mercoledì 21 settembre 2011

IL BUDGETISMO


BUDGETISMO E DECLINO MENTALE
IL BUDGETISMO
Il budgetismo è un fattore che sta profondamente trasformando e reindirizzando la gestione aziendale, la gestione degli enti pubblici (stato compreso), la gestione della vita delle singole persone. Riscrive i fini, le priorità, le tavole di valori, le regole comportamentali.
Il budgetismo consiste nell’anteporre a ogni altra cosa il perseguimento del massimo risultato finanziario possibile nel bilancio dell’anno in corso: massimo del profitto o anche pareggio di bilancio o minimo del deficit. Senza considerazione per il medio e per il lungo termine. Per la sostenibilità.
I governi dei paesi democratici e i consigli di amministrazione anche di grandissime corporations ragionano e decidono secondo il budgetismo. Se vi sono livelli di vero potere, nei quali si fa programmazione con ottica di medio e lungo termine, al disopra del budgetismo, ebbene, quei livelli non sono visibili, sono dietro porte chiuse. Oppure sono i governi forti, come quello cinese o russo. O anche i direttori delle banche centrali, che operano protetti dal diritrto di segretezza e di criptazione.
Così vediamo gli stati e gli altri enti pubblici incalzati dal rating e dagli spread,  protesi a far quadrare i conti, a conseguire il pareggio di bilancio, o la riduzione del deficit, con ogni mezzo, anche spostando artificiosamente le uscite sugli anni a venire,  e considerando solo l’anno in corso o al massimo il seguente, passando sopra alla considerazione dell’apparato produttivo, delle infrastrutture, dell’economia reale, del rilancio, dell’ambiente, del territorio, della ricerca, della scuola, dell’università… di tutto ciò che attiene al medio-lungo periodo. Facile immaginare la cultura politica e di governo che tutto ciò produce.
Nelle aziende, i managers sono pagati in base al risultato di bilancio, anno per anno; quindi tendono a massimizzare gli utili ad ogni costo e con ogni mezzo. E questo loro interesse converge con quello degli azionisti, che vogliono massimizzare i dividendi, anno per anno. E la borsa premia questa politica perché, quanto migliori sono i risultati di bilancio, quanto maggiori i dividendi, anno per anno, tanto più sale il titolo. I managers degli investitori istituzionali privilegiano di conseguenza gli investimenti in titoli che danno il massimo guadagno nell’anno in corso o nel successivo, anche se si può prevedere che i loro sottostante esploda negli anni seguenti (mutui subprime). E ciò incoraggia le banche e le società finanziarie a produrre siffatti titoli e a prestare a soggetti di dubbia o nulla solvibilità, che però sottoscrivano alti tassi. D’altra parte, l’azienda o il soggetto pubblico che non segue il budgetismo si espone a perdite di credito bancario e di quote di mercato.
Quindi da un lato drastici tagli su investimenti, spese di formazione del personale, di ricerca, di impianto (l’investimento, soprattutto quello di alta tecnologica, si ammortizza in molti anni, quindi non fa budget). Dall’altro lato, spingere al massimo le vendite, talora anche verso chi si sa che non potrà pagare (mutui subprime), le dismissioni, le privatizzazioni (per il settore pubblico).
Il personale viene selezionato e formato secondo due criteri: a)che costi il meno possibile; b)che venda il più possibile. Così il promotore finanziario, di banca o no, diviene un esperto non di finanza e nel consigliare, ma di vendita, ossia nel persuadere i potenziali clienti a comperare fondi, indici, azioni, obbligazioni, pac. O a sottoscrivere prestiti. I prodotti spinti dalla direzione sono quelli che portano soldi alla banca direttamente (obbligazioni della banca), quelli di cui la direzione si deve liberare perché prossimi a scoppiare (bond argentini, ad esempio), quelli che sono stati confezionati per dare un alto ricavo upfront alla banca (li comperi a valore nominale 100, ma subito dopo quotano 95 – dove 5 è stato il profitto upfront della banca). Oppure altri prodotti, ancora più ingegnerizzati, che hanno commissioni occulte e che “stringono” il cliente progressivamente.
