lunedì 3 giugno 2013

GALLONI: SIAMO VICINI A UN PUNTO DI SVOLTA

BOOM DI FONDAZIONI A NAPOLI E IN CAMPANIA

BOOM DI FONDAZIONI A NAPOLI E IN CAMPANIA. LOBBY FINANZIATE DA FONDI EUROPEI E GRUPPI DI PRESSIONE

http://www.ildomenicaledicasoria.it/10-cronaca/cronaca-regionale/387-a-napoli-e-in-campania-stanno-nascendo-come-funghi-le-associazioni-centri-di-ricerche-fondazioni-culturali-e-fondazioni-politiche-a-livello-europeo-che-svolgono-attivita-di-osservazione-analisi-e-arricchimento-del-dibattito-sui-temi-di-politica-pubblica-e
A Napoli e in Campania stanno nascendo come funghi le associazioni, ‘centri di ricerche’ fondazioni ‘culturali’ e fondazioni politiche ‘a livello europeo’ che svolgono “attività di osservazione, analisi e arricchimento del dibattito sui temi di politica pubblica europea’. Sono dirette da esponenti politici o da ex parlamentari. Negli ultimi cinque anni nel capoluogo campano sono nate 50 fondazioni. Nascono per non perdere l’opportunità di utilizzare i fondi europei. Spesso si trasformano in vere e proprie lobby. Lobby finanziate da gruppi di pressione imprenditoriali. Le fondazioni, sviluppano, inoltre attività correlate quali l’organizzazione di seminari, formazione, conferenze e studi. Sono 4720 le fondazioni attive in Italia mentre 247, alla data della rilevazione, non avevano ancora avviato l'attività o l"avevano sospesa temporaneamente. I dati sono stati diffusi dall'Istat. Sono per la maggior parte di recente costituzione (54,6% si è costituito nell'ultimo decennio) e mentre quelle più "giovani" sono distribuite soprattutto nel Nord-ovest, al Centro e nel Mezzogiorno risulta maggiormente elevata la percentuale di fondazioni più antiche.
Distribuzione disomogenea - Il 44,2% si trova nel Nord-ovest (2.087 fondazioni), mentre nel Nord-est, al Centro e nel Mezzogiorno opera rispettivamente il 20,7% (978), il 20,2% (951) e il 14,9% (704). Rispetto agli ultimi dati disponibili (2011) il numero delle fondazioni è cresciuto di quasi il 57%; crescita dovuta "in buona parte al processo di privatizzazione delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza e alla conseguente trasformazione in fondazione di alcune di esse". Sono organizzazioni che riescono a collocare con incarichi fiduciari il personale ‘fiduciario’ del ceto politico. Dal settembre 2008 sono finanziate annualmente dal parlamento europeo. Una fondazione ha solo un vincolo giuridico ossia quello di destinare le risorse agli scopi per cui sono nate. Possono avere, a differenze delle associazioni no profit, i bilanci in passivo. Gli immobili sono beni strumentali della fondazione. Su richiesta, le fondazioni di utilità pubblica senza scopo di lucro sono esentate dall'imposta sulle donazioni e sulla sostanza.

Impunita impudenza contro Grillo


Chi gode del tonfo di Grillo dovrebbe invece preoccuparsi della disaffezione degli elettori

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I partiti, e i media loro legati, ritengono che il tonfo del movimento 5Stelle compensi, in qualche modo, l'impressionante fenomeno dell'astensionismo (più di un cittadino su tre a livello nazionale, uno su due a Roma) e ne gioiscono, perchè vedono, o vedevano, in Grillo il 'pericolo pubblico numero uno' che minava il sistema, il loro tranquillo ed eterno ruminar il potere, magari mascherato, opportunamente, con qualche lifting di facciata per rendersi, almeno esteticamente, più presentabili a un'opinione pubblica ribollente.
