Capitolo
III - Valerio Mattioli
Il
caso del carabiniere Valerio Mattioli mi venne segnalato da Falco
Accame, di cui parleremo in un capitolo a parte. Valerio aveva
scoperto che esistono milioni di fascicoli in cui sono schedati i
cittadini italiani, anche i morti ed i neonati. Siccome in questa
schedatura vi sono anche annotazioni in merito ad aspetti personali
ed inviolabili della privacy del cittadino, Valerio denunciò i
pericoli che ne derivavano. La schedatura in base alla religione, ai
gusti sessuali ed altri aspetti dei cittadini, non ha mai portato a
niente di buono: basti ricordare la persecuzione degli ebrei durante
la seconda guerra mondiale. In quale modo si giustificano questi
criteri all'interno degli archivi dei carabinieri? Perché 90 milioni
di fascicoli? Proprio mentre esiste una autorità garante sulla
Privacy? Pare di tornare al medioevo. Le vicessitudini di Valerio
sono meglio descritte nel ricorso da lui presentato:
TRIBUNALE
AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO
RICORSO
per
l’Appuntato scelto dei Carabinieri Valerio MATTIOLI, rappresentato
e difeso, giusta procura a margine del presente atto, dagli avvocati
Giorgio Carta e Giovanni Carta con i quali elegge domicilio in Roma,
viale B. Buozzi, 76,
contro
il
MINISTERO DELLA DIFESA, in persona del Ministro pro tempore,
per
l'annullamento, previa sospensione,
-
della determinazione del Direttore generale per il personale militare
del Ministero della difesa prot. n. DGPM/II/6/40328/96 del 12 giugno
2002 che ha disposto la cessazione dal servizio permanente per
«scarso rendimento» del ricorrente [doc. 1];
-
della proposta di dispensa dal servizio contenuta nella nota del
Comandante della 1^ Compagnia del 2° Reggimento allievi marescialli
della Scuola Marescialli e brigadieri di Firenze n. 56/1 di prot. del
31 gennaio 2002 [doc. 2] e di tutti i pareri conformi espressi dalla
scala gerarchica;
-
del verbale della Commissione di Valutazione ed Avanzamento (COVA)
del Comando generale dell’Arma dei carabinieri n. 108 del 27 marzo
2002 [doc. 3];
-
di tutti gli atti comunque presupposti, connessi o conseguenti;
FATTO
Il
ricorrente è stato arruolato nell'Arma dei Carabinieri il 20
novembre 1979 (matricola personale 018192-36-1961 - C.I.P. 187055QC)
e, da ultimo, ha prestato servizio presso la Scuola marescialli e
brigadieri dei carabinieri di Firenze, 1^ Compagnia allievi, con il
grado di Appuntato scelto.
Per
il reclutamento nel ruolo degli appuntati e dei carabinieri, l’art.
5, lett. d), d.lgs. 12.5.1995, n. 198, richiede il solo titolo di
studio del diploma di istruzione secondaria di primo grado. Il
Mattioli, invece, possiede il diploma di istruzione secondaria di
secondo grado.
L'ultraventennale
servizio prestato dal ricorrente nell’Arma dei carabinieri può
essere schematicamente distinto in due fasi: una prima che va
dall'arruolamento fino al 1996, per complessivi 17 anni, ed un'altra
che va dal 1996 fino ad oggi, per complessivi 6 anni.
Nei
primi diciassette anni di carriera, l’appuntato scelto Mattioli non
riporta alcuna sanzione disciplinare e consegue brillanti valutazioni
caratteristiche: salva una breve parentesi, infatti, dal 1985 al 1992
è giudicato “superiore alla media”; successivamente, fino al
1995, riporta la qualifica di “eccellente”, riservata dall'art.
3, comma II, del d.p.r. n. 1431/1965, «a coloro che emergano
nettamente per qualità e rendimento eccezionali».
La
documentazione caratteristica del ricorrente relativa alla prima fase
della carriera così si esprime:
·
«elemento di spiccate qualità fisiche, morali, militari ed
intellettuali, alle quali unisce volontà e molto buon senso. Ha
ottima cultura generale. Si è applicato … con zelo e passione sì
da emergere sui pari grado. … Di eccellenti qualità complessive»
[doc. 4];
·
«attitudini particolari per il tiro» [doc. 5], circostanza questa
da tenere presente in relazione a quanto si leggerà in un successivo
documento caratteristico;
·
«militare attivo, preciso ed in possesso di molta buona volontà. si
è applicato al lavoro con impegno e spirito di sacrificio, fornendo
un rendimento molto apprezzato. Ottimo collaboratore» [doc. 6];
·
«ha svolto il suo incarico con serietà, impegno e buona volontà,
fornendo risultati molto soddisfacenti» [doc. 7];
·
«ha atteso con serietà, impegno e buona volontà ai compiti
affidatigli, fornendo rendimento molto apprezzabile … risultati
molto apprezzati» [doc. 8];
·
«dotato di valida preparazione professionale, molto serio. Ha svolto
i suoi compiti con solerte impegno» [doc. 9];
·
«ha atteso ai propri doveri con vivo impegno, sacrificio, molta
capacità e zelo … costante impegno ed elevata capacità …
rendimento molto soddisfacente» [doc. 10];
·
«apprezzabile impegno e sicura padronanza … i risultati conseguiti
sono stati molto soddisfacenti» [doc. 11];
·
«elemento preciso ed animato da buona volontà … alto senso del
dovere, capacità e zelo» [doc. 12];
·
«graduato diligente, serio, scrupoloso, riservato, professionalmente
preparato … Il suo rendimento è stato molto elevato» [doc. 13];
·
«attivo, volenteroso, serio e riservato» [doc. 14];
·
«graduato di ottimi requisiti complessivi … Ha atteso ai compiti
affidatigli con tenace impegno e volontà, fornendo ottimo
rendimento» [doc. 15];
Fino
al 1995, quindi, la carriera dell'appuntato Mattioli procede
brillantemente e le valutazioni caratteristiche conseguite rivelano
la generale stima e l'ottima considerazione dei superiori.
Il
graduato è specialmente apprezzato nello svolgimento dei lavori di
ufficio (gran parte della sua carriera si svolge alla Scuola
ufficiali quale addetto al Reparto comando) e, in ragione della sua
cultura generale e professionale superiore a quella dei pari grado, è
ritenuto un prezioso collaboratore degli ufficiali.
L'inversione
di tendenza nella considerazione del ricorrente da parte dei
superiori si riscontra nello specchio valutativo n. 25, relativo al
periodo 27.2.1995 - 15.8.1995, in virtù del quale la qualifica
finale del militare declina da "eccellente" a "superiore
alla media" [doc. 16].
Accade,
infatti, che nel periodo oggetto di valutazione, il Mattioli chieda
ai propri superiori di poter accedere ad un determinato carteggio al
dichiarato scopo di poter denunciare illeciti amministrativi commessi
all’interno del proprio ufficio.
Con
lettera del 13.4.1995, il Capo di stato maggiore della Scuola
Ufficiali Carabinieri, rigetta la richiesta dell'Appuntato Mattioli
opponendogli il difetto del «relativo diritto di ricerca e/o
acquisizione» (sic) e postulando un non meglio precisato «diritto
di indagine di competenza dei soli superiori gerarchici» [doc. 17].
In
esito a tale accadimento, che pure avrebbe dovuto denotare la
scrupolosità del militare nell'assolvimento del proprio ufficio, il
compilatore delle note caratteristiche del ricorrente annota, invece,
che il Mattioli, «nel periodo in esame, a momenti di maggiore
impegno ne ha fatto seguire altri in cui ha evidenziato minore
attaccamento al servizio tanto che il suo rendimento, pur
mantenendosi su livelli apprezzabili, ha subito una flessione» [doc.
16].
Il
revisore dello specchio valutativo concorda con il giudizio espresso
dal compilatore e aggiunge che il Mattioli, «in possesso di valida
cultura generale e buona capacità professionale, ha offerto un
rendimento che, seppur pregevole, non è stato ottimale».
Curiosamente,
poi, l'intelligenza del militare non è più giudicata "ottima",
ma semplicemente "buona", come se pure tale qualità fosse
suscettibile di regressi.
Contro
il documento caratteristico n. 25, il Mattioli propone ricorso
straordinario che è, però, respinto.
Da
questo momento in poi la carriera del ricorrente è un continuo
succedersi di eventi che lo portano ad essere progressivamente
emarginato dai superiori e dai colleghi, fino all'estremo atto
dell'estromissione dall'Arma dei carabinieri oggetto dell'odierno
gravame.
In
data 13 marzo 1996, alcuni quotidiani nazionali pubblicano un
intervento del Mattioli sull'argomento - molto dibattuto all'epoca -
della condizione della popolazione di lingua tedesca dell'Alto Adige.
L'art.
9, comma I, della legge 11 luglio 1978, n. 382, consente senz'altro
ai militari di pubblicare liberamente loro scritti, di tenere
pubbliche conferenze e comunque di manifestare pubblicamente il
proprio pensiero senza necessità di alcuna autorizzazione, salvo che
si tratti di «argomenti a carattere riservato di interesse militare
o di servizio».
Ciononostante,
il 28 marzo 1996, il ricorrente riporta 10 giorni di consegna di
rigore per aver inviato «lettere a quotidiani nazionali
legittimandone la pubblicazione, nelle quali sosteneva la militare
occupazione del Trentino Alto Adige, così disconoscendo l'integrità
del territorio nazionale e venendo quindi meno all'impegno di operare
per l'assolvimento dei compiti istituzionali delle Forze armate con
assoluta fedeltà».
Contro
tale provvedimento, il graduato propone il ricorso n. 13324/1996
tuttora pendente dinanzi a codesto Ecc.mo TAR.
Nel
periodo in esame (16.8.1995 - 22.7.1996), non solo il ricorrente
passa dalla qualifica di "superiore alla media" a "nella
media" [doc. 18], ma è altresì trasferito - per
incompatibilità ambientale - da Roma alla Stazione dei carabinieri
di Bucine, in provincia di Arezzo.
Contro
entrambi i provvedimenti, l'appuntato Mattioli propone il ricorso n.
13328/1996 tuttora pendente dinanzi a codesto Ecc.mo TAR.
Con
lo specchio valutativo successivo, compilato per il periodo 23.7.1996
- 27.3.1997, il ricorrente riceve direttamente la qualifica di
"insufficiente", senza nemmeno passare per quella
intermedia di "inferiore alla media" [doc. 19].
Improvvisamente,
poi, per la documentazione caratteristica, la sua intelligenza
diventa da "buona" a "normale" (in passato era
stata "ottima"); la capacità professionale da "buona"
diventa "scarsa"; e perfino la costituzione fisica passa da
"robusta" a "normale" .
In
verità, tali note sono compilate dal Comandante di Compagnia il 2
settembre 1997, dopo essere stato egli informato dal comandante
interinale della dipendente Stazione carabinieri di Bucine di un
procedimento della Procura di Arezzo che lo vedeva come indagato su
denuncia proposta dallo stesso Mattioli [doc. 20].
