Irlanda 1970, Chiusura delle Banche.
“Cos’è il denaro?”
Il 4 maggio apparve sull’ “Irish Independent”, il miglior quotidiano d’Irlanda, un avviso a tutto pagina, dal titolo semplice ma allarmante: “CHIUSURA DELLE BANