Capitolo
9 - L'agente italiano Francesco Pazienza
Nell’interrogatorio
del 15 giugno 1993, Flavio CARBONI ha riferito in ordine alla genesi
dei propri rapporti con Roberto CALVI: «Nell’agosto del 1981,
mentre trascorrevo un periodo di riposo in Sardegna, a Porto Cervo -
non ricordo se all’Hotel Cervo o in una villa presa in affitto -,
una sera incontrai Francesco PAZIENZA ed il MAZZOTTA, i quali mi
chiesero in prestito una macchina: procurai loro, se mal non ricordo,
una Range Rover. Nell’occasione, Francesco PAZIENZA mi disse di
essere in Sardegna con Roberto CALVI e sua moglie, la signora Clara
CANETTI. Io ignoravo, sino a quel momento, la presenza dei CALVI, che
neppure conoscevo, in Sardegna. Da parte mia, dissi al PAZIENZA che
il giorno successivo, con Maria Laura SCANU CONCAS e i miei ospiti,
cioè Beppe PISANU, Nestor COLL e Carlos BINETTI, ci saremmo recati
in barca all’isola di Budelli, o altro isolotto dell’Arcipelago
della Maddalena. Al riguardo, su richiesta di Francesco PAZIENZA, il
quale ci teneva a presentarmi il CALVI, fissammo un appuntamento,
nello specchio di mare antistante la predetta isola, al quale giunsi
con un paio d’ore di ritardo: lì trovai Francesco PAZIENZA, il
MAZZOTTA, Marina DE LAURENTIS, Roberto CALVI e sua moglie Clara
CANETTI, i quali erano a bordo di un motoscafo; essi ci vennero
incontro e salirono sulla nostra barca. In quell’incontro ci
scambiammo soltanto dei convenevoli, ma notai la soddisfazione di
Roberto CALVI nel conoscermi, dovuta ad una pluralità di ragioni:
innanzi tutto, i miei buoni rapporti con Giuseppe PISANU,
Sottosegretario al Tesoro ed autorevole esponente della Sinistra DC,
con il Consigliere economico del Ministro del Tesoro, Carlos BINETTI,
- il quale, per vero, non lo aveva in grande stima - e con Carlo
CARACCIOLO, là dove, proprio in quel momento, il banchiere sentiva
il fiato sul collo del Ministero del Tesoro e accusava gli effetti
dei pesantissimi attacchi de "La Repubblica" e de
"L’Espresso"; in secondo luogo, la mia amicizia con un
uomo del prestigio di Nestor COLL definito insieme a Carlos BINETTI,
da "L’Espresso" per i buoni uffici interposti nell’affare
del petrolio venezuelano, "mediatore senza tangenti". «Per
quella stessa sera, fui invitato a cena, da solo, nella loro villa di
Porto Rotondo, costruita su un lotto di terreno da me ceduto in
pagamento di prestazioni professionali a Pompeo LOCATELLI, villa di
proprietà di Giuseppe CABASSI «Qui erano presenti, oltre ai coniugi
CALVI, al PAZIENZA, al MAZZOTTA e alla Marina DE LAURENTIS, una
ragazza negra e le guardie del corpo del Presidente dell’Ambrosiano.
«Questi, quella sera, si lasciò andare ad un lungo solioquio, nel
quale rievocò, con energia, la sua partecipazione alla campagna di
Russia e si scagliò contro le lobbyes che lo stavano osteggiando,
prima tra tutte quella del Ministero del Tesoro".
- Tratto dalla requisitoria sulla Banda della Magliana, P.M. Otello
Lupacchini.
