Capitolo
10 - Il clown-attivista Jacopo Fo
"...Basta
essere abbastanza grossi e potenti per non doversi preoccupare delle
leggi. In questo caso d'altronde, non si tratta nemmeno di leggi ma
di accordi sottoscritti fra Stati all'insaputa della cittadinanza. Il
bello è che si chiamano "accordi" anche se quasi sempre la
gente è contraria. Perciò i negoziati di questi accordi sono
segreti, perché finiscono con l'accrescere diritti e privilegi per
gli investitori, ledendo direttamente la sovranità popolare e la
democrazia."
da: Noam Chomsky, "Due ore di lucidità", Baldini &
Castoldi, 2003.
Ho
deciso di dedicare questo decimo capitolo a Jacopo. A proposito di
decimo: mi viene in mente quando lessi per la prima volta: X-MAS.
Dato che nell'infanzia avevo avuto delle baby-sitter americane, ero
convinto che x-mas volesse dire: Christmas (Natale). A trentacinque
anni suonati, trovai un'altra interpretazione: decima MAS (Memento
Audere Semper, il motto che le aveva dato D'Annunzio). Un corpo
speciale che, d'accordo coi Partigiani, avrebbe liberato l'Italia
dagli stranieri (tedeschi ed americani). Qualcosa andò storto, la
mafia venne ricattata e... venimmo "liberati". Anche i
tedeschi tornarono a frotte, soprattutto sulla riviera adriatica,
Rimini e dintorni, pertanto il tutto non è molto chiaro. In cambio
del salvataggio dell'intellighenzia fascista-nazista, vennero fatti
accordi segreti bilaterali che prevedevano tra l'altro le basi
nucleari sul nostro territorio. Un'altra parte degli accordi
prevedeva che alcuni "mafiosi" avrebbero goduto per sempre
dell'impunità. Ma torniamo ad Jacopo: preferisco lasciargli la
parola per raccontarsi come meglio saprà fare lui. Quanto segue, il
resto del capitolo, è, quindi, farina del suo sacco.
IO
TERRORISTA
Nel
1973 ci fu il congresso del Gruppo Gramsci, la nostra potente
organizzazione, che contava circa 300 militanti in tutta Italia. In
questo grande convegno decidemmo di scioglierci. Avevamo capito che i
tempi storici erano lunghi, il comunismo non sarebbe arrivato di lì
a poco e un partitino rivoluzionario non sarebbe servito a niente.
Disperdetevi per il mondo e fate qualcosa di utile! Praticamente
avevamo preso una decisione di un'intelligenza mostruosa che
precedeva di tre anni lo scioglimento di Lotta Continua e di quattro
la fine della fase di "piazza" del Movimento. Il dramma fu
che la relazione con la quale Nanni Arrighi concluse la nostra storia
politica era troppo intelligente perché la capissimo. Quindi,
sciolto il Gruppo Gramsci, la maggioranza dei capi e dei militanti
continuò a fare quel che aveva sempre fatto. E visto che Nanni
Arrighi ci aveva spiegato che i tempi non erano maturi, decidemmo di
farli maturare noi con un po' di bottiglie molotov. Questo passaggio
fu aiutato da un qui pro quo linguistico di proporzioni bibliche. I
nostri programmi parlavano di "autonomia operaia". Anche i
testi di Potere Operaio parlavano di "autonomia operaia", e
anche loro si erano sciolti come organizzazione. Poco importava se
con quelle due parole "autonomia operaia" intendessimo
concetti completamente diversi. Nessuno si preoccupò del fatto che
noi, che eravamo mezzi hippie, ci fossimo sciolti per darci a piccole
iniziative locali mentre loro si erano sciolti per darsi alla lotta
armata. Certamente pensate che io stia esagerando. Invece andò
proprio così. Noi non sapevamo cosa fare e restammo affascinati
dalla semplicità dei loro propositi: fare un gran casino. Si
discusse della situazione politica, della necessità di difendere il
movimento, di superare gli schemi organizzativi dei vecchi servizi
d'ordine. Così, a 18 anni, mi ritrovai a essere il "commissario
politico" della struttura militare degli studenti delle scuole
medie superiori ("i medi"). Il responsabile militare era un
gigante ex Potere Operaio. A puro scopo teorico iniziammo a studiare
da terroristi. Si trattava di apprendere "nuove modalità di
comportamento" in vista di un attacco repressivo. In effetti la
polizia aveva nuovamente cambiato tecnica di combattimento.