Si sbagliano. All'indomani delle elezioni politiche di febbraio scrivevo che i partiti avrebbero dovuto ringraziare Grillo invece di demonizzarlo. Per due motivi. Perchè il movimento 5Stelle mascherava un'astensione che, senza la sua presenza, avrebbe raggiunto già allora il 50% (il 25% degli astensionisti propriamente detti più il 25,6 degli elettori che avevano votato Grillo e che, senza di lui, avrebbero disertato le urne). Col 75% di votanti il sistema manteneva la sua legittimità. In secondo luogo il movimento 5Stelle, che è antisistema, rivoluzionario, ma pacifico, canalizzava, istituzionalizzava, innocuizzava una rabbia sociale che potrebbe esplodere, in forme violente, da un momento all'altro. L'astensione, per il sistema dei partiti, è molto più insidiosa. Perchè non è controllabile, non ha una faccia, non è individuabile. Inoltre pone un problema di legittimità democratica. Partiamo da Roma. Che legittimità, che credibilità, puo' avere un sindaco che, nella migliore delle ipotesi, rappresenta il 40% del 50% dei suoi cittadini? La questione diventa ancora più cogente a livello nazionale. Secondo il Barometro politico dell'istituto Demopolis se si andasse a votare domani per le politiche l'astensione crescerebbe di un altro 7% raggiungendo quasi la metà degli elettori. E io sono convinto che se esistesse, come per i referendum, un quorum al di sotto del quale le elezioni non sono valide l'astensione salirebbe ulteriormente. Perchè il ragionamento che molti fanno è: «Che senso ha che io vada a votare, manifestando cosi' il mio totale dissenso, se poi quelli continuano a governare e a fare i loro comodi anche se li ha votati, poniamo, solo il 30 per cento dei cittadini?». E cosi' vanno a votare, turandosi montanellianamente il naso, per questo o per quello, pur sapendo che è del tutto inutile dato che l'uno vale l'altro perchè quella politica, con i suoi adentellati confindustriali, è l'unica vera classe rimasta su piazza di fronte a un indifferenziato ceto medio i cui componenti, vale a dire la maggioranza dei cittadini, sono trattati come sudditi, asini al basto che devono tirare la carretta per i piaceri e i profitti di lorsignori e pecore da tosare quando arriva un'emergenza che quegli stessi hanno causato, con la loro ignavia, con la loro mancanza di capacità previsionale – che dovrebbe essere la dote precipua di un politico – quando non con il malaffare, la corruzione, i loro abusi, i loro soprusi in salsa democratica. E son questi stessi che hanno distrutto la casa che ora pretendono di essere legittimati a ricostruirla invece di avere la decenza di farsi da parte, di sparire. La cosiddetta 'disaffezione per la politica' deriva, in gran parte, da questa impunita impudenza.
Quello che gli uomini politici non hanno capito, o piuttosto fanno finta di non capire, è che non siamo di fronte semplicemente alla impresentabilità di questo o quel personaggio dello 'star system' dirigenziale, sempre rimediabile sostituendolo, ma che quella che è in atto è una crisi di sistema, è una crisi del modello partitocratico, è una crisi, in definitiva, della democrazia rappresentativa che potrebbe portare molto lontano. Altro che gioire per il tonfo di Beppe Grillo.
Il Gazzettino, 31 maggio 2013

LA VIA EUROPEA AL TOTALITARISMO


LA VIA EUROPEA AL TOTALITARISMO NATURALE

I popoli dell’Occidente stanno accettando pacificamente e senza pubblico dibattito la soppressione graduale dei principi ritenuti fondamentali per il diritto e la legittimità, come fino a pochi anni fa erano intesi.
Se, negli anni ’80, avessimo proposto di trasferire le leve macroeconomiche monetarie a una banca internazionale totalmente autonoma e irresponsabile, saremmo stati presi per matti; e se avessimo proposto una forza militare internazionale per reprimere le proteste sociali dovute a una grave depressione economica, saremmo stati isolati e accusati di nazismo.
La finanziarizzazione dell’economia ha sottoposto alla guida di interessi speculativi di cerchie ristrette la produzione di beni e servizi per la collettività, la distribuzione delle risorse, i livelli e le condizioni occupazionali, la facoltà di concentrare i redditi, regolare moneta e credito, demolire lo stato sociale e redistributivo, far competere i lavoratori dei paesi avanzati con quelli pagati un ventesimo e senza diritti sindacali.
La finanziarizzazione della politica ha trasferito le leve dell’economia politica e del fisco nelle mani delle medesime cerchie, relegando parlamenti, partiti e governi a ruoli esecutivi di piani superiori, di teatrino politico e di capri espiatori per le conseguenze di decisioni prese a porte chiuse da soggetti insindacabili.