Visto
che ormai avevo una certa esperienza in casi disperati, dopo aver
letto il libro scritto da questo ex agente del SISMI (Il
Disobbediente, Longanesi editore 1999), mi ci sono messo in contatto
cominciando a scrivergli nel Carcere di Parma dove era recluso. Le
sue prime lettere erano intrise di diffidenza, ma dopo un po' hanno
cominciato ad uscire i dettagli di quella che appare come una storia
kafkiana del XX-XI secolo. Unico italiano ad essere stato sottoposto
al regime 41bis "per motivi politici" - normalmente il 41
bis viene applicato per mafia o terrorismo - mi è apparso subito
come una delle persone più interessanti che mi sia stato dato di
conoscere, ancorché solo epistolarmente. Sono sicuro che lo Stato
italo-anglo-americano abbia reiterato uno dei suoi ormai troppo
soliti autogol. Ho voluto citare il suo caso perché il "Governo
Invisibile" che uccide, cancella e condanna quanti hanno il
coraggio di dire le cose come stanno, ne ha fatto un emblema a futura
memoria (nel senso: prima di servire lo Stato, fateci un pensierino).
Prima di entrare nei dettagli della vicenda di questo uomo, che
rappresenta esso stesso un segreto di stato vivente, mi pare doveroso
riportare una lettera che mi inviò in copia. Parto quindi dalla sua
esasperante avventura carceraria.
Egr.
Dr. Silvio Di Gregorio
Direttore
Istituti
Penitenziari
via
Burla 3
43100
Parma 22 gennaio 2002
Egregio
Signor Direttore,
mi
permetto recarle disturbo per richiamare doverosamente alla sua
cortese attenzione la presente narrazione, in punto di fatto:
1)
A partire dal 1/10/1999, per otto mesi e ventotto giorni lei mi ha
tenuto nel settore 41 bis, in una cella semibuia e senza alcuna
irradiazione solare. Sono stato estratto immediatamente dopo una
ispezione della direzione sanitaria che ha verificato l'inumanità
con cui venivo trattato. E' stato redatto un rapporto dal professor
Giorgio Pavarani, documento che si chiude con la seguente
osservazione: "Oggi in un carcere che mi è coevo mi sono
trovato nel Medioevo". In seguito a questo particolare
trattamento ho perso 0,50 diottrie di visus dall'occhio sinistro,
come riscontrabile da visite oculistiche effettuate prima e dopo la
permanenza in 41 bis.
2)
Alle ore 11,41 del 4/5/2000 lei inviava un telefax all'Autorità
Giudiziaria di Bologna (nr. 12728) in cui mi qualificava in maniera
del tutto apodittica come detenuto ristretto nel settore 41 bis per
associazione mafiosa, ex art. 416 bis c.p.
3)
In data 8/10/2001 (ore 10,30 circa) un suo collaboratore, l'ispettore
Catalano, con indubitabile schiettezza, mi specificava come fosse
notorio a tutti, ed anche a lei, che la decisione di segregarmi in 41
bis fosse stata solo ed esclusivamente presa su iniziativa politico
amministrativa. In stessa data preparavo una dichiarazione, a futura
memoria, che inviavo all'avvocato Roberto Ruggiero del foro di Roma e
contenente quanto dall'ispettore riferitomi, ma già noto al
sottoscritto ed alla difesa legale. D'altronde, allorché alle ore
6,15 del 1/10/1999 il dispositivo che mi "condannava" al 41
bis, mi fu personalmente consegnato dal comandante del carcere romano
Regina Coeli, nel suo ufficio, questi ebbe a pronunciare le testuali
parole, per me indimenticabili: "In tanti anni di questo lavoro
ho visto tante porcherie, ma una simile mai". Anche lei ha
ricevuto, ovviamente, questo documento ed a parte i deliri narrativi
le sarà sfuggito sicuramente come violasse palesemente l'art. 4 bis
della legge 354/975 ed anche l'art. 476 del codice penale. Scriveva
il politico firmatario essere io meritorio del 41 bis perché
(testuale) "con precedenti per associazione a delinquere e già
sottoposto a misure di prevenzione della P.S.". Un falso
ideologico eclatante! E sono altrettanto convinto che se lei se ne
fosse accorto avrebbe ottemperato a quanto previsto dall'art. 331
c.p.p.