Questo sistema si sposa con l’aspettativa, comune soprattutto tra i giovani, di guadagno facile e rapido senza previo iter culturale e formativo: la vendita, specialmente se effettuata attraverso canali pre-struttueati come la banca, l’assicurazione, il franchising, non necessita di preparazione culturale, di studi o approfondimenti, ma prevalentemente di capacità manipolatorie, di abilità nel colloquio di vendita. Il venir meno dellas professionalità nell’ambiente lavorativo si inserisce in un quadro di generale appiattimento mentale, molto più grave qualitativamente dello scadimento scolastico, perché più profondo del livello culturale, in quanto interessa quello cognitivo. Anche il pubblico, i compratori-consumatori, agisce sempre più in modo acritico – e ciò assicura che i risultati per il budget continuino ad arrivare.
Quanto sopra, mutatis mutandis, si applica alla vendita di ogni prodotto o servizio. A ogni settore commerciale. Il dipendente-venditore poco o nulla sa del prodotto, di come è confezionato, di economia, insomma di tutto il retrostante. Sa come vendere. Quando lo sa. Se non raggiunge il budget, viene rimpiazzato. Egli è riconosciuto in rapporto all’obiettivo fissato dal budget. Anno per anno. Brevissimo termine. Massima aggressività. Vive in un ambiente che pensa, lavora, sente, valuta secondo questa semplice regola. Una regola che non è solo teorica o psicologica, ma molto pratica: chi non è capace di raggiungere il budget in breve perde il posto, il reddito. Quindi l’esigenza di vendere, alimentata dall’istinto di sopravvivenza, prende il sopravvento su tutto: sull’etica, sugli affetti, sulla salute, sulla famiglia, sugli amici, sulla dignità. Di recente, poco prima dei crolli in borsa, una nota banca con una circolare ha invitato i propri dipendenti a contattare amici e parenti dicendo loro: “Per favore, vieni a comperare i prodotti di investimento della mia banca, fallo per me!”. Tutto esiste, è rilevato, è misurato, in quanto strumento di ricavi. Perciò le persone sono equiparate alle cose, alle merci e ai beni strumentali: elementi del ciclo moltiplicativo del denaro.
L’uomo dunque viene ristrutturato a fondo dal budgetismo: ottica di brevissimo termine, subordinazione di ogni considerazione al risultato di cassa, autostima regolata dal risultato finanziario. Eh già, come potrebbe alla lunga l’autostima (il senso del valore di sé, della vita, etc.) restare basata su valori che contrastano col perseguimento del risultato, da cui dipende il posto di lavoro, il reddito, la sopravvivenza? Il supporto dell’autostima si regola su ciò che consente la sopravvivenza. E’ l’interiorizzazione (la trasformazione in “valori”) di ciò con cui di adattiamo e sopravviviamo nella lotta per la vita.
Però non è solo quello. Quello è solo una sua metà – grosso modo. L’altra metà dell’autostima, del senso del valore della propria vita, della sopportabilità della vita, ha un’altra origine. Arriviamoci con un passaggio. La coscienza della condizione umana – mortalità, malattia, solitudine, impotenza, sofferenza, ingiustizia, vecchiaia, malattia – è paralizzante. In base alla ragione applicata ai dati empirici, la vita non vale la pena, è male, è una scala di pollaio. Il bilancio della vita umana è negativo. Il dio Sileno, costretto da Eracle a rivelare quale sia il massimo bene per l’uomo, risponde “non nascere o, se nato, morire quanto prima”. Il Buddha insegna che la vita è, come tale, sofferenza. Da sempre, l’uomo si difende su un fronte contro il tempo, la fame, le belve, i nemici; sull’altro, contro il devastante e paralizzante effetto della consapevolezza della condizione umana. Si difende, reagisce, con miti, con fedi, con riti, con metafisiche, con distrazioni, con droghe, con l’arte, la musica, la poesia, con la lotta anche estrema per ideali. Crea così una percezione di valore esistenziale. O blocca la percezione del disvalore. E, per farlo, sviluppa l’ingegno, l’introspezione, la propria vita emotiva e spirituale.
