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Frodi carosello
La parola-chiave è "frode carosello", ossia quelle operazioni finalizzate a “realizzare attività economiche fittizie al fine di ottenere crediti di imposta con profitti per centinaia di milioni di euro”.
Lo schema è più semplice di quanto non appaia sulla carta.
Si parte dalla costatazione che un imprenditore che voglia importare prodotti dall’estero da rivendere in Italia, vedrà gravati tali prodotti dell’Iva solo nel momento della vendita nel territorio della Repubblica. Lo scopo della frode è quello di far “rientrare” l’Iva attraverso un’operazione fittizia e l’utilizzo di altre società di comodo. Attraverso, ad esempio, la costituzione di una società che per comodità chiameremo newco che ha lo scopo di acquistare i prodotti importati dall’imprenditore. Tali società costituite ad hoc e normalmente con sede legale all’estero, sfruttano le cd. cessioni intracomunitarie per non pagare Iva per poi cedere i medesimi servizi (che possono essere rappresentati da beni commerciali, ma anche servizi telefonici, come per il caso Telecom – Sparkle) nel territorio italiano gravando il prodotto dell’Iva dovuta allo Stato. In questo caso il soggetto acquirente (e compiacente) verserà l’Iva alla newco, che invece di versarla allo Stato come previsto dal sistema fiscale, la fa rientrare nella disponibilità del soggetto di partenza, che avrà recuperato l’intero importo. In questo caso il soggetto avrà una duplice possibilità: incassare l’Iva trasferendola all’estero come “fondi neri” da riciclare; versarla parzialmente nel prodotto da vendere sul mercato, riducendone il prezzo e rendendolo commercialmente più appetibile sul piano concorrenziale.
È per questo che si parla di operazioni apparentemente “neutre”, poiché il soggetto in questione acquista e cede al medesimo prezzo, per poi rientrare dell’Iva versata e che non finirà mai nelle casse dello Stato. Lo scopo finale è quello di generare un indebito credito d’imposta su ciascuna cessione che verrà fatta rientrare nella disponibilità del soggetto attraverso operazioni di riciclaggio ed investimento fittizio.
Effetti economici e criminogeni
Appare evidente che chiunque operi sfruttando il meccanismo della frode carosello tenda a dotarsi di una copertura contabile e documentale essenziale per perpetrare la frode e per far perdere le tracce del paper trail dell’operazione, con l’intento di rendere la stessa difficilmente riconducibile. Tale filiera dell’illecito avrà diversi riflessi sia sul piano economico, sia su quello criminologico.
Il primo riflesso concerne l’evidente danno perpetrato al fisco, ossia alla collettività, che ne risentirà pesantemente in termini di mancato versamento dell’Iva. Si ricordi che queste operazioni possono generare flussi di centinaia di milioni di euro ogni anno, con evidente squilibrio delle già precarie casse dello Stato. Dall’altro lato, sotto il profilo penale, rileva in funzione della violazione delle leggi antitrust. Di cruciale importanza è riconoscere il disequilibrio generato dall’impresa fraudolenta che metta sul mercato prodotti e servizi ad un costo inferiore, violando le regole di mercato e sfruttando un indebito vantaggio derivante dalla mancata cessione dell’Iva. Vantaggio che si traduce in uno svantaggio delle imprese concorrenti oneste che versano Iva allo Stato che non possono competere con i prezzi ribassati dell’impresa fraudolenta. Infine da rilevare il ruolo delle cd. società cartiere (ovvero di soggetto interposto tra il fornitore della merce ed il destinatario effettivo) e di quei meccanismi di riciclaggio che sottendono all’uso della frode, e che rigenerano denari altrimenti di per sé non utilizzabili.
La responsabilità penale delle società
La Suprema Corte ha recentemente affermato in una sentenza (Cass. pen., sez. III, 7 giugno 2011) che “il d.lgs. n. 231 del 2001 non costituisce un limite all’applicazione della confisca per equivalente dei beni dell'ente collettivo nelle ipotesi di reati tributari commessi dall'amministratore o dal legale rappresentante della società”.
Le norme tributarie divengono dunque mezzo di prevenzione e contrasto alle frodi carosello. Nel 2001 infatti il legislatore italiano ha recepito nel nostro ordinamento la cd. responsabilità amministrativa degli enti collettivi, ossia una responsabilità, non a caso, definita da più parti “parapenale” delle società, per reati compiuti dai propri rappresentanti a vantaggio della società stessa. Le disposizioni in questione si applicano: “agli enti forniti di personalità giuridica e alle società e associazioni anche prive di personalità giuridica”, mentre non si applicano “allo Stato, agli enti pubblici territoriali, agli altri enti pubblici non economici nonché agli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale”. Ossia partiti politici e sindacati – come se l’epoca di “tangentopoli” non avesse insegnato nulla.