4)
Dal 41 bis venivo da lei trasferito nel settore 1B, dove risiedono
condannati per pedofilia e reati sessuali. Con ordine di servizio,
lei disponeva che fossi mantenuto isolato e segregato, specificando
l'assoluto divieto d'incontro con chicchessia ed imponendo che la
porta metallica della mia cella restasse costantemente chiusa.
Diniego, inoltre, a poter partecipare alle funzioni religiose. In
queste condizioni mi trovo tutt'oggi e dopo aver trascorso due estati
in un vero e proprio forno crematorio, a causa dell'impossibilità di
circolazione d'aria per la succitata serrata. Parafrasando Von
Clausewitz, si è continuata la politica del 41 bis con altri metodi.
O anche peggio, visto che ai mafiosi la porta viene mantenuta aperta
e che tra di loro possono socializzare, come assistere alla Santa
Messa. Mi permetto farle osservare che la prova provata di quanto
affermo consiste in un documento, datato 8 agosto 2000, di cui
riparlerò nel prosieguo di questa lettera. In questa data ero
"teoricamente" ridivenuto un detenuto in regime ordinario,
ma lei inviava questo documento al settore del Ministero di Giustizia
che si occupava del 41 bis. Quando, come mio diritto, io chiesi copia
di questo documento, peraltro attestante fatti palesemente non
proprio consoni al vero, lei decise mi fosse consegnato con alcune
grossolane sbianchettature che ne obliteravano il destinatario.
Episodio che puntigliosamente portavo alla sua attenzione in varie
comunicazioni scritte nell'estate 2001.
5)
Moderna "maschera di ferro", non ho avuto neppure un nome,
ma solo un numero: AA07-95-00322. Nell'estate 2000 non mi è stato
concesso l'accesso alle docce per circa due mesi, riducendomi in uno
stato igienico miserevole dal 28/6 al 19/8 ore 12,30. Dimenticato da
Dio e dagli uomini, è anche accaduto che si sia omesso di fornirmi
il vitto, perché agli incolpevoli agenti di servizio si era
dimenticato di comunicare che in quella cella senza nome e
costantemente chiusa vi fosse qualcuno. Le date: 2/7/2001, 12/7/2001,
19/9/2001, 17/1/2002.
6)
A novembre 2000 le ho chiesto per iscritto la possibilità di
accedere alla palestra ginnica. Lei ha dimenticato la mia richiesta
fino al 24/2/2001 e solo allorché è intervenuto il signor
magistrato di sorveglianza che, a sua volta, aveva ricevuto dalla
Procura della Repubblica di Roma copia di una mia lettera in cui
descrivevo le condizioni in cui venivo mantenuto nell'istituto da lei
diretto. Lettera sollecitatami da un S.P.n allorché, in pubblica
udienza (6/12/2000), aveva ascoltato quanto da me detto,
dichiarandosi incredulo che ciò potesse accadere in un istituto
carcerario della Repubblica italiana.
7)
Ho reiteratamente, ma inutilmente, chiesto un miglioramento della mia
vita, con possibilità di accedere a qualsivoglia attività
lavorativa fino a quando, esasperato, in data 22/3 le comunicavo che
lunedì 26 avrei iniziato uno sciopero della fame di protesta.
8)
In data 23/3, ore 10, mi veniva concesso, per la prima ed ultima
volta, di incontrare un educatore (signora Marchesini) cui facevo
presente l'inumanità delle mie condizioni ed il desiderio di poter
lavorare o anche solo aiutare altri detenuti studenti.
9)
In data 7/4, dopo tredici giorni di astensione totale dal vitto,
venivo convocato dall'ispettore Grimaldi (ore 16,30) il quale mi
assicurava che, ad iniziare dal mese di maggio, le mie condizioni di
vita sarebbero migliorate ed una qualche forma di attività
lavorativa nella biblioteca mi sarebbe stata concessa. Interrompevo
lo sciopero.
10)
In data 2/5/2001 (ore 9,15) l'impegno preciso e verbale
dell'ispettore Grimaldi veniva dallo stesso sconfessato con un
documento in cui mi si negava qualsivoglia attività lavorativa e
miglioria delle mie condizioni di vita, con proseguimento dello stato
di isolamento assoluto.
11)
Ripetutamente il medico psichiatra ha raccomandato con rapporti
scritti un miglioramento della mia vita detentiva, in quanto la
protrazione pluriennale dello stato di segregazione nocivo al mio
stato di salute. Lei ha costantemente ignorato quanto consigliato dal
clinico. Scriveva questi, in data 10/5/2001: "Come nella
precedente occasione, parla lungamente della esigenza di migliorare
la qualità della vita all'interno del carcere e della sua
aspirazione di poter mettere la sua cultura ed il suo impegno a
servizio di altri detenuti in attività educative e d'istruzione che
gioverebbero alla sua integrità e benessere psicofisico. Lamenta,
inoltre, la possibilità mancata di poter trascorrere parte del tempo
in qualsiasi altra attività lavorativa che possa sottrarlo all'ozio
ed al tedio (...). Come già precedentemente espresso, riterrei molto
utile al fine del benessere psichico del detenuto, seppur nell'ovvio
rispetto delle misure di sicurezza, che possa usufruire di una
attività possibilmente consona al fine di trarre giovamento ed una
maggiore serenità". In questi termini, ancora, si esprimeva il
clinico in data 25/7/2001: "Riterrei utile, compatibilmente alle
misure di sicurezza che riguardano il detenuto in oggetto, che il
medesimo potesse impegnare il suo tempo in attività consone, quali
attività di bibliotecario oppure di insegnamento cacerario".
Analoghe considerazioni esprimeva il medico psichiatra in data
23/11/2001. Tutto ciò lei ha continuato a considerarlo del tutto in
conferente e non si comprende per quale ragione il Ministero della
Giustizia paghi clinici il cui parere viene bellamente ignorato. Ecco
quanto invece lei riferì al Ministero di Giustizia in data 8/8/2000,
documento da me acquisito a luglio 2001: "Ha sempre amntenuto un
atteggiamento di estremo riserbo, restando chiuso senza recarsi ai
passeggi ed evitando la socializzazione con gli altri detenuti".
Richiamo alla sua cortese attenzione un passaggio della mia lettera
all'ufficio della Procura della Repubblica di Roma datata 21/12/2000
e da questa inviata in copia al signor magistrato di sorveglianza
(vedi punto 6) in cui, con indubbio spirito di preveggenza,
affermavo: "Tra l'altro, non vorrei che nei documenti interni si
fossero inventati qualche storia fantascientifica secondo la quale
sarei io a rifiutare mirabolanti proposte di trattamento. Se si può
scrivere il falso per determinare un 41 bis, un fatto simile non
necessiterebbe un grande sforzo". Ma l'asserzione secondo cui
sia io ad aver scelto un simile regime di isolamento è talmente
contraria alla realtà fattuale e documentale da poter pensare
solamente ad una palese svista, o lapsus, presente nel documento che
lei ha inviato al Ministero di Giustizia nell'agosto del 2000. Non ho
altra spiegazione per un cotanto travisamento.
12)
In data 6/7/2001 facevo richiedere ufficialmente alla sua persona
tramite legale difensore, e come mio diritto, copia della relazione
redatta dal dirigente sanitario in seguito ad ispezione ex officio
del luogo in cui ero detenuto in 41 bis. Data già citata del
17/6/2000. Lei, cortesemente, acconsentiva con lettera n. 19603 del
16/7/2001.
13)
Improvvisamente, però, in data 18/7 - ore 9 - un agente incaricato
mi rendeva edotto che non esisteva alcun rapporto redatto dal
dirigente sanitario in data 17/6/2000. Scrivevo immediatamente
raccomandata A.R. al dirigente, esternando la mia meraviglia per
l'inesistenza di una relazione che mi constava esistere. La sera del
23/7/2001 (ore 22, circa) un medico mi mostrava la relazione
assicurandomi della sua esistenza e affermando che copia, come mio
diritto, mi sarebbe stata consegnata non appena autorizzazione fosse
stata rilasciata da parte della direzione. Seguiva una serie di
solleciti epistolari da parte mia alla sua persona. In data 17 agosto
2001 lei mi convocava nel suo ufficio e durante quel colloquio mi
consigliava di assumere un atteggiamento conciliante a livello
"locale". Spero lei abbia perfetta memoria di quanto mi
riferì, giungendo a consigliarmi di richiedere un primo permesso di
qualche ora da trascorrere nella città di Parma. Io, forse
inopinatamente, continuai a pretendere la consegna di
quell'introvabile relazione sanitaria. In data 7/9/2001 le rivolgevo
preghiera affinché se vero fosse che tale rapporto non esisteva mi
si consegnasse un riscontro ufficiale, scritto, che lo attestasse. In
data 8/9/2001 ricevevo finalmente l'agognato documento. Mi permetto
riportare alla sua cortese attenzione alcuni brani: "Risponde
che è sottoposto a regime 41 bis ingiustamente e che non intende
socializzare con i detenuti del crimine organizzato qui ristretti.
Eppure questa è una situazione che dal punto di vista tecnico
professionale e secondo scienza e coscienza io ritengo totalmente
inaccettabile, oltreché incompatibile con i principi umanitari e
della medicina (...). La visuale oltre le sbare della finestra è
rappresentata da un muro che dista circa un metro e non consente
l'irraggiamento solare nel modo più assoluto in alcuna parte della
cella (...). Oggi in un carcere che mi è coevo mi sono ritrovato
nel Medioevo". Inoltre: "Dichiaro incompatibili le sue
condizioni di salute a sopportare ulteriormente il regime cui è
sottoposto in totale isolamento". Lei ha pervicacemente ignorato
tale "incompatibilità".
Termino
questa mia lettera in punto di fatto sperando che lei possa darmi
atto di come mi sia attenuto solamente alla enunciazione degli
accadimenti e nulla più. Nel contempo ho compreso che in realtà
debbo porgere le mie scuse, avendo ritenuto del tutto erroneamente
che anche un detenuto abbia i propri diritti, propalanti da precisi
dettami costituzionali, disposizioni legislative ed articoli dei
codici. In realtà, appare del tutto evidente che lei abbia ritenuto
indispensabile una iniziativa sanzionatoria non per un comportamento
intramurario che è stato, a norma di regolamento, sempre
ineccepibile, ma perché mi sono permesso di reclamare
puntigliosamente quanto lei avrebbe dovuto disporre ex officio nei
miei confronti... e richedendo documentazione che non proiettava
sicuramente una luce del tutto limpida sul trattamento carcerario
riservatomi nell'istituto di cui lei è direttore. Lei considera la
non accettazione di palesi violazioni costituzionali, legislative e
dei codici, come una forma di ostilità e di chiusura nei confronti
dell'"organizzazione". Quasi un delitto di lesa maestà. Mi
permetto rammentarle, signor direttore, quanto evocato dall'art.27
della Costituzione e dall'art. 3 della legge penitenziaria: "Le
pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di
umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato".
Negli istituti penitenziari è assicurata ai detenuti ed agli
internati parità di condizioni di vita". Mi riesce molto
difficile comprendere quale umanità, rieducazione e quale
egualitarismo vi siano stati nel tenere un essere umano segregato,
nel silenzio e senza che potesse vedere e parlare con nessuno. MAI.
La ringrazio per la sua attenzione. Con distinti saluti, Francesco
Pazienza Donato.
In
seguito, Pazienza è stato trasferito ad altro Carcere. La Procura
della Repubblica presso il Tribunale di Parma ha aperto un
procedimento penale, fascicolo n. 1790/03 RGNR, Mod.21, inviando un
avviso di garanzia al sunnominato direttore del carcere, Silvio Di
Gregorio. La miglior scrittrice europea del 2002, recentemente
premiata a Madrid, Isabel Pisano, ha dedicato a Francesco Pazienza il
suo libro appena uscito "La Sospecha". La dedica riporta
per ben tre volte il nome di Pazienza. Cosa ha fatto quest'uomo per
meritare tanto bene e tanto male? Andiamo per ordine. E' stato lui a
dire che la strage di Bologna poteva essere collegata agli accordi di
Malta (vedi cap.IV), è stato lui a dire che il bilancio finale del
Banco Ambrosiano Estero (mai acquisito dai giudici) venne messo sotto
segreto di Stato dall'allora premier inglese Margaret Thatcher. Che
fine ha fatto, a livello giudiziario, il rapporto che il Customs
Service USA (agenti Donevan e Callighan) aveva inviato al giudice
Giovanni Falcone informandolo che il rapporto Touche & Ross
sull'Ambrosiano era pronto? (Rapporto protocollato 39131/RDA dal
Comando Generale della Guardia di Finanza di Roma il 9 dicembre 1986)
Perché, quando la consorte di un illustrissimo magistrato romano ha
chiesto di conoscere il contenuto dell'estradizione di Pazienza dagli
Stati Uniti, Mino Martinazzoli ha opposto il segreto di Stato? Fulvio
Martini era d'accordo con l'allora Direttore della CIA William Casey
per combinare l'estradizione, perché? Chi cominciò a procurare guai
negli USA a Francesco Pazienza? Un personaggio del Ministero della
Giustizia USA, Ted
Shackley.
Ricordatevi questo nome. La chiave è tutta lì. Lo ritroveremo nel
capitolo dedicato a Chip Tatum. Il 27 dicembre 2002, Pazienza
presenta domanda di Grazia. Vale la pena riportarla.
S.E.
Sig. Presidente della Repubblica - Roma (NdA: Carlo Azeglio Ciampi,
ex governatore della Banca d'Italia SpA)
S.E.
Sig. Ministro della Giustizia - Roma (Nda: Ministro Castelli, Lega
Nord)
Oggetto:
Richiesta ex Art. 681 c.p.p.
Eccellenza,
il
sottoscritto Francesco Pazienza Donato, nato a Monteparano (TA) il 17
marzo 1946, attualmente ristretto presso la C.R. di Parma, con la
presente sommessamente richiede alla Ecc.ma S.V. poter fruire della
concessione di Grazia condizionata relativamente alla condanna subita
con sentenza del 14 marzo 1986 da parte della Corte d'Assise
d'Appello di Roma ad anni tre e due mesi ex artt. 314, 378 c.p.
La
presente domanda è inoltrata ai sensi dell'art. 681 comma 2 c.p.p.
al Sig. Magistrato di Sorveglianza (NdA: Dott.ssa Nadia Buttelli -
Reggio Emilia) cui sarà trasmesso un corposo fascicolo con allegati
probatori. E' pur vero che in uno Stato democratico e di diritto
debba esistere la certezza della pena ma, sommessamente, credo debba
esistere anche la certezza del diritto di difesa e di un processo
equo. In data 4 marzo 1985 fui arrestato su richiesta estradizionale
della Repubblica Italiana nella città di residenza pro tempore: New
York. La richiesta estradizionale relativamente al procedimento de
quo fu fatta ritirare con ciò negandomi il diritto alla garanzia
giurisdizionale in sede di procedimento estradizionale. Fui quindi
processato come 'latitante' e 'contumace' nei due gradi di merito
mentre mi trovavo ristretto in un carcere americano senza potermi
difendere e conferire con il legale difensore (sic). Il fascicolo
probatorio dimostra meticolosamente come l'iter estradizionale sia
stato inquinato dalla Central Intelligence Agency (NdA: all'epoca
sotto la direzione di Casey, ora defunto) su richiesta dell'italiano
SISMI (NdA: il servizio italiano di intelligence militare, all'epoca
sotto la direzione dell'ammiraglio Fulvio Martini, ora defunto).