Addirittura, il grosso della legislazione dei parlamenti nazionali è ora attività di recepimento di normative europee, peraltro valide ed applicabili anche senza tale recepimento. Le riforme per la crescita e la virtuosità di bilancio hanno fruttato enormi debiti pubblici e la più grande e durevole recessione dell’era moderna – per non parlare dell’impennata della sperequazione sociale. La pretesa integrazione europea ha divaricato enormemente i paesi europei, sia in termini di potere degli uni sugli altri, sia in termini di disparità economiche, finanziarie e di livelli occupazionali, sia in termini di risorgenti avversioni etniche, che hanno reso impossibile unificare i popoli d’Europa, sicchè insistere su questo tasto è divenuto assurdo. Il liberalismo è stato usato per condurre un percorso di riforme volto a eliminare proprio i diritti liberali e a instaurare un’autocrazia hegeliana con tasse sempre più alte, e libera da pretese metafisiche, rispondente solo al capitalismo finanziario assoluto. Insomma, a posteriori si scopre che tutto è controproducente e tutto, orwellianamente, significava il contrario.
Gli organismi dominanti ufficiali entro l’Unione Europea – non parliamo di quelli non dichiarati – sono stati dotati di caratteri molto precisi e contrari a tutti i principi che davamo per acquisiti definitivamente: il Consiglio dei Ministri, la Commissione, la BCE, il MES non sono eletti, non sono responsabili di ciò che fanno, non rivelano i verbali dei processi decisionali dei loro vertici, non sono controllabili da parlamenti né da giudici, possono esercitare grande violenza sociale, e l’ultimo di essi ha praticamente il potere di confiscare le risorse dei paesi ad esso aderenti, di attaccare il risparmio di color che erano cittadini, senza poter esser chiamato a render conto. I suoi dirigenti più importanti sono addirittura anonimi.
Nei fatti, questo ordinamento sovrannazionale ha preso e imposto e continua a imporre ai popoli, dall’alto, senza possibilità di interferenza, decisioni estremamente pesanti e fondamentali. Inoltre si è dotato di un corpo militare per piegare ogni resistenza dal basso: l’Eurogendfor, che condivide il carattere della sostanziale irresponsabilità.
Questo ordinamento del potere è stato così costruito mediante trattati e voti parlamentari senza resistenze e senza mobilitazioni da parte dei partiti popolari, dei sindacalisti, degli intellettuali, dei giuristi – con rare eccezioni solitamente bollate come populismi. E’ stata una rivoluzione senza precedenti nella storia del rapporto tra popolo e potere, nella condizione dell’uomo rispetto allo Stato o al Sovra-stato. Era la cosa più importante che stava avvenendo, doveva dominare il dibattito. Invece i principi fondamentali della civiltà giuridica sono stati dissolti come se niente fosse: i principi della democrazia, della elettività, della responsabilità per le proprie azioni, della controllabilità, dell’eguaglianza, della ricorribilità a un giudice indipendente – persino il principio del diritto scritto è abolito dal superiore diritto dei predetti organismi di decidere per i popoli senza verbalizzare i loro dibattiti e senza motivare le decisioni. Non lo credete? Andate a leggere i loro statuti.
Siamo di fronte a un cambiamento costituzionale pari per profondità a quelli con cui si instaurarono i grandi totalitarismi del secolo scorso. La tecnica è introdurre nuove norme oggi, che entreranno in vigore più avanti, a scadenza o in caso di emergenza, e solo allora colpiranno la gente, solo allora i mass media ne parleranno, solo allora ci si accorgerà che ci sono e che cosa comportano, solo allora si obietterà che sono illogiche, ingiuste, controproducenti, e la gente protesterà, e le si dirà: “sono regole, regole europee, vanno rispettate, è l’Europa che le ha volute”. E’ troppo tardi, ormai. Così è avvenuto con l’Euro e i suoi prevedibili e preveduti effetti. Così sta avvenendo con il bail-in, di cui ho parlato nell’articolo “Direttiva bail-in”, del 29.05.13. Uno strumento con cui si va a prendere direttamente il risparmio. Perché prima hanno svuotato con le frodi le banche e le grandi società e le hanno svendute; poi, col pretesto di colmare i buchi scavati con quelle frodi, hanno svuotato le casse pubbliche; poscia, col pretesto di risanare le casse pubbliche, hanno spremuto i redditi con le tasse; e ora non resta loro che saccheggiare il risparmio degli ex-cittadini tassando i patrimoni e le rendite non grandi (quelli grandi sono riparati off shore, fuori dalla portata del fisco) col pretesto di alleggerire la pressione fiscale sul lavoro. Inoltre, per saccheggiare il risparmio, decidono, a porte chiuse, di adottare il bail-in, e passano la velina ai parlamenti per l’esecuzione, e i parlamenti ottemperano, e i mass media tacciono, anche se è la cosa più importante che stia avvenendo in questi giorni, la cosa che può cambiare di più le altre cose.