L’equilibrio umano è dato dalla dialettica, dalla composizione vettoriale di queste sue due attività: l’attività volta a risolvere i problemi pratici, l’attività economica, di ottenimento del necessario materiale attraverso lo scambio (lavoro, commercio); e l’attività volta a rendere accettabile la vita e a generare fini, traguardi, mete. Due diversi, continui processi di adattamento – l’uno esterno, l’altro interno – che formano l’uomo mentalmente produttivo, evolutivo, ed equilibrato (il costruttore di culture e civiltà), ossia non svuotato sulle attività di scambio, né collassato in sterili trip mentali. Che sarebbero due modi diversi di alienarsi o annullarsi. Noi tutti conosciamo esempi di persone sognatrici, che vivono interamente collassate, assorbite in un mondo loro proprio di fantasie misticheggianti, e perdono il contatto con la realtà, perdono la capacità di relazione sociale fattiva. E di lavoro, di scambio. Il budgetismo produce l’esito opposto: la persona priva di mete e di identità, di valore proprio, che tende a farsi assorbire – per esigenze di sopravvivenza poste dal mercato e dalle condizioni di lavoro – interamente nella logica dei valori di scambio, del perseguimento di mezzi (il denaro, i numeri contabili) come se fossero il fine assoluto. Una persona squilibrata, instabile, che ricercherà e pagherà ausili esterni (dai corsi “formativi” allo psicofarmaco) per reggersi, per  mantenere l’adattamento al mondo.
Però una società ampiamente composta di persone di questo tipo è essa stessa sempre più fragile e, al contempo, asfittica, senza scopo. La logica del profitto realizza la sua massima attuazione e coerenza in questo sistema budgetista e finanziarizzato, ma le realizza unilateralmente, a spese e danno dell’uomo e della società umana –come se essa stessa non dipendesse dall’esistenza e dal funzionamento dell’uomo e della società umana per sussistere e per funzionare. Quindi questo sistema è insostenibile:  sembra un estremo sforzo di razionalizzazione e sopravvivenza del sistema di organizzazione sociale basato sui valori di scambio, i quali in questa fase si sono ridotti a valori finanziari, contabili, puramente numerici. Uno sforzo che si alimenta bruciando direttamente la risorsa “homo”, esaurita la quale si fatica ad immaginare spazi per ulteriori sforzi e aggiustamenti, salve radicali innovazioni bioingegneristiche. Quindi probabilmente quello presente è un ultimo o penultimo supporto, o equilibrio possibile,  prima di un collasso sistemico.
21.09.11 Marco Della Luna

Segreti di Stati - Cap.5 - Il dentista di Praga

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Capitolo V - Franz, il dentista di Praga

La storia di Franz è la storia della vita di un agente italiano reclutato dal Capitano Antonio La Bruna. Franz mi ha dato un memoriale poco prima di partire per gli USA, dove si recava per richiedere l'asilo politico. Nei giorni precedenti il nostro incontro - maggio 2003 - aveva subito due attentati: uno rivendicato dalle "BR" ed uno dal "NPC" (Nucleo Proletario Combattente).

Il memoriale di Franz

"Il termine ABUSIVO indica chi abusa di qualcuno o qualcosa: le prossime pagine dimostreranno che non è sempre così" - Franz

Scrivo queste pagine perché con la mia esperienza e la mia vita, sono venuto a conoscenza di fatti che hanno modificato, in modo profondo, l'andamento democratico del nostro Paese. Sono nato in un paese vicino a Cagliari, in Sardegna, da una famiglia medio borghese, mio padre faceva il macellaio e mia madre la casalinga. Il lavoro di mio padre, con l'aiuto di mia madre, consentiva alla mia famiglia di condurre una vita dignitosa. Io sono il più grande di sei figli, tre maschi e tre femmine. La mia vita si è svolta in modo regolare fino all'età di 17 anni, epoca in cui, all'età di 50 anni, per un infarto improvviso, morì mio padre. Questo triste avvenimento avrebbe poi condizionato la mia vita in modo pesante. Mio padre meriterebbe una storia a parte, probabilmente non potrei essere obiettivo, ma non ho mai smesso di pensare che lui fosse un uomo eccezionale! Era alto, biondo con degli splendidi occhi azzurri incredibilmente perlati di verde, credo che non dimenticherò mai quegli occhi! Nonostante avesse un buon aspetto, aveva sempre un atteggiamento