domenica 14 aprile 2013

Euro - Incontro con Alberto Bagnai - M5S Livorno




Bankenstein: 575 MILIONI AD UN'AZIENDA DECOTTA


RCS SOS - ‘’LE BANCHE CONCEDONO AD UN'AZIENDA DECOTTA 575 MILIONI DI EURO E LASCIANO A SECCO MIGLIAIA DI IMPRENDITORI!”

L’intesa che prevede un finanziamento per 575 mln € si sblocca dopo l’ok di Unicredit che però non vuole sganciare ancora per la parte di aumento di capitale che non sarà sottoscritta dai soci - 8 di questi (su 12) pronti a tirare fuori i denari, Rotelli e Della Valle tacciono.

1. MAIL
Ma non é una roba matti che concedono ad un'azienda decotta 575 milioni di euro e lascino a secco migliaia di imprenditori!!!!!

Dago grida allo schifo.
A presto
2. ACCORDO CON LE BANCHE CREDITRICI PER RINEGOZIARE IL DEBITO
Da "repubblica.it"
Federico Ghizzoni UnicreditFEDERICO GHIZZONI UNICREDIT
Rcs ha raggiunto l'accordo con le banche creditrici per la rinegoziazione del debito in scadenza a fine anno siglando un finanziamento ('term sheet') per 575 milioni di euro, spalmato su tre linee di credito, con Mediobanca, Unicredit, Intesa, Ubi, Bnl e Bpm. Con l'importante traguardo raggiunto, appreso dall'ANSA da fonti finanziarie, la società si avvia così a riunire domani pomeriggio a Milano il consiglio di amministrazione che dovrà chiudere quindi i lavori sul piano di rilancio e il previsto aumento di capitale da 400 milioni, approvando il bilancio 2012.
TORRE UNICREDITTORRE UNICREDIT
Secondo quanto anticipato dal gruppo del Corriere, le trattative riguardavano una linea di credito con scadenza a tre anni, da rimborsare utilizzando parte dei proventi da cessioni, una linea di credito con scadenza finale a cinque anni e un periodo di preammortamento di tre anni e, infine, una linea di credito cosiddetta 'revolving' a cinque anni. Sulla trattativa, dopo la prima importante svolta al vertice tra soci e banche venerdì 5 aprile, la situazione si è definitivamente sbloccata questo mercoledì, quando anche Unicredit ha accettato di sedersi al tavolo della trattativa su tutte e tre le linee e non solo su quella a breve.
GIUSEPPE ROTELLIGIUSEPPE ROTELLI
Dopo le adesioni da otto soci sui dodici del patto, pronti a farsi carico almeno del 44% dell'aumento di capitale, mancano all'appello il primo azionista Giuseppe Rotelli (16,5%) e Diego Della Valle (8,7%). Entrambi avrebbero scelto di non rispondere all'invito del presidente della società, Angelo Provasoli, di dare un'indicazione sull'adesione o meno all'operazione. L'imprenditore della Tod's in particolare potrebbe non partecipare all'aumento. Si tratterà poi di vedere però se i termini dell'emissione non riapriranno comunque i giochi.
DELLA VALLE E MONTEZEMOLODELLA VALLE E MONTEZEMOLO
Raggiunto l'accordo sul debito dovrebbero essere andati a posto anche i tasselli sul paracadute che si aprirà dalle banche per quella parte di aumento di capitale che non dovesse venir sottoscritta dai soci o dal mercato. Gli istituti sarebbero pronti a sostenere fino a metà dell'importo - stando alle attese degli ultimi giorni - con un intervento atteso pro quota rispetto alle singole esposizioni, con Unicredit intenzionata a chiamarsi fuori e Intesa che a quel punto sarebbe chiamata a uno sforzo maggiore.
Angelo ProvasoliANGELO PROVASOLI
Stanno procedendo poi anche nel weekend le trattative tra il comitato di redazione del Corriere della Sera e i rappresentanti aziendali sulla piattaforma presentata dai giornalisti come controproposta ai 110 esuberi previsti dall'azienda. Intanto il Cdr della divisione Periodici è intervenuto lamentando la chiusura da parte della società alla trattativa sulle dieci testate di cui è annunciata la vendita o chiusura: "Proseguire lungo la strada delle cessioni - ha detto il Cdr - non solo determinerebbe un oggettivo impoverimento anche economico del valore del gruppo", ma significherebbe anche "bruciare inspiegabilmente una parte importante dell'aumento di capitale", se è vero che l'azienda ha previsto una "dote milionaria per attirare l'attenzione di potenziali acquirenti".
Il gruppo ha anticipato già il 27 marzo di aver chiuso l'esercizio con ricavi per 1.598 milioni (-14%), con un margine operativo lordo in calo del 62% a 61 milioni prima delle voci non ricorrenti e a 1,3 milioni (dai 142 milioni del 2011) a valle degli oneri e dei proventi non ricorrenti.
L'indebitamento finanziario netto è migliorato a 846 milioni (era 875,6 milioni a fine settembre, a 981,7 milioni a fine 2011). Il Cda della società domani pomeriggio alzerà così il velo sul risultato netto dell'esercizio, dopo le perdite per 380,5 milioni già raggiunte a fine settembre, dopo 300,9 milioni di svalutazioni dei Quotidiani in Spagna (-25,5 milioni il risultato 2011).
ANGELO PROVASOLI MARIO MONTI E IL CARDINALE TETTAMANZIANGELO PROVASOLI MARIO MONTI E IL CARDINALE TETTAMANZI