Richiamando lo schema disposto all’art. 322 ter del codice penale, il legislatore del 2001 ha voluto replicare il meccanismo della confisca obbligatoria e, di conseguenza, del sequestro preventivo per equivalente. Questo coinvolge un duplice profilo: da un lato, non si richiede la prova della responsabilità penale, bastando invece gravi indizi di colpevolezza (il cd. fumus del reato); dall’altro, il sequestro per equivalente opera sui “beni di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo”. Ciò risulta, ai nostri fini, applicabile ai reati coinvolti nella frode carosello: a titolo di esempio, la truffa ai danni dello Stato, l’usura, i reati contro la pubblica amministrazione, nonché reati transazionali.
Il Reverse charge come deterrente
Per correre ai ripari dalla crescente diffusione di tale modello criminoso, l’Unione Europea ha fornito la sua personale interpretazione, proponendo l’estensione del Reverse charge come sistema deterrente di prevenzione della frode.
Il Reverse charge o inversione contabile, attualmente previsto per taluni specifici ambiti (negoziazioni in oro, ad esempio), è un sistema di elisione della detrazione dell’Iva e consiste nell'inversione del pagamento Iva dall'emittente all'acquirente che riceve la fattura. Sarà quest’ultimo poi a registrarne il pagamento: in tal modo sarà solo l'utente finale a pagarla.
Sequestro preventivo
La Corte di Cassazione ha affermato, con sentenza n. 15186 del 19 aprile 2012, che, nell’ambito di un’inchiesta per frode carosello, “in particolare, per quanto attiene alla materia dei reati tributari, è stata confermata da tempo la piena legittimità del sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente, delle somme di denaro che avrebbero dovuto essere impiegate nel pagamento dei tributi dovuti, in quanto "la confisca di somme di denaro, beni o valori è consentita anche in relazione al profitto del reato”. “Tra l'altro l'ampiezza dei beni che possono essere aggrediti in caso di sequestro finalizzato alla confisca per equivalente è stata sottolineata in giurisprudenza, che ha ritenuto incluso nell'oggetto del sequestro tutti i beni rientranti nella disponibilità dell'indagato”.
La stessa Cassazione in una recente pronuncia (Cassazione 32563/2011) aveva chiarito in tema di sequestro di beni provenienti da attività mafiose che per il sequestro non è affatto necessaria la dimostrazione del nesso di causalità tra presunzione della condotta e illiceità del profitto: è nel potere del giudice la possibilità di applicare la misura cautelare su qualsiasi bene nella disponibilità del reo.
La parola-chiave è "frode carosello", ossia quelle operazioni finalizzate a “realizzare attività economiche fittizie al fine di ottenere crediti di imposta con profitti per centinaia di milioni di euro”.
Lo schema è più semplice di quanto non appaia sulla carta.
Si parte dalla costatazione che un imprenditore che voglia importare prodotti dall’estero da rivendere in Italia, vedrà gravati tali prodotti dell’Iva solo nel momento della vendita nel territorio della Repubblica. Lo scopo della frode è quello di far “rientrare” l’Iva attraverso un’operazione fittizia e l’utilizzo di altre società di comodo. Attraverso, ad esempio, la costituzione di una società che per comodità chiameremo newco che ha lo scopo di acquistare i prodotti importati dall’imprenditore. Tali società costituite ad hoc e normalmente con sede legale all’estero, sfruttano le cd. cessioni intracomunitarie per non pagare Iva per poi cedere i medesimi servizi (che possono essere rappresentati da beni commerciali, ma anche servizi telefonici, come per il caso Telecom – Sparkle) nel territorio italiano gravando il prodotto dell’Iva dovuta allo Stato. In questo caso il soggetto acquirente (e compiacente) verserà l’Iva alla newco, che invece di versarla allo Stato come previsto dal sistema fiscale, la fa rientrare nella disponibilità del soggetto di partenza, che avrà recuperato l’intero importo. In questo caso il soggetto avrà una duplice possibilità: incassare l’Iva trasferendola all’estero come “fondi neri” da riciclare; versarla parzialmente nel prodotto da vendere sul mercato, riducendone il prezzo e rendendolo commercialmente più appetibile sul piano concorrenziale.
È per questo che si parla di operazioni apparentemente “neutre”, poiché il soggetto in questione acquista e cede al medesimo prezzo, per poi rientrare dell’Iva versata e che non finirà mai nelle casse dello Stato. Lo scopo finale è quello di generare un indebito credito d’imposta su ciascuna cessione che verrà fatta rientrare nella disponibilità del soggetto attraverso operazioni di riciclaggio ed investimento fittizio.
Effetti economici e criminogeni
Appare evidente che chiunque operi sfruttando il meccanismo della frode carosello tenda a dotarsi di una copertura contabile e documentale essenziale per perpetrare la frode e per far perdere le tracce del paper trail dell’operazione, con l’intento di rendere la stessa difficilmente riconducibile. Tale filiera dell’illecito avrà diversi riflessi sia sul piano economico, sia su quello criminologico.
