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giovedì 24 marzo 2016 - 17:30
Risolte le principali questioni bancarie
La banca al centro del villaggio
Alleggerite le sofferenze, torna l'anatocismo
Le banche sono da sempre interlocutori di
pregio per ogni governo. In Italia, con il massiccio acquisto di titoli
del debito pubblico, ne sono divenute l’azionista di maggioranza. Leggere di fila l’elenco
che ha recentemente pubblicato l’Adusbef sui provvedimenti emessi a
loro favore negli ultimi due anni, non dà adito a una reale
comprensione. Lascia semplicemente di stucco. I diciotto anni previsti
per la defiscalizzazione delle perdite erano troppi? Sono stati ridotti a
un anno. I crediti deteriorati presenti nei loro bilanci erano
difficili da smaltire senza il ricorso a una bad bank? Viene concordata
con Bruxelles un’assicurazione di Stato per dare ‘il calcio d’inizio’ al
mercato delle cartolarizzazioni. I tempi delle esecuzioni immobiliari
sono troppo lunghi? Ancora pochi giorni e ci sarà il via libera al
patto marciano, per vendere il bene posto in garanzia di un credito
senza passare dal tribunale. Per non parlare della rivoluzione sui
salvataggi delle banche in difficoltà a carico di obbligazionisti e
correntisti, giunta dall’Europa sotto forma di fulmine a ciel sereno,
dopo che per mesi gli italiani invece di cercare nei motori di
ricerca, lumi sulle imminenti procedure di ‘bail-in’, hanno continuato a
baloccarsi con ‘la farfallina di Belen’. Del bisticcio
linguistico se ne ha contezza solo quando, in un weekend dello scorso
autunno inoltrato, circa 130.000 risparmiatori di quattro banche
medio-piccole dell’Italia centrale, vengono espropriati di oltre 800
milioni di euro, con un blitz del governo,
che dà il via libera all’azione di ‘burden sharing’, prevista già un
anno prima dell’entrata in vigore della direttiva europea di risoluzione
bancaria il 1° gennaio 2016. In realtà è proprio questa direttiva
approvata a Bruxelles due anni fa da tutti i capi di governo -per
l’Italia era in carica Renzi già da tre mesi- a scatenare la ricerca di
ogni misura possibile per scongiurare l’impatto più disastroso sul
sistema bancario italiano, gravato nel frattempo da circa 350 miliardi
di crediti incagliati, pari a un quarto degli impieghi totali. Al
simpatico senatore Elio Lannutti, da anni in prima
linea con l’Adusbef in difesa dei consumatori dagli abusi dei soggetti
finanziari, ci permettiamo di segnalare a tal proposito anche un altro
provvedimento di favore, sfuggitogli nel computo del decalogo. Il 10
agosto 2015 una circolare di Banca d’Italia,
nelle more delle procedure concorsuali, ha autorizzato le banche ad
accantonare una parte dei prestiti in difficoltà col rimborso, nella
categoria delle ‘inadempienze probabili’, invece di quella più
penalizzante delle ‘sofferenze’. Un cuscinetto extra che mette
al riparo da altre dolorose raccolte di capitale, che ormai si
susseguono senza sosta da qualche anno, gettando nello sconforto gli
azionisti e deprimendo i corsi azionari dei titoli bancari. Raggiunto al telefono dall’Indro, il senatore Lannutti fa subito faville: “Se
mettono la fiducia al decreto banche, daremo battaglia con l’avvocato
Tanza in tutti i tribunali d’Italia. Altro che fine del contenzioso
bancario”. Il senatore ce l’ha con l’ultimo assist appena fornito ai banchieri, mediante il ddl n. 3606, che convertirà in legge entro metà aprile il decreto governativo n.18 del 14 febbraio 2016. Nel cosiddetto ‘decreto banche’,
messo a punto con urgenza un mese fa dal Governo, per dare il via alle
garanzia di Stato sul mercato dei crediti incagliati e per riorganizzare
le oltre 350 banche del Credito Cooperativo in un’unica holding, la
norma per definire la questione dell’anatocismo non c’era. Con
l’emendamento 17 bis, inizialmente firmato dall’onorevole Sergio Boccadutri, ex di Sel passato al Pd e poi riformulato dall’onorevole Giovanni Sanga del Pd, si riapre la partita molto combattuta sulla modalità di calcolo degli interessi bancari. “Questo è più di un regalo alle banche, è una vera truffa”
si scalda Lannutti, al quale va senz’altro dato il merito di aver
sempre mantenuto alta l’attenzione sulle magagne bancarie e in special
modo sulla questione dell’anatocismo, appena riproposta. Una pratica oscura e nemmeno troppo semplice da spiegare, che però è oggetto di un’accanita disputa giudiziaria da oltre 16 anni.
Ne forniamo uno specchietto con tutte le principali sentenze e gli
interventi legislativi, favorevoli e di segno opposto, giusto per dare
l’idea di quanto scompiglio abbia potuto creare semplicemente una
modalità di calcolo.
“Questa è un’operazione che raccoglie molto del dibattito di questi
anni e interviene concretamente sul problema. E’ stato fatto un grosso
passo avanti” canta vittoria l’onorevole Sanga, ultimo relatore dell’emendamento, “abbiamo fatto l’interesse non delle banche, ma del contribuente”.
Su quest’ultima dichiarazione, crediamo che l’onorevole alludesse
all’interesse del ‘correntista’, ma parlare di interesse del
‘contribuente’ rimane comunque un bel lapsus, che svela quanto la
questione bancaria e quella del debito pubblico, siano profondamente
legate. L’impianto dell’articolo 17 bis in questione è molto simile a
quello comparso a fine agosto scorso in una bozza di delibera del CICR,
messa dalla Banca d’Italia in consultazione pubblica fino al 23
ottobre, di cui poi si sono perse le tracce. Tale delibera era attesa da
più di un anno e mezzo, quando il governo Letta a fine 2013 aveva
demandato proprio al Comitato Interministeriale per il Credito e il
Risparmio di fissare le modalità di calcolo degli interessi nei rapporti
finanziari, ferme restando due condizioni: a) un’identica periodicità
di conteggio tra interessi a debito e quelli a credito b) il divieto del
ricorso alla capitalizzazione composta, cioè una modalità di calcolo
che consente di applicare interessi anche sull’eventuale quota di vecchi
interessi non ancora corrisposti. Insomma un addio definitivo
all’anatocismo, che lasciava comunque aperta la questione di come
procedere al computo degli interessi. Intanto il 2015, secondo quanto ha riportato un articolo di Sandra Riccio su ‘La Stampa’, no agli interessi sugli interessi,
si rivela un altro anno nero per le banche in tribunale, in cui
fioccano parecchie condanne, per la prassi di applicare i nuovi
interessi non solo sui capitali impiegati ma anche sugli interessi
scaduti, sebbene una legge dello Stato (dl 147/2013)
l’avesse espressamente vietata e nonostante il CICR non si fosse ancora
pronunciato. Il colpevole ritardo del Comitato composto dai ministri di
Economia, Sviluppo economico, Affari europei e Agricoltura finisce per
far ottenere anche qualche sentenza favorevole alle banche, come quelle
di Torino e di Parma, ricordate l’altro giorno dall’onorevole Boccadutri su ‘l’Unità‘,
ma senza una parola chiara, si rischia comunque una china molto
scivolosa per gli istituti, simile a quella del 1999, che portò l’allora
governo D’Alema a modificare il Testo Unico Bancario del 1993, per consentire, attraverso una circolare del CICR
del febbraio successivo, una pattuizione tra le parti della periodicità
di capitalizzazione degli interessi a condizione, anche in quel caso,
che fosse garantita una reciprocità tra interessi attivi e passivi.
Un’approccio contrattualistico che lascerà molte falle aperte al
contenzioso bancario degli anni successivi e che certamente non poteva
sanare tutte le vicende aperte prima dell’entrata in vigore della
delibera, come ebbe modo di specificare solo qualche mese dopo la Corte
Costituzionale con la sentenza n. 425.
Già allora, insomma, l’intervento del Governo apriva una finestra di
opportunità per impostare i nuovi rapporti bancari in concomitanza alla
nascita dell’Euro, ma non poteva mettere al riparo le banche che negli
anni precedenti avevano adottato una capitalizzazione composta
trimestrale a tutto spiano, senza un’autorizzazione scritta di ambo le
parti. Proseguendo il filone avviato nel 1999, ci pensa infatti la Corte
di Cassazione, prima nel 2002 con la sentenza n.14091 e poi nel 2004
con la sentenza n.21095
a ribadire la linea di condanna della capitalizzazione trimestrale
degli interessi, in violazione dell’articolo 1283 del codice civile e a
rendere nulla la clausola della delibera del CICR, che la sosteneva in
via pattizia. E nel 2010 la Suprema Corte stabilisce anche un altro principio,
fissando i tempi di decorrenza della prescrizione dal giorno della
chiusura del conto corrente e stabilendo l’irrilevanza dell’intervenuta
nuova configurazione dei rapporti deliberata dal CICR nel 2000. Per il contenzioso bancario, quell’anno, si apre un’autostrada.
Perfino gli imprenditori falliti molti anni prima si fanno coraggio e
danno mandato ai propri curatori di avviare azioni contro le banche,
pretendendo la restituzione di interessi non dovuti. Stavolta tocca a Giulio Tremonti, ministro dell’economia del IV governo Berlusconi, correre ai ripari, infilando nel Milleproroghe di quello stesso anno
il comma 61 dell’articolo 2, che impone il calcolo della prescrizione a
partire dal giorno di annotazione degli interessi illegittimi. Un freno
a mano che la Corte Costituzionale toglie nel 2012, consentendo alla
‘formula uno’ del credito di salutare la bandiera a scacchi sventolata
dal Governo Letta a fine 2013. Negli anni successivi come abbiamo visto
si tergiversa parecchio. Per gli imprenditori che hanno saputo sfruttare
l’empasse è possibile chiudere ottime mediazioni, poiché le banche
ormai cominciano ad accordarsi in via extragiudiziale, pur di salvare il
salvabile. Dall’Europa arriva un misto di curiosità e disappunto per l’anomalia italiana. La Corte di Giustizia rilascia due importanti decisioni. La prima di luglio 2015
stabilisce (art. 21) che spetti al legislatore nazionale decidere come
regolarsi sulla modalità di calcolo degli interessi, non ravvisando
alcuna disposizione vigente a livello comunitario, che obblighi al
ricorso alla capitalizzazione composta. La seconda di settembre 2015
respinge il ricorso di una municipalizzata lombarda, condannandola a
pagare gli interessi capitalizzati su una cartella esattoriale inevasa
da sei anni, poiché al momento della sanzione amministrativa, nel 2009,
il divieto anatocistico non era stato ancora legiferato. E torniamo dopo questo breve excursus all’ultimo autunno.
La Banca d’Italia mette in consultazione pubblica la bozza di delibera
del CICR, per decidere come si debbano calcolare questi benedetti
interessi bancari. L’articolato riprende la solita impostazione della
reciprocità di calcolo, introducendo la possibilità dopo un anno e due
mesi, di autorizzare l’addebito degli interessi passivi non corrisposti,
nella sorte di capitale da restituire. In pratica una riproposizione
dell’anatocismo, stavolta su base annuale. Gli osservatori più acuti
subito sottolineano, che come già accaduto nel 2000, la delibera certo
non potrebbe sanare i contenziosi antecedenti, aperti a partire dal 1°
gennaio 2014 e suggeriscono, talora sommessamente, al Governatore di
Bankitalia Ignazio Visco, che la soluzione lascerebbe aperte parecchie falle anche a futuri ricorsi. C’è anche chi, come l’onorevole Francesco Boccia,
autore del famoso articolo 629 del dl 147/2013, sempre costruttivo,
suggerisce in una lettera pubblica, che gli interessi maturati dopo un
anno vengano contabilizzati su un conto separato, in modo da non
produrre ulteriori interessi. Ma della bozza si perdono le tracce. Fino a
qualche giorno fa, quando improvvisamente giunge l’annuncio trionfale
del Pd, «Abbiamo risolto il problema dell’anatocismo», inizialmente
salutato persino con favore da tutte le associazioni di consumatori.
Nell’articolo infilato in fase di conversione del decreto banche,
presentato un mese fa dal Governo, ricompare però, proprio l’impianto
della bozza del CICR di cui abbiamo appena parlato. La sensazione, ci riporta una fonte che si occupa di questa materia sul campo, è che si cominci un altro giro di giostra. Il
contenzioso certamente non sparirà dalle aule di tribunale, come è
stato auspicato, ma la nuova regolamentazione comunque difettosa,
consentirà di gestire ‘statisticamente’ i ricorsi, di una materia molto
complessa, sulla quale almeno per il momento, limitandosi a una
capitalizzazione annuale, si è deciso se non altro di allentare la
stretta.
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