La Rivoluzione francese, in era moderna, aveva portato la politica e i suoi processi decisionali nel dibattito pubblico aperto e aveva fissato ulteriori principi, come eguaglianza e libertà civili. Ora tutto quel lavoro viene disfatto usando come copertura l’ideale della unificazione europeista e la necessità di fronteggiare emergenze finanziarie create ad arte, e poi le emergenze sociali. I dibattiti che contano si fanno dietro porte chiuse. E persino ora che ciò è evidente e si può dire tranquillamente, persino ora che è chiaro che la priorità è sottrarsi immediatamente ai meccanismi della BCE, del MES, dell’Eurogendfor, della UE per salvare essenzialmente il diritto stesso e le libertà fondamentali – persino ora, non vi è dibattito su questo, la dialettica politica non affronta questo tema, si occupa di altro (Ruby maggiorenne o minorenne, Berlusconi eleggibile o ineleggibile, alleanza Pd-Pdl sì o no, nozze gay sì o no,  semipresidenzialismo sì o no), la gente si adatta passivamente, non si accorge… in fondo, ciò che essa vuole è ricevere rassicurazioni e promesse dopo le minacce e gli spaventi, per quanto risibili e puerili di fronte alla tragicità della situazione… rassicurazioni e promesse, in sostanza, che il suo tenor di vita in parte almeno continuerà o si potrà recuperare… non si leva a difendere i diritti politici, costituzionali… non ha imparato nulla dalle esperienze dei totalitarismi … è pronta a ricascarci… lo è sempre stata… ora come allora la porti dove vuoi… la plasmi come argilla sul disco del vasaio, basta farla girare, è infinitamente adattabile…
Ma tutto ciò semplicemente dimostra che la società degli uomini, nei suoi comportamenti e capacità reali, è una cosa molto, molto diversa, molto meno consapevole, intelligente, razionale di come la presuppongono quei perduti principi di democrazia e legalità, di ciò che il “popolo” dovrebbe essere per capire quei principi, per attuarli, per accorgersi di quando vengono soppressi, per difenderli. Le conoscenze e la consapevolezza e l’intelligenza dei singoli non si trasferisce all’insieme dei singoli, alla collettività, che agisce sempre in modo ottuso, strumentalizzabile e inefficace rispetto agli interessi collettivi.
E allora… ciò che avviene nei nostri tempi è l’adeguamento della struttura di potere e sfruttamento alla realtà degli uomini, di ciò che la società è. Non è lo smantellamento della civiltà e del diritto, ma è il naturale ritorno a ordinamenti totalitari nell’inevitabile tramonto di una finzione a cui ci eravamo molto affezionati. Anche intellettualmente.
30.05.13 Marco Della Luna

I media: sotto il tallone dei Banchieri Anarchici ?

Inchiesta

Tre gradi di separazionedi Giovanna Baer
Chi possiede o controlla, seduto nei Consigli di amministrazione, i principali quotidiani italiani? Inchiesta sulla longa manus della banche e dell’industria nella carta stampata
La teoria dei ‘sei gradi di separazione’ è un’ipotesi secondo cui qualunque persona può essere collegata a qualunque altro abitante del globo terrestre attraverso una catena di conoscenze con non più di cinque intermediari.
Proposta per la prima volta nel 1929 dallo scrittore ungherese Karinthy in un racconto breve intitolatoCatene, venne confermata nel 1967 dal sociologo americano Stanley Milgram e più tardi, nel 2001, da Duncan Watts della Columbia University. La ricerca di Watts, pubblicata su Science nel 2003, permise l’applicazione della teoria dei sei gradi di separazione anche in aree differenti, tra cui l’analisi delle reti informatiche ed elettriche, la trasmissione delle malattie, la teoria dei grafi, le telecomunicazioni e la progettazione della componentistica dei computer.