burbero che al momento opportuno si trasformava in un'espressione di immensa bonarietà. Come ho detto, non potrei scrivere di mio padre senza farne l'apologia, ma devo dire che sono stato educato da lui a dei principi sani ed immutabili, quelli che io chiamo "i codici della vita": l'onestà, la lealtà, il dovere, il rispetto, il coraggio, la consapevolezza e così via. Sono i codici che spero di riuscire a trasferire ai miei due figli poiché sono convinto che siano le regole per interpretare in modo corretto la nostra vita. La morte di mio padre è stato il momento in cui la mia vita di ragazzo spensierato e allegro, finiva. Credo di essere diventato un uomo in un solo giorno. Effettivamente, le grandi responsabilità aiutano a crescere e a maturare. Mio padre mi aveva insegnato i rudimenti del suo mestiere e quindi, alla sua morte, ho dovuto prenderne il posto, sia per quanto riguarda il lavoro che per sopperire alle necessità della famiglia. Avevo ricevuto una bella eredità! Una famiglia di sette persone da mandare avanti ed un ruolo atipico: fare da padre ai miei fratelli e sorelle, e dare conforto a mia madre, vedova a 36 anni. Dovevo comportarmi da uomo maturo a 17 anni. In quel periodo frequentavo la quarta del Liceo scientifico. Ero uno studente abbastanza diligente, ero quello che io definisco "un onesto lavoratore", mai troppo brillante né troppo "frescone". Mi sembra come se i Latini avessero coniato un'espressione adatta, "in medio stat virtus", apposta per me. Lavorare e contemporaneamente studiare alle scuole superiori, avere la responsabilità di una famiglia ereditata e la responsabilità del proprio futuro, non credo sia la condizione migliore per un ragazzo di 17 anni. Ma io pazientavo, stavo anche imparando un nuovo codice: La perseveranza! Sognavo di finire il liceo e di fare l'università, di diventare un medico. Non sapevo bene come avrei dovuto fare ma ero abbastanza fiducioso. Non potevo più fare una vita spensierata, erano finite le mie passeggiate con gli amici, avevo sempre a che fare con persone più grandi di me, mi sentivo molto più grande dei miei coetanei. A scuola trattavo direttamente con i miei professori con i quali ancora oggi siamo grandi amici. Molti di loro mi hanno aiutato a studiare, a casa loro, di notte. Perché di giorno ero impegnato con il lavoro che avevo ereditato, della macelleria. Ricordo le trattative estenuanti con incalliti commercianti, le lunghe ed interminabili chiacchierate con dei vecchi allevatori che volevano vendermi le loro bestie al prezzo più alto possibile. Ho imparato molto da queste persone. Si dice che la saggezza arriva in tarda età e quindi giocoforza io ho vissuto la mia adolescenza in mezzo a questi "saggi". E la mia vita di diciassettenne? I divertimenti ? E soprattutto, le ragazze? Naturalmente non avevo tempo per corteggiare le mie coetanee. In quei tempi, in Sardegna non era così semplice e io purtroppo non avevo molto tempo da dedicare al romanticismo. Il romanticismo per me era solo un compito scolastico, un periodo storico da studiare, un brano del Manzoni. Anche su questo, dovetti fare di necessità virtù ! Il problema era piuttosto serio, andava in qualche modo risolto. Avevo quasi 18 anni e stavo conducendo una vita da quarantenne assennato. La soluzione, mio malgrado, la trovai. Come al solito vivevo una vita che non sentivo mia. Abbandonati i verdi pascoli delle mie coetanee, che avevano orari ed impegni diversi, dovetti orientarmi verso donne che non avessero limiti di orario. Vivevo più o meno come un pipistrello! Di buon mattino dovevo preparare la carne sui banchi frigoriferi, alle 8 e trenta dovevo essere a scuola. Il pomeriggio di nuovo a fare il macellaio, la sera e la notte, le trattative coi commercianti, gli studi ed un po' di spazio per i miei "romanticismi". Il pascolo, senza le mie coetanee, non era molto verde ma era molto ampio. Credo che sulla famosa crisi d'identità abbiano scritto molti volumi e ancora oggi fanno grandi discussioni, in merito, anche in televisione. Io ne sentii parlare al liceo, ai miei tempi: crisi d'identità, dialogo difficile con i genitori, scontri politici e generazionali, impegno in politica, etc. Io guardavo i miei compagni, durante le assemblee di Istituto, con una certa sufficienza. Voi