiti, ecco che, tolto il possibile e l'impossibile dal salario, è solo dal plusvalore che si può trarre ciò che andrà devoluto:
1) al capitale costante come feedback di valore per la riproduzione allargata;
2) all'interesse per il credito;
3) alla rendita per le materie prime, l'energia, gliimmobili, le infrastrutture, ecc.;
4) alla dissipazione dovuta all'anarchia del mercato, al controllo contabile, alla sicurezza, ecc. ( faux frais);
5) al costo dello Stato e dei suoi apparati di classe.

   Ovviamente non stiamo a parlare del singolo capitalista, che può anche personalmente violare la regola generale, ma dell'intero sistema che deve per forza affrontare il classico e irrisolvibile problema della coperta troppo corta. Non è strano che all'interno della classe capitalista (industria, finanza erendita) non si possa risolvere nulla: il salario non lo si può mandare al disotto del suo valore; il profitto deve poter permettere la riproduzione allargata; il credito è il motore dell'industria moderna e la finanza è sua figlia, non c'è l'una senza l'altro; la tangente alla rendita non la si può eliminare senza eliminare la proprietà privata.

   Non resta che l'innalzamento della produttività della forza-lavoro (dello sfruttamento) e il consumo del mondo. Finché il mondo stesso e il proletariato che lo abita non superano la soglia di sopportazione. Quella del mondo come biosfera è stata già sorpassata; quella del mondo minerale dei "quattro picchi e un declino" sarà raggiuntaintorno al 2030; quella del proletariato ci auguriamo sia superata ben prima. Il nostro modello, che con tutto il materiale prodotto dal partito storico della rivoluzione è certo più vasto di quello comprimibile in un articolo, non prevede che le classi rimangano inerti di fronte al collasso del capitalismo. Prevede piuttosto che lo anticiperanno, specie il proletariato, che non potrà che esplodere in un furore rivoluzionario.

Nota. Questo articolo è la trascrizione ampliata di un rapporto registrato il 13 gennaio del2007 durante uno dei nostri incontri redazionali trimestrali e intitolato: Le prospettive del capitalismo dalla pesantezza dell'acciaio alla leggerezza del software e oltre. 
Le variazioni e le aggiunte riguardano soprattutto gli argomenti collegati alla crisi scoppiata nell'estate del 2007 sull'onda dei mutui subprime e ancora in corso mentre andiamo in tipografia. Alla crisi e ai suoi sviluppi dedichiamo uno specifico articolo su questo stesso numero della rivista.