La nostra inchiesta vuole dimostrare che la legge di Watts non si applica alle relazioni fra le principali testate giornalistiche italiane e il capitalismo industriale-finanziario, o più precisamente che, analizzando i legami esistenti, andrebbe corretta al ribasso, in non più di tre gradi di separazione. Con quali effetti sulla libertà di informazione?
La cosiddetta linea editoriale è ciò che distingue in sostanza una testata giornalistica da un’altra. Rappresenta, diremmo in linguaggio aziendale, una sorta di missione strategica, l’ipotesi di fondo a partire dalla quale si scelgono e si analizzano le notizie. Dall’esistenza di linee editoriali diverse – il cosiddetto pluralismo informativo – dipende la qualità dell’informazione, perché il pluralismo garantisce al cittadino/lettore la possibilità di conoscere notizie differenti lette da punti di vista differenti. Non solo. Dal pluralismo informativo dipende anche la possibilità che uno Stato possa dirsi democratico, dal momento che un elettore adeguatamente informato è messo in condizione di esercitare un voto consapevole. Il caso opposto, quello cioè di una rappresentazione univoca della realtà socio-politico-economica di un Paese (pensiamo alla Pravda di staliniana memoria), impedisce la corretta formazione del consenso, e quindi il libero esplicarsi dei meccanismi democratici.
Ciò detto, dove si forma la linea editoriale di una testata?
Come suggerisce il termine, è espressione della visione dell’editore, e si forma nel luogo in cui questi (che è il proprietario del giornale) prende le sue decisioni strategiche. Nelle moderne società capitalistiche questo luogo è il Consiglio di amministrazione. Diamo quindi un’occhiata a chi siede nei Cda dei principali giornali italiani e valutiamo di quali tipi di interessi siano portatori, dal momento che sulla base degli interessi del Consiglio si forma la linea editoriale.


Partiamo dal più importante quotidiano a diffusione nazionale, il Corriere della Sera. Il suo editore è il gruppo RCS (Rizzoli Corriere della Sera), quotato in borsa. Il Corsera ha fama di essere il giornale super partes per definizione, quello che meglio rappresenta il tipo di linea editoriale tipico dell’informazione anglosassone (come si dice di solito, ‘all’americana’), per definizione indipendente da interessi particolari.
Ma, analizzando il suo Cda, più che super partes dovremmo definirlo inter partes: in esso siedono infatti John Elkann, presidente di Fiat e di Exor (la holding finanziaria della famiglia Agnelli); Franzo Grande Stevens, avvocato storico di casa Agnelli, ex vicepresidente Fiat e attualmente presidente della Fondazione San Paolo; Carlo Pesenti, consigliere di Italcementi, Unicredit, Italmobiliare e Mediobanca; Berardino Libonati, consigliere di Telecom Italia e Pirelli; Jonella Ligresti, consigliere di Fondiaria, Italmobiliare e Mediobanca; Diego Della Valle, consigliere di Tod’s, Marcolin e Generali Assicurazioni; Renato Pagliaro, consigliere di Telecom Italia, Pirelli e Mediobanca; Giuseppe Lucchini delle omonime acciaierie; Paolo Merloni, CEO (Chief Executive Officer, ossia amministratore delegato) di Merloni Finanziaria, gruppo Indesit Company; Enrico Salza, consigliere di Intesa San Paolo; Raffaele Agrusti, consigliere di Assicurazioni Generali; Roberto Bertazzoni, consigliere di Mediobanca; e Claudio De Conto, di Pirelli Real Estate.
Fra Corsera e Fiat, Pirelli, Telecom Italia, Mediobanca, Intesa, e tutte le altre aziende citate, ci sono zero gradi di separazione, cioè sono direttamente collegate fra loro. Grande finanza, banche, assicurazioni, automotive, telecomunicazioni, cementifici, acciaierie, pneumatici, immobili, moda, elettrodomestici: non c’è praticamente nessun settore del made in Italy che non possa dire la sua sui contenuti e sulla posizione del giornale. Viene da dire che in Italia essere indipendenti coincide col dipendere da tutti, nessuno escluso: la linea editoriale del Corrierone nazionale risentirà quindi delle esigenze e degli accordi reciproci fra le aziende che siedono in Consiglio: nessuna visione strategica a prescindere, e una pletora di manovre tattiche in risposta alle necessità del momento.