credete che potessi dire qualcosa sulle crisi d'identità ed il diritto allo studio? Mi sentivo un abusivo, chi mi avrebbe garantito il diritto allo studio nelle mie condizioni? Stavo combattendo una guerra impari contro un nemico fortissimo e dovevo conquistare una posta grandissima: il pane di tutti i giorni, sia per me che per la mia famiglia. Incluso qualche accessorio che tutti i giorni la mia famiglia reclamava. Avevo una leggera impressione: i miei compagni di studi avevano più tempo di me e mi pareva che, per loro, ogni scusa era buona per evitare il normale svolgimento delle lezioni. Forse erano in "crisi d'identità" ma io ci capivo poco a questa scusa. Avrei scoperto più tardi che cosa si intende quando si usa questa frase! Credo di aver vissuto la più grande crisi d'identità del mondo! Per tutta la mia vita sono stato condannato ad occupare un posto abusivo, desiderando e volendo fortemente occuparne un altro. In quel momento facevo il macellaio ma volevo fare lo studente. Ero un macellaio abusivo ed uno studente modello, ma in realtà mi ritrovavo a fare il provetto macellaio ed ero abusivo come studente! Non posso fermarmi a disquisire su questo argomento altrimenti non posso scrivere il resto della storia, ma vedremo che questa strana crisi d'identità dominerà tutta la mia vita. Tra una crisi e l'altra, a 19 anni sono riuscito a prendere il diploma. Grande conquista! Mi sembrava di aver conquistato un traguardo. A scuola non mi facevano sconti. A nessuno importava se avevo un impegno di lavoro, se non avevo chiuso occhio di notte, se ero preoccupato. Naturalmente il programma scolastico andava svolto e le lezioni andavano studiate. Vietato ammalarsi, essere tristi o, in qualche modo, arrendersi. Mi piace il detto latino: "Volle: Posse!" I miei figli studiano latino, oggi, e mi considerano un buon professore. Comunque io continuo a fare la mia strada che ai tempi, somigliava di più ad un calvario. Mi trovavo davanti al mio sogno: iscrivermi all'università - Medicina e Chirurgia - e diventare un buon medico. Pensavo che mio padre era morto perché il medico che lo visitò era un incapace, volevo quindi diventare un medico capace. Anche oggi credo che bisognerebbe prestare un po' più di attenzione alla preparazione dei nuovi dottori. Mi iscrissi a Medicina, mi piaceva molto studiare. Non ricordo bene come feci ad acquistare i libri, ma quei soldi li considerai ben spesi e soprattutto mi stavo guadagnando il diritto allo studio di cui tanto si parlava al liceo. Gli studi di medicina non sono particolarmente difficili, bisogna avere una buona memoria ed io, grazie a Dio, credo di avere una buonissima memoria. Tutto procedeva bene: non avevo obbligo di frequenza, tutto normale per me: un giovane macellaio che di tanto in tanto va anche all'università e che vorrebbe anche finirla. Ho superato l'esame di Anatomia studiando le 8.000 pagine dei testi e senza aver mai visto prima il mio professore. All'esame il docente era sbalordito nel vedere come conoscevo bene gli organi, i muscoli, lo scheletro... grazie tante, di mattina facevo il macellaio! Il problema era un altro. Tutti coloro che hanno fatto la facoltà di medicina, sanno che non è possibile studiare e lavorare. Non si possono conciliare le due cose perché manca il tempo! Ecco di nuovo la mia crisi che si acerba in modo iperbolico. Sono uno studente in Medicina, uno studente modello, ma faccio il macellaio! Problema: con il lavoro mi mantengo agli studi: se studio non posso lavorare, se lavoro non posso studiare! Voglio fare il medico, credo di avere le qualità intellettuali per diventarlo, ma se voglio vivere devo fare il macellaio! A questa nobile professione è legato a filo doppio, il cosiddetto "pane" della mia famiglia. A quanto pare, il mio piccolo problema non aveva soluzioni. Mi ricordo ancora quando un brillantissimo neurologo mi disse, con molta professionalità ed ammirazione: "Coraggio, figliolo! Non tutti i medici sono felici, vedrà, anche i macellai stanno bene!" Non ho stima per i neurologi, credo che facciano questo tipo di studi per risolvere i loro problemi senza peraltro riuscirci, pretendendo di risolvere i problemi altrui. Mi viene in mente una parola: Utopia! Centomila di onorario, all'epoca, per tirarmi una coltellata vile