E’ la guerra tra massoni, tra terroristi veri e quelli camuffati da finanzieri. Ecco perchè e come Stefano Rodotà può salvare l’Italia.
di Sergio Di Cori Modigliani
“Gli italiani vivono le partite di calcio come se fossero delle guerre; in compenso, vivono le guerre come se si trattasse di una partita di calcio”.
Sir Winston Churchill. Londra 1952.
In teoria ci troviamo nell’epoca della comunicazione, dell’informazione totale, delle notizie diffuse da tutti a tutti e mai come oggi “la gente” avrebbe la possibilità e l’opportunità di sapere come stanno le cose. Non è così. Si tratta di un trucco retorico, ben congegnato e gestito dai proprietari mediatici per far credere alle persone di essere informate. Se domani ci fossero le presidenziali dirette, all’americana, potrebbe anche vincere Barbara D’Urso, o Cesare Prandelli, o il commissario Montalbano, anche se non esiste nella realtà in quanto personaggio romanzesco, ma alla gente poco importa. Forse neppure lo sa e quando vede il telefilm pensa che si tratti di reportage investigativo. Comunque sia, sarebbe possibile convincerli, in qualche modo. Se li hanno convinti che Mario Monti è come De Gasperi, Silvio Berlusconi è un grande imprenditore, e Massimo D’Alema è una risorsa per la democrazia, allora vuol dire che è possibile convincere gli italiani che chiunque può essere chiunque in qualunque momento, basta che la cupola mediatica decida e scelga di cavalcare questo o quel destriero. E quindi va bene anche Montalbano o Harry Potter. Tutto ciò per introdurre l’argomento relativo alla realtà dello scontro politico in atto per la scelta del presidente della repubblica, per cercare di comprendere alcuni aspetti che appartengono a un’idea complessa della realtà che è opposta alla facile e affascinante cultura del complottismo becero, autentica passione italiota. A mio avviso, ci troviamo al centro di una importantissima battaglia che fa parte di una poderosa guerra tra massoni e che dura esattamente da 80 anni, dalla primavera del 1933.
L’Italia è una repubblica massonica, come gli Usa e come il Regno d’Inghilterra.
Le persone, in Italia, hanno un’idea errata e mistificata della massoneria, così come ce l’hanno sugli ebrei, sui mussulmani, perfino sulla Chiesa di Roma, nonostante siano tutti cattolici. E’ molto più facile farsi sedurre dagli stereotipi infantili e pensare che una istituzione come la massoneria sia composta da un solido nucleo (10, 100, 1000 persone, poco importa) che funzionano e lavorano all’unisono come un meccanismo ad orologeria ben congegnato, il cui fine sarebbe il controllo del mondo, la gestione degli affari, l’istituzione di una dittatura planetaria semi clandestina. La realtà politica è più complessa e variegata. Non esistono al mondo (tranne la Spectre, che per fortuna è una invenzione romanzesca) importanti istituzioni internazionali, che hanno retto al passaggio dei secoli, composte da un nucleo dirigente di persone in pieno accordo. Altrimenti, il mondo sarebbe già finito da un pezzo. La mia idea è che la massoneria funziona nello stesso modo: contiene al proprio interno diverse fazioni, ciascuna delle quali rappresenta e interpreta interessi sociali, economici e intellettuali, di stampo diverso. Il più delle volte contrapposto. Esattamente come avviene all’interno della Chiesa, dove, ad esempio, hanno convissuto –nello stesso periodo politico- personalità come il cardinale Marcinkus di Chicago e il cardinale Martini di Milano, due esseri umani che in comune davvero non avevano nulla da spartire se non quello di essere entrambi cardinali. Tuttora, all’interno della Chiesa, queste due grandi fazioni (le riduciamo in maniera grossolana a due, tanto per capirsi) si fronteggiano, come abbiamo potuto toccare con mano, nell’ultimo periodo, assistendo al furibondo scontro vaticanense che ha prodotto le dimissioni del teologo Ratzinger. Chi si trova ai vertici del potere (in ogni istituzione e in ogni parte del mondo funziona allo stesso modo) ha il compito di mediare, sintetizzare, interpretare, rappresentare le diverse posizioni e trasferirle all’esterno. E’ il senso della Politica, un compromesso che nasce come incontro di interessi diversi che producono una sintesi comune in cui “qualcuno o una certa ala”, comunque, si assicura la vittoria. Magari momentanea, ma pur sempre vittoria. I momenti epocali della Storia si verificano quando, all’interno di una istituzione complessa, le mediazioni non sono più possibili perché hanno raggiunto il punto di rottura: sono arrivati a un incrocio ed è necessario scegliere se girare a destra oppure a sinistra (lo dico non in maniera ideologica; forse sarebbe meglio dire a destra o a manca) e i leader più rappresentativi sono in distonia tra di loro. Quindi, in quello specifico momento, l’armonia condivisa è razionalmente impossibile. In quel momento, saltano i parametri, i gentiluomini, i mediatori e gli ambasciatori vengono pregati di arretrare ed entrano in campo i guerrieri e i politici da combattimento. Si va allo scontro frontale. E si finirà per andare sulla strada scelta da chi ha vinto. Noi, oggi, ci troviamo, in Italia, e in Usa, a quell’incrocio. Con l’aggravante che una delle due fazioni ha la forza emotiva, carica di odio, di 80 anni di arretrati da far