Meno compromessa, ma solo all’apparenza, La Repubblica, che fa parte del Gruppo l’Espresso di Carlo De Benedetti. Nel Cda de L’Espresso troviamo Sergio Erede, amministratore di Luxottica; Luca Paravicini Crespi, consigliere della Piaggio dei Colaninno (dove siede accanto a Vito Varvaro, il quale a sua volta è anche nel Cda della Tod’s di Diego Della Valle) e figlio di Giulia Maria Crespi, ex direttore editoriale del Corriere ed ex presidente del Fai; e Mario Greco, consigliere di Indesit Company (dove siede anche Emma Marcegaglia) e della Saras di Massimo Moratti (già rappresentato nel Cda del Corriere attraverso i consiglieri del gruppo Pirelli).
Massimo Moratti rappresenta inoltre il trait d’union fra il Gruppo L’Espresso e la famiglia Berlusconi, poiché siede, oltre che nel Cda della Saras, anche in quello della Pirelli, accanto a Carlo Secchi, ex rettore della Bocconi e amministratore Mediaset.
La famiglia Berlusconi controlla direttamente Il Giornale, edito dal gruppo Mondadori, mentre la famiglia Agnelli è proprietaria del quotidiano La Stampa di Torino.
Il Messaggero di Roma, il Mattino di Napoli, il Gazzettino di Venezia e il Nuovo Quotidiano di Puglia sono editi dalla Caltagirone Editore, di proprietà della famiglia Caltagirone (grandi opere, cementifici, immobili): fra gli altri, siedono nel Cda di Caltagirone Editore, Azzurra Caltagirone, moglie di Pier Ferdinando Casini, e Francesco Gaetano Caltagirone, consigliere di Monte dei Paschi e di Generali Assicurazioni.
Il Resto del Carlino di Bologna, la Nazione di Firenze e Il Giorno di Milano sono invece posseduti dalla Poligrafici Editoriale, collegata con due gradi di separazione a Telecom Italia, Generali Assicurazioni e Gemina (attraverso Massimo Paniccia e Aldo Minucci); e con tre gradi di separazione (attraverso Roberto Tunioli, Sergio Marchese e Giuseppe Lazzaroni), alla Premafin della famiglia Ligresti.
Infine una notazione quasi umoristica. Libero, l’aggressiva testata di destra e Il Riformista, quotidiano timidamente di sinistra, hanno lo stesso editore (e quindi zero gradi di separazione!): Giampaolo Angelucci, proprietario di un impero fatto di cliniche e strutture sanitarie (fra cui l’ospedale S. Raffaele di Roma), e messo agli arresti domiciliari il 9 febbraio dello scorso anno per falso e truffa ai danni delle Asl.
La situazione non migliora, anzi se possibile peggiora, quando si analizzano i quotidiani finanziari. Il Sole 24 Ore, come è noto, è appannaggio dell’universo Confindustria, quindi diretta espressione dei desiderata dei principali gruppi industriali del Paese. Nel suo Cda siedono, fra gli altri, Giancarlo Cerutti, consigliere di amministrazione di Saras; Luigi Abete, presidente di Bnl (gruppo Paribas), fratello di Giancarlo Abete (presidente della Figc) e consigliere anche della Tod’s di Diego Della Valle; e Antonio Favrin, collega di Cda, in Safilo Group, di Ennio Doris, che siede in Mediolanum della famiglia Berlusconi e in Mediobanca.
A proposito dei legami fra industria, editoria e sport, è interessante notare come quattro delle principali squadre di calcio italiane appartengono a gruppi industriali che possiedono, o amministrano più o meno direttamente, almeno un quotidiano generalista: la Juventus degli Agnelli (che influenzano la Stampa e il Corriere), il Milan di Berlusconi (Il Giornale), la Fiorentina dei fratelli Della Valle (il Corriere), e infine l’Inter di Massimo Moratti (il Corriere e La Repubblica).
Milano Finanza e Italia Oggi, quotidiani economici molto conosciuti fra gli addetti ai lavori, sono invece editi dalla Class dei fratelli Panerai, e nel Cda del gruppo “leader nell’informazione finanziaria, nel lifestyle e nei luxury good products” (come si autodefinisce), siedono Maurizio Carfagna, consigliere di Mediolanum, e Victor Uckmar, il più celebre fiscalista italiano, i cui servigi sono stati richiesti in passato da ogni possibile gruppo industriale, e che oggi è amministratore della Tiscali di Renato Soru.
Non sorprende quindi che gli analisti finanziari italiani lamentino l’impossibilità di rintracciare informazioni equilibrate sulla base delle quali valutare i bilanci delle società, o che scandali come quello della Cirio o della Parmalat siano stati tenuti nascosti finché non è stato ‘troppo tardi’ perché i piccoli investitori (ma non le grandi banche!) potessero rendersi conto della reale situazione.
E qui è necessario notare un dettaglio sconcertante. Tiscali è l’editore de L’Unità – il quotidiano del principale partito ‘di sinistra’ del Paese, il Pd – che risulta pertanto a un solo grado di separazione da Milano Finanza e Capital (attraverso Uckmar); e a due gradi di separazione (lo stesso Uckmar e Carfagna), dalla Mediolanum di Berlusconi.
Esiste poi un Consiglio di amministrazione dove tutti i gruppi industriali e bancari citati, a eccezione della famiglia De Benedetti, si incontrano, ed è quello di Mediobanca, ai tempi di Enrico Cuccia – suo fondatore – il ‘salotto buono’ della grande finanza, quella che dirigeva i destini dell’economia italiana sulla base di un preciso progetto strategico (più o meno condivisibile, per carità, ma almeno un progetto c’era), e ora trasformato in enclave di ogni possibile mediazione.
Nessuno stupore che l’economia italiana navighi, per la verità a ritmi piuttosto bassi, alla deriva, priva com’è di un timoniere (una volta questo era il ruolo dei politici), in grado di darle una rotta qualsiasi.
E ora tiriamo le somme: se sei sono i gradi di separazione fra due entità qualsiasi prese a caso, è evidente che tre, due, uno, o nessun grado di separazione non rappresentano un legame casuale. Esiste quindi la precisa volontà da parte di industria e finanza di controllare le notizie. Prova ne sia l’ostinazione con cui tanti imprenditori e manager italiani (un esempio per tutti – senza scomodare Silvio Berlusconi – è Diego Della Valle, che si è sottoposto ad anni di paziente anticamera pur di essere ammesso al Cda del Corsera), cercano di forzare la porta dei circuiti informativi.
Ovviamente non è prudente che il legame sia sempre diretto, perché una situazione di controllo trasparente potrebbe far nascere qualche lecito dubbio nella mente dei cittadini lettori/elettori sull’attendibilità di quel che apprendono nella lettura dei quotidiani o addirittura potrebbe obbligare i direttori e le redazioni dei grandi giornali a fare i conti con il loro ruolo di utili idioti (ovviamente in buona fede, non ne abbiano a male per la definizione).
Divengono quindi necessari degli ‘intermediari’ che intorbidino le acque nascondendo gli interessi reali, e che nello stesso tempo costituiscano il trait d’union fra quelli che devono apparire come opposti estremismi.
Il profilo tipico di questa figura essenziale è quello del ‘tecnico’: avvocato, consulente, commercialista, revisore, sempre al corrente dei panni sporchi di famiglia (di più famiglie), al contempo confessore e uomo di fiducia, vincolato, più o meno direttamente, al segreto professionale.
Come Berardino Libonati (classe 1934), titolare dello studio legale Jaeger-Libonati e ordinario di diritto commerciale all’Università La Sapienza di Roma, che ha ricoperto la carica di presidente del Cda del Banco di Sicilia dal 1994 al 1997; dal 1998 al 1999 e stato presidente di Telecom Italia e di Tim; ha fatto parte del collegio sindacale di Eni dal 1992 al 1995; dal 2003 al 2007 è stato membro del Cda della Nomisma di Romano Prodi; dal 2001 al 2007 è stato consigliere di amministrazione di Mediobanca; è stato presidente del Cda di Alitalia dal febbraio al luglio 2007, e presidente del Cda di Banca di Roma dal 2002 al 2007. Attualmente, oltre a far parte dei Cda di Pirelli, Telecom e RCS, è vicepresidente del gruppo Unicredit. Nel suo curriculum vitae pubblicato sul sito di Pirelli, in una nota particolarmente umoristica, si legge che “è in possesso dei requisiti contemplati dal codice di autodisciplina delle società quotate per essere qualificato come indipendente”.