L'applicazione della pena ottenuta tramite deroga al principio di
specialità per via amministrativa e concessa solo nel 1992 ma
notificatomi addirittura in data 27 novembre 1995. In data 8 aprile
1987 la seconda sezione giurisdizionale della Corte dei Conti con
sent. nr. 100/87 dichiarava non doversi procedere contro il
sottoscritto perché del tutto apoditticamente processato e
condannato ex Art. 314 c.p. allorché mai ero stato né pubblicamente
ufficiale né tantomeno incaricato di pubblico servizio. In data 13
agosto 1994 a conclusione del procedimento nr. 1164/87 G.I. Roma
(Sez. 1 stralcio) il giudice istruttore di Roma, Dr. Otello
Lupacchini, stabiliva che il sottoscritto non si era mai reso
responsabile del reato di favoreggiamento ex art. 378 c.p. per cui
era stato processato e condannato. In data 23 marzo 2000 il
Presidente della Corte d'Assise di Bologna, Dr. Maurizio Millo, in
pubblica udienza (Procedimento nr. 1/96) dichiarava che il processo
celebrato contro il sottoscritto era indegno di un Paese della
Comunità Europea per la palese violazione dei diritti della difesa.
Basti pensare che non fui mai interrogato neppure nella fase
istruttoria perché dichiarato dolosamente 'irreperibile' allorché e
nonostante perfettamente noto fossi un estero residente iscritto alla
Anagrafe Italiani Residenti Estero. Ciò in violazione degli Artt.3 e
24 della Carta fondamentale secondo quanto specificatamente stabilito
da sentenza nr. 177/1974 della Corte Costituzionale relativamente,
appunto, alla incostituzionalità del rito per irreperibili nei
confronti di coloro che, cittadini italiani, sono residenti
all'estero. La mia iscrizione come estero residente era ufficialmente
avvenuta presso l'Ufficio Anagrafe del Comune di Roma in data 13
gennaio 1983 allorché il procedimento penale nr. 17270/83 non era
neppure iniziato ed iscritto a registro. Talmente notoria era la mia
estera residenza che in data 9 dicembre 1982 la Commissione
Parlamentare sulla Loggia P2 (NdA: loggia ammaestrata da Licio Gelli,
non ancora defunto) dispose una mia audizione presso il Consolato
italiano a New York. Il fascicolo probatorio dimostra inoltre la
vergognosa quantità dell'inquinamento probatorio messo in atto dal
SISMI sopratutto a partire dal periodo in cui la direzione fu assunta
dall'Ammiraglio Fulvio Martini. Tutto ciò premesso ringrazio
l'Ecc.ma S.V. per l'attenzione prestata porgendo i più deferenti
ossequi. Francesco Pazienza. Parma, 27/12/2002.
------------
Mi
sono interessato per sapere, pochi mesi dopo, che fine avesse fatto
questa domanda di Grazia. Incontrai perciò, a Pontida, il segretario
particolare del ministro Castelli, Stefano Simonetti, che mi informò
del fatto che occorreva il beneplacito da parte del Direttore
Generale degli Affari Penali, Dott.ssa Augusta Iannini, tra l'altro
consorte della stella del giornalismo Bruno Vespa. Non bastava quindi
la firma di Ciampi e di Castelli. Mi auguro che la Dott.ssa Iannini
trovi il tempo di esaminare la domanda di Grazia e/o, ancora meglio,
abbia occasione di leggere questo libro. Nel frattempo, il direttore
del carcere di Parma, Silvio Di Gregorio, è stato indagato dalla
Procura della Repubblica presso il Tribunale di Parma, dal pm Dott.
Brancaccio (numero del procedimento: 1790/03 RGNR).
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