saldare. L’ultima volta che i massoni, in occidente, si sono scontrati frontalmente in maniera brutale è avvenuta nella primavera del 1933 in una storica riunione di loggia durata ben 14 ore, nel quartiere del Greenwich Village, nel cuore di Manhattan, nella sede della Loggia Hollande 8, sotto la supervisione della Grande Loggia di New York, tuttora la più potente loggia del mondo. Tanto per dire alcuni nomi dei partecipanti a quella riunione massonica (erano circa 450 persone) cito i seguenti: il filosofo Sidney Hook, l’economista John Maynard Keynes, il presidente in carica americano Franklin Delano Roosevelt, il suo braccio destro Harry Truman, il senatore Carter Glass, il finanziere Merrimer Eccles, tanto per nominare i più importanti. La decisione che venne presa quella notte, dopo uno scontro furibondo, ebbe un impatto epocale che trasformò le sorti e i destini di tutto il pianeta. Prevalse l’ala della massoneria che interpretava l’arte muratoria come un elemento di coniugazione dei principii illuministico-libertari del consorzio civile, che identificava nella elite del ceto politico dirigente l’affermazione di un dovere “illuminato” nell’essere guida responsabile per costruire un benessere e una evoluzione per tutti, nessuno escluso. Vennero sconfitti i rappresentanti conservatori delle grandi dinastie della rendita finanziaria parassitaria, costretti ad accettare la sconfitta. Poche settimane dopo, due senatori massoni di quella celeberrima loggia, Steagall e Glass, si presentavano al Congresso e varavano il decreto legge presidenziale che passava alla Storia con il termine “Glass Steagall Act” un dispositivo il cui obiettivo consisteva nell’impedire per legge la speculazione finanziaria per evitare che la gente ritirasse i propri depositi dalle banche provocando un crollo del mercato mondiale come era avvenuto nel 1929. Il primo articolo della nuova legge (Federal Deposit Insurance Corporation) imponeva al Ministero del Tesoro la garanzia statale sui depositi privati. Il secondo articolo applicava l’introduzione della totale separazione tra l’attività bancaria tradizionale e l’attività bancaria di investimento speculativo. Si stabiliva, quindi, la “non compatibilità” e “la totale diversificazione legale” tra banche commerciali e banche di investimento di capitali, privilegiando la ricchezza economica proveniente dal profitto legato alla produzione di merci tangibili rispetto a quella prodotta da rendite e profitti puramente finanziari, relegata in una nicchia a disposizione delle ricche famiglie, con il divieto di poter usufruire della disponibilità del risparmio e dei depositi nei conti correnti dei cittadini. Il terzo articolo imponeva un dispositivo tale per cui ogni società di intermediazione finanziaria e intermediazione bancaria doveva avere, in proprio, un capitale depositato pari al volume delle cifre che trattavano, in modo tale da evitare che un qualunque mediatore (nel caso fallisse) potesse portarsi appresso anche le banche di riferimento, in tal modo provocando quello che in gergo viene chiamato “effetto domino” ovverossia un meccanismo (come è invece oggi) tale per cui se domani mattina fallisce Unicredit, dopo tre ore fallisce Banca Intesa, dopo un giorno Deutsche Bank e così via dicendo: in una settimana l’intero sistema bancario planetario collassa, perché non esiste nessuna garanzia e nessuna copertura reale a fronte delle loro attività. L’unica cosa reale è lo stipendio di coloro che ci lavorano dentro, e i soldi versati (senza nessuna garanzia) dai correntisti, il resto è carta straccia priva di valore.
Da allora, i colossi finanziari tentarono ogni mossa possibile per eliminare questa legge. Reagan ci provò 16 volte in otto anni senza alcun successo. George Bush sr. tentò quattro volte e fallì. La svolta avviene nel 1996 quando Bill Clinton viene rieletto per la seconda volta con una maggioranza stratosferica (all’incirca il 65% dei voti) e un progetto gigantesco di investimenti economici che “inventano” il web e lanciano la e-conomy. Ben tre volte, al Congresso, tentano di cancellare la legge rooseveltiana, nel 1996, 1997, 1998, senza riuscirci. Finchè non scoppia lo scandalo sessuale di Monica Levinsky e per Clinton iniziano i guai. Si apre in Usa una furibonda battaglia, denunciata in una celeberrima intervista televisiva alla ABC dalla First Lady Hillary Clinton, la quale spiegò come la Casa Bianca si trovasse al centro di un complotto della finanza internazionale per obbligare il marito a firmare l’abolizione di quella legge. E i massoni americani ricominciarono a litigare tra di loro, ma quella volta vinsero gli altri. Nella primavera del 1999, dopo quasi un anno di tormentone mediatico, lo scandalo Levinsky evapora all’improvviso, si sgonfia e sparisce dalle cronache. Dieci giorni dopo, i due accusatori del presidente, Jim Leach e Phil Gramm propongono al Congresso il “Gramm-Leach-Billey Act” che il 12 novembre 1999 diventa Legge con una maggioranza di quattro voti. La nuova legge abroga quella rooseveltiana-keynesiana promuovendo, attraverso incentivi statali, la costituzione di società finanziarie governative in grado di poter investire i capitali del Tesoro nei fondi speculativi finanziari internazionali.
I risultati sono l’attuale crisi economica.