Con
separate istanze, il militare chiede di conferire con il Ministro
della difesa e con il Comandante generale dell'Arma, ma gli viene
concesso solo un colloquio con il comandante della Regione
carabinieri Toscana.
Il
rapporto informativo n. 29 relativo al periodo 13.9.1997 - 11.2.1998
esprime un giudizio sul graduato equivalente ad "insufficiente",
ma è successivamente corretto dall'amministrazione a seguito di
ricorso gerarchico vittoriosamente esperito dall'appuntato [doc. 22].
Si
consideri che il documento caratteristico in esame, nel qualificare
«deludente e del tutto insoddisfacente» il rendimento offerto,
rileva perfino che il Mattioli è «insicuro ed impacciato anche nel
maneggio delle armi e nell'attività addestrativa con le stesse».
Tale affermazione, ponendosi in assoluta contraddizione con le
«attitudini particolari per il tiro» già riscontrate in passato
[vedi doc. 5], fa dubitare della serenità di giudizio del
compilatore.
Il
10 novembre 1997, il ricorrente subisce la sanzione del "rimprovero"
per aver omesso di «informare il proprio comando di evento in cui
era stato coinvolto, per il quale sporgeva denuncia presso altro
organo di polizia».
In
realtà, il Mattioli, di passaggio all’Università degli Studi “La
Sapienza di Roma”, aveva notato che alcuni laureandi lasciavano
somme di danaro agli uscieri prima di entrare nella sala delle lauree
per discutere la tesi e ne aveva informato la Centrale Operativa dei
Carabinieri chiedendone l’intervento. Ricevuto un diniego, aveva
allora denunciato il fatto al Commissariato di polizia più vicino,
ben consapevole che il predetto organo di polizia avrebbe informato i
propri superiori e ritenendo, per questo, di attendere un
compiacimento da questi ultimi.
Contro
la sanzione invece scaturitane, il Mattioli propone ricorso
straordinario che ha però esito negativo.
Nel
medesimo periodo, un quotidiano nazionale pubblica una lettera del
Mattioli in cui questi esprime proprie considerazioni sui gravosi
turni di servizio quotidianamente affrontati dai carabinieri.
A
seguito di ciò, gli sono irrogati 5 giorni di consegna di rigore con
l'accusa di aver espresso «giudizi gravemente lesivi al prestigio e
alla reputazione di altri militari, considerati come categoria».
Nello
stesso periodo viene sanzionato dal Comando Carabinieri Regione
Toscana con la consegna di rigore per aver fatto apparire
(nell’ottobre 1996) sul giornale “La Stampa” alcune critiche al
personaggio televisivo del “maresciallo Rocca”.
Per
il medesimo fatto, il ricorrente è altresì denunciato dai superiori
sia alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino che a
quella presso la Pretura della medesima città. Le due Procure, nel
concordare che trattavasi di libera manifestazione del pensiero,
chiedono l’archiviazione dei entrambi i procedimenti. Di
conseguenza, la sanzione disciplinare frattanto irrogata è annullata
a seguito di ricorso gerarchico vittoriosamente esperito dal
Ricorrente.
Il
militare viene trasferito alla Stazione di San Giovanni Valdarno (AR)
con l'incarico di autista e di addetto al Nucleo Comando della
Compagnia.
Nel
gennaio 1998, l'appuntato Mattioli invia, per via gerarchica, una
nota al Comandante generale ove denuncia la violazione della legge 31
dicembre 1996, n. 675 (Tutela delle persone e di altri soggetti
rispetto al trattamento dei dati personali) da parte dell’Arma
[doc. 24].
Più
precisamente, rappresenta alla scala gerarchica l'illegittimità
della prassi dell'Arma dei carabinieri di redigere le c.d. pratiche
permanenti (rectius: schedature) delle persone fisiche e giuridiche
anche con riferimento ai «dati sensibili» di cui all'art. 22 della
legge sulla privacy. Tali sono i dati personali idonei a rivelare
l'origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o
di altro genere, le opinioni politiche, l'adesione a partiti,
sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso,
filosofico, politico o sindacale, nonché i dati personali idonei a
rivelare lo stato di salute e la vita sessuale.
La
denuncia del militare rimane senza esito ed egli è fatto bersaglio
di ulteriori punizioni, di riservate personali e di vessazioni sempre
più frequenti.
Succede,
infatti, che egli chieda all’amministrazione della difesa la
cancellazione della registrazione di dati riguardanti le proprie
opinioni personali (nella specie: aver criticato il personaggio
televisivo del maresciallo Rocca). La legge n. 675/1996 prevede che
tale tipo di istanza vada presentata direttamente all’Ufficio o
Ente che detiene i dati
Ciò
nonostante, il 3 febbraio successivo, il ricorrente riporta ben 7
giorni di consegna per avere inoltrato una «istanza relativa a
vicenda disciplinare nella quale era rimasto coinvolto senza
osservare la via gerarchica».
Contro
il provvedimento sanzionatorio, il militare propone ricorso
straordinario che ha però esito negativo.
Nello
stesso periodo, il Mattioli è sanzionato con 5 giorni di consegna
per aver proposto un’istanza di accesso i cui toni vengono
giudicati «lesivi della dignità» dell’autorità cui è destinata
(il capo ufficio segreteria e personale della Regione CC Toscana). La
sanzione è, però, annullata a seguito di ricorso straordinario
vittoriosamente esperito dal ricorrente.
In
data 6 febbraio 1998, il Mattioli riporta la sanzione del rimprovero
in quanto, in occasione di un'ispezione al reparto del Comandante di
Compagnia, si sarebbe presentato «in maniera poco reattiva e con
l'uniforme in disordine». In realtà, accade semplicemente che il
ricorrente non calzi i guanti d’ordinanza. Contro la sanzione, il
militare propone un ricorso straordinario che ha esito negativo.
Dal
6 all'11 settembre 1999, il ricorrente frequenta a Vicenza un corso
di aggiornamento per appuntati scelti e riporta la qualifica di
“buono” [doc. 22]. Tale giudizio positivo è conseguito grazie al
superamento di test attitudinali, culturali e professionali a
punteggio predefinito sui quali, pertanto, non può incidere il
giudizio dei superiori.
Ciononostante,
il documento caratteristico n. 37, relativo al periodo immediatamente
precedente ed immediatamente successivo al corso assegna al Mattioli
la qualifica finale di "insufficiente" [doc. 23].
Tale
documento caratteristico - fra i tanti denigratori della dignità e
dell'immagine dell'appuntato Mattioli succedutisi nella seconda fase
della sua carriera - è, anzi, il più scomposto e contraddittorio.
Vi
si legge, infatti, che l'intelligenza e la cultura del graduato sono
"scarse" e - contestualmente - che egli è «intelligente»
e di «buona preparazione culturale di base».
Perfino
la «costituzione fisica» del militare non è più giudicata
"robusta" come in passato [docc. nn. 7, 8, 10, 11, 17, 13,
14, 15, 16 e 18], né normale [docc. nn. 5 e 19], ma addirittura
"gracile" e «di scarsa prestanza», segno evidente
dell'intento che anima i compilatori della documentazione
caratteristica.
La
«salute», che era stata sempre giudicata "buona" [docc.
nn. 5, 16, 18 e 19] se non "ottima" [docc. nn. 7, 8, 11,
12, 13, 14 e 15], è ora valutata "cagionevole".
La
«intelligenza», prima valutata "buona" [docc. 5, 7, 8,
10, 11, 12, 13, 14, 16 e 18], " ottima " [doc. 15] o,
comunque, "normale" [doc. 19], è ora giudicata "scarsa"
e via dicendo.
Contro
tale nota caratteristica, il graduato propone un ricorso
straordinario tuttora pendente.
Essendo
rimaste senza esito le segnalazioni precedentemente fatte alla scala
gerarchica circa la violazione della legge sulla privacy, il
Mattioli, nell’agosto del 1999, ne fa denuncia all'Autorità
giudiziaria. La Magistratura delega le indagini agli stessi
Carabinieri ed il procedimento viene di lì a poco archiviato. Al
ricorrente sono, invece, inflitti tre giorni di consegna di rigore
per aver inoltrato «denuncia all'A.G. senza informare il superiore
diretto».
Contro
tale sanzione, il Mattioli ricorre dinanzi a Capo dello Stato
evidenziando - sostanzialmente - come nessuna norma giuridica imponga
alla polizia giudiziaria di informare i superiori circa l’intenzione
di denunciarli dinnanzi all’autorità giudiziaria. L’impugnazione
è, ciò nondimeno, respinta.
Il
1° marzo 2000, l'appuntato Mattioli riporta 5 giorni di consegna,
accusato di aver svolto negligentemente il servizio «indirizzando
verso altro ufficio un cittadino recatosi in caserma a riferire
notizie relative a grave delitto precedentemente perpetrato nel
territorio e deludendone così le aspettative».
In
realtà, il cittadino si era presentato per riferire notizie relative
ad una rapina le cui indagini erano state delegate dall’Autorità
giudiziaria al locale Commissariato della Polizia di Stato. Il
Mattioli, pertanto, anche in ossequio all’auspicato coordinamento
delle forze di polizia, aveva indirizzato il cittadino presso
quell’ufficio, non senza contattare telefonicamente l’Ispettore
competente per avvisarlo dell’imminente arrivo della persona
interessata.
Contro
la sanzione inflitta, il Mattioli propone un ricorso straordinario
che però ha esito negativo.
Risultate
inutili le denunce ai propri superiori ed alla stessa Autorità
giudiziaria, nel maggio 2000, il ricorrente segnala la schedatura dei
cittadini da parte dell'Arma dei Carabinieri al Garante per la
protezione dei dati personali che avvia un'ampia istruttoria sul
caso.
Questa
volta, la denuncia fatta dal ricorrente ha grande eco su tutti gli
organi di stampa e sui media nazionali.
Per
tutta risposta, la scala gerarchica irroga 7 giorni di consegna di
rigore al Mattioli per aver egli inoltrato «direttamente» - e non
per il tramite dell'amministrazione - la denuncia all'Autority e per
aver rilasciato «dichiarazioni ad organi di stampa riguardanti
argomenti riconducibili al servizio, senza aver preventivamente
richiesto ed ottenuto autorizzazione». E’ noto invece, come il
Mattioli avesse già inutilmente sollecitato l’intervento dei
vertici della propria amministrazione.
Contro
tale sanzione il militare propone ricorso gerarchico sul quale
l'amministrazione omette di pronunciarsi. Decorsi 90 giorni, il
medesimo propone il ricorso n. 1339/2001 tuttora pendente dinanzi a
codesto Ecc.mo TAR.
Nel
gennaio 2000, sulle «continue vessazioni e punizioni cui è ...
sottoposto l’appuntato Valerio Mattioli», il senatore Russo Spena
pronuncia un'interrogazione parlamentare al Ministro della difesa
[doc. 25] che non riceve però alcuna risposta.
A
tale interrogazione parlamentare ne seguiranno altre 12, tutte
rimaste senza esito.
