giovedì 12 gennaio 2017
Al via la commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche
Mentre si attende che il ministero del Tesoro salvi Mps con una manciata (oltre 6) di miliardi freschi, è stata salutata con consenso ecumenico la notizia della commissione d’inchiesta parlamentare sul sistema bancario. Una trattativa segreta tra Pd e Forza Italia e, alla fine, è saltato fuori dal cilindro l’ok generale. «Ma rischia di essere inutile», dice Giulio Marcon deputato di Sinistra italiana e componente della Commissione Bilancio della Camera. Sì, è vero, la proposta di legge arriverà al Senato a fine mese, ma a che cosa servirà? È un po’ come chiudere la stalla quando i buoi sono scappati. «Si arriva alla mozione di istituire una commissione d’inchiesta con grande ritardo, eppure i problemi delle banche, e non solo del Monte dei Paschi, erano noti da tempo. Ora, essendo alla fine della legislatura, non so con quali tempi verrà fatta, ma sicuramente non ci sarà il tempo materiale per produrre dei risultati entro il termine di questa legislatura». Una commissione d’inchiesta su un tema così delicato e complesso – e con le sue ramificazioni tentacolari, nella classe politica – potrebbe richiedere infatti molto tempo. «È comunque un’occasione persa, perché si arriva tardi e con troppa lentezza. E poi c’è da evidenziare la genericità dei compiti di questa commissione. Dire che si deve occupare di tutto il sistema bancario significa fare un lavoro enorme, senza andare a vedere subito l’obiettivo e cioè analizzare i comportamenti di quelle banche che adesso sono sotto esame dell’opinione pubblica e della commissione europea». Marcon si riferisce a Mps, le due banche venete (Veneto banca e Popolare Vicenza) e le quattro oggetto del decreti salva banche del governo Renzi (CariFerrara, Etruria, Banca delle Marche e CariChieti). Sinistra Italiana ha presentato una mozione in cui si chiede proprio questo, che si restringa il campo di azione alle banche nell’occhio del ciclone con un lavoro più specifico.
Un altro aspetto della vicenda riguarda i debitori di Mps, cioè quei gruppi o imprenditori che avevano ricevuto dei prestiti nel corso degli anni e che non li hanno mai restituiti. Lo stesso presidente dell’Abi Antonio Patuelli aveva lanciato un appello perché almeno i nomi dei primi cento debitori si rendessero noti. Intanto i media hanno già pubblicato alcuni nomi di imprenditori, immobiliaristi, grandi gruppi industriali, cooperative che sono esposti dal punto di vista creditizio. È tutto da dimostrare in che termini, ma intanto la domanda è: c’è stato un atteggiamento un po’ troppo “leggero” da pare dei vertici bancari nel concedere i prestiti? Tra l’altro Mps con i suoi 27 miliardi di euro di crediti deteriorati (gli Npl, non performing loans) è solo la punta dell’iceberg. Nel 2016 secondo i dati della Banca d’Italia le sofferenze bancarie lorde sono aumentate: 199 miliardi di euro contro i 198 del 2015.
Come si è arrivati a questo punto? Giulio Marcon fa risalire tutto alla legge Amato del 1990 che sancì la privatizzazione degli istituti di credito. «Si voleva sottrarre il sistema bancario dalla influenza della politica, ma in realtà ci ritroviamo un sistema bancario privatizzato che continua ad essere un crogiuolo che vede dentro sia una parte del sistema industriale che una parte del sistema politico. Se l’inchiesta si farà, spero che si metta in evidenza quello che è sotto gli occhi di tutti, e cioè che nel caso di alcune banche, alcune operazioni – investimenti o acquisizioni che sono stati fatti, per esempio nel processo di allargamento – o sono sono state veicolate da una parte del sistema politico o comunque fortemente condizionato o con interessi evidenti, nel caso del Mps, da parte di potentati locali». Quindi la politica che si voleva far uscire dalla porta rientra dalla finestra. Ora, con la commissione d’inchiesta, sta alla stessa politica riuscire ad analizzare un “groviglio armonioso” – questa era la definizione sull’intreccio Mps-politica-Siena – in cui, appunto, la politica stessa c’è dentro fino al collo. Inutile dire che occorrerà davvero una visione “laica” e soprattutto oggettiva del problema.
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