lunedì 14 aprile 2014

Banche: tra le migliaia di suicidi, rispunta Corso Bovio

Il silenzio sulle banche e lo 

strano suicidio di Corso Bovio

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Il silenzio sulle banche e lo strano suicidio di Corso Bovio
Avete mai posta attenzione al silenzio a cui siamo stati da sempre abituati, ogni volta che si dovrebbe invece parlare delle banche e del sistema creditizio in genere? Una larga parte del mondo finanziario è infatti tutt’oggi sotto il controllo di fondazioni che hanno nelle segreterie dei partiti, il vero centro nevralgico di controllo e comando. Molte altre sono invece soggette a poteri esterni alla vita politica, ma non per questo meno ombrosi. E’ il caso delle Banche Popolari.


Di fatto la regola del silenzio su tutto ciò che accade all’interno dei nostri istituti di credito, ci è stata presentata per anni come essenziale al raggiungimento degli scopi sociali e soprattutto importante per la salute economica del settore. In realtà è servita soprattutto a poter fare con gli istituti stessi il proprio comodo, senza troppe domande ed evitando con facilità che curiosi inopportuni, andassero a mettere il naso in un sistema che ha fatto dell’omertà la prassi di gestione del potere. 
La regola assembleare che dovrebbe scandire la vita di una cooperativa, è diventata nella sostanza un concetto impraticabile (non esiste ad  Arezzo un luogo fisico in cui tutti i 50.000 soci potrebbero essere radunati), ha permesso così che qualche migliaio di fedelissimi “del capo”, potesse imporre per anni la governance a tutti i soci.
Una eventuale fusione con Pop.Vicenza porterà il numero di questa fantomatica cooperativa a 140mila sottoscrittori. Il presidente della Banca Popolare di Vicenza (che è una grande popolare ma non è quotata), Gianni Zonin, si è detto si favorevole ad un’evoluzione del modello cooperativo, ma non «ad una sua rottamazione». E ci mancherebbe!
Agli inizi di questo millennio si parlò per un certo tempo delle banche popolari e del sistema cooperativistico che ne regolava la vita. Si disse che era necessario farle evolvere verso società più adatte a gestirne la vita, trasformandole in SPA e sottraendole alla gestione familistica a cui quasi tutte erano assoggettate.  La Commissione Finanze, presieduta da Giorgio La Malfa esaminò in quel periodo (2002 – 2004) due proposte di legge, ma ne furono presentate ben nove che prevedevano una riforma del sistema.
Nel 2004, in occasione delle elezioni provinciali, essendo io candidato per il Partito Repubblicano, ebbi la possibilità , durante la campagna elettorale, di accompagnare di persona Giorgio La Malfa presso la direzione di Banca Etruria. Un colloquio riservatissimo, ma che seppi in seguito, avrebbe dovuto servire ad esercitare pressioni affinchè le proposte parlamentari, restassero ben chiuse nel cassetto della commissione. Poco dopo, il presidente della banca, entrò a far parte della direzione nazione del Partito repubblicano e divenne anche vice presidente di ABI.
Tra i più accaniti sostenitori della necessità di riformare il sistema delle banche popolari, era l’avvocato Corso Bovio, celebre avvocato, rampollo di una importante famiglia di origini pugliesi napoletane, il padre era stato uno dei migliori avvocati di Milano, purtroppo morì giovane, all’età di 59 anni per un infarto, il figlio ne segue però le orme diventando avvocato penalista e pubblicista, esperto in diritto all’informazione, giornalista professionista ed anche avvocato cassazionista; per anni l’avvocato Bovio ha difeso le più importanti testate giornalistiche italiane ed ha formato, attraverso la sua attività di docente, generazioni di giornalisti. Era presidente dell'associazione nazionale di azionisti di banche popolari (Asnapop). Il 20 febbraio 2003 era stato ascoltato dalla Commissione Finanze presieduta da La Malfa.
Dichiara Bovio in tale audizione: si sostiene che la partecipazione del cooperativista in una società cooperativa non sarebbe omologabile a quella di un'azionista di una società qualsiasi; il cooperativista, infatti, è un vero e proprio socio che deve avere un ruolo attivo (…) Scarsa partecipazione dell'azionista alle assemblee ed esistenza di sindacati, che non possiamo qualificare ma che mirano alla conservazione assoluta degli assetti proprietari, inducono a ritenere che il vestito della cooperativa sia diventato improprio e stretto. Mi si consenta l'espressione, signor presidente, ma ci eravamo messi il vestito della prima comunione e lo stiamo ancora utilizzando dopo trent'anni. Quanto all'argomento dell'autorità dottrinale, alla voce della Enciclopedia del diritto sulla banca popolare, nel 1959, si osservava che l'attività delle banche nei confronti dei non soci si è talmente estesa, che della cooperativa esse conservano la forma ma non ne riproducono la sostanza.
Esiste, quindi, un problema che si sta sviluppando ormai da quarant'anni e rispetto al quale non vi è stata risposta alcuna. Le dinamiche si sono fatte interessanti quando, dalla seconda metà degli anni ottanta e poi negli anni novanta, si è verificato in misura crescente il fenomeno delle quotazioni, prima nel mercato ristretto e poi nel mercato ufficiale. La quotazione è finalizzata, evidentemente, a consentire l'immissione di denaro fresco e la raccolta sul mercato di nuovi capitali. Le limitazioni alla possibilità di influenzare il management, di condizionare la governance, costituiscono motivo di dissuasione per il capitale nuovo: è il sistema del voto capitario a costituire proprio il vizio di fondo, anche perché nasce come connaturato allo spirito cooperativo che vuol dire, per il socio, poter beneficiare dei servizi della sua società. Ciò dovrebbe consentire un peculiare trattamento nell'investimento, nel deposito che il socio fa, oppure nella erogazione del credito nei confronti del socio stesso. Questo non ci risulta si verifichi in nessuna delle banche popolari che, ormai diventate società lucrative pure, anzi purissime, stanno cercando adesso di venirci a parlare di radicamento sul territorio (già la sola BPE è estesa su 7 regioni). Oggi il «radicamento nel territorio» è ormai utilizzato come un vuoto slogan per salvare il salvabile di qualche cosa che, salvabile davvero non è più.
Pur di non mollare il timone, conquistato sgomitando, ma senza passare attraverso le leggi del mercato e dell'economia, si è disposti a lasciar naufragare la barca. Si continuano a nominare presidenti che hanno valanghe di impegni finanziari col sistema: come mettere una faina di guardia ad un pollaio. 
Come si può infatti parlare di spirito cooperativo in una holding? Sembra veramente un controsenso. Se queste operazioni sono necessarie, esse sono però la riprova del fatto che vi è stato un travisamento totale del meccanismo. Una cooperativa non può essere una holding. La cooperativa è la società che vende servizi ad un suo socio: far guadagnare un po' di più sul conto corrente, o far spendere un po' meno, oppure ottenere dei mutui in forma agevolata. 

Lo spirito cooperativo è completamente scomparso nelle popolari italiane e resta solo una difesa ad oltranza di un'etichetta che non può resistere oltre. Le contraddizioni esistenti, il fatto che le cooperative stiano diventando tutte holding, impongono una revisione del sistema. 
Il voto capitario che era proporzionale, strettamente correlato e intimamente legato ad una struttura cooperativa, certamente non nata per una quotazione in borsa, quanto mantiene di tale proporzionalità rispetto allo scopo mutualistico residuo delle banche popolari quotate? Il dubbio che mi è sinceramente sorto è che, in realtà, l'intero problema dell'attuale disciplina consista nel fatto che il voto capitario è diventato non proporzionale all'obiettivo che si intende raggiungere, anche qualora si ammettesse la sussistenza di uno scopo mutualistico. Certamente è fondamentale al mantenimento del controllo sulle banche da parte di gruppi di potere estranei al sistema della rappresentanza.  

Il voto capitario in quanto tale, pertanto, diventa illegittimo se non è più possibile rintracciare uno scopo mutualistico nelle banche popolari quotate, ma ove si potesse ancora rintracciare in tali banche qualche forma originaria di finalità mutualistica, quello che serviva cento anni fa per tutelare tale scopo in un contesto di banche non quotate, oggi è sicuramente diventato uno strumento non proporzionato. 
Accade così che popo la lunga battaglia condotta soprattutto contro la BPM di Mazzotta, dopo che il parlamento ha preferito ancora rinviare ogni decisione e poco prima del commissariamento del sistema bancario (dovuto alla crisi del 2008 ma tutte banche formalmente radicate nel territorio), un pomeriggio del luglio 2007, mentre si respira aria di ferie imminenti e lavoro incessante prima della pausa estiva, anche Corso Bovio, il battagliere presidente della riforma delle banche popolari, si prepari alle sospirate vacanze.
Domenica 8 luglio chiama il marinaio addetto alla sua nuova barca e gli dà appuntamento per il giorno 24. Prima di partire però devono essere portati a termine gli impegni di lavoro, così il lunedì seguente, 9 luglio, con un suo collaboratore si reca al tribunale di Prato, in Toscana, per tenere un’arringa e insieme ritornano a Milano intorno alle ore 14. L’avvocato appena arrivato dà una busta al collaboratore chiedendogli di consegnarla alla moglie, gli avrebbe detto lui quando, poi entra nel proprio studio e si spara un colpo di pistola in bocca.
Nello studio molto grande, qualcuno sente un colpo attutito La collaboratrice riferisce però di non aver sentito niente. Chi ha sentito va a vedere, trova la porta chiusa a chiave dall’interno. Quando arriva la polizia si cercano inutilmente le chiavi, è necessario chiamare un fabbro per forzare la serratura. Si apre la lettera per la moglie, ma non è una lettera d’addio, non ci sono spiegazioni, c’è solo del denaro.
In un Italia che non cambia e non vuole cambiare, il proiettile di una magnum può fermare molto bene anche coloro che cercano di muovere qualche cosa. Sarà stato un suicidio? Molto probabile... 

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