Un altro ‘super tecnico’ è Mario Greco (classe 1957), consigliere del gruppo l’Espresso, di Saras, di Indesit Company, di Fastweb e di Banca Fideuram, laureato con lode in economia all’Università di Roma. Partner fino al 1994 di McKinsey&Company, la più importante società mondiale di consulenza strategica, è stato amministratore delegato e CEO di Ras dal 1998 fino al 2005.
Poi c’è Carlo Secchi (classe 1944), professore ordinario di Politica economica europea all’Università Commerciale Luigi Bocconi (è stato il diciassettesimo rettore della stessa università dal 2000 al 2004), attualmente nel Consiglio di amministrazione di cinque aziende quotate in borsa: Pirelli, Italcementi, Mediaset, Allianz-Ras e Parmalat, nonché di Fondazione Teatro alla Scala, TEM Tangenziali Esterne di Milano, Milano Serravalle, La Centrale Sviluppo del Mediterraneo, Premuda, e futuro consigliere della società che dovrà organizzare l’Expo 2015 a Milano.
Uomini potenti perché – loro sì – informati, ma nello stesso tempo condannati a servire il sistema, indispensabili ma sostituibili, schiavi delle beghe piccole e grandi e dei capricci degli imprenditori di cui sono al soldo, con la loro indubbia statura professionale che basta a stento a ritoccare la facciata.
Quali sono gli effetti di questa tragica analisi sulla libertà di informazione?
7 aprile 2010. Poco prima delle 10.30 decolla dall’aerodromo militare di Payerne il primo aereo alimentato esclusivamente a energia solare. Si chiama Solar Impulse e ha sorvolato per due ore la Svizzera occidentale. L’aereo è stato progettato per volare giorno e notte senza produrre alcuna emissione. Sulle ali del Solar Impulse, costruito in fibra di carbonio, sono installate 12mila cellule fotovoltaiche. L’aereo è a elica ed è spinto da quattro motori elettrici.
Il velivolo, per la cui costruzione sono stati impiegati sei anni, è il prototipo di un aeroplano che secondo i programmi compirà il giro del mondo senza carburante nel 2012. Si tratta di un aereo dalle vaste dimensioni, ha infatti l’apertura alare di un Airbus A340, ma il suo peso è equivalente a quello di un’auto di medie dimensioni.
In un periodo in cui il prezzo del petrolio è in brusca risalita e il tema della sostenibilità ambientale sempre più trattato, ci si immagina che questa notizia debba ricevere gli onori della cronaca e che venga salutata con entusiasmo. Invece no, in Italia nemmeno una parola, né in televisione né sui giornali, con l’eccezione di un articoletto sul Sole 24 Ore pubblicato sull’inserto online Nuove energie e di un pezzo su L’Osservatore Romano. Forse perché l’opinione pubblica rimanga convinta dell’insostituibilità dell’oro nero?
Quante altre notizie non vengono date? Non possiamo saperlo, ma siamo ragionevolmente certi che le notizie pubblicate sono quelle che non infastidiscono nessuno. Cronaca nera, pettegolezzi politici e non, pochissimo approfondimento e quasi nessuna inchiesta, notizie dall’estero estremamente limitate, e solo quando non se ne può fare a meno: guerre, tsunami, terremoti. Anche la lotta tutta nostrana fra chi è pro e chi contro Berlusconi, fra il partito dell’odio e quello dell’amore, o la querelle fra Stato confessionale e Stato laico, sono comode cortine di fumo per non parlare di altro: la crisi economica, la responsabilità delle banche nel suo perdurare, la grande impresa che non sa che fare.
Emma Marcegaglia chiede al governo, nel corso del convegno degli industriali del 10 aprile 2010, di impegnarsi entro due mesi per un investimento di almeno 1 miliardo di euro su ricerca e innovazione e di circa 1-1,5 miliardi sulle opere infrastrutturali. Ma con i soldi di chi? E tagliando quali costi? E cosa ci darebbe in cambio la grande industria? Emma non lo dice, nessuno glielo chiede. Intrallazzi fra pubblico e privato costantemente oscurati, miliardi che corrono ma nessuno lo sa, accordi sottobanco con la criminalità organizzata, servizi segreti a disposizione di interessi privati: verità solo annusate che è impossibile addentare, mentre leggiamo di pedofilia vaticana, di un federalismo misterioso, dell’ennesima esternazione di un premier che ormai ha superato i confini del bene e del male e della morte prematura di un Presidente polacco. È proprio il caso di dirlo: beata ignoranza!