Romano Prodi: nella vita c'è anche il suicidio

Inflazione di suicidi


I SUICIDI AUMENTANO, MA TRANQUILLI: L'INFLAZIONE E' SOTTO CONTROLLO!



In questa precisa epoca storica ci sarebbe da domandarsi: vale più un'inflazione sotto la soglia del 2% oppure la vita delle persone?
Sembrerebbe che alla nostra classe politica importi più tenere un'inflazione bassa e non fermare il crescente numero di suicidi per insolvenza nel nostro territorio.

INFLAZIONE - A marzo l'inflazione rallenta ancora, con la crescita dei prezzi al consumo ferma all'1,6%, dall'1,9% di febbraio scorso. Secondo l'Istat,  il tasso d'inflazione annuo si è dimezzato nell'arco di sei mesi, scendendo all'1,6% di marzo 2013 dal 3,2% di settembre 2012.

SUICIDI - A suicidarsi sono sempre più imprenditori, specie di piccole e medie aziende, ditte a volte a carattere famigliare. E’ un trend in crescita: 89 in totale nel 2012; nel 2013 stiamo già a 39 casi di suicidio da gennaio a metà marzo.

Inflazione e suicidi per insolvenza sembrano essere due fattori inversamente proporzionali: al diminuire di uno aumenta l'altro.
Perchè ho voluto confrontare la riduzione dell'inflazione con l'aumento di suicidi? 

Semplice, perchè in qualità di economista ho il dovere morale di accusare di crimini contro una nazione chi continua a perseverare con l'applicazione di una politica monetaria basata sull'austerity  (voluta dalle alte sfere delle B.C.E., dell'Unione Europea e del Fondo Monetario Internazionale e poi applicata dai quei figuranti che abbiamo in Parlamento), tutta basata su tagli della spesa pubblica, aumento delle imposte, ma livelli di inflazione contenuti.
E quali sono i risultati di questa folle quanto nefasta politica monetaria?
Ve ne accenno solo alcuni qui di seguito:
- chiuse 4.218 imprese tra gennaio e aprile, il 13% in più rispetto l'anno scorso
- la disoccupazione all'11,7% 
- i giovani di qualità emigrano all'estero,
- il livello di produzione industriale attuale è come quello del 1986 
- il Pil è diminuito dell'8% negli ultimi anni
- il debito pubblico ha raggiunto livelli record e i credit default swap sovrani (Scds, i contratti derivati usati come assicurazione contro il rischio crack dei titoli di Stato), il cui ruolo è definito come "uno strumento importante nella gestione del rischio", hanno toccato la quota di ben 388 miliardi di dollari, rappresentando la quantità maggiore a livello mondiale (la Spagna è seconda con 212 miliardi di assicurazioni sul debito pubblico)

La cosa più deplorevole è che in uno scenario così tragico (perchè nel 2013 morire per insolvenza esprime tutta la tragicità e allo stesso tempo la condizione miserabile di questa epoca) la nostra classe politica, invece di cambiare immediatamente rotta, continua in maniera servilmente servile a dar seguito al diktat imposto dalla "troika".

