martedì 25 novembre 2014

La cultura in banca favorisce la disonestà

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Scienza

La cultura in banca favorisce la disonestà

Secondo uno studio, chi lavora in un'azienda di credito è onesto come le altre persone. Ma non appena riflette sulla sua professione comincia a imbrogliare

L’onestà è una dote individuale? O ci sono professioni e ambienti che portano anche le persone oneste a comportarsi in modo scorretto? Uno studio che ha coinvolto un gruppo di impiegati di banca sembra dare ragione alla seconda ipotesi. Anche se normalmente i bancari sono tanto onesti quanto le altre persone, nel momento in cui sono portati a riflettere sul loro ruolo, imbrogliano un po’ di più. Come se scattasse la consapevolezza di appartenere a un ambiente che in qualche modo legittima la disonestà.
Che il mondo delle banche e della finanza sia fatto per approfittare della gente è un pensiero tanto diffuso da risultare quasi un luogo comune. È anche l’opinione comune di molti esperti che la cultura oggi prevalente in quegli ambienti induca i singoli lavoratori a mettere in secondo piano le regole della correttezza, ma prima di questo studio non c’erano prove “empiriche” che davvero questo accada nella realtà.
 Per condurre il singolare esperimento descritto sulla rivista Nature, tre ricercatori del dipartimento di economia dell’Università di Zurigo hanno reclutato 128 impiegati di un grande gruppo bancario internazionale e li hanno divisi in due gruppi. I lavoratori di entrambi i gruppi sono stati sottoposti al compito di lanciare dieci volte una moneta sapendo in anticipo quando il risultato testa o croce avrebbe fatto vincere venti dollari. È stato poi chiesto loro di comunicare i risultati per riscuotere la vincita. Prima di eseguire i lanci, i membri di uno dei due gruppi erano stati sottoposti a un questionario con domande generiche sulla loro vita, del tipo “quante ore hai guardato la televisione la settimana scorsa?”. Gli impiegati nell’altro gruppo avevano invece risposto a domande legate direttamente alla loro figura professionale, come “che ruolo ricopri nella tua banca?”.
Questo genere di domande è fatto apposta per stimolare una riflessione sulla identità professionale prima di eseguire il compito. Un approccio ispirato dalla teoria secondo la quale, come individui, abbiamo multiple identità sociali - basate sul sesso, l’origine etnica, la professione – ciascuna associata con norme che dettano i comportamenti ammissibili. Se è vero che la cultura delle banche favorisce la disonestà allora, nel momento in cui diventa predominante l’identità della professione di bancario, una persona dovrebbe comportarsi in modo disonesto. Anche se può apparire incredibile, questo è proprio quello che è accaduto nell’esperimento: mentre gli impiegati cui sono state fatte le domande generiche si sono comportati come la media delle persone, riportando in maniera onesta i risultati del lancio di monete, quelli del gruppo che aveva riflettuto su se stesso come impiegato di banca hanno imbrogliato più spesso, riportando un numero di lanci vincenti superiore a quello atteso: quasi il 60 per cento di risultati vincenti, che è ben al di sopra del 50 per cento ottenibile per caso. La percentuale di impiegati che ha imbrogliato è stata del 26 per cento, in pratica uno su quattro, e quella di risultati non riportati in modo veritiero del 16 per cento.

Tutti gli scandali degli ultimi anni hanno contribuito alla cattiva reputazione del settore finanziario, ma per gli specialisti che studiano l’argomento non è ben chiaro se la presunta disonestà derivi da un effetto di selezione, vale a dire dal fatto che un ambiente come quello delle banche finisce per attrarre persone meno oneste in partenza, oppure dagli incentivi, e cioè che sia la cultura tipica del mondo degli affari a indebolire le norme morali di persone che normalmente sarebbero oneste. Lo studio sembra dare ragione proprio a questa seconda ipotesi. L’aumentata disonestà degli impiegati di banca sembrerebbe indotta dalla cultura specifica del settore bancario. Si tratta, secondo Marie Claire Villeval, economista dell’Università di Lione che ha scritto un commento allo studio, non tanto di regole o incentivi di una singola impresa, ma di un insieme complesso di “norme, valori, visioni, aspettative e abitudini”. Perché la società riacquisti fiducia nelle banche, secondo gli autori dello studio, è necessario che diventi dominante in quegli ambienti una cultura che premia e valorizza l’onestà, a partire magari dall’equivalente “bancario” del giuramento di Ippocrate per i medici.

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