Indossavano una tenuta da battaglia più leggera, stavano adottando
nuove autoblindo "da città" che resistevano al fuoco delle
bottiglie molotov e usavano tattiche più moderne di quelle della
fanteria egiziana del V° secolo Avanti Cristo. Noi cominciammo ad
andare ai cortei vestiti bene, in giacca e cravatta. Capelli corti,
barba appena fatta. Invece di stare in cordone stavamo "sciolti",
sui lati, così se c'erano casini eravamo più rapidi a piombare come
falchi. Usavamo bottiglie molotov ultramoderne (dette "chimiche",
perché grazie a un innesco chimico si accendevano da sole
rompendosi). Poi iniziammo a studiare come si usano le armi, come si
fa una bomba incendiaria a tempo (l'esplosivo era considerato
fascista perché poteva colpire persone innocenti). Nota: i giornali
borghesi parlavano sempre di "bombe molotov che esplodevano"
ma le molotov non possono esplodere, la benzina si limita a
incendiarsi. C'erano però dei pirla che, convinti dalla propaganda
reazionaria, mettevano bulloni e chiodi nelle bottiglie molotov
pensando che quando la bottiglia "scoppiava" i pezzi di
ferro scagliati dall'esplosione avrebbero colpito gli avversari (come
succede appunto con le bombe). L'unico risultato che ottenevano era
che le bottiglie, che sono di vetro, spesso si rompevano durante il
trasporto a causa dello sbatacchiare dei pezzi di metallo. Ma non era
importante quello che facevamo quanto come lo facevamo. Avevamo nomi
falsi, ci incontravamo in chiese, cinema o giardini pubblici. La
puntualità "al secondo" era d'obbligo. Per questo Sergio
non è mai entrato nella "struttura", era refrattario alla
puntualità. "Perché nella guerriglia urbana il fattore tempo è
fondamentale per la riuscita degli attacchi," spiegava
l'improvvisato insegnante, "se ti servono i soldi e devi fare
una rapina in banca hai solo tre minuti sicuri prima che arrivi la
polizia." E soprattutto, anche se non facevamo in realtà nulla
di più di un qualsiasi servizio d'ordine "legalitario",
vivevamo come un gruppo di partigiani nascosti in città durante
l'occupazione nazista. Eravamo
circondati,
i nostri telefoni potevano essere controllati, potevamo essere
seguiti, si doveva stare attenti a eventuali infiltrati, e i messaggi
telefonici in codice si sprecavano. In quell'anno e mezzo il mio
sonno divenne leggero, ero tirato come la corda di un violino e, alla
fine, mi venne pure una cistite mostruosa. Dopo quell'esperienza so
esattamente cos'è un lavaggio del cervello e come funziona una setta
o un nucleo terrorista. Si crea una coesione di gruppo spaventosa,
vivificante e ansiogena nello stesso tempo. Non pensi più ad altro.
Hai una doppia identità, c'è un superman dentro di te e questo ti
esalta. Un giorno incontrai una mia ex fidanzata. Anche lei era
"un'autonoma". Dopo un po' che le facevo un comizio sulla
rivoluzione lei mi disse: "Jacopo, ho capito... è la terza
volta che mi ripeti che bisogna passare dalle parole ai fatti! Ho
capito!". Era vero, ripetevo quella frase ossessivamente. Mi
scattò un campanello d'allarme, qualche cosa nel mio cervello era
andato in tilt. Come autoascolto e senso critico ero ormai allo zero
assoluto. In quel periodo decidemmo di passare all'azione contro i
professori reazionari. La componente ex Potere Operaio
dell'organizzazione voleva SPARARE
ALLE GAMBE A UN PRESIDE!
Noi ci rifiutammo. La mediazione fu di sporcarlo con della vernice
rossa, ma preparando l'azione come se fosse stato un attentato vero.
Ci lavorammo per sei mesi in venti persone. Il gruppo
dell'"informativo" lo pedinò, sapevamo i suoi percorsi,
quando andava dall'amante. Avevamo tutte le foto. Il "logistico"
aveva trovato due garage "amici" dove nascondere le moto,
le targhe false... Noi sei dell'operativo avevamo studiato il piano
nei minimi dettagli con tanto di tamponamento finto per bloccare la
strada ed eventuale incendio diversivo per creare il caos nelle forze
dell'ordine. Arriviamo alla riunione fatidica nella quale si doveva
decidere il giorno dell'azione. Erano pronti anche i volantini da
lasciare alla solita cabina telefonica (per rivendicare l'attentato).
Come commissario politico toccava a me fare la relazione iniziale per
riassumere i motivi dell'azione. Partii dalla situazione
internazionale e arrivai alle lotte operaie sostenendo che agire era
cosa buona e giusta. Però, giusto in quel periodo, mi ero
perdutamente innamorato di una ragazzina coi riccioli neri che mi
faceva impazzire e avevamo deciso di partire per il Portogallo. Così,
con il cuore in gola, dissi ciò che sentivo: era tutto giusto, ma io
ero sicuro che ci avrebbero presi tutti e mi ero innamorato e dovevo
partire. Quindi proposi di rimandare tutto di due mesi, a settembre.
Mentre dicevo quelle parole ero sicuro di commettere un atto
infamante: codardia davanti al pericolo, tradimento della
rivoluzione, comportamento piccolo borghese, vetero romantico. Ero
sicuro che mi avrebbero linciato, almeno verbalmente. Invece niente.
Quando finii ci furono 40 secondi di silenzio tombale e poi qualcuno
disse: "Qual'è il secondo punto all'ordine del giorno?".
Per me fu più scioccante che se m'avessero caricato di botte. Capii
che per loro la rivoluzione comunista non era una cosa seria. Aver
avuto il coraggio di seguire i miei sentimenti mi aveva salvato
l'anima. Poi in effetti partii per il Portogallo e approdai in una
comune della "rivoluzione dei fiori" (in Portogallo era da
poco caduto il regime fascista). La mia ragazza si innamorò di un
brasiliano più alto, più bello, più grande e più intelligente di
me e mi mollò. Ritornai a Milano con un ascesso a un dente e il viso
sfigurato dal gonfiore. Sì, era un vero e grande amore. Poi decisi
di uscire dalla lotta armata e dall'organizzazione, perciò per mesi
io e sergio bloccammo, con le nostre obiezioni, i lavori della
"segreteria milanese" di Rosso e poi uscimmo in un
centinaio, tutti studenti medi (gli operai erano già usciti quasi
tutti pochi mesi prima). Era l'autunno del 1974. Dei sei presenti a
quella riunione del nucleo operativo, due uscirono con me. Roberto
Serafini, commissario militare, fu ucciso a freddo dalle forze
dell'ordine nel 1981. Gli altri due erano Ferrandi e Barbone, poi
diventati tristemente noti per l'omicidio di Walter Tobagi e vari
ferimenti. Quando li presero si pentirono e denunciarono circa 200
pesone. Venni indagato per 11 "atti terroristici",
processato per uno e poi assolto. Il procedimento penale durò più
di dieci anni.
LA
STORIA UFFICIALE
La
Storia Ufficiale mi irrita in mod smodato. Nel bene e nel male i
fatti storici si svolgono in una confusione bestiale, in mezzo a
errori, malintesi, fobie e paranoie di ogni genere. Tutto è a misura
di uomo e di donna, della nostra infinita stupidità. Siamo esseri
umani, soffriamo di manie, tic, qui pro quo e di quella goffaggine
esilarante, di quella comica idiozia che non ci abbandona mai: né
nell'esecuzione di efferati delitti né nell'esperienza di strazianti
martirii. Nei verbali dei giudici e dei pentiti, nelle dichiarazioni
dei grandi interpreti (da Scalzone, a Negri e Capanna), nei libri dei
giornalisti e romanzieri si perde un elemento fondamentale per capire
quei fatti in particolare e la storia umana nel suo complesso. Si
perde il ridicolo che gli attori di questi eventi disseminavano in
ogni loro azione. Sono passati decenni e ancora tutti si sforzano di
descrivere gli avvenimenti catastrofici di quegli anni come fatti
seri, compiuti sotto la spinta razionale della bontà o della
malvagità. Nessuno racconta la tracotante idiozia, l'obsoleta
imbecillità. I protagonisti sembrano usciti dai film di John
Wayne... Spartacus contro Ercole... Invece la realtà vide all'opera
tanti Stanlio e Ollio, Buster Keaton, Ridolini e Charlot. John Wayne
non esiste nella storia vera dell'umanità, è un personaggio
letterario, inventato... inventato come il Tony Negri dipinto da Enzo
Biagi, da Fioroni e da Toni Negri stesso. Nota: Fioroni, mitico
pentito ante litteram. Rapì il compagno Saronio che era danaroso ma
che non sopravvisse al sequestro. Pare che lo abbiano narcotizzato e
che lui sia morto di crepacuore. Almeno così dicono, ma forse
Fioroni & c. lo hanno ammazzato a martellate. La cosa incredibile
è che, per organizzare il colpo, Fioroni approfittò della carica di
comandante operativo della struttura militare di Rosso (che dopo la
fusione con un gruppo di Potere Operaio - diretto da Tony Negri - era
diventato militarmente decente). Fioroni presentò l'azione al gruppo
di "operativi" che dirigeva, come un gesto rivoluzionario.
Tacendo ovviamente che Saronio era a sua volta dirigente di un'altra
colonna militare. Compiuto il crimine, Fioroni incassò i soldi del
riscatto ma venne preso e allora, bontà sua, si pentì e denunciò
più di 100 persone. Il risultato è che si finisce per anebbiare la
capacità di giudicare e capire e ci si mette nella condizione di
rifare sempre gli stessi errori. Gli storici sperano di passare
anch'essi alla storia e desiderano, nel loro piccolo, essere grandi.
Tacciono la verità, riscrivono tutto, cancellano le meschinità,
perché non c'è onore, non c'è gloria a raccontare l'insensato
agire di tanti Stallio e Ollio. Così stanno facendo per i gloriosi
anni settanta. E tutti i protagonisti danno loro ragione. Perché
tutti, alla fine, adorano l'idea di non aver recitato in una comica
alla Woody Allen, ma di aver interpretato un colossal come "Giù
la testa" o "La battaglia di Fort Alamo". E lo stato è
perfettamente d'accordo. La sua tesi fondamentale è che ci doveva
essere un vasto piano e una efficientissima organizzazione sovversiva
dietro le efferate imprese dei gruppi armati, e tutte le inchieste
sono state impiantate sulla ricostruzione di questa organizzazione
tentacolare, l'individuazione dei capi e di tutti i centri di potere.
La loro idea portante è che lo stato (oggi e sempre) è forte,
grande e luminoso e che soltanto qualcuno molto forte, organizzato e
cattivo può metterlo in difficoltà. Se avessero detto che i
brigatisti erano stupidi si sarebbe capito subito che lo stato era
formato da una congrega di rincoglioniti. Così i giornali per primi
iniziarono a chiedersi: "Ma da dove vengono questi geni? Chi li
ha addestrati? Chi gli ha insegnato tutte queste tecniche
fantastiche? Come hanno fatto a trovare le armi, i soldi, le
informazioni, ecc. ecc.? Si faceva finta di non vedere che le
istituzioni italiane erano dilaniate dalle risse tra bande rivali di
politicanti, piduisti, intrallazzatori, mercanti d'armi e roga; che
la polizia era semianalfabeta, brutale e miope, incapace di condurre
un'indagine con metodi più moderni di quelli borbonici. Le armi a
Roma, Milano e Napoli si compravano nei bar, lo stato non aveva la
stima di nessuno, e le condizioni tecniche dell'azione terroristica
erano ben più facili in una metropoli moderna che, ad esempio, sotto
l'occupazione nazista. Vi ricordate il mito dei postini delle BR?
Certo che la loro puntualità era incredibile in un paese dove una
lettera espresso da Roma a Milano ci impiegava 15 giorni e una volta
su dieci non arrivava... e sì che per mettere una lettera in un
bidone della spazzatura e fare una telefonata da una cabina
telefonica non ci vuole mica la laurea da 007... ma ai media sembrava
impossibile. "Dove avranno imparato?" si chiedevano i geni
dei giornali. Pazzesco. Chiunque in vita sua abbia presenziato anche
soltanto una volta a una riunione di un comitato di quartiere, può
benissimo immaginarsi il casino che regnava in un nucleo comunista
combattente. La teoria della lotta armata (teoricamente, appunto) era
una cosa chiarissima e durissima. Ogni militante doveva conoscere
unicamente i nomi di battaglia dei soli membri del suo gruppo. Un
solo membro del gruppo (generalmente formato da cinque o sette
persone) aveva rapporto con ognuna delle altre strutture collegate; a
volte si trattava di un nucleo piccolo, con solo tre squadre:
operativo (azioni), informativo (si occupava di raccogliere le
informazioni necessarie per progettare le azioni militari) e
logistico (depositi di armi, mezzi, case, contatti con medici,
avvocati etc.), a volte il nucleo aderiva (in modo più o meno
stabile) a un'organizzazione più grossa (come i Nap o le BR) ma la
legge della compartimentazione non cambiava. Questa della segretezza
e della compartimentazione (NdR: vedi Capitolo XX) era una fissa,
nessuno doveva conoscere nessuno all'infuori delle esigenze operative
("...on a need to know basis..." - cap. XX). Per questo
ognuno aveva un nome di battaglia. Il primo ordine che si riceveva
candidandosi ad entrare in un'organizzazione militare era di rendersi
invisibile, aerire esteriormente alla massa anonima, non alzare mai
la voce, dire a tutti che si mollava la politica, etc. Ed è chiaro
che qualunque gruppo armato che volesse sopravvivere più di dieci
minuti avrebbe dovuto fare così. Quello che succedeva in realtà era
che tutti sapevano vita, morte e miracoli del loro gruppo, di tutti
gli altri gruppi italiani e anche di qualche formazione straniera. Il
delirio totale. Quando qualche terrorista faceva una cazzata
mostruosa tutta la stampa cercava motivi misteriosi o macchinazioni
fantapolitiche per spiegare i fatti, non riuscendo minimamente a
pensare che un brigatista potesse essere stupido come un panda. Non
so quanti terroristi furono arrestati perché avevano perso la carta
d'identità o i piani per un'evasione, quanti covi furono trovati
perché smarrirono le chiavi con la targhettina di plastichetta con
su il loro indirizzo e quanti finirono dentro perché avevano in
tasca cinque carte d'identità false tutte con la propria fotografia.
Nessuno arrivava mai in orario, c'era quello che voleva portarsi la
fidanzata in un'azione di fuoco, inciampava con le bombe incendiarie,
bruciava l'auto sbagliata, sparava all'uomo sbagliato. Inneschi
rotti, timer in ritardo, cacciaviti sdentati, bulloni stretti male,
incidenti d'auto. Gente che prendeva un autobus che andava da
un'altra parte, che scappava con i soldi, che voleva far fuori
l'amante di sua moglie, andare a letto con quella del logistico,
rubare a casa di un avvocato. Per non parlare di quanti non furono
presi solo perché la polizia era ancora più distratta di loro, come
Marco Barbone che perse una borsa piena di bottiglie molotov con su
scritto nome, cognome, classe e scuola... lo presero solo cinque anni
dopo, ma evidentemente di cazzate ne deve aver fatte un vagone. Mi
ricordo quando per otto riunioni di seguito chiesi a Toni Negri: "Noi
siamo, metti, anche 7.000, loro sono almeno 2 milioni e hanno
l'aviazione, se qui si inizia a sparare come facciamo a vincere?".
Lui si incazzava come una biscia e cominciava a dire cose che
c'entravano come cavoli a merenda. Da qui iniziava il caos perché
tutti cominciavano a litigare su tutto. Dopo tre ore la riunione
finiva senza che peraltro Negri avesse risposto al mio semplice
quesito numerico-militare-strategico. E non erano le riunioni del
circolo del tennis ma quelle della mitica "segreteria cittadina
clandestina" di Rosso, che secondo Fioroni dirigeva il nostro
esercito. In un anno non si riuscirono a fare più i dieci riunioni
perché, siccome eravamo fanatici della segretezza, nessuno ci diceva
mai dove si dovesse tenere. Ci venivano dati appuntamenti
clandestini, dove ci trovavamo in due o tre, e poi da lì si
confluiva all'appuntamento centrale. La metà delle volte la riunione
saltava perché tutti si perdevano e nessuno riusciva ad arrivare.
Altro che barzellette sui carabinieri! In un anno non si riuscì
neanche a decidere quali puntine da disegno usare. Certo che poi le
BR facevano scalpore perché avevano la macchina da scrivere con le
testine rotanti! I giornalisti hanno scritto chilometri quadrati di
articoli su queste cavolo di macchine da scrivere delle BR, neanche
avessero avuto le astronavi coi motori a fotoni. Questo fatto che
avevano le testine intercambiabili li faceva impazzire. Non
riuscivano a capacitarsi di come le BR facessero ad avere una cosa
che si vendeva ovunque e costava pure quattro soldi... è chiaro che
in una situazione simile anche venti coglioni che si perdono a
Milano, possono convincersi di essere la segreteria clandestina
dell'Armata rossa. Poi c'erano le fidanzate dei capi che erano le
amanti di altri capi e che ogni tanto si facevano qualche gregario.
Non potevi starnutire a Bari che loro a Torino lo sapevano ancora
prima che tu ti fossi pulito il naso; e questo nonostante non
facessero neanche parte di nessun gruppo militare. Si fossero pentite
loro, altro che 200 per volta, ne finivano in galera. Ma si sa, le
amanti dei capi sono sempre meglio dei loro uomini. E meno male che i
terroristi erano così fessi e lo stato così demenziale. Un
terrorista di "qualità" migliore avrebbe provocato
disastri ancora più grandi. Saremmo ancora qui con la lotta armata e
i morti per le strade. Certo, la classe operaia avrebbe potuto
fermare questa ondata guerrigliera. Disgraziatamente, nella
tradizione comunista italiana mancava totalmente una sana ideologia
pacifista. La storia comunista è costellata di picconi e calci nei
coglioni, miti partigiani, miti di guerriglia. Non una parola
sull'orrore della morte, di chiunque sia, sui crimini perpetrati
sotto le bandiere partigiane o nella guerra di Spagna. Un comunista
con un fucile in mano era un santo, un asceta, si tacevano gli
eccessi, gli isterismi, la drammaticità disumanizzante della guerra
e la facilità con la quale un pazzo possa sembrare sano di mente se
ha una pistola in mano. Così ci trovammo a combattere una guerra
invincibile, armati soprattutto della nostra idiozia. Fu così che
dimostrammo al mondo che un idiota a vent'anni è una potenza
ormonale esplosiva.
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