e crudele. Visto che il dottore non era riuscito a consigliarmi una buona soluzione, pensai di interpellare una persona che stimo molto: me stesso. Raggiunsi una conclusione: dovevo trovare un lavoro che mi consentisse di guadagnare di più, in tempi più brevi, e quindi avrei potuto impiegare il denaro ed il tempo risparmiati, per studiare. Ma quale lavoro? Continuavo a pensare ad un lavoro onesto, non ero ancora entrato in crisi coi miei codici. In generale, quando si tratta di guadagnare più in fretta, si pensa ai cosiddetti "soldi facili", spesso sinonimo di attività illegali. Come facevo a crescere una famiglia secondo dei sani principi se stavo pensando a qualcosa di potenzialmente illecito? Passai vari mesi con questo dilemma, fino a quando qualcosa cambiò la mia vita! Adesso non potrei dire se fosse stata davvero una fortuna... Qualche ragazzo del mio paese, di tanto in tanto, ogni 4 o 5 mesi, rientrava a casa dopo essere stato all'estero. Alcuni erano miei amici e mi parlavano del loro lavoro: imbarcati su navi mercantili, con contratti di 4-5 mesi, prendevano uno stipendio di 800-900 mila lire al mese. Viaggiavano per il mondo e quando rientravano, avevano risparmiato abbastanza denaro per poter cambiare la macchina, vestirsi in modo elegante ed uscire e spendere un po' di soldi in giro. I loro racconti erano affascinanti: le ragazze, i casinò, le cose meravigliose che vedevano... Il mio cervello lavorava a mille all'ora. Sono un Sagittario ed amo viaggiare. Mi piace anche pensare ad un posto esotico, per sentirmi meglio. Tutti quei soldi potevano rappresentare una soluzione ai miei problemi, compreso quello dell'identità. Feci il libretto di navigazione in una settimana. Dopo un mese, ero a Genova per il mio primo imbarco: Ruen - New Orleans! Bene, adesso ero uno studente della facoltà di Medicina e Chirurgia dell'Università di Cagliari che faceva il mozzo a bordo di navi mercantili! A dire la verità, non ho mai fatto il mozzo: non imbarcano macellai o studenti. Feci un po' di tutto, a bordo: Giovanotto di coperta e di macchina, Piccolo di camera, garzone di cucina. Tutte qualifiche della gente di mare. Il Doctor Franz che inizia la sua carriera come mozzo! Che vita meravigliosa: immensi e sconfinati orizzonti, magnifiche città di porto, belle ragazze... e, soprattutto, la vittoria sul mio grande nemico: il tempo! Studiai l'esame di Microbiologia a bordo di una nave, durante il tempo libero. Chi ha conosciuto il professor Antonio Spamedda dell'università di Cagliari, sa che lui ha scoperto le cefalosporine, il più potente antibiotico conosciuto, credo. Ai tempi era più facile fare un bel tredici al totocalcio che superare il suo esame di microbiologia! La mia vita era cambiata radicalmente: avevo finalmente trovato il sistema per garantire un futuro alla mia famiglia ed avevo trovato il tempo da dedicare a me stesso, ai miei studi e, soprattutto, alle esigenze di un ragazzo di 20 anni. Lo stipendio era per me una manna dal cielo. A bordo mi sono sempre offerto volontario per i lavori più inconsueti e che venivano pagati a parte. Lo stipendio veniva spedito tutti i mesi a casa, da mia madre. I soldi guadagnati "extra", finivano nelle borse di certe donnine che popolano le città portuali. Non avevo altri hobby! Non sono mai stato un gran bevitore, non ho mai fatto consumo di sostanze stupefacenti, ho saputo gestire abbastanza bene tutti i vizi che regolano la vita di ogni uomo. Sono stato un po' debole con le donne, il vizio prendeva il sopravvento. Devo dire che la vita del marittimo è stata una grande palestra per me, oggi posso dire che mi sono trovato in situazioni talmente critiche che l'appoggio, anche inaspettato, di qualche bella donna mi ha spesso salvato la vita. Non posso descrivere tutte le situazioni di quel periodo, per quanto riguarda le donne: meriterebbero un compendio a parte. Voglio solo descrivere la situazione ambientale che mi ha portato a diventare un agente del controspionaggio italiano, un agente del SID, in quella struttura ultrasegreta che è stata la Gladio, la Stay-Behind italiana. Come dicevo, la mia vita procedeva abbastanza serenamente: 4 o 5 mesi da marinaio, inviando 3 o 4 milioni a casa, e 7-8 mesi da studente universitario modello. Naturalmente continuavo a