Lo
specchio valutativo n. 38, relativo al periodo 7.10.1999 - 6.10.2000,
denuncia «lo scarso attaccamento all'Istituzione» del Mattioli ed
il suo «eccessivo senso critico nei confronti delle norme e dei
regolamenti» e si conclude con l'attribuzione della qualifica più
bassa: "insufficiente" [doc. 26].
Contro
il documento caratteristico, il Mattioli propone un ricorso
gerarchico tuttora pendente.
Nell’ottobre
2000, i superiori gerarchici propongono la cessazione dal servizio
permanente del ricorrente.
La
stampa nazionale continua ad occuparsi delle schedature tenute
dall'Arma e frattanto denuncia le vessazioni cui è sottoposto il
militare che ha sollevato il problema.
Il
13 novembre 2000, il ricorrente riporta altri 8 giorni di consegna di
rigore per aver rilasciato ad organi di stampa «dichiarazioni
riguardanti il servizio volutamente artefatte con le quali ledeva il
prestigio dell'istituzione e di altri militari e violava i doveri
attinenti al proprio stato, in particolare al senso di
responsabilità».
Contro
tale provvedimento il Mattioli propone un ricorso straordinario
tuttora pendente.
L'11
gennaio 2001, il Garante della protezione dei dati personali,
accertata le irregolarità denunciate dal Mattioli, segnala al
Presidente del Consiglio dei ministri ed al Ministro della difesa
l'esigenza di un «rapido adeguamento normativo» [doc. 27].
Con
il medesimo provvedimento, il Garante della privacy segnala al
Comando generale dell'Arma dei carabinieri «la necessità di
conformare i trattamenti di dati personali» alle disposizioni
vigenti e lo invita a «fornire un riscontro» sulle iniziative
intraprese.
Il
24 gennaio 2001, il ricorrente riporta ulteriori 10 giorni di
consegna di rigore per aver rilasciato dichiarazioni riguardanti il
servizio e per avere leso il «prestigio dell’Istituzione».
Contro
tale provvedimento il Mattioli propone un ricorso straordinario che è
tuttora pendente.
Il
seguente 26 gennaio, il ricorrente riporta altri 9 giorni di consegna
di rigore per aver rilasciato dichiarazioni alla stampa.
Anche
contro tale provvedimento il Mattioli propone un ricorso
straordinario ancora pendente.
Nel
febbraio del 2001, al ricorrente è comunicata la proposta di
trasferimento «per incompatibilità ambientale» inoltrata nei suoi
confronti dal Comandante provinciale di Arezzo, con nota n. 172/2 del
5 gennaio precedente [doc. 34].
A
giustificazione dell'asserita incompatibilità ambientale, il
superiore gerarchico falsamente attestava che il Mattioli «anche
nelle attività di ufficio inerenti la contabilità carbolubrificanti
e la manutenzione degli automezzi del reparto non ha dimostrato una
qualificata capacità professionale» e che, pertanto, «non è
impiegabile in alcuno dei compiti connessi con l'incarico». Il
medesimo superiore aggiungeva che il militare, «a causa
dell'atteggiamento assunto a seguito delle vicende che lo vedono
coinvolto, note in tutta Italia attraverso la stampa, per l'aperta
conflittualità con l'istituzione e suoi appartenenti, è inviso ai
commilitoni che avvertono un forte senso di disagio, nei rapporti con
lui».
Con
nota del 7 febbraio 2001, il ricorrente smentisce tutte le
affermazioni del Comandante provinciale ma, soprattutto, precisa di
essergli stata da sempre (illegittimamente) preclusa ogni «attività
d'ufficio» e, quindi, anche di «contabilità dei
carbolubrificanti», nonostante il suo incarico di addetto al Nucleo
Comando della Compagnia [doc. 35].
Premesso
ciò, l'appuntato scelto Mattioli assegna al proprio superiore un
termine per rettificare le dichiarazioni contenute nella proposta di
trasferimento, scaduto inutilmente il quale, si riserva di deferire
la questione all'Autorità giudiziaria.
In
esito a tale diffida, con nota n. 172/9 del successivo 12 febbraio,
il Comandante provinciale di Arezzo riconosce che effettivamente il
Mattioli «non è stato impegnato nelle attività d'ufficio e
tantomeno nella trattazione della contabilità carbolubrificanti»
[doc. 36].
Con
nota n. 1171/115-1996-T del 2.4.2001, il Comandante della Regione
Toscana informa il ricorrente di aver archiviato la proposta di
trasferimento per incompatibilità ambientale formulata dal
Comandante provinciale di Arezzo.
Questo
episodio, forse più di altri, chiarisce lo spirito che anima i
superiori del ricorrente allorché giudicano negativamente il suo
rendimento: sono pronti a dichiarare che il Mattioli «nelle attività
di ufficio … non ha dimostrato una qualificata capacità
professionale», salvo ammettere di non averlo mai impiegato in tale
incarico.
L'episodio
evidenzia, altresì, come il ricorrente sia stato illegittimamente
impiegato in mansioni diverse da quelle assegnate e, ciononostante,
sia stato valutato "insufficiente" quale «addetto al
Nucleo comando della Compagnia» in ognuno dei documenti
caratteristici nn. 37, 38 e 39 [docc. nn. 23, 26 e 31] posti, poi, a
fondamento della proposta di destituzione.
L'11
aprile 2001, il ricorrente riporta altri 10 giorni di consegna di
rigore per dichiarazioni rilasciate alla stampa. Contro tale
provvedimento il Mattioli propone un ricorso straordinario tuttora
pendente.
Frattanto,
il Capo del I Reparto - SM - Ufficio Personale del Comando generale,
con nota n. 187055/D-1-22 del 13 marzo 2001, comunica che il Vice
comandante generale dell'Arma, avvalendosi della delega del
Comandante generale, ha disposto di non dare ulteriore corso alla
proposta di cessazione dal servizio permanente a carico
dell'appuntato scelto Mattioli e di concedere a questi «un'ulteriore
possibilità di recupero, in considerazione delle valutazioni
riportate in epoca antecedente all'anno 1996» [doc. 28].
Il
Vice Comandante generale dispone altresì di intimare al ricorrente
di «mutare condotta» e di seguire il «comportamento del graduato
quantomeno sino alla prossima valutazione caratteristica, per
stabilire la sua completa riqualificazione ovvero, sussistendone i
presupposti, per avviare un'ulteriore proposta destitutiva».
Con
tale determinazione, quindi, l'amministrazione ritiene di non poter
dare corso alla proposta di cessazione dal servizio in considerazione
dei risultati conseguiti e dell'eccellente servizio reso dal
ricorrente nei primi 17 anni di carriera. Rimanda, pertanto, ogni
eventuale determinazione «quantomeno» all'esito della «prossima»
valutazione caratteristica (non quindi a quella già in itinere) con
espressa riserva di proporre nuovamente la destituzione solo a
condizione del ripetersi dei presupposti nel periodo di prova.
*
* * * *
Con
nota n. 208/11 di prot. 2000 del 16 marzo 2001, il Comandante della
Compagnia di San Giovanni Valdarno, invita l'appuntato scelto
Mattioli a «mutare condotta» [doc. 29].
Nello
stesso periodo, questi firma alcuni articoli sul quotidiano
"Liberazione" senza che l'amministrazione ritenga di dover
procedere al riguardo. Invero, in relazione ad un articolo, è
instaurato un nuovo procedimento disciplinare che è, però,
archiviato il successivo 6 giugno con l'espresso riconoscimento, per
il caso di specie, della libertà di manifestazione del pensiero
dell'interessato [doc. 30].
Frattanto,
si chiude la valutazione caratteristica per il periodo in corso
(7.10.2000 - 22.7.2001) ed il corrispondente specchio valutativo n.
39 attribuisce al ricorrente la qualifica finale di "insufficiente"
[doc. 31].
Contro
il documento caratteristico, il Mattioli propone il ricorso n.
5435/2002, tuttora pendente dinanzi a codesto Ecc.mo TAR.
Accade
pure che i superiori denuncino il ricorrente per «violata consegna o
abbandono da parte di militare di servizio aggravato» per essersi
questi recato, durante il servizio, a consumare un caffè al bar.
Il
13 giugno 2001, il Mattioli è prosciolto dal GUP militare di La
Spezia «perché il fatto non sussiste» [doc. 32]. Nella sentenza di
archiviazione, il GUP critica piuttosto l’operato del capitano che
aveva denunciato il fatto ed il procedimento disciplinare, frattanto
instaurato, è annullato con determinazione del 26 novembre 2001.
Il
23 luglio successivo, il ricorrente è trasferito «per servizio» al
Comando Scuola Marescialli e Brigadieri dei Carabinieri di Firenze
con il dichiarato scopo di «procedere al recupero professionale»
dello stesso ed in considerazione del passato impiego presso la
scuola ufficiali, «ricordato come particolarmente fertile» [doc.
41].
Il
3 agosto 2001, il quotidiano Liberazione pubblica un intervento del
Mattioli dal titolo «pena di morte camuffata, norme da abrogare -
considerazioni sull'uso legittimo delle armi da parte delle forze
dell'ordine» [doc. 33].
In
tale scritto, il ricorrente - senza trattare argomenti a carattere
riservato di interesse militare o di servizio - espone il proprio
pensiero sul contenuto e sugli effetti dell'art. 53 del codice
penale, auspicandone la riforma o l'abrogazione da parte del
Parlamento.
Ciononostante,
l’11 ottobre 2001, vengono irrogati al Mattioli 12 giorni di
consegna di rigore per avere rilasciato alla stampa «dichiarazioni
attinenti il servizio» ed avere in tale occasione espresso «giudizi
gravemente lesivi del prestigio delle forze di polizia».
Contro
tale sanzione, il militare esperisce ricorso gerarchico che ha esito
negativo. Successivamente, propone il ricorso n. 4307/2002 tuttora
pendente presso codesto Ecc.mo TAR.
*
* * * *
Con
nota n. 56/1 del 31 gennaio 2002, il nuovo comandante di Compagnia
del ricorrente propone per questi la dispensa dal servizio «per
scarso rendimento, nonché gravi reiterate mancanze disciplinari che
siano state oggetto di consegna di rigore» [doc. 2].
La
nota sottolinea che, nonostante l'intimazione a mutare condotta
notificata dopo il rigetto della prima proposta destitutiva, il
Mattioli, «in sede di successiva valutazione caratteristica», è
stato nuovamente valutato "insufficiente", «quantunque»,
dall'ultima suddetta intimazione, avesse avuto a disposizione «ben
quattro mesi e cinque giorni» per fornire elementi di ravvedimento.
In
realtà, la valutazione caratteristica n. 39 - relativa al periodo
7.10.2000 - 22.7.2001 [doc. 31] - non è «successiva», ma coeva sia
al rigetto del 13 marzo 2001 della prima proposta destitutiva [doc.
28], che all'intimazione a mutare condotta notificata il 17 marzo
seguente.
L'autorità
proponente la dispensa dal servizio del graduato - in ossequio alla
determinazione del Vice Comandante generale dell’Arma - avrebbe,
invece, dovuto attendere «quantomeno» la valutazione caratteristica
riferita al periodo successivo al 23 luglio 2001.
Con
zelo insolito per qualsiasi agente della pubblica amministrazione,
invece, il comandante di Compagnia concede all'interessato solo
«quattro mesi e cinque giorni per fornire elementi di ravvedimento,
ed ottenere il conseguimento di un giudizio positivo, o almeno di
livello superiore». Egli non considera che, al momento
dell'esortazione a mutare condotta, erano trascorsi già cinque mesi
e dieci giorni del periodo oggetto di valutazione e che, pertanto,
sarebbe stato davvero improbabile poter fornire «elementi di
ravvedimento» tali da meritare - nel periodo di valutazione già in
corso - l'auspicato «conseguimento di un giudizio positivo, o almeno
di livello superiore».
L’autorità
procedente rileva altresì che, successivamente all’intimazione a
«mutare condotta», il Mattioli ha riportato 12 giorni di consegna
di rigore e che avverso il relativo provvedimento questi ha proposto
ricorso gerarchico, «tuttora pendente».
Tale
circostanza è ulteriormente rivelatrice dello zelo e delle
intenzioni che animano il superiore gerarchico, il quale - pur
consapevole della pendenza del ricorso gerarchico proposto avverso la
sanzione - ciò nondimeno non esita ad avviare il grave procedimento
destitutivo odiernamente impugnato.
Tale
comportamento, a dispetto dell’affermato proposito di riconoscere
al militare «un’ulteriore possibilità di recupero», rivela la
ferma intenzione della scala gerarchica di chiudere sbrigativamente
la permanenza in servizio del Mattioli. E, a tal fine, di non voler
attendere nemmeno i novanta giorni che la legge riconosce al
superiore gerarchico per decidere il ricorso esperito dal militare,
salva peraltro la possibilità che sullo stesso si formi comunque,
nello stesso termine, il silenzio diniego di cui all’art. 6, D.P.R.
24 novembre 1971, n. 1199.
L’autorità
proponente, inoltre, assume falsamente che, «dal 1996 alla data
odierna, l’Appuntato scelto Mattioli» ha costantemente riportato
un «giudizio complessivo sfavorevole».
Come
si è detto, infatti, il documento caratteristico n. 36, relativo al
periodo di frequentazione del 2° ciclo di aggiornamento per
Appuntati scelti, riporta la qualifica di “buono” [doc. 22], ma
tale circostanza è curiosamente sottaciuta nella proposta di
destituzione in esame.
L’omissione
risulta tutt’altro che casuale o, comunque dovuta a distrazione del
compilatore, se si considera che pure l’allegato n. 5 («Valutazioni
caratteristiche dell’appuntato Scelto CC Mattioli Valerio») omette
di riportare, alla riga 36, il giudizio positivo conseguito dal
ricorrente [doc. 37].
Ancor
più grave è, però, l’omissione relativa ai primi 17 anni di
carriera del militare che non vengono in alcun modo rievocati nel
predisporre la proposta di destituzione del graduato.
L’autorità
proponente addebita, altresì, al militare di aver temerariamente
«avviato ed alimentato un vasto contenzioso amministrativo e
giurisdizionale» e conclude con la richiesta di dispensa dal
servizio permanente ai sensi degli artt. 12 e 17 della legge 18
ottobre 1961, n. 1168.
Con
foglio n. 56/3 del 31 gennaio 2002, il Comandante della 1^ Compagnia
della Scuola di Firenze, comunica al ricorrente l’avvio del
procedimento e lo invita, se del caso, a presentare memorie scritte e
documenti ai sensi dell’art. 10 della legge 7 agosto 1990, n. 241.
In
esito a tale invito, il Mattioli presenta due memorie scritte [docc.
nn. 39 e 39] e chiede di essere sentito dalla Commissione chiamata ad
esprimere il parere sulla proposta di dispensa dal servizio.
Giusta
il richiamato art. 17 della legge n. 1168/1961, la dispensa dal
servizio è adottata in seguito a proposta delle autorità
gerarchiche da cui il militare dipende e previo parere delle autorità
competenti ad esprimere giudizi sull'avanzamento.
Pertanto,
la proposta di cessazione dal servizio del ricorrente è sottoposta
all’adesione dell’intera scala gerarchica. In particolare, con
nota n. 207/3 del 13 febbraio 2002, il generale di divisione
Salvatore Fenu, quale responsabile del Comando delle scuole
dell’Arma, esprime parere favorevole all’accoglimento [doc. 40].
Il
27 marzo successivo, la Commissione di Valutazione ed Avanzamento
(COVA) si riunisce per esprimere il proprio parere sulla proposta di
destituzione formulata dalla scala gerarchica del ricorrente.
L’organo
è presieduto dal generale di divisione Salvatore Fenu che ha già
espresso parere favorevole alla proposta nella sua qualità di
autorità gerarchica da cui il militare dipende [doc. 3].
Il
Presidente della COVA, però, preso atto della propria
incompatibilità, anziché astenersi, semplicemente si determina a
«presenziare i lavori della Commissione astenendosi dal partecipare
alla disamina del caso ed alla votazione finale, svolgendo
esclusivamente le funzioni di coordinatore e moderatore».
La
Commissione così composta prende poi in esame e valuta il carteggio
relativo alla carriera del Mattioli dal 1996 in poi, ma non quello
relativo ai precedenti 17 anni di servizio.
La
determinazione del Comando generale di non dare corso alla prima
proposta destitutiva «in considerazione delle valutazioni riportate
in epoca antecedente al 1996» [doc. 28] precluderebbe alla COVA di
porre a base della odierna valutazione anche le risultanze
documentali precedenti al marzo 2001, già giudicate recessive
rispetto ai meriti acquisiti dal ricorrente nei primi 17 anni di
carriera.
La
Commissione, invece che valutare la sussistenza dei presupposti della
destituzione in relazione al solo periodo successivo all’ultima
intimazione a «mutare condotta» (così come stabilito dal Vice
Comandante generale), arbitrariamente esamina la carriera del
Mattioli a partire dal 1996. Altrettanto arbitrariamente non prende
in alcuna considerazione le risultanze (più che brillanti) degli
anni 1979 - 1996.
Dall’esame
dei punti da a) ad m) del verbale, infatti, si ricava che la COVA
prende in considerazione i soli eventi verificatisi dal 23 marzo 1996
ad oggi.
Inoltre,
pure in tale circostanza, l’amministrazione omette di considerare
(e finanche di riportare) il giudizio di “buono” conseguito dal
Mattioli nel corso di aggiornamento per appuntati. Curiosamente,
infatti, alla lettera i) del verbale si dà atto della frequentazione
del corso, ma non anche del giudizio ivi riportato [vedi pag. 5 del
doc. 3].
L’art.
10 della legge n. 241/1990 (espressamente richiamato nella
comunicazione dell’avvio del procedimento) imporrebbe
all’amministrazione di «valutare ove siano pertinenti all'oggetto
del procedimento» le memorie scritte presentate dal Mattioli [docc.
nn. 38 e 39].
Ciononostante,
le memorie presentate dal ricorrente non sono minimamente prese in
considerazione. Inoltre, «ogni membro della Commissione», compreso
il Presidente, ritiene di «non esprimere osservazioni sulle
considerazioni avanzate dal graduato ... poiché innovative rispetto
a quanto già presente in atti o noto» alla medesima.
Al
termine dei lavori, la Commissione esprime parere favorevole alla
cessazione per scarso rendimento dell’Appuntato scelto Mattioli.
Infine,
con determinazione prot. n. DGPM/II/6/40328/96 del 12 giugno 2002, il
Direttore generale per il personale militare del Ministero della
difesa, attestata la «regolarità» del procedimento seguito,
dispone la cessazione dal servizio permanente del ricorrente.
Peraltro,
anche detta autorità omette di valutare le deduzioni difensive
espresse e la documentazione prodotta dal Mattioli in sede di
audizione da parte della COVA.
Contro
tale provvedimento, illegittimo ed ingiusto, e contro tutti i
rimanenti atti del procedimento si propone ora ricorso per i
seguenti motivi di
D
I R I T T O
I.
Violazione degli artt. 3 e 10, lett. b), della legge n. 241/1990 -
Violazione degli artt. 12 e 17 della legge n. 1169/1961 - Violazione
della direttiva della Direzione generale per personale militare del
Ministero della difesa n. DGPM/II/5/30001/C42 del 22.5.2000 - Eccesso
di potere per carenza di motivazione, per violazione di circolare e
per difetto di istruttoria.
La
pubblica amministrazione ha violato gli artt. 3 e 10 della legge n.
241/1990, in quanto il parere della Commissione di avanzamento e,
parimenti, il provvedimento finale impugnato non motivano circa le
ragioni per cui sono state infine disattese le giustificazioni
addotte a sua discolpa dal ricorrente.
In
base al comma 1 dell’art. 3 citato, ogni provvedimento
amministrativo deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni
giuridiche che hanno determinato la decisione dell'amministrazione,
in relazione alle risultanze dell'istruttoria.
In
virtù dell’art. 10, lett. b), seguente, l'amministrazione ha
«l'obbligo di valutare», ove siano pertinenti all'oggetto del
procedimento, le memorie scritte ed i documenti presentati dal
soggetto nei confronti del quale il provvedimento finale è destinato
a produrre effetti diretti.
Tale
norma ha lo scopo di consentire all'interessato, a proposito di ogni
atto amministrativo che possa arrecare offesa ai suoi diritti,
libertà ed interessi, di proporre fatti ed argomenti e, occorrendo,
di offrire mezzi di prova in suo favore di cui l'autorità
amministrativa deve tener conto (C. Stato, sez. VI, 09-08-1996, n.
1000).
Il
procedimento destitutivo odiernamente impugnato è disciplinato
dall’art. 12, 2º comma, lett. c) e dall’art. 17 della legge 18
ottobre 1961 n. 1168. La Corte costituzionale, con sentenza 18 luglio
1997, n. 240, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del
combinato disposto delle predette disposizioni nella parte in cui
prevede la dispensa dal servizio permanente del sottufficiale dei
carabinieri per scarso rendimento «senza la partecipazione
dell'interessato al procedimento».
Con
tale sentenza, la Consulta ha affermato che «la mancata previsione
della partecipazione dell'interessato vulnera le garanzie
procedurali, poste a presidio della difesa, e lede così il buon
andamento dell'amministrazione militare sotto il profilo della
migliore utilizzazione delle risorse professionali (sent. n. 126 del
1995)» ed ha ribadito «l'illegittimità dei meccanismi di
destituzione o di dispensa dal servizio che abbiano carattere
automatico e, comunque, siano strutturati in modo tale da non
consentire la partecipazione dell'interessato al procedimento
disciplinare, risultando violato il fondamentale canone di
razionalità normativa».
Partecipare
al procedimento significa, in primo luogo, poter interloquire con
l’amministrazione in modo che gli interessi rappresentati dal
cittadino siano specificamente presi in considerazione al momento di
adottare la decisione finale. Senza una valutazione delle
osservazioni rese dall’interessato, la facoltà di essere sentito e
di produrre memorie scritte e documenti resta fine a se stessa e non
realizza la tutela procedimentale del privato.
Coerentemente,
la direttiva del Ministero della difesa, Direzione generale per il
personale militare, prot. n. DGPM/II/30001/C42 del 22 maggio 2000,
nel disciplinare la procedura di dispensa dal servizio permanente per
scarso rendimento, stabilisce il preciso obbligo di garantire
all’interessato «la possibilità di essere sentito personalmente
... e di vedere ivi esaminate le sue eventuali memorie difensive»
[doc. 42, paragrafo 5].
I
principi ora riportati risultano essere stati disattesi tanto dal
provvedimento finale impugnato quanto dagli atti presupposti.
Invero,
in sede di comunicazione di avvio del procedimento, l’amministrazione
aveva avvertito il ricorrente della sua facoltà di presentare
memorie scritte e documenti e di essere sentito personalmente dalla
COVA. Il Mattioli, pertanto, aveva presentato due memorie scritte
[docc. 38 e 39] e aveva chiesto l’audizione da parte della
Commissione.
Detto
organo, però, ha infine vanificato entrambi gli strumenti di
partecipazione esperiti dall’interessato, limitandosi a dichiarare
nel verbale che «ogni membro della Commissione, espressamente
interpellato, ha ritenuto di non esprimere osservazioni sulle
considerazioni avanzate dal graduato ... poiché non innovative
rispetto a quanto già presente in atti o noto alla Commissione».
Ora,
è evidente che, ai sensi della normativa richiamata ed in
particolare dell’art. 10 della legge n. 241/1990, l’amministrazione
non ha la facoltà, ma l’«obbligo di valutare» le memorie
presentate e le osservazioni espresse dal soggetto interessato al
procedimento. E’, pertanto, illegittimo (ed arbitrario) che i
componenti della COVA abbiano «ritenuto di non esprimere
osservazioni sulle considerazioni avanzate dal graduato».
L’asserita
“non innovatività” delle difese del ricorrente «rispetto a
quanto già presente in atti o noto alla Commissione», poi, non
costituisce un legittimo motivo di astensione dalla valutazione
richiesta. Anche in considerazione della indeterminatezza del
parametro di ciò che è «già ... noto alla Commissione» o no.
Le
«risultanze dell’istruttoria» richiamate dell’art. 3 della
legge n. 241/1990 senz’altro ricomprendono le difese esposte dal
ricorrente in sede di audizione personale, ma nel caso di specie
queste sono rimaste estranee alla valutazione compiuta dall’organo
consultivo. O, almeno, dell’eventuale loro valutazione non si è
dato conto nella motivazione degli atti emanati.
Manca,
infatti, ogni indicazione delle ragioni per le quali sia stato
disatteso quanto rappresentato dall’Appuntato Mattioli a sua
discolpa, pur avendo l'Amministrazione l'obbligo di valutarle e di
motivare le ragioni del dissenso.
Allo
stesso modo, il provvedimento finale non motiva sulle ragioni per cui
sono state disattese le deduzioni difensive dell’interessato,
limitandosi a dichiarare di averne «preso atto» [doc. 1].
L’esame
delle due memorie scritte presentate dal ricorrente [docc. 38 e 39]
rivela la sicura pertinenza delle valutazioni e delle considerazioni
ivi espresse con l’oggetto del procedimento. Ciò nonostante, in
relazione ad esse, l’amministrazione ha inadempiuto il relativo
obbligo di valutazione o, comunque, di motivazione, limitandosi, come
detto, ad una presa d’atto.
Per
il Consiglio di Stato, sez. VI, 15-07-1998, n. 1074, è illegittimo,
per difetto di motivazione, il provvedimento che non rechi alcuna
valutazione degli apporti forniti dal privato in sede procedimentale
ai sensi dell'art. 10, lett. b), l. 7 agosto 1990 n. 241 (nelle
stesso senso: C. Stato, sez. IV, 22-02-2001, n. 995).
Singolarmente,
il parere espresso dalla COVA fa esplicito riferimento alla sentenza
della Corte Costituzionale n. 126 del 5.4.1995 che ha dichiarato
l'illegittimità costituzionale dell'art. 33 della legge n. 599/1954,
nella parte in cui non prevede che al sottufficiale proposto per la
dispensa dal servizio sia assegnato un termine per presentare, ove
creda, le proprie osservazioni e sia data la possibilità di essere
sentito personalmente.
Tali
facoltà, nel caso di specie, sono infine risultate inutiliter datae
dal momento che, pur essendo stato consentito al ricorrente di
intervenire nel procedimento, l’amministrazione ha poi
completamente ignorato le difese da questi svolte.
Codesto
Ecc.mo Tribunale, Sez. III, con la sentenza n. 824 del 17.5.1995, ha
già chiarito che l'omessa valutazione da parte dell'Amministrazione
della pertinenza all'oggetto del procedimento delle memorie scritte o
documenti presentati dai soggetti interessati ai sensi dell'art. 10,
lett. b), legge n. 241/1990, costituisce un vizio del procedimento
quale violazione di legge e comporta l'illegittimità del
provvedimento finale emanato.
L'Amministrazione,
infatti, prima di provvedere, ha l'obbligo di prendere in
considerazione e di valutare le osservazioni e i documenti presentati
dai soggetti che intervengono nel procedimento, col solo limite che
deve trattarsi di atti pertinenti all'oggetto del procedimento
stesso. L'omessa loro valutazione costituisce vizio del procedimento
e ne comporta l'illegittimità (TAR Valle d’Aosta, n. 25 del
19.2.1997). Nello stesso senso, si vedano del medesimo TAR le
sentenze n. 69 del 22.5.1998, n. 45 del 18.3.1999 e n. 90
del14.5.1999. Si vedano pure: TAR Toscana, n. 870 del 29.10.1999; TAR
Lazio, Sez. I, n. 4007 del 27.12.1999; TAR Trentino Alto Adige, Sez.
Trento, n. 100 del 14.4.2000.
II.
Violazione dell’art. 17 della legge n. 1169/1961 e dell’art. 97
della Costituzione - Eccesso di potere per vizio della volontà -
Mancata astensione di un organo incompatibile.
La
normativa vigente prevede che il provvedimento di cessazione dal
servizio continuativo per scarso rendimento sia adottato dal
Direttore generale per il personale militare «in seguito a proposta
delle autorità gerarchiche da cui il militare dipende e previo
parere delle autorità competenti ad esprimere giudizi
sull'avanzamento» (art. 17, legge n. 1168/1961).
Trattasi
di procedimento amministrativo c.d. complesso che richiede
l’intervento dialettico di tre distinte autorità: i superiori
gerarchici dell’interessato, con funzione propositiva o di impulso;
la COVA, con funzione consultiva obbligatoria; ed il Direttore
generale, con funzione decisionale.
Il
legislatore, in considerazione dei rilevanti effetti prodotti sul
destinatario del provvedimento finale, ha cioè disposto che la
procedura destitutiva consti delle determinazioni e delle valutazioni
dei tre distinti organi.
Nel
caso di specie, però, la dialettica tra gli organi astrattamente
prospettata dal legislatore è stata vulnerata dalla riunione in capo
al Generale Salvatore Fenu tanto della qualità di superiore
gerarchico del ricorrente (quale comandante delle Scuole dell’Arma
dei carabinieri) quanto della qualità di Presidente della COVA.
Di
conseguenza, il Generale Fenu ha esercitato nel medesimo procedimento
sia la funzione propositiva del provvedimento finale, con la nota n.
207/3 del 13 febbraio 2002 [doc. 40], sia la funzione consultiva,
presiedendo la COVA nella seduta del 27 marzo successivo [doc. 3].
Sostanzialmente,
il Generale Fenu ha concorso ad esprimere parere favorevole su una
proposta di destituzione da lui stesso formulata.
Tale
situazione ha pregiudicato l’imparzialità e la neutralità della
funzione consultiva demandata alla COVA. La Commissione, infatti, è
stata chiamata ad esprimere il proprio parere su una proposta
sollecitata dal suo stesso Presidente (nonché membro più alto in
grado) e, quindi, in difetto di quella terzietà auspicata dal
legislatore nel disciplinare il procedimento in esame.
E’
per evitare il verificarsi di detta situazione che, per esempio,
l’art. 70 della legge 31 luglio 1954, n. 599, dispone che non
possano far parte della Commissione di disciplina i «superiori
gerarchici alle cui dipendenze il sottufficiale prestava servizio
allorché commise i fatti che determinarono il procedimento
disciplinare, o alle cui dipendenze il giudicando si trovi alla data
di convocazione della Commissione di disciplina».
Reso
edotto dell’incompatibilità, il Presidente della COVA, anziché
astenersi, ha nondimeno ritenuto di «presenziare ai lavori»,
semplicemente dichiarando di astenersi «dal partecipare alla
disamina del caso ed alla votazione finale» e proponendosi di
svolgere «esclusivamente le funzioni di coordinatore e moderatore».
In
realtà, già dal verbale della COVA si evince che il generale Fenu
non si è limitato a coordinare - dall’esterno - i lavori della
Commissione, ma ha quantomeno contribuito alla unanime deliberazione
di «non esprimere osservazioni» sulle deduzioni difensive svolte
dal ricorrente. Determinazione, questa, che ha gravemente influito
sull’esito del procedimento.
A
pagina 7 del verbale, infatti, si legge che «ogni membro della
Commissione» - e quindi anche il Presidente - è stato
«espressamente interpellato» sul punto e «ha ritenuto di non
esprimere osservazioni» dando, così, luogo al vizio di legittimità
descritto nel primo motivo di ricorso.
In
ogni caso, il componente di un organo collegiale che si trovi, in
relazione alla proposta in discussione, in una situazione di
incompatibilità, di conflitto di interessi o comunque di mancata
serenità di giudizio, è obbligato ad astenersi dal prendere parte
alla delibera. Tale obbligo comporta non solo il divieto di
partecipare alla discussione e alla votazione (come preteso dal
Generale Fenu), ma altresì il divieto di presenziare alla seduta,
perché la sua sola presenza potrebbe influenzarne l’esito.
L’obbligo
di astensione si basa su un principio assoluto, correlato ai canoni
costituzionali d’imparzialità e di buon andamento di cui all’art.
97 Cost., sicché il relativo vizio di mancata astensione non può
essere superato nemmeno dalla c.d. prova di resistenza (cioè dal
permanere del quorum della deliberazione anche escludendo il voto del
membro illegittimamente non astenutosi), poiché la sola presenza
dell’obbligato all’astensione è atta ad influenzare il
deliberato ed a deviare la statuizione dell’organo collegiale
dall’imparzialità cui dovrebbe sempre attenersi l’operato
dell’amministrazione (T.a.r. Puglia, sez. I, Lecce, 27-05-1997, n.
308; nello stesso senso T.a.r. Sicilia, sez. Catania [ord.],
31-01-1997, n. 311).
Il
principio dell’obbligo di astensione è «da ritenere applicabile a
tutti i casi in cui i funzionari i quali debbano provvedere possano
non trovarsi, per una qualche palese ragione di ordine obbiettivo, in
posizione di assoluta serenità rispetto alla decisione che
dovrebbero adottare o contribuire ad adottare» (A.M. Sandulli,
Manuale di diritto Amministrativo, vol. I, pag. 588, 1989).
