La Polonia dice no all'euro: segnale d'allarme per l'Ue
Varsavia vuole ritardare l'ingresso nella moneta unica per evitare il contagio dell'Eurozona
Scritto da Yahoo! Finanza | Yahoo! Finanza – gio 5 gen 2012 09:45 CEThttp://it.finance.yahoo.com/notizie/la-polonia-dice-no-all-euro--segnale-d-allarme-per-l-ue.htmlCONTENUTO CORRELATO
- Il premier polacco Donald Tusk (Ap)
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- Articolo: I dieci maggiori rischi per l’economia globale nel 2012mar 6 dic 2011 19:44 CET
“Entrare nell’euro? Per il momento no, grazie”. Per non essere contagiata dai problemi dell’Eurozona, la Polonia sta pensando di rimandare a data da destinarsi l’ingresso nella moneta unica. Lo si è appreso da alcune fonti governative polacche. Per la tenuta dell’euro non è da considerare un allarme in sè. La notizia del dietrofront di Varsavia, anche se soltanto temporaneo, è un segnale che invece dovrebbe far preoccupare i governi dei Paesi europei in cui è adottato l’euro, perché è indirettamente un atto di accusa verso la politica monetaria e fiscale dell’Uem(Unione economica e monetaria).
Osservando le caratteristiche della Polonia, si può capire meglio perché la frenata polacca andrebbe letta come un serio campanello d’allarme per Ue e Bce. A livello congiunturale, innanzitutto, l’economia della Polonia viaggia a ritmi ben più elevati rispetto a quelli degli altri Paesi dell’Ue. Nel 2008, l’anno del fallimento di Lehman Brothers, il Pil era cresciuto del 5,1% e nel 2009, mentre il resto dell’Unione cadeva in recessione registrando una crescita negativa del Pil (-4,1% di media nei Paesi dell’Eurozona), Varsavia era riuscita a tenere botta e a crescere dell’1,7% nonostante una serie di attacchi speculativi alla sua valuta, lo zloty. In base alle stime della Commissione europea, di recente riviste al ribasso, la crescita del Pil polacco, anche se a ritmi meno sostenuti che in passato, registrerà performance più positive che nel resto dell’area euro: +4% nel 2011, flessione nel 2012 (+2,5%) e risalita nel 2013 (+2,8%).
Dal punto di vista strutturale, invece, la Polonia si segnala per una brillante gestione della politica monetaria e fiscale e per unruolo forte della banca centrale, che nel tempo ha costruito una notevole indipendenza dagli esecutivi in carica. Nel 2007, per esempio, il tasso di autonomiadella Banca centrale polacca in base ai criteri internazionali Gmt era del 92%, pari a quello della Bce, e ben superiore a quello della Bank of England, 65%, e della Fed, 78%, nello stesso anno.
La Banca centrale polacca si dimostra anche indipendente dalle banche perché priva di compiti di vigilanza: la supervisione finanziaria è infatti affidata a un’autorità indipendente unica, la Polish Financial Supervision Authority. Questo tipo di assetto basato sull’indipendenza e sullaspecializzazione ha consentito ai banchieri centrali polacchi di concentrarsi unicamente sullastabilità monetaria, tenendo sotto controllo l’inflazione (nel 2000 il tasso d’inflazione era a due cifre, nel 2007 era all’1,4%; il dato mensile di ottobre 2010, dopo un periodo di nuove tensioni, era del 2,6% a fronte di un 2% medio nell’Eurozona) e calmierando lo zloty, come avvenuto di recente, al fine di non far impennare il debito pubblico (nel 2011 il rapporto tra debito e Pil era al 54%) e mantenere la competività della moneta nelle esportazioni.
La Banca centrale ha agevolato, pertanto, anche la gestione della politica economica, permettendo al governo di mantenere i conti in ordine durante la crisi (il deficit sul Pil, per esempio, era del 3%). E la buona salute del bilancio dello Stato, a sua volta, ha dato la possibilità di fare una politica fiscale espansiva (accompagnata, negli anni scorsi, anche da una politica monetaria espansiva) che ha stimolato la domanda e fatto deprezzare la moneta locale, senza generare, come detto, un livello di inflazione insostenibile.
Disciplina fiscale, disciplina monetaria e vigilanza finanziaria affidata a un unico organo indipendente. E’ per questi tre motivi che la Polonia, pur desiderando da anni di entrare nell’area euro, in questo periodo rinuncia a fare il suo ingresso nel club della moneta unica. Se entrasse ora nell’Unione economica e monetaria troverebbe solo una di queste tre caratteristiche: la disciplina monetaria. Per il resto, la disciplina fiscale è ancora un traguardo lontano nonostante gli ultimi accordi presi dai leader dei Paesi Ue ad eccezione dell’Inghilterra: gli Stati europei sono pronti solo in parte a cedere sovranità in questo ambito e quelli più solidi economicamente – Germania in primis – non sono disposti ad accollarsi i debiti di altri attraverso strumenti come gli Eurobond. L’ultimo pilastro che rende l’economia polacca più fiorente rispetto a quelle europee, la vigilanza finanziaria consolidata, è altrettanto assente nell’Ue perché il meccanismo di supervisione si limita a un sistema di cooperazione con poteri decentrati che prevede tre organismi federali(rispettivamente per banche, mercati mobiliari e assicurazione) e lascia alle autorità nazionali i compiti di sorveglianza e gestione delle crisi.
Le autorità polacche, inoltre, si lamentano anche di alcune lacune dei trattati Ue: il Trattato di Lisbona non prevede nessun meccanismo che permette una fuoriuscita rapida dall’euro. Come a dire, nell’euro possiamo anche entrarci ma a patto che non sia una scelta irreversibile. Così, pur con l’intenzione di contribuire con un prestito al Fondo monetario internazionale per sostenere il fondo di salvataggio per l’Eurozona, la Polonia si mostra molto cauta prima di aderire all’euro. In queste condizioni, fare un passo così importante potrebbe essere, come minimo,controproducente. I governi dei paesi Euro facciano attenzione.
Osservando le caratteristiche della Polonia, si può capire meglio perché la frenata polacca andrebbe letta come un serio campanello d’allarme per Ue e Bce. A livello congiunturale, innanzitutto, l’economia della Polonia viaggia a ritmi ben più elevati rispetto a quelli degli altri Paesi dell’Ue. Nel 2008, l’anno del fallimento di Lehman Brothers, il Pil era cresciuto del 5,1% e nel 2009, mentre il resto dell’Unione cadeva in recessione registrando una crescita negativa del Pil (-4,1% di media nei Paesi dell’Eurozona), Varsavia era riuscita a tenere botta e a crescere dell’1,7% nonostante una serie di attacchi speculativi alla sua valuta, lo zloty. In base alle stime della Commissione europea, di recente riviste al ribasso, la crescita del Pil polacco, anche se a ritmi meno sostenuti che in passato, registrerà performance più positive che nel resto dell’area euro: +4% nel 2011, flessione nel 2012 (+2,5%) e risalita nel 2013 (+2,8%).
Dal punto di vista strutturale, invece, la Polonia si segnala per una brillante gestione della politica monetaria e fiscale e per unruolo forte della banca centrale, che nel tempo ha costruito una notevole indipendenza dagli esecutivi in carica. Nel 2007, per esempio, il tasso di autonomiadella Banca centrale polacca in base ai criteri internazionali Gmt era del 92%, pari a quello della Bce, e ben superiore a quello della Bank of England, 65%, e della Fed, 78%, nello stesso anno.
La Banca centrale polacca si dimostra anche indipendente dalle banche perché priva di compiti di vigilanza: la supervisione finanziaria è infatti affidata a un’autorità indipendente unica, la Polish Financial Supervision Authority. Questo tipo di assetto basato sull’indipendenza e sullaspecializzazione ha consentito ai banchieri centrali polacchi di concentrarsi unicamente sullastabilità monetaria, tenendo sotto controllo l’inflazione (nel 2000 il tasso d’inflazione era a due cifre, nel 2007 era all’1,4%; il dato mensile di ottobre 2010, dopo un periodo di nuove tensioni, era del 2,6% a fronte di un 2% medio nell’Eurozona) e calmierando lo zloty, come avvenuto di recente, al fine di non far impennare il debito pubblico (nel 2011 il rapporto tra debito e Pil era al 54%) e mantenere la competività della moneta nelle esportazioni.
La Banca centrale ha agevolato, pertanto, anche la gestione della politica economica, permettendo al governo di mantenere i conti in ordine durante la crisi (il deficit sul Pil, per esempio, era del 3%). E la buona salute del bilancio dello Stato, a sua volta, ha dato la possibilità di fare una politica fiscale espansiva (accompagnata, negli anni scorsi, anche da una politica monetaria espansiva) che ha stimolato la domanda e fatto deprezzare la moneta locale, senza generare, come detto, un livello di inflazione insostenibile.
Disciplina fiscale, disciplina monetaria e vigilanza finanziaria affidata a un unico organo indipendente. E’ per questi tre motivi che la Polonia, pur desiderando da anni di entrare nell’area euro, in questo periodo rinuncia a fare il suo ingresso nel club della moneta unica. Se entrasse ora nell’Unione economica e monetaria troverebbe solo una di queste tre caratteristiche: la disciplina monetaria. Per il resto, la disciplina fiscale è ancora un traguardo lontano nonostante gli ultimi accordi presi dai leader dei Paesi Ue ad eccezione dell’Inghilterra: gli Stati europei sono pronti solo in parte a cedere sovranità in questo ambito e quelli più solidi economicamente – Germania in primis – non sono disposti ad accollarsi i debiti di altri attraverso strumenti come gli Eurobond. L’ultimo pilastro che rende l’economia polacca più fiorente rispetto a quelle europee, la vigilanza finanziaria consolidata, è altrettanto assente nell’Ue perché il meccanismo di supervisione si limita a un sistema di cooperazione con poteri decentrati che prevede tre organismi federali(rispettivamente per banche, mercati mobiliari e assicurazione) e lascia alle autorità nazionali i compiti di sorveglianza e gestione delle crisi.
Le autorità polacche, inoltre, si lamentano anche di alcune lacune dei trattati Ue: il Trattato di Lisbona non prevede nessun meccanismo che permette una fuoriuscita rapida dall’euro. Come a dire, nell’euro possiamo anche entrarci ma a patto che non sia una scelta irreversibile. Così, pur con l’intenzione di contribuire con un prestito al Fondo monetario internazionale per sostenere il fondo di salvataggio per l’Eurozona, la Polonia si mostra molto cauta prima di aderire all’euro. In queste condizioni, fare un passo così importante potrebbe essere, come minimo,controproducente. I governi dei paesi Euro facciano attenzione.
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