dividere la mia persona tra due figure che si trovavano agli antipodi: mozzo e studente. Sempre meglio di quella macellaio-studente, ma solo in certi momenti. La vita dentro le navi non è poi così interessante come viene descritta. Si dice che i marinai abbiano una donna in tutti i porti che toccano, si parla di paesaggi inverosimili e di ineguagliabile bellezza, di incredibili situazioni, di divertimenti piccantissimi, e così via: un paradiso! Ma tutti i marinai sanno di avere non una, ma cento donne in ogni porto. Le città portuali di tutto il mondo sono perfettamente organizzate per ricevere questi uomini che dopo un mese di infiniti orizzonti, arrivano a terra affamati di tutto. Il vizio regna sovrano. Queste città forniscono di tutto: case da gioco, alcool a fiumi, prostitute per tutti i gusti e tutte le tasche, droghe le più svariate, etc. I marittimi spendono volentieri i soldi che riescono a guadagnare con i lavori straordinari, dopo un mese o due di completa astinenza. Per quanto riguarda i paesaggi da favola, feci un imbarco che durò sei mesi: New York - Aden, nel Golfo Arabo. Tutto senza scalo e circumnavigando l'Africa da Città del Capo, visto che, per fortuna, una nave di 250.000 tonnellate di stazza non può passare il canale di Suez! Tre mesi di navigazione, 5 giorni di sosta per caricare petrolio da una piattaforma, poi ancora tre mesi di navigazione. Una pacchia, immaginatevi! Io sono di carnagione scura, ma, quella volta, diventai color gamberone! Altro che abbronzatura! Dopo 5 mesi di duro lavoro, ero proprio cotto a puntino. Ma passiamo alla "assunzione". Nel 1974 ero in via Colli della Farnesina, a Roma. Stavo bevendo qualcosa al bar, quando mi avvicinarono due persone. Non li conoscevo, ma loro di me sapevano tutto, addirittura cose che nemmeno io sapevo. Uno era Antonio La Bruna che aveva l'incarico di ingaggiare persone per il SID. Lo stesso La Bruna che, poi seppi, aveva addestrato personale in Grecia durante il "Golpe dei Colonnelli". Una delle tante operazioni organizzate dalla CIA finanziata con fondi prelevati dalla contabilità nera di una banca di Cicero, nei sobborghi di Chicago. All'epoca non sapevo nemmeno cosa fosse la "Gladio". Loro mi chiesero se volessi collaborare con i servizi, mi diedero due mesi di tempo per pensarci e La Bruna mi dette un suo numero riservato. Dopo due mesi lo chiamai e mi convocò a Roma, in via XX Settembre n.8, all'ufficio "X". Lo stesso ufficio che sparì nel 1986, all'improvviso, lasciandoci tutti senza liquidazione né possibilità di ricevere una pensione. All'epoca, negli anni '70, avevo una fidanzata a Praga, loro mi offrivano un milione al mese, che in Cecoslovacchia erano una fortuna. Mi chiesero di pedinare i terroristi che, partendo dall'Italia, andavano ad addestrarsi proprio in Cecoslovacchia. Lo feci per anni, prima durante e dopo il rapimento Moro. Avevo affittato, a Praga, uno studio da un veterinario che utilizzavo come "studio dentistico", la mia copertura. I miei contatti, là, si presentavano dicendo: "Mi fa male il dente numero 12", oppure un altro numero, che era stato deciso come parola di passo. Seguivo i terroristi che partivano in macchina dall'Italia, me ne veniva prima fornito il numero di targa, la data ed il luogo da dove partivano. Una volta mi trovai a seguirne due a bordo di una Ferrari fiammante! La cosa non deve sembrare strana, Federico Umberto D'Amato, dell'UAR (Ufficio Affari Riservati), in quegli anni diceva ai giornalisti che dei brigatisti sapevamo tutto: nomi, cognomi e residenze. E che se si fosse voluto, si sarebbero potuti arrestare tutti. Proprio durante il rapimento Moro, inviai a La Bruna un telegramma segnalando la prigione dello statista DC. Scrissi in tedesco, lingua che usavo per non destare sospetti, "Gradoli Straße", Gradoli Strasse, che vuol dire: Via Gradoli. Seppi poi che La Bruna aveva fatto inoltrare a Cossiga la segnalazione. La versione ufficiale, anni dopo, fu che Cossiga non aveva trovato "via Gradoli" nello stradario di Roma, e quindi aveva pensato che si trattasse di un paese. La cosa, oggi, mi pare strana perché proprio in via Gradoli c'era un ufficio dei nostri servizi segreti. In quei drammatici giorni, successero parecchie cose strane (vedi il capitolo I), cose, direi, "sudamericane".