Ciò
vale a maggior ragione per il presidente di una commissione tenuto,
in quanto tale, ad assicurare nel procedimento l’osservanza della
normativa vigente ed a garantire l’ordine e la regolarità dei
lavori.
Con
la sua mancata astensione, quindi, il Generale Fenu ha violato il
principio di imparzialità per il quale la realizzazione dei compiti
assegnati all’amministrazione non deve andar disgiunta dal rispetto
della giustizia sostanziale (A.M. Sandulli, op. cit, vol. I, pag.
587). Di conseguenza, il parere espresso dalla Commissione risulta
viziato da eccesso di potere.
Il
Generale Fenu, nel rilevare egli stesso la propria incompatibilità,
aveva ritenuto che, per la normativa in vigore, la Commissione
potesse riunirsi e formulare pareri «solo nella sua completezza» e
che, pertanto risultasse «necessaria» la propria partecipazione
quale Presidente.
In
realtà, tale argomento non ha pregio, considerato che, giusta l’art.
31 della legge 10 maggio 1983, n. 212, per ciascuna commissione sono
nominati membri supplenti che ben avrebbero potuto sostituirlo in
caso di sua astensione.
III.
Violazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990 - Eccesso di potere
per travisamento dei fatti, per difetto di istruttoria di motivazione
e per discostamento da precedenti determinazioni della medesima
amministrazione - Violazione del principio generale del ne bis in
idem.
Come
già sottolineato, la prima proposta di dispensa dal servizio del
ricorrente era stata respinta con determinazione del Vice Comandante
generale dell’Arma, «in considerazione delle valutazioni riportate
- dal Mattioli - in epoca antecedente all’anno 1996» [doc. 28].
In
tale occasione, l’Autorità gerarchica aveva espresso un giudizio
di prevalenza dei meriti conseguiti dal ricorrente nei primi 17 anni
di carriera rispetto ai demeriti accertati nei 6 anni successivi.
Con
lo stesso provvedimento, i diretti superiori erano stati invitati a
seguire attentamente il comportamento del graduato «quantomeno sino
alla prossima valutazione caratteristica», per verificare la sua
completa riqualificazione ovvero, «sussistendone i presupposti»,
per avviare un’ulteriore proposta destitutiva.
Il
Comandante di compagnia del ricorrente, però, non attenendosi alle
istruzioni del Vice Comandante generale, ha avviato la nuova proposta
di destituzione senza attendere né la successiva valutazione
caratteristica del graduato, né il ripetersi dei presupposti
previsti dalla legge per la dispensa dal servizio permanente.
In
effetti, al momento del rigetto della prima proposta destitutiva, si
era già al 13 marzo 2001 ed il periodo di valutazione in svolgimento
era già giunto al sesto mese. Era evidente, allora, che il Vice
Comandante generale, nel rinviare «quantomeno ... alla prossima
valutazione caratteristica», avesse inteso riferirsi al periodo di
valutazione successivo e non a quello già in avanzato svolgimento.
Invece,
dopo soli quattro mesi, alla chiusura non del successivo, ma del
medesimo periodo di valutazione, il Comandante di Compagnia del
ricorrente ha ritenuto sussistere nuovamente i presupposti per
chiedere la destituzione del ricorrente ed ha avviato il relativo
procedimento.
Tale
determinazione si pone chiaramente in contrasto con quanto disposto
dal Vice Comandante generale dell’Arma con la determinazione del 13
marzo 2001 [doc. 28].
Essa
contrasta, altresì, con la già richiamata direttiva del Ministero
della difesa, Direzione generale per il personale militare, prot. n.
DGPM/II/30001/C42 del 22.5.2000 [doc. 42], che disciplina il
procedimento in esame.
Il
punto 13 di tale direttiva dispone che, successivamente
all’ammonimento scritto in ordine alle conseguenze derivanti dal
mancato ravvedimento, il procedimento di destituzione possa essere
attivato solo qualora il medesimo militare «riporti successivamente
la qualifica di “insufficiente”, riferita ad un periodo di
servizio di almeno un anno».
Ciò
significa che la messa in prova del militare invitato a mutare
condotta non può essere inferiore ad un anno.
Parimenti,
la circolare del Comando Generale dell’Arma n. 18999-20/D-29 del 10
novembre 1990, impone che la proposta debba riferirsi ad «un periodo
ragionevolmente lungo (uno o due anni)» [doc. 43].
Questa
è la ragione per cui il Vice Comandante Generale, nel rigettare la
prima proposta destitutiva, aveva rinviato ogni ulteriore
determinazione «quantomeno sino alla prossima valutazione
caratteristica». Si rammenta, infatti, che, ai sensi dell’art. 4,
D.P.R. 15 giugno 1965, n. 1431, i documenti caratteristici debbono
essere compilati al compimento del periodo massimo di 12 mesi di
servizio non documentato.
Il
comandante di Compagnia del Mattioli, invece, ha ritenuto bastevole
che il ricorrente dall’ultima intimazione a mutare condotta avesse
avuto a disposizione «ben quattro mesi e cinque giorni per fornire
elementi di ravvedimento» [doc. 2] e ha, pertanto, avviato il nuovo
procedimento.
La
determinazione di dare nuovo impulso al procedimento è allora
illegittima per eccesso di potere perché si pone in contrasto con i
precedenti atti e le precedenti statuizioni in materia della medesima
amministrazione senza, peraltro, dare contezza nella motivazione
delle ragioni di tale discostamento.
L’illegittimità
della proposta destitutiva si trae anche sotto il profilo della
ragionevolezza e della logicità della scelta amministrativa
compiuta.
Si
è detto in narrativa, infatti, che il Comandante di Compagnia del
ricorrente ha basato la seconda proposta di destituzione sul
documento caratteristico n. 39 [doc. 31] senza considerare che, al
momento dell'esortazione a mutare condotta, erano trascorsi già
cinque mesi e dieci giorni del periodo oggetto di valutazione e che,
pertanto, sarebbe risultato davvero improbabile poter fornire
«elementi di ravvedimento» tali da meritare - già nel periodo di
valutazione in corso - l'auspicato «conseguimento di un giudizio
positivo, o almeno di livello superiore».
L’atto
di impulso del procedimento è irragionevole pure sotto un altro
profilo. Il 23 luglio 2001, il ricorrente era stato trasferito dalla
Stazione di San Giovanni Valdarno al Comando Scuola Marescialli e
Brigadieri dei Carabinieri di Firenze con il dichiarato scopo di
«procedere al recupero professionale» dello stesso [doc. 41].
Dopo
l’ammonimento a mutare condotta del 16 marzo 2001, infatti, era
stato lo stesso ricorrente a sollecitare il ritrasferimento
nell’Organizzazione Addestrativa dell’Arma, in considerazione del
fatto che il passato impiego presso la Scuola ufficiali si era
rivelato «particolarmente fertile».
A
seguito dell’adesione del Comando generale alla proposta del
Mattioli, ci si sarebbe aspettato che la sua messa in prova si
riferisse al servizio prestato nel nuovo incarico ed al cospetto dei
nuovi superiori gerarchici, compilatori delle note caratteristiche.
Invece,
il nuovo Comandante di Compagnia del graduato ha azionato il
procedimento di dispensa sulla scorta della valutazione
caratteristica n. 39 riferita ancora al vecchio incarico, prestato
alla Stazione carabinieri di S. Giovanni Valdarno [doc. 31].
Non
ha cioè atteso di valutare il servizio offerto dal ricorrente nel
nuovo incarico e con ciò ha tradito lo scopo del recente
trasferimento del Mattioli.
Inoltre,
ha giudicato fatti accaduti in un altro Comando senza nulla dire in
merito all’attuale rendimento in servizio del ricorrente.
Questa
circostanza rivela ulteriormente come i superiori gerarchici del
ricorrente abbiano inteso liquidare la pratica relativa alla sua
dispensa dal servizio sbrigativamente e senza offrirgli una reale
occasione di ravvedimento.
I
rilevati vizi logici della proposta destitutiva si sono poi
riverberati nelle successive fasi del procedimento determinando
l’ulteriore illegittimità del provvedimento finale.
Il
procedimento impugnato è viziato da eccesso di potere altresì per
travisamento di fatto.
La
proposta di cessazione dal servizio, infatti, avrebbe dovuto tener
conto dei soli eventi successivi all’ultima intimazione a mutare
condotta. Così aveva disposto il Vice Comandante Generale nel
rigettare la prima proposta destitutiva e nel rinviare l’eventuale
rinnovazione del procedimento al verificarsi dei presupposti nel
corso, quantomeno, della successiva valutazione caratteristica [doc.
28].
Il
Comandante di Compagnia del ricorrente, invece, nel giustificare la
richiesta di destituzione, ha nuovamente fatto riferimento alle
vicende occorse al ricorrente a partire dall’anno 1996.
Tale
considerazione gli era preclusa dalla determinazione del Vice
Comandante Generale che, in data 13 marzo 2001, aveva ritenuto «le
valutazioni riportate antecedentemente all’anno 1996» prevalenti
sulle valutazioni riportate dopo il 1996. La medesima autorità aveva
altresì invitato ad avviare un’ulteriore proposta destitutiva solo
al ripetersi dei presupposti nel periodo successivo all’intimazione.
La
determinazione assunta dall’amministrazione, quindi, si pone in
contrasto con le precedenti statuizioni del superiore gerarchico ed è
pertanto viziata da eccesso di potere.
Essa
viola, altresì, il principio del ne bis in idem sostanziale in
quanto i fatti successivi al 1996, ma antecedenti all’ultima
intimazione a mutare condotta, erano stati già valutati ai fini del
rigetto della prima proposta di destituzione. Di conseguenza, è
illegittimo il provvedimento di dispensa dal servizio per scarso
rendimento odiernamente basato sugli stessi fatti oggetto del
precedente procedimento di cessazione, conclusosi con
l’archiviazione.
Arbitrariamente,
invece, i medesimi atti del procedimento, nel ricostruire la carriera
del Mattioli, omettono ogni riferimento ai primi 17 anni di servizio
prestati dal ricorrente.
Tale
omissione, riconducibile già all’atto di impulso del procedimento,
risulta non solo ingiustificata, ma altresì gravemente fuorviante
per le autorità successivamente pronunciatesi sulla proposta
destitutiva.
Difatti,
sia il verbale della COVA che il provvedimento finale non fanno alcun
riferimento ai primi 17 anni di carriera - che pure sono la parte
preponderante dei 23 anni di servizio complessivamente svolti dal
Mattioli - e che, come è noto, sono stati contrassegnati dalle più
brillanti valutazioni caratteristiche.
In
questo modo, l’autorità proponente ha fornito agli altri organi
intervenuti nel procedimento una ricostruzione soltanto parziale del
thema decidendum, tale da trarre comunque in errore chi ha una
conoscenza solo cartolare delle vicende occorse al ricorrente.
Al
riguardo, C. Stato, Sez. IV, 17-07-1996, n. 873, ha affermato che è
illegittimo per illogicità e contraddittorietà il provvedimento con
il quale l’amministrazione della difesa dispone la cessazione di un
militare per scarso rendimento e cattiva condotta, assumendo a
fondamento della decisione adottata il giudizio negativo espresso nei
confronti dello stesso in un determinato arco temporale e trascurando
completamente il giudizio, di segno opposto, reso nei confronti dello
stesso militare nei periodi antecedenti o successivi.
Nel
caso di specie, quindi, si ritiene che l’amministrazione avrebbe
dovuto far riferimento solo ai fatti successivi all’ultima
intimazione a mutare condotta. Ma, pur in ipotesi ammettendo il
contrario, è del tutto arbitrario che l’amministrazione abbia
trascurato di considerare un arco temporale pari a due terzi del
servizio complessivamente prestato dal ricorrente.
Si
rileva, altresì, come nella proposta di destituzione e nella
documentazione ad essa allegata sia stato omesso ogni riferimento al
giudizio di “buono” riportato dal ricorrente in esito alla
frequentazione del 2° corso di aggiornamento per appuntati [doc.
22].
Parimenti,
il punto i) del verbale della COVA, a pag. 5, pur menzionando
l’avvenuta partecipazione del militare al corso di aggiornamento,
ha omesso di indicare il giudizio ivi riportato.
L’omissione
si rivela particolarmente fuorviante per le autorità successivamente
intervenute nel procedimento in considerazione del fatto che il corso
risale al settembre del 1999 e, quindi, nel pieno di quel periodo dal
1996 al 2001 che l’amministrazione ha giudicato così negativamente
da giustificare la dispensa dal servizio del ricorrente.
Non
è questa la sede per accertare se l’eventuale considerazione del
giudizio riportato dal ricorrente nel corso di aggiornamento avrebbe
potuto determinare un diverso esito del procedimento.
Però
è certo che l’istruttoria svolta dall’amministrazione è stata
incompleta e, pertanto, a prescindere dal dolo o dalla colpa degli
agenti, il provvedimento finale risulta infine illegittimo per
inadeguatezza dell’istruttoria, per manifesta irragionevolezza e
per sviamento di potere.
IV.
Violazione degli artt. 12 e 17 della legge n. 1168/1961 - Violazione
della Circolare del Comando generale dell’Arma n. 18999-20/D-29 del
10.11.1990 - Eccesso di potere per sviamento.
Il
Comandante di Compagnia del ricorrente, con la nota del 31 gennaio
2002, aveva proposto la dispensa dal servizio permanente del
ricorrente «per scarso rendimento, nonché gravi reiterate mancanze
disciplinari che siano state oggetto di consegna di consegna di
rigore» [doc. 2].
Successivamente,
però, sia la COVA [doc. 3] che il Direttore generale del Personale
militare [doc. 1], hanno dato seguito e, rispettivamente, accolto la
proposta di destituzione limitatamente alla fattispecie dello «scarso
rendimento».
Sennonché,
a mente della circolare del Comando Generale dell’Arma n.
18999-20/D-29 del 10 novembre 1990, «l’elemento essenziale» dello
“scarso rendimento” rimane lo scadente ed improduttivo modo di
operare dell’interessato, dovuto non tanto a mende comportamentali
quanto ad «una sostanziale incapacità a fornire un rendimento
accettabile». Eventuali mancanze disciplinari o altri elementi
negativi possono costituire «fattori complementari» quando le
carenti prestazioni siano già configurate da obbiettivi elementi
sintomatici di «inettitudine a raggiungere il normale rendimento»
[doc. 43].
Nello
stesso senso è orientata la giurisprudenza allorché afferma che
connota lo scarso rendimento «l’inidoneità del lavoratore allo
svolgimento dei compiti affidatigli, per mancanza delle capacità e
della preparazione necessarie» (Cass., sez. lav., 20-11-2000, n.
14964); «l’inidoneità a soddisfare con sufficiente regolarità le
esigenze di servizio» (T.a.r. Piemonte, sez. II, 21-05-1996, n.
300); «l’inattitudine del dipendente a raggiungere il normale
rendimento richiesto dal tipo di mansioni inerenti al suo ufficio»
(Cass., sez. lav., 22-11-1996, n. 10286); «l’inidoneità del
soggetto a fornire il livello di prestazione e di rendimento
richiesti» (C. Stato, sez. V, 11-04-1990, n. 347); o, più
semplicemente, «l’inidoneità al servizio» (C. Stato, sez. V,
13-10-1988, n. 560).
Il
provvedimento di dispensa per scarso rendimento ha, pertanto, il suo
fondamento in fatti che comportino un’oggettiva inidoneità del
dipendente a svolgere le mansioni assegnategli, cosicché il suo
standard di rendimento non raggiunge i livelli minimi, normalmente
richiesti dal servizio svolto.
Quando,
invece, i fatti che danno luogo al rendimento insufficiente sono
caratterizzati, non da un’obiettiva incapacità del soggetto, bensì
da un atteggiamento volutamente contrario ai propri doveri di
pubblico dipendente, e come tali siano stati al dipendente
contestati, sussiste una semplice infrazione disciplinare, come tale
sanzionabile attraverso i provvedimenti a tal fine specificamente
predisposti dalla vigente normativa e la cui adozione è subordinata
al rispetto del diverso procedimento disciplinare (T.a.r. Sardegna,
17-12-1985, n. 687).
Nel
caso di specie, oggettivamente, non possono essere poste in dubbio né
le capacità del ricorrente né, più in generale, la sua idoneità o
attitudine a svolgere il servizio demandatogli.
In
ogni caso, l’amministrazione non ha mai posto a fondamento della
procedura destitutiva «l’inidoneità al servizio» del graduato.
Anzi,
la stessa proposta di destituzione, a pagina 4, riconosce invece le
«documentate qualità globali» e la «preparazione professionale»
di questi [doc. 2].
L’amministrazione
ha, piuttosto, inteso sanzionare l’asserita mancata accettazione da
parte del ricorrente della «peculiarità della posizione del
cittadino militare, che si caratterizza fra l’altro per la stretta
sottoposizione al rapporto gerarchico ad alla disciplina militare».
Ciò
significa che il provvedimento di dispensa odiernamente impugnato è
stato emanato in assenza dei presupposti per esso previsti dalla
legge ed è, pertanto, illegittimo.
Al
fine di sanzionare non lo scarso rendimento, ma la mancata
accettazione da parte del Mattioli del suo status di militare,
l’amministrazione avrebbe piuttosto dovuto azionare il diverso
procedimento di dispensa per «perdita del grado», disciplinato
dall’art. 12, secondo comma, lettera f), della legge n. 1169/1961 e
dalla legge n. 599/1954.
Difatti,
la rimozione per perdita del grado è disposta «per violazione del
giuramento o per altri motivi disciplinari» (art. 60, comma I, num.
6, L. 31 luglio 1954, n. 599) e col giuramento il militare si impegna
ad essere fedele alla Repubblica italiana, ad osservarne la
Costituzione e le leggi e ad adempiere con disciplina ed onore tutti
i doveri del suo stato (art.2, L. 11 luglio 1978, n. 382).
Il
procedimento odiernamente impugnato, pertanto, persegue un interesse
pubblico diverso da quello indicato dal legislatore onde nel caso di
specie si è verificato uno sviamento del potere dalla sua funzione
tipica.
La
difficoltà dell’amministrazione procedente di postulare
un’obiettiva incapacità del graduato si desume, ancora una volta,
dalla lettura della proposta destitutiva.
A
pagina 3, infatti, l’autorità proponente elenca «le sanzioni che
più sono attinenti a mancanze relative al servizio» [doc. 2]. Esse
sono cinque ed a passarle in rassegna ci si avvede della
pretestuosità del procedimento impugnato:
·
Rimprovero, per avere il Mattioli omesso di informare il proprio
Comando di evento in cui era stato coinvolto fuori dal servizio, per
il quale aveva sporto servizio presso altro organo di Polizia (come
detto in narrativa, invece, il Mattioli aveva dapprima chiesto
l’intervento dei Carabinieri, ma questo era stato negato. In ogni
caso, trattasi di evento accaduto al di fuori dello svolgimento di
servizio);
·
Consegna di sette giorni, per avere inoltrato un’istanza
direttamente ad un superiore senza seguire i vari gradi della scala
gerarchica;
·
Rimprovero, per essersi presentato «in maniera poco reattiva e con
l’uniforme in disordine» in occasione dell’ispezione al reparto
del Comandante di Compagnia (più semplicemente, il Mattioli aveva
omesso di indossare i guanti della divisa);
·
Consegna di rigore di tre giorni, per aver inoltrato denuncia
all’autorità giudiziaria senza informare il superiore diretto (è
vero, invece, come riferito in fatto, che il Mattioli aveva
inutilmente sollecitato un intervento della scala gerarchica sulla
questione delle schedature dell’Arma dei carabinieri);
·
Consegna di cinque giorni per avere indirizzato verso il vicino
ufficio della Polizia di Stato un cittadino presentatosi per riferire
notizie su una rapina (come già detto, l’autorità giudiziaria
aveva delegato a quell’ufficio le relative indagini ed il Mattioli
ivi indirizzato il cittadino).
E’
evidente come questi cinque episodi, peraltro verificatisi in uno
spazio temporale di cinque anni, non siano idonei a suffragare
l’asserito “scarso rendimento” del ricorrente e, quindi, la sua
oggettiva inidoneità a prestare il servizio demandatogli.
Nemmeno,
come detto, possono porsi a sostegno della destituzione del
ricorrente i documenti caratteristici riferiti agli anni dal 1996 in
poi.
Tali
documenti, segnatamente quelli recanti la qualifica finale di
“insufficiente”, sono viziati in radice dalla circostanza per cui
il ricorrente non è stato impiegato nell’incarico ivi indicato.
Si
è gia detto in narrativa che, a seguito di diffida del graduato, il
Comandante provinciale di Arezzo, con nota n. 172/9 del 12 febbraio
2001, aveva infine riconosciuto che il Mattioli «non è stato
impegnato nelle attività d'ufficio», pur avendo egli l’incarico
di autista e di “addetto al Nucleo Comando della Compagnia” [doc.
36].
Desta
perplessità il fatto che pur essendo destinato ad attività
d’ufficio e potendo vantare una capacità professionale supportata
da una documentazione caratteristica che, nel corso dei primi 17 anni
aveva registrato giudizi positivi, il comandante di compagnia non
solo non ha utilizzato il ricorrente in tale settore, ma non lo ha
neppure messo alla prova, così come si deduce dalla citata lettera
del comando provinciale.
Anche
le mansioni di autista sono state marginali rispetto a quelle di
militare di servizio alla caserma, come risulta dai memoriali del
servizio. A titolo di esempio, solo per il periodo considerato nella
specchio valutativo n. 38, compilato per il periodo ottobre 1999 -
ottobre 2000, su circa 314 giorni lavorativi effettivi, escludendo
festività e licenze, il Mattioli ha lavorato, contrariamente a
quanto previsto dal suo incarico, per circa 186 giorni come piantone,
per un totale, fra l’altro, di circa 350 ore notturne.