Quattro mesi fa è ricominciato il giro in Usa. Come un orologio. Identica situazione a quella del 1933 e del 1999, a seconda di chi vincerà, dato che è ancora in corso: siamo al centro, per l’appunto, di questa furiosa battaglia. Questa è la posta in gioco: controllare le banche o essere controllati dalle banche. E poiché gli Usa sono una repubblica massonica, le Leggi fondamentali, di solito, vengono prima argomentate all’interno di elaborate e complesse discussioni nelle logge più importanti. Quando arrivano al Congresso, i giochi sono stati già decisi. Gli americani lo sanno dando tutto ciò per scontato. In Usa la massoneria è percepita in maniera completamente diversa che in Italia. I massoni, negli Stati Uniti, mediamente, sono considerati benefattori, anche perché esistono centinaia e centinaia di logge disseminate in tutti i 50 stati che ogni anno danno centinaia di milioni di dollari in beneficenza per costruire ospedali, asili, scuole private con borse di studio a disposizione per i cittadini più meritevoli e socialmente più disagiati. E’ normale aprire un settimanale locale a Omaha, Nebraska, e vedere la fotografia di una famiglia povera in una pagina pubblicitaria a pagamento in cui il padre (magari un operaio disoccupato) dichiara: “grazie alla loggia massonica nel mio quartiere mio figlio ora sta studiando scienza della finanza a Harvard e tra un mese diventerà un brillante economista” e più sotto, in calce, citazioni varie della gente più disparata, da Goethe a Steinbeck; una volta ho visto una pagina in un mensile della California con una lunghissima (splendida) citazione del nostro poeta siciliano, premio nobel per la letteratura, Salvatore Quasimodo, in America stimato anche come importante maestro venerabile della massoneria in una loggia di Messina. Da noi, nessuno sa neppure che era massone, perché in Italia si pensa che la massoneria sia una strana società segreta, piena di segreti perversi, dedita a organizzare colpi di stato d’accordo con generali fascisti. Non è così. L’Italia è una repubblica massonica esattamente quanto gli Usa. Basterebbe pensare a un piccolo e famosissimo aneddoto di un celeberrimo uomo politico italiano, Giuseppe Zanardelli, il quale nel maggio del 1902 compì un atto, allora considerato normale, che oggi verrebbe visto come la fine del mondo. Era il presidente del consiglio in carica ed era atteso in parlamento per rispondere a una importante interrogazione parlamentare da parte dell’opposizione in materia economica. La seduta era talmente importante che era stata aperta alle ore 19, molto tardi quindi. Zanardelli arrivò tutto trafelato alle 20.30 mentre l’intera Camera era in ebollizione offesa dal ritardo. Entrò in aula con addosso il grembiulino, e i consueti paramenti del rito massonico. Disse una frase nota a tutti gli studiosi di Storia Italiana: “Chiedo scusa ai colleghi, ma ero stato trattenuto a una riunione di Loggia ben più seria e importante di questa, bisognava prendere delle decisioni in materia economica” poi si cambiò d’abito davanti a tutti e aprì la seduta, senza che quell’atto venisse considerato inusuale o strano; ci fu qualcuno che lo definì “un maleducato” ma si riferiva al ritardo. Non esistono riprese televisive dell’epoca, ma ci sono delle belle fotografie che si trovano all’archivio storico dei Fratelli Alinari a Firenze, un tesoro nazionale colmo di gustose delizie iconografiche sulle quali riflettere. Benito Mussolini fece carte false per essere accolto a Londra in una importante loggia ma la sua domanda per ben quattro volte venne respinta personalmente dal Maestro Venerabile Winston Churchill che lo definì “un clownesco cialtrone”. In Usa, le logge della massoneria gestiscono anche l’intero settore del welfare privato, impegnato ad andare a coprire i buchi provocati dalle politiche iper-liberiste, gestendo un sistema di locazione d’emergenza per i senza tetto e fornendo circa 5 milioni di pasti al giorno per i poveri. E’ un meccanismo simile a quello operato in Italia dalla Caritas per conto del Vaticano. La Chiesa cattolica ha i suoi perfidi banchieri dello Ior assetati di sangue umano, ma allo stesso tempo provvede anche ad alimentare in Italia milioni di persone indigenti ogni giorno, grazie anche al lavoro di centinaia di migliaia di volontari anonimi. Essendo gli Usa una nazione veramente laica, loro preferiscono rapportarsi, in casi di bisogno sociale interno, ai massoni. Due mesi fa, su diversi blog indipendenti statunitensi “ufficialmente” massonici, sui quali si svolgono diversi forum di dibattito e discussione sugli attuali problemi da affrontare, era cominciata a circolare la voce dell’imminente scontro tra quella che i massoni democratici statunitensi definiscono “l’ala illuminata sociale” e quella dei “bastardi contro-iniziati”, che loro sintetizzano simbolicamente come la lotta tra il Bene e il Male. Si parlava del nuovo piano economico che Obama ha preparato da portare a giugno al Congresso, che prevede due punti fondamentali: 1). aumento di ulteriori mille miliardi di dollari di spesa pubblica, che costeranno un punto in percentuale di inflazione, per avviare un piano di investimento e credito a imprese statunitensi a tasso 0,75% (praticamente nulla) a condizione che assumano persone iscritte nelle liste di collocamento per abbattere la disoccupazione; 2). abolizione della Legge Clinton e ricostituzione della legge rooseveltiana che impone immediatamente la separazione tra finanza speculativa e banche commerciali per portare lo Stato a riprendere il controllo dei mercati, dei colossi finanziari, con il totale appoggio dei grossi industriali produttori di merci che in Usa contano. Gli esperti in materia sostenevano che Obama, circa quaranta giorni fa, davanti a una platea di “industriali contro la finanza speculativa per l’America” avesse fatto un discorso di natura economica che loro interpretavano come una vera e propria “lezione massonica” perché aveva usato una terminologia per lui inconsueta, che appartiene alla tradizione linguistica e simbolica di questa istituzione. Aveva parlato di “autentica e necessaria trasformazione alchemica interiore” che gli imprenditori statunitensi dovevano realizzare per allontanarsi dalla finanza e ritornare a produrre il made in Usa, sostenendo che “è necessario produrre valore grazie all’indomito spirito creativo e spirituale della nostra nazione” al fine di superare la crisi economica ed entrare in una nuova sfera in cui “tutti noi, a partire da me, fino all’ultimo cittadino della federazione, riprenderemo il cammino per costruire una nuova casa per ogni cittadino americano, mattone per mattone”. Questo discorso aveva infiammato gli imprenditori americani che hanno cominciato a spostare ingenti capitali in borsa dalla finanza virtuale all’economia reale, spingendo Wall Street a raggiungere i livelli massimi dal 1997 a oggi, preannunciando l’imminente uscita dalla crisi economica grazie al varo di un poderoso annuncio di “piano economico per la piena occupazione. I circoli conservatori e i grossi colossi finanziari hanno cominciato ad annaspare ed è iniziata la guerra tra le due consuete fazioni. In ballo ci sono decine di migliaia di miliardi di euro che toccano anche (e soprattutto) potenti interessi consolidati in Europa, soprattutto Germania e Italia. Nelle ultime 24 ore, in Usa, dove, per tradizione (a differenza che in Italia) la stampa non pratica lo sport della dietrologia, (caso mai censurano e non diffondono una notizia) ed evitano sempre di fornire interpretazioni su eventi e personaggi importanti senza che vi siano adeguate fonti (che difendono mantenendole nell’anonimato) note agli addetti ai lavori, circolano delle curiose notizie sull’attentato alla maratona di Boston. Cancellata quasi subito la vecchia e stantia nenia di Al Qaeda, è passata “ufficiosamente” l’idea che sia un attentato di gruppi estremisti interni dell’estrema destra suprematista, che molti , tra gli attivisti di “occupy wall street” cominciano a definire “fondamentalisti finanziari”, ovvero gruppi di criminali organizzati con una valanga di soldi al seguito che vogliono andare all’attacco frontale armato contro l’attuale amministrazione, per mantenere l’attuale trend e impedire ogni cambiamento dello status quo. E questa ipotesi è ormai accreditata per la maggiore. A questa vi si è aggiunta un’altra chicca, (comincia a dilagare in Usa) che all’inizio sembrava uscita da un romanzo di Dan Brown come ipotesi di una sceneggiatura hollywoodiana, che qui vi ripropongo come lettura fantasiosa, forse priva di riferimenti reali, forse invece accuratamente realistica, non ho elementi per scegliere. Secondo questa lettura, l’attentato sarebbe anomalo rispetto alla consueta attività terroristica, perché intriso di riferimenti rituali altamente simbolici nella tradizione della cultura massonica statunitense, come la pentola a pressione piena di minerali, per loro natura neutri, che si trasformano, invece, in micidiali armi. Ci sono decine e decine di attendibili e seri professori di università che si occupano di simbologia e la insegnano nelle università che dibattono alla televisione per cercare di comprendere il senso di questa, diciamo così, “criminale trovata” inserendola in un contesto rituale ben specifico. Tutto ciò ha indotto alcuni osservatori più disincantati a sostenere, senza tanti peli sulla lingua, che vi sia in atto una furibonda guerra tra massoni statunitensi in cui l’ala che rappresenta gli interessi dei colossi finanziari più scatenati si sia dotata di copertura militare da parte della criminalità organizzata, con l’ordine di allestire, però, una certa teatralità ben identificabile da chicchessia. O quantomeno da chiunque sia in grado di riconoscere alcuni aspetti simbolici importanti. L’ipotesi è suggestiva, anche se fantastica, e mi ha indotto alcune riflessioni sulla nostra nazione.
Se fosse vera una potenziale realtà come questa, noi italiani come siamo situati all’interno di questa ignobile zuffa massonica sopra le nostre teste? Tanto più alla vigilia dell’elezione del presidente della repubblica, dove tra i candidati che piacciono a molti (troppi) diversi personaggi politici importanti, spicca la personalità di Giuliano Amato che, notoriamente, interpreta (non è una notizia, essendo noto a tutti da almeno venti anni) gli interessi dei colossi finanziari che sorreggono attualmente le banche italiane. Sono andato dunque a vedere che cosa dicono sui loro siti e sulle loro pagine di facebook i massoni democratici ben informati italiani, alcuni vecchi socialisti democratici della prima repubblica, per vedere quali opinioni diffondono. Ne ho trovate diverse, ma tutte sullo stesso raggio d’onda. Qui di seguito ve ne propongo una alla vostra attenzione, perché è la più esaustiva e allo stesso tempo la più chiara nella esposizione, non ha fronzoli, non fa minuetti, non usa incomprensibili bizantinismi o linguaggi in codice cifrato. L’autore si chiama Alfredo Venturini e l’ha pubblicato sotto forma di post sulla sua pagina di facebook aperta e accessibile a tutti. Ecco il testo: Lo scandalo di Tangentopoli è al culmine della sua deflagrazione: da 24 ore Silvano Larini viene interrogato dal pool di Mani Pulite, e sta raccontando di un conto “Protezione” su cui Licio Gelli ha versato sette milioni di dollari al Psi. Giuliano Amato scrive a Craxi il 9 febbraio 1993. La data è importante.
Craxi è già stato raggiunto da un avviso di garanzia e tre giorni dopo si dimetterà da segretario.
In questo clima infuocato Amato, presidente del Consiglio, scrive a Craxi una lettera di suo pugno – su carta intestata di Palazzo Chigi, ma non protocollata e dunque non classificata – che sembra avere un solo obiettivo: rassicurarlo sui suoi guai giudiziari.
“Caro Segretario, prendo a calci i primi mattoni di un muro di silenzio che non vorrei calasse fra noi. E vorrei chiederti invece di avere fiducia in quel che io sto cercando di fare. Occorre certo che passi qualche giorno, che la situazione delle imprese, e non solo della politica, appaia (come del resto già è) insostenibile. E’ inoltre realisticamente utile che la macchia d’olio si allarghi. Neppure a quel punto credo che sarà possibile estinguere reati di codice. Ma credo che l’estensione per essi dei patteggiamenti e delle sospensioni condizionali sia una strada percorribile. Sto conquistando su questo preziosi consensi.
E ritengo che si ottengano così procedure non massacranti, che evitano la pubblicità devastante dei dibattimenti e forniscono possibilità di uscita (…).
Claudio mi pare ormai in pericolo. Apprendo che, se ci fosse un riscontro a ciò che ha detto Larini, già sarebbe partito un avviso per concorso in bancarotta fraudolenta. Io sono qua. E continuo ad esserti grato ed amico. Giuliano”.
Il giorno dopo, al Senato, Amato dirà che “la questione morale è diventata, di prepotenza, prioritaria”. Giuliano Amato andò a parlare alla London School of Economics, e ai giornalisti inglesi che gli chiedevano di Tangentopoli rispose: “Io ritengo che ben poche persone erano al corrente delle cose che stiamo scoprendo adesso…”.
Bettino Craxi non dimenticò mai quella frase: “tu lo sapevi benissimo, caro Giuliano, avevi le mani in pasta come me, pagavi le tue campagne elettorali con i soldi del cassiere di Via del Corso e raccoglievi fondi anche per conto tuo.
Il “dottor Sottile” non è stato mai sfiorato da un solo processo “Giuliano Amato – scrive Craxi – tutto può fare salvo che ergersi a giudice delle presunte malefatte del Psi, di cui egli, al pari di altri dirigenti, porta semmai per intero la sua parte di responsabilità… Il sottoscritto, per le sue responsabilità di segretario, è trattato alla stregua di un gangster e condannato all’ ergastolo…”. Guarda caso, invece, a Giuliano Amato, vicesegretario vicario del Psi, forte delle sue amicizie e altolocate protezioni, non è toccato nulla di nulla. Buon per lui. Ma quali erano le protezioni altolocate e le amicizie di cui Giuliano Amato ha potuto disporre? Qualcosa emerge dalla storia più o meno recente del Monte dei Paschi di Siena. Mussari, può contare relazioni eccellenti e su importanti “consiglieri”. E tra questi c’è anche Giuliano Amato, ora in corsa per il Quirinale. Ma, soprattutto, da sempre il “grande vecchio” dell’ultra-massonica città di Siena. Per ricostruire la vicenda si deve tornare al 2002, quando Mps voleva acquisire Bnl ma venne fermata da Bankitalia. Quindi si passa al 2005, l’anno delle scalate: il banco senese però rinuncia, si fa da parte, e non sostiene la Unipol di Consorte. In quell’occasione era Mussari a guidare la Fondazione di Mps. La sua linea spaccò i Ds che controllano Siena e la banca. Piero Fassino e Massimo D’Alema si infuriano, ma i senesi possono contare su amici di peso, in primis Amato, eletto deputato putacaso proprio a Siena.
Craxi è già stato raggiunto da un avviso di garanzia e tre giorni dopo si dimetterà da segretario.
In questo clima infuocato Amato, presidente del Consiglio, scrive a Craxi una lettera di suo pugno – su carta intestata di Palazzo Chigi, ma non protocollata e dunque non classificata – che sembra avere un solo obiettivo: rassicurarlo sui suoi guai giudiziari.
“Caro Segretario, prendo a calci i primi mattoni di un muro di silenzio che non vorrei calasse fra noi. E vorrei chiederti invece di avere fiducia in quel che io sto cercando di fare. Occorre certo che passi qualche giorno, che la situazione delle imprese, e non solo della politica, appaia (come del resto già è) insostenibile. E’ inoltre realisticamente utile che la macchia d’olio si allarghi. Neppure a quel punto credo che sarà possibile estinguere reati di codice. Ma credo che l’estensione per essi dei patteggiamenti e delle sospensioni condizionali sia una strada percorribile. Sto conquistando su questo preziosi consensi.
E ritengo che si ottengano così procedure non massacranti, che evitano la pubblicità devastante dei dibattimenti e forniscono possibilità di uscita (…).
Claudio mi pare ormai in pericolo. Apprendo che, se ci fosse un riscontro a ciò che ha detto Larini, già sarebbe partito un avviso per concorso in bancarotta fraudolenta. Io sono qua. E continuo ad esserti grato ed amico. Giuliano”.
Il giorno dopo, al Senato, Amato dirà che “la questione morale è diventata, di prepotenza, prioritaria”. Giuliano Amato andò a parlare alla London School of Economics, e ai giornalisti inglesi che gli chiedevano di Tangentopoli rispose: “Io ritengo che ben poche persone erano al corrente delle cose che stiamo scoprendo adesso…”.
Bettino Craxi non dimenticò mai quella frase: “tu lo sapevi benissimo, caro Giuliano, avevi le mani in pasta come me, pagavi le tue campagne elettorali con i soldi del cassiere di Via del Corso e raccoglievi fondi anche per conto tuo.
Il “dottor Sottile” non è stato mai sfiorato da un solo processo “Giuliano Amato – scrive Craxi – tutto può fare salvo che ergersi a giudice delle presunte malefatte del Psi, di cui egli, al pari di altri dirigenti, porta semmai per intero la sua parte di responsabilità… Il sottoscritto, per le sue responsabilità di segretario, è trattato alla stregua di un gangster e condannato all’ ergastolo…”. Guarda caso, invece, a Giuliano Amato, vicesegretario vicario del Psi, forte delle sue amicizie e altolocate protezioni, non è toccato nulla di nulla. Buon per lui. Ma quali erano le protezioni altolocate e le amicizie di cui Giuliano Amato ha potuto disporre? Qualcosa emerge dalla storia più o meno recente del Monte dei Paschi di Siena. Mussari, può contare relazioni eccellenti e su importanti “consiglieri”. E tra questi c’è anche Giuliano Amato, ora in corsa per il Quirinale. Ma, soprattutto, da sempre il “grande vecchio” dell’ultra-massonica città di Siena. Per ricostruire la vicenda si deve tornare al 2002, quando Mps voleva acquisire Bnl ma venne fermata da Bankitalia. Quindi si passa al 2005, l’anno delle scalate: il banco senese però rinuncia, si fa da parte, e non sostiene la Unipol di Consorte. In quell’occasione era Mussari a guidare la Fondazione di Mps. La sua linea spaccò i Ds che controllano Siena e la banca. Piero Fassino e Massimo D’Alema si infuriano, ma i senesi possono contare su amici di peso, in primis Amato, eletto deputato putacaso proprio a Siena.
Secondo gli americani che seguono le vicende italiane e le capiscono, sarebbe essenziale per le mummie nostrane far eleggere un presidente in grado di “gestire immediatamente” l’affaire MPS, legato a stretto giro alla finanza speculativa dei circoli “contro-iniziati” statunitensi. “Siamo in guerra” sostengono i democratici americani oggi, mercoledì 17 aprile (ormai parlano come Grillo) e dunque “che guerra sia” (rispondono sul canale economico Bloomberg) e così alle 15.15 ora europea di oggi, arriva da “fonte anonima verificata ma accreditata” (è il criptico linguaggio dei bastardi che si occupano di finanza) la notizia che l’amministrazione americana starebbe spingendo con tutte le proprie forze le più importanti agenzie di rating per dichiarare un “downgrading” dell’economia tedesca, non considerando più le banche teutoniche solide, e tantomeno l’economia tedesca, definita “a rischio di pericolo”. E in Europa tremano tutti. Un sito italiano, sempre molto attento nel seguire le vicissitudini economiche statunitensi legate ai circoli massonici democratici, proprio oggi pubblica uno straordinario pezzo a firma Stefano Rodotà. Il sito si chiama keynesblog.com e potete andare a verificarlo. Ripropongo qui il pezzo per intero. Anche in questo caso ci interessa. Serve per capire che cosa accade e in quale teatro si svolge lo spettacolo della politica internazionale di cui la Repubblica Italiana è uno degli attori importanti, essendo il nostro paese la nazione più ricca d’Europa. L’aspetto interessante consiste nel fatto che il seguente pezzo non è nuovo. Era stato pubblicato (ahimè) senza alcuna reazione né dibattito né tantomeno interesse sul quotidiano la Repubblica quasi un anno fa. Il sito lo ripropone oggi. Vale la pena di leggerlo.
Eccolo:
Rodotà: “Col pareggio di bilancio, Keynes è stato reso incostituzionale”
Nel silenzio generale abbiamo assistito alla manomissione di alcuni importantissimi articoli della Costituzione, in particolare l’articolo 81 con l’introduzione del pareggio di bilancio. Stefano Rodotà è stato tra i pochi a pronunciarsi in modo nettamente critico . Ci pare utile, in queste ore nelle quali il suo nome è tornato alla ribalta come possibile candidato alla Presidenza della Repubblica, rileggere un suo articolo di qualche mese fa, in cui mette in evidenza i danni prodotti da una “fase costituente” affrettata e imposta dall’Unione europea.
di Stefano Rodotà, da Repubblica, 20 giugno 2012
Stiamo vivendo una fase costituente senza averne adeguata consapevolezza, senza la necessaria discussione pubblica, senza la capacità di guardare oltre l’emergenza. È stato modificato l’articolo 81 della Costituzione, introducendo il pareggio di bilancio. Un decreto legge dell’agosto dell’anno scorso e uno del gennaio di quest’anno hanno messo tra parentesi l’articolo 41. E ora il Senato discute una revisione costituzionale che incide profondamente su Parlamento, governo, ruolo del Presidente della Repubblica. Non siamo di fronte alla buona “manutenzione” della Costituzione, ma a modifiche sostanziali della forma di Stato e di governo. Le poche voci critiche non sono ascoltate, vengono sopraffatte da richiami all’emergenza così perentori che ogni invito alla riflessione configura il delitto di lesa economia.
In tutto questo non è arbitrario cogliere un altro segno della incapacità delle forze politiche di intrattenere un giusto rapporto con i cittadini che, negli ultimi tempi, sono tornati a guardare con fiducia alla Costituzione e non possono essere messi di fronte a fatti compiuti. Proprio perché s’invocano condivisione e coesione, non si può poi procedere come se la revisione costituzionale fosse affare di pochi, da chiudere negli spazi ristretti d’una commissione del Senato, senza che i partiti presenti in Parlamento promuovano essi stessi quella indispensabile discussione pubblica che, finora, è mancata.
Con una battuta tutt’altro che banale si è detto che la riforma dell’articolo 81 ha dichiarato l’incostituzionalità di Keynes.
L’orrore del debito è stato tradotto in una disciplina che irrigidisce la Costituzione, riduce oltre ogni ragionevolezza i margini di manovra dei governi, impone politiche economiche restrittive, i cui rischi sono stati segnalati, tra gli altri da cinque premi Nobel in un documento inviato a Obama. Soprattutto, mette seriamente in dubbio la possibilità di politiche sociali, che pure trovano un riferimento obbligato nei principi costituzionali. La Costituzione contro se stessa? Per mettere qualche riparo ad una situazione tanto pregiudicata, uno studioso attento alle dinamiche costituzionali, Gianni Ferrara, non ha proposto rivolte di piazza, ma l’uso accorto degli strumenti della democrazia. Nel momento in cui votavano definitivamente la legge sul pareggio di bilancio, ai parlamentari era stato chiesto di non farlo con la maggioranza dei due terzi, lasciando così ai cittadini la possibilità di esprimere la loro opinione con un referendum.
Il saggio invito non è stato raccolto, anzi si è fatta una indecente strizzata d’occhio invitando a considerare le molte eccezioni che consentiranno di sfuggire al vincolo del pareggio, così mostrando in quale modo siano considerate oggi le norme costituzionali. Privati della possibilità di usare il referendum, i cittadini — questa è la proposta — dovrebbero raccogliere le firme per una legge d’iniziativa popolare che preveda l’obbligo di introdurre nei bilanci di previsione di Stato, regioni, province e comuni una norma che destini una quota significativa della spesa proprio alla garanzia dei diritti sociali, dal lavoro all’istruzione, alla salute, com’è già previsto da qualche altra costituzione. Non è una via facile ma, percorrendola, le lingue tagliate dei cittadini potrebbero almeno ritrovare la parola.
L’altro fatto compiuto riguarda la riforparlamentari, costituzionale strisciante dell’articolo 41. Nei due decreti citati, il principio costituzionale diviene solo quello dell’iniziativa economica privata, ricostruito unicamente intorno alla concorrenza, degradando a meri limiti quelli che, invece, sono principi davvero fondativi, che in quell’articolo si chiamano sicurezza, libertà, dignità umana. Un rovesciamento inammissibile, che sovverte la logica costituzionale, incide direttamente su principi e diritti fondamentali, sì che sorprende che in Parlamento nessuno si sia preoccupato di chiedere che dai decreti scomparissero norme così pericolose.
È con questi spiriti che si vuol giungere a un intervento assai drastico, come quello in discussione al Senato. Ne conosciamo i punti essenziali. Riduzione del numero dei modifiche riguardanti l’età per il voto e per l’elezione al Senato, correttivi al bicameralismo per quanto riguarda l’approvazione delle leggi, rafforzamento del Presidente del Consiglio, poteri del governo nel procedimento legislativo, introduzione della sfiducia costruttiva. Un “pacchetto” che desta molte preoccupazioni politiche e tecniche e che, proprio per questa ragione, esigerebbe discussione aperta e tempi adeguati. Su questo punto sono tornati a richiamare l’attenzione studiosi autorevoli come Valerio Onida, presidente dell’Associazione dei costituzionalisti, e Gaetano Azzariti, e un documento di Libertà e Giustizia, che hanno pure sollevato alcune ineludibili questioni generali.
Può un Parlamento non di eletti, ma di “nominati” in base a una legge di cui tutti a parole dicono di volersi liberare per la distorsione introdotta nel nostro sistema istituzionale, mettere le mani in modo così incisivo sulla Costituzione? Può l’obiettivo di arrivare alle elezioni con una prova di efficienza essere affidato a una operazione frettolosa e ambigua? Può essere riproposta la linea seguita per la modifica dell’articolo 81, arrivando a una votazione con la maggioranza dei due terzi che escluderebbe la possibilità di un intervento dei cittadini? Quest’ultima non è una pretesa abusiva o eccessiva. Non dimentichiamo che la Costituzione è stata salvata dal voto di sedici milioni di cittadini che, con il referendum del 2006, dissero “no” alla riforma berlusconiana.
A questi interrogativi non si può sfuggire, anche perché mettono in evidenza il rischio grandissimo di appiattire una modifica costituzionale, che sempre dovrebbe frequentare la dimensione del futuro, su esigenze e convenienze del brevissimo periodo. Le riforme costituzionali devono unire e non dividere, esigono legittimazione forte di chi le fa e consenso diffuso dei cittadini.
Considerando più da vicino il testo in discussione al Senato, si nota subito che esso muove da premesse assai contestabili, come la debolezza del Presidente del Consiglio. Elude la questione vera del bicameralismo, concentrandosi su farraginose procedure di distinzione e condivisione dei poteri delle Camere, invece di differenziare il ruolo del Senato. Propone un intreccio tra sfiducia costruttiva e potere del Presidente del Consiglio di chiedere lo scioglimento delle Camere che, da una parte, attribuisce a quest’ultimo un improprio strumento di pressione e, dall’altra, ridimensiona il ruolo del Presidente della Repubblica. Aumenta oltre il giusto il potere del governo nel procedimento legislativo, ignorando del tutto l’ormai ineludibile rafforzamento delle leggi d’iniziativa popolare. Trascura la questione capitale dell’equilibrio tra i poteri.
Tutte questioni di cui bisogna discutere, e che nei contributi degli studiosi prima ricordati trovano ulteriori approfondimenti. Ricordando, però, anche un altro problema. Si continua a dire che le riforme attuate o in corso non toccano la prima parte della Costituzione, quella dei principi. Non è vero. Con la modifica dell’articolo 81, con la “rilettura” dell’articolo 41, con l’indebolimento della garanzia della legge derivante dal ridimensionamento del ruolo del Parlamento, sono proprio quei principi ad essere abbandonati o messi in discussione.
Stiamo vivendo una fase costituente senza averne adeguata consapevolezza, senza la necessaria discussione pubblica, senza la capacità di guardare oltre l’emergenza. È stato modificato l’articolo 81 della Costituzione, introducendo il pareggio di bilancio. Un decreto legge dell’agosto dell’anno scorso e uno del gennaio di quest’anno hanno messo tra parentesi l’articolo 41. E ora il Senato discute una revisione costituzionale che incide profondamente su Parlamento, governo, ruolo del Presidente della Repubblica. Non siamo di fronte alla buona “manutenzione” della Costituzione, ma a modifiche sostanziali della forma di Stato e di governo. Le poche voci critiche non sono ascoltate, vengono sopraffatte da richiami all’emergenza così perentori che ogni invito alla riflessione configura il delitto di lesa economia.
In tutto questo non è arbitrario cogliere un altro segno della incapacità delle forze politiche di intrattenere un giusto rapporto con i cittadini che, negli ultimi tempi, sono tornati a guardare con fiducia alla Costituzione e non possono essere messi di fronte a fatti compiuti. Proprio perché s’invocano condivisione e coesione, non si può poi procedere come se la revisione costituzionale fosse affare di pochi, da chiudere negli spazi ristretti d’una commissione del Senato, senza che i partiti presenti in Parlamento promuovano essi stessi quella indispensabile discussione pubblica che, finora, è mancata.
Con una battuta tutt’altro che banale si è detto che la riforma dell’articolo 81 ha dichiarato l’incostituzionalità di Keynes.
L’orrore del debito è stato tradotto in una disciplina che irrigidisce la Costituzione, riduce oltre ogni ragionevolezza i margini di manovra dei governi, impone politiche economiche restrittive, i cui rischi sono stati segnalati, tra gli altri da cinque premi Nobel in un documento inviato a Obama. Soprattutto, mette seriamente in dubbio la possibilità di politiche sociali, che pure trovano un riferimento obbligato nei principi costituzionali. La Costituzione contro se stessa? Per mettere qualche riparo ad una situazione tanto pregiudicata, uno studioso attento alle dinamiche costituzionali, Gianni Ferrara, non ha proposto rivolte di piazza, ma l’uso accorto degli strumenti della democrazia. Nel momento in cui votavano definitivamente la legge sul pareggio di bilancio, ai parlamentari era stato chiesto di non farlo con la maggioranza dei due terzi, lasciando così ai cittadini la possibilità di esprimere la loro opinione con un referendum.
Il saggio invito non è stato raccolto, anzi si è fatta una indecente strizzata d’occhio invitando a considerare le molte eccezioni che consentiranno di sfuggire al vincolo del pareggio, così mostrando in quale modo siano considerate oggi le norme costituzionali. Privati della possibilità di usare il referendum, i cittadini — questa è la proposta — dovrebbero raccogliere le firme per una legge d’iniziativa popolare che preveda l’obbligo di introdurre nei bilanci di previsione di Stato, regioni, province e comuni una norma che destini una quota significativa della spesa proprio alla garanzia dei diritti sociali, dal lavoro all’istruzione, alla salute, com’è già previsto da qualche altra costituzione. Non è una via facile ma, percorrendola, le lingue tagliate dei cittadini potrebbero almeno ritrovare la parola.
L’altro fatto compiuto riguarda la riforparlamentari, costituzionale strisciante dell’articolo 41. Nei due decreti citati, il principio costituzionale diviene solo quello dell’iniziativa economica privata, ricostruito unicamente intorno alla concorrenza, degradando a meri limiti quelli che, invece, sono principi davvero fondativi, che in quell’articolo si chiamano sicurezza, libertà, dignità umana. Un rovesciamento inammissibile, che sovverte la logica costituzionale, incide direttamente su principi e diritti fondamentali, sì che sorprende che in Parlamento nessuno si sia preoccupato di chiedere che dai decreti scomparissero norme così pericolose.
È con questi spiriti che si vuol giungere a un intervento assai drastico, come quello in discussione al Senato. Ne conosciamo i punti essenziali. Riduzione del numero dei modifiche riguardanti l’età per il voto e per l’elezione al Senato, correttivi al bicameralismo per quanto riguarda l’approvazione delle leggi, rafforzamento del Presidente del Consiglio, poteri del governo nel procedimento legislativo, introduzione della sfiducia costruttiva. Un “pacchetto” che desta molte preoccupazioni politiche e tecniche e che, proprio per questa ragione, esigerebbe discussione aperta e tempi adeguati. Su questo punto sono tornati a richiamare l’attenzione studiosi autorevoli come Valerio Onida, presidente dell’Associazione dei costituzionalisti, e Gaetano Azzariti, e un documento di Libertà e Giustizia, che hanno pure sollevato alcune ineludibili questioni generali.
Può un Parlamento non di eletti, ma di “nominati” in base a una legge di cui tutti a parole dicono di volersi liberare per la distorsione introdotta nel nostro sistema istituzionale, mettere le mani in modo così incisivo sulla Costituzione? Può l’obiettivo di arrivare alle elezioni con una prova di efficienza essere affidato a una operazione frettolosa e ambigua? Può essere riproposta la linea seguita per la modifica dell’articolo 81, arrivando a una votazione con la maggioranza dei due terzi che escluderebbe la possibilità di un intervento dei cittadini? Quest’ultima non è una pretesa abusiva o eccessiva. Non dimentichiamo che la Costituzione è stata salvata dal voto di sedici milioni di cittadini che, con il referendum del 2006, dissero “no” alla riforma berlusconiana.
A questi interrogativi non si può sfuggire, anche perché mettono in evidenza il rischio grandissimo di appiattire una modifica costituzionale, che sempre dovrebbe frequentare la dimensione del futuro, su esigenze e convenienze del brevissimo periodo. Le riforme costituzionali devono unire e non dividere, esigono legittimazione forte di chi le fa e consenso diffuso dei cittadini.
Considerando più da vicino il testo in discussione al Senato, si nota subito che esso muove da premesse assai contestabili, come la debolezza del Presidente del Consiglio. Elude la questione vera del bicameralismo, concentrandosi su farraginose procedure di distinzione e condivisione dei poteri delle Camere, invece di differenziare il ruolo del Senato. Propone un intreccio tra sfiducia costruttiva e potere del Presidente del Consiglio di chiedere lo scioglimento delle Camere che, da una parte, attribuisce a quest’ultimo un improprio strumento di pressione e, dall’altra, ridimensiona il ruolo del Presidente della Repubblica. Aumenta oltre il giusto il potere del governo nel procedimento legislativo, ignorando del tutto l’ormai ineludibile rafforzamento delle leggi d’iniziativa popolare. Trascura la questione capitale dell’equilibrio tra i poteri.
Tutte questioni di cui bisogna discutere, e che nei contributi degli studiosi prima ricordati trovano ulteriori approfondimenti. Ricordando, però, anche un altro problema. Si continua a dire che le riforme attuate o in corso non toccano la prima parte della Costituzione, quella dei principi. Non è vero. Con la modifica dell’articolo 81, con la “rilettura” dell’articolo 41, con l’indebolimento della garanzia della legge derivante dal ridimensionamento del ruolo del Parlamento, sono proprio quei principi ad essere abbandonati o messi in discussione.
Questa, dunque, è la posta in gioco in questi giorni.
Se vince Stefano Rodotà e viene eletto, sospinto anche dal M5s in seguito alla dichiarazione della cavalla di Troia (che rimane tale) di non accettare la candidatura e quindi sottrarsi a una potenziale elezione, è presumibile che il primo atto del nuovo Presidente potrebbe essere quello di dare l’incarico all’on. Pinco Pallino con una immediata consegna: “Precipitarsi a Bruxelles a dar grandi pugni sul tavolo per far riaprire il tavolo di negoziazione del Fiscal Compact” perché la situazione reale dell’economia italiana ci dice che la nostra repubblica non è in grado di sostenere un salasso di circa 100 miliardi di euro all’anno soltanto di interessi composti per salvare delle banche già collassate.
Se vince Giuliano Amato, si può pensare che verrà dato semaforo verde all’allegra combriccola di Monte dei Paschi di Siena per allargare ancora di più i loro balletti. L’economia industriale italiana è probabile che affonderà definitivamente nell’arco di pochi mesi.
Noi non possiamo fare nulla.
Se non avere la consapevolezza che non si tratta di una partita di calcio, in cui tifare per una squadra o per l’altra, bensì di una guerra che deciderà il futuro di noi tutti 60 milioni di cittadini italiani. Sarebbe bello dirci che non siamo più come ci descrisse Churchill.
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