Il primo riflesso concerne l’evidente danno perpetrato al fisco, ossia alla collettività, che ne risentirà pesantemente in termini di mancato versamento dell’Iva. Si ricordi che queste operazioni possono generare flussi di centinaia di milioni di euro ogni anno, con evidente squilibrio delle già precarie casse dello Stato. Dall’altro lato, sotto il profilo penale, rileva in funzione della violazione delle leggi antitrust. Di cruciale importanza è riconoscere il disequilibrio generato dall’impresa fraudolenta che metta sul mercato prodotti e servizi ad un costo inferiore, violando le regole di mercato e sfruttando un indebito vantaggio derivante dalla mancata cessione dell’Iva. Vantaggio che si traduce in uno svantaggio delle imprese concorrenti oneste che versano Iva allo Stato che non possono competere con i prezzi ribassati dell’impresa fraudolenta. Infine da rilevare il ruolo delle cd. società cartiere (ovvero di soggetto interposto tra il fornitore della merce ed il destinatario effettivo) e di quei meccanismi di riciclaggio che sottendono all’uso della frode, e che rigenerano denari altrimenti di per sé non utilizzabili.
La responsabilità penale delle società
La Suprema Corte ha recentemente affermato in una sentenza (Cass. pen., sez. III, 7 giugno 2011) che “il d.lgs. n. 231 del 2001 non costituisce un limite all’applicazione della confisca per equivalente dei beni dell'ente collettivo nelle ipotesi di reati tributari commessi dall'amministratore o dal legale rappresentante della società”.
Le norme tributarie divengono dunque mezzo di prevenzione e contrasto alle frodi carosello. Nel 2001 infatti il legislatore italiano ha recepito nel nostro ordinamento la cd. responsabilità amministrativa degli enti collettivi, ossia una responsabilità, non a caso, definita da più parti “parapenale” delle società, per reati compiuti dai propri rappresentanti a vantaggio della società stessa. Le disposizioni in questione si applicano: “agli enti forniti di personalità giuridica e alle società e associazioni anche prive di personalità giuridica”, mentre non si applicano “allo Stato, agli enti pubblici territoriali, agli altri enti pubblici non economici nonché agli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale”. Ossia partiti politici e sindacati – come se l’epoca di “tangentopoli” non avesse insegnato nulla.
Richiamando lo schema disposto all’art. 322 ter del codice penale, il legislatore del 2001 ha voluto replicare il meccanismo della confisca obbligatoria e, di conseguenza, del sequestro preventivo per equivalente. Questo coinvolge un duplice profilo: da un lato, non si richiede la prova della responsabilità penale, bastando invece gravi indizi di colpevolezza (il cd. fumus del reato); dall’altro, il sequestro per equivalente opera sui “beni di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo”. Ciò risulta, ai nostri fini, applicabile ai reati coinvolti nella frode carosello: a titolo di esempio, la truffa ai danni dello Stato, l’usura, i reati contro la pubblica amministrazione, nonché reati transazionali.
Il Reverse charge come deterrente
Per correre ai ripari dalla crescente diffusione di tale modello criminoso, l’Unione Europea ha fornito la sua personale interpretazione, proponendo l’estensione del Reverse charge come sistema deterrente di prevenzione della frode.
Il Reverse charge o inversione contabile, attualmente previsto per taluni specifici ambiti (negoziazioni in oro, ad esempio), è un sistema di elisione della detrazione dell’Iva e consiste nell'inversione del pagamento Iva dall'emittente all'acquirente che riceve la fattura. Sarà quest’ultimo poi a registrarne il pagamento: in tal modo sarà solo l'utente finale a pagarla.
Sequestro preventivo
La Corte di Cassazione ha affermato, con sentenza n. 15186 del 19 aprile 2012, che, nell’ambito di un’inchiesta per frode carosello, “in particolare, per quanto attiene alla materia dei reati tributari, è stata confermata da tempo la piena legittimità del sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente, delle somme di denaro che avrebbero dovuto essere impiegate nel pagamento dei tributi dovuti, in quanto "la confisca di somme di denaro, beni o valori è consentita anche in relazione al profitto del reato”. “Tra l'altro l'ampiezza dei beni che possono essere aggrediti in caso di sequestro finalizzato alla confisca per equivalente è stata sottolineata in giurisprudenza, che ha ritenuto incluso nell'oggetto del sequestro tutti i beni rientranti nella disponibilità dell'indagato”.
La stessa Cassazione in una recente pronuncia (Cassazione 32563/2011) aveva chiarito in tema di sequestro di beni provenienti da attività mafiose che per il sequestro non è affatto necessaria la dimostrazione del nesso di causalità tra presunzione della condotta e illiceità del profitto: è nel potere del giudice la possibilità di applicare la misura cautelare su qualsiasi bene nella disponibilità del reo.
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