Inoltre, sono dei pagliacci, oppure degli ignoranti in materia economica qualora li ritenessi in buona fede, quei sindacalisti e quei politici che illudono la massa invocando l'arrivo di nuovi posti di lavoro attraverso nuove strategie\riforme nel mercato del lavoro. Non è riducendo i salari dei lavorati ed introducendo contratti flessibili (che tra l'altro annullano i diritti dei lavoratori stessi) che si genera occupazione. La domanda di lavoro si determina sul mercato dei beni e non sul mercato del lavoro. Non è necessario conoscere a memoria la formula della domanda aggregata keynesiana per comprendere certe cose.
Qui entra il gioco il ruolo essenziale della moneta, discorso abilmente censurato alla massa: per stimolare il mercato dei beni bisogna aumentare la spesa pubblica, offrendo più beni e servizi ai cittadini; in tal modo le imprese saranno chiamate a produrre e, di conseguenza, necessiteranno di forza lavoro da assumere per realizzare il ciclo produttivo. Allo stesso tempo la forza lavoro assunta permetterebbe di attivare i consumi, i beni\servizi verrebbero acquistati dai consumatori e le imprese sarebbero interessate a produrre ancora, attratte dalla possibilità di ricavi crescenti. Tutto ciò sarebbe possibile da attuare in un regime di sovranità monetaria, con uno Stato proprietario della moneta emessa e non debitore della moneta presa in prestito da organismi sovranazionali e privati come B.C.E. o F.M.I.; attualmente, invece, lo Stato restringe la spesa pubblica, optando per una politica monetaria restrittiva al posto di una politica monetaria espansiva.

Inoltre, in una situazione di pieno controllo della moneta nelle mani dello Stato, l'inflazione sarebbe una paura infondata quanto inesistente

Una prova storica fu la Germania diretta dal ministro dell'economia Schacht (di origini ebree, ma al servizio del potere nazista di cui, però, ne ripudiava l'ideologie razziste), che dal 1935 in poi, ossia da quando la Germania cominciò a stampare una moneta libera dal debito e dagli interessi, avviò la sua travolgente ascesa dalla depressione alla condizione di potenza mondiale in soli 5 anni, creando nuovi posti di lavoro e salvando dalla disoccupazione ben 12 milioni di tedeschi. La Germania finanziò la spesa pubblica del suo paese e tutte le operazioni belliche, dal 1935 al 1945, senza aver bisogno di oro né di debito. 

Un esempio più recente è il Giappone, dove non a caso il governo ha uno stretto controllo sulla banca centrale giapponese (la B.o.J.) e sull'emissione monetaria: da diverso tempo si procede a forti immissioni di liquidità (parliamo di una base monetaria che continuerà a crescere di 60-70 mila miliardi di yen l’anno, ovvero 645-755 miliardi di dollari) per finanziare la spesa pubblica e, nonostante ciò, l'inflazione si è ridotta in un anno, passando dallo 0,3% di febbraio 2012 al -0,6% di febbraio 2013. Per immettere liquidità nel sistema, il governo giapponese invece di indebitarsi ulteriormente (il rapporto tra debito e Pil in Giappone è oltre il 240 per cento) delega alla banca centrale il compito di stampare moneta e immetterla nell’economia acquistando il debito pubblico, sia breve sia a lunga scadenza.
Giusto per confrontare un po' di dati: l'Italia ha più dell'11% di disoccupati su una popolazione di circa 60 milioni di abitanti; il Giappone ha il 4,2% di disoccupati su una popolazione di 127 milioni di abitanti (il doppio di quella italiana); nonostante tutto il rapporto debito pubblico\Pil giapponese è circa il doppio di quello italiano.

Ma c'è di più. Ad avvalorare la tesi secondo cui non si generi inflazione stampando moneta connessa alla produzione di beni\servizi (ossia aumentando la spesa pubblica) è addirittura la banca centrale americana,la Federal Reserve. La FED ha pubblicato una lettera economica in cui affronta l’argomento della correlazione tra base monetaria e inflazione, evidenziando come l’aver triplicato la base monetaria dal 2008 non abbia generato maggiore inflazione.
Queste sono tutte argomentazioni teoriche e pratiche che non hanno spazio nè in dibattiti politici o televisivi, nè tanto meno nella dottrina accademica, ridotta a diffondere le nefaste teorie liberiste\neoclassiche che ci hanno condotto all'attuale recessione economica che stiamo vivendo.
Le soluzioni per uscire da questa crisi economica esistono; bisogna solo scegliere se applicarle, oppure continuare a veder crescere il numero delle imprese che chiudono i battenti e restare inermi dinanzi la tragicità dei suicidi per insolvenza, allietandosi però di avere un basso livello di inflazione.

Salvatore Tamburro