Nello
stesso periodo nessuno dei suoi pari grado presenti nell’Ufficio
(Appuntati Scelti Ripari, Caratelli e Leomporra) ha totalizzato un
numero di giorni lavorativi e di ore notturne così elevato, neanche
considerando i citati graduati tutti insieme.
Il
ricorrente non è mai stato impiegato come addetto al Nucleo Comando
(ufficio) e, quindi, per mansioni burocratiche, neppure per
sostituire l’Appuntato Scelto Caratelli, quando questi è stato
ammesso alla frequenza di un corso di lingua straniera, fuori sede.
Anzi,
più volte, lo scrivente è stato invitato a non sostare nei locali
riservati agli uffici della Compagnia, sebbene quelli fossero la sede
naturale dello svolgimento del servizio oggetto delle valutazioni
caratteristiche.
Il
Comando ha utilizzato lo scrivente per incombenze diverse da quelle
che erano previste dal suo incarico per poi valutarlo in base a
parametri inesistenti non avendo questi mai lavorato in ufficio,
nemmeno per battere una lettera.
Anche
i compiti di autista erano comunque riferiti a periodi limitatissimi,
dovendo invece espletare i turni di piantone, con un numero di ore
notturne elevatissimo che i suoi stessi colleghi dell’ufficio, più
giovani di età e di servizio, sono stati esentati dal fare.
Su
tali argomenti, dettagliatamente indicati nelle due memorie scritte
prodotte agli atti del procedimento destitutivo, il ricorrente ha
invano chiesto che si pronunciasse l’amministrazione.
La
verità è che il provvedimento impugnato è stato più
realisticamente mosso dalla volontà di sanzionare le numerose
denuncie lanciate dall’Appuntato Mattioli ed i rapporti a tal fine
tenuti con la stampa nazionale.
Solo
per fare qualche esempio, nel corso della sua carriera il Mattioli ha
denunciato varie illegittimità commesse negli uffici in cui ha
prestato servizio; ha sollevato il velo sulla illegittima
prassi dell’Arma dei carabinieri di schedare (anche
con riferimento ai dati c.d. sensibili) 90
milioni tra persone fisiche e giuridiche;
ha indotto
l’allora Ministro dell’Interno Scajola alla pubblica ammissione
di aver dato il preventivo ordine di sparare durante il G8 a Genova;
ha denunciato gli abusi generalizzati dei reparti territoriali dove
alcuni
colleghi (poi
arrestati), allo scopo di ottenere il compiacimento dei propri
comandanti, operavano
arresti illegali, talvolta nascondendo droga in oggetti di proprietà
dei fermati.
Per
tutta risposta, l’amministrazione ha inflitto al ricorrente (che ne
era andato esente per i primi 17 anni di carriera) ben 13 sanzioni
disciplinari, delle quali 9 di consegna di rigore, per complessivi 12
giorni di consegna e 74 giorni di consegna di rigore.
Si
sottolinea che ben 7 delle 9 consegne di rigore sono state riportate
per avere il Mattioli fatto pubblicare propri interventi sulla stampa
nazionale. Ciò, in virtù di una errata interpretazione dell’art.
9 della legge n. 382/1978 che ben consente ai militari di pubblicare
liberamente loro scritti, di tenere pubbliche conferenze e, comunque,
di manifestare pubblicamente il proprio pensiero senza necessità di
autorizzazione, «salvo che si tratti di argomenti a carattere
riservato di interesse militare o di servizio».
Sempre
a seguito delle denunce fatte, il Mattioli è stato reiteratamente
deferito all’autorità giudiziaria (anche solo per aver consumato
un caffè in servizio), ma i relativi procedimenti sono stati tutti
archiviati.
Infine,
egli è stato più volte trasferito con motivazioni poco chiare e
generiche quali quelle della pretesa incompatibilità ambientale.
Dal
quadro di insieme ora delineato si trae un reiterato esercizio delle
potestà amministrative per fini diversi da quelli indicati dal
legislatore.
Risulta,
cioè, che la dispensa dal servizio per scarso rendimento è stata
piuttosto azionata allo scopo di punire il ricorrente e di
estrometterlo definitivamente dai ranghi dell’Arma.
Ciò
ha determinato uno sviamento della funzione tipica del procedimento
e, pertanto, la sua illegittimità per eccesso di potere.
V.
Violazione degli artt. 3, 24, 53 e 97 della Costituzione - Eccesso di
potere con contrarietà con precedenti atti dell’amministrazione.
L’Appuntato
scelto Mattioli è stato sottoposto al procedimento di destituzione
odiernamente impugnato senza potersi fare assistere da un proprio
difensore e tale circostanza ha inciso negativamente sul suo diritto
di difesa procedimentale.
Effettivamente,
nella legge 31 luglio 1954, n. 599 (applicabile anche ai volontari di
truppa in servizio permanente giusta l’art. 30, comma 2, D.Lgs. n.
196/1995), si riscontra una ingiustificata disparità di trattamento
tra il militare che cessa dal servizio per «scarso rendimento» ex
art. art. 26, comma I, lett. c) e quello che cessa per «perdita del
grado» ex art. art. 26, comma I, lett. g).
La
perdita del grado per rimozione, infatti, è stabilita a seguito di
un procedimento molto più garantito rispetto al primo pur
determinando, di fatto, lo stesso effetto cioè la cessazione dal
servizio permanente.
In
particolare, per quanto è qui in discussione, l’art. 73 della
legge n. 599/1954 prevede che l’interessato «può farsi assistere
da un ufficiale difensore, da lui scelto o designato dal presidente
della Commissione di disciplina. L'ufficiale designato dal presidente
non può rifiutarsi».
Se
l’identica norma fosse stata prevista per il procedimento applicato
al ricorrente, questi avrebbe potuto farsi difendere da un militare
o, comunque, il Presidente avrebbe dovuto nominargli un difensore
d’ufficio.
Tale
garanzia, del resto, è prevista dall’art. 15, comma II, legge 11
luglio 1978, n. 382 (norme di principio sulla disciplina militare),
pure per il caso in cui sia inflitta la consegna di rigore. Eppure,
tale sanzione non produce, sotto il profilo del rapporto di servizio,
gli effetti risolutori tipici del provvedimento impugnato.
Peraltro,
l’assistenza di un difensore di fiducia viene ammessa solo per una
consolidata prassi amministrativa. Prassi che, però, non è stata
applicata in favore del ricorrente che è stato sottoposto al
procedimento di destituzione senza potersi avvalere della necessaria
assistenza tecnica.
Allora,
emerge chiaramente l’illegittimità costituzionale dell’art. 33,
L. 31 luglio 1954, n. 599, in riferimento agli artt. 3, , 24, 53,
comma III, e 97 della Costitizione nella parte in cui non prevede che
il militare possa farsi assistere da un difensore di fiducia o
d’ufficio e nella parte in cui non prevede l’obbligatorietà del
mandato del difensore d’ufficio eventualmente nominato.
Viola,
infatti, l’art. 3 della Costituzione, ed è irragionevole la
disparità di trattamento tra il militare che cessa dal servizio
permanente per scarso rendimento e quello che cessa per perdita del
grado.
I
due provvedimenti producono lo stesso effetto, solo che la rimozione
per perdita del grado è disposta «per violazione del giuramento o
per altri motivi disciplinari» (art. 60, comma I, num. 6, L. 31
luglio 1954, n. 599).
Ciò
premesso, la diversità di disciplina dei due procedimenti è
irragionevole e si presta ad abusi da parte dell’amministrazione
militare. Questa, infatti, per perseguire il medesimo risultato, può
discrezionalmente scegliere tra azionare due procedimenti
diversamente garantiti. E, nel caso del ricorrente, l’amministrazione
ha senz’altro optato per il procedimento che offre minori garanzie
per il destinatario.
L’art.
33 in esame è illegittimo anche in riferimento all’art. 52, comma
III, Cost.. Se è vero che l'ordinamento militare presenta aspetti
peculiari, e differenziati, è altrettanto vero che le disposizioni
meno favorevoli, incidenti sul rapporto di servizio del dipendente
militare, debbono trovare una ragionevole giustificazione e,
comunque, un limite nell'esigenza di salvaguardia dei preminenti
interessi dell'apparato militare.
Orbene,
il diniego di assistenza tecnica al dipendente militare nell’ambito
del procedimento in esame non pare finalizzato ad alcuna esigenza di
salvaguardia dell'ordinamento militare, con la conseguenza di rendere
ingiustamente discriminatorio, e deteriore, il trattamento del
ricorrente rispetto a quello, ben più favorevole, previsto per il
sottufficiale cessato per perdita del grado.
Il
distinto, ma affine procedimento di dispensa per perdita del grado si
presenta maggiormente garantito anche sotto un altro profilo.
Per
esso, infatti, l’art. 71 della legge n. 599/1954 prevede che il
militare sottoposto alla Commissione di disciplina possa ricusare per
una sola volta un componente della Commissione. La ricusazione non
deve essere motivata ed il componente indicato è sostituito.
Irragionevolmente,
per il procedimento applicato al ricorrente non è prevista una
analoga facoltà dell’interessato, onde, come si è visto,
l’Appuntato scelto Mattioli non ha potuto ricusare il Presidente
della COVA Generale Fenu, incompatibile per aver già partecipato al
procedimento quale autorità proponente.
Su
tale disparità di disciplina, si ribadiscono le sopraesposte censure
di legittimità costituzionale.
Istanza
incidentale di sospensiva
Il
fumus boni iuris si tare dai motivi di impugnazione ora esposti.
Il
danno grave, irreparabile e non più risarcibile deriva dalla perdita
del posto di lavoro da parte del ricorrente e dalla privazione
immediata della retribuzione necessaria per il suo sostentamento.
L’istante
non ha altro reddito ed è mero locatario della casa di abitazione
per la quale corrisponde un canone mensile di euro.....
Il
mantenimento dell’efficacia della dispensa dal servizio, pertanto,
determinerebbe l’impossibilità per l’Appuntato scelto Mattioli
di far fronte alle spese necessarie al proprio sostentamento.
Voglia,
allora, l’Ecc.mo Tribunale adito sospendere cautelarmente i
provvedimenti impugnati ed ordinare la temporanea riammissione in
servizio del ricorrente.
P.
Q. M.
e
con esplicita riserva di più ampiamente argomentare e dedurre, il
ricorrente conclude perché l'Ecc.mo Tribunale adito voglia
accogliere il presente gravame e, per l’effetto, annullare i
provvedimenti impugnati.
Con
ogni conseguente pronuncia in ordine alle spese.
Il
presente ricorso, inerendo alla materia del pubblico impiego, va
esente dal contributo unificato per le spese giudiziarie.
Roma,
15 luglio 2002
Avv.
Giorgio Carta
Avv.
Giovanni Carta
Ad
istanza degli avv.ti Giovanni Carta e Giorgio Carta, io sott. Aiut.
Uff. giud. ho notificato il suesteso atto al
-
MINISTERO DELLA DIFESA, in persona del Ministro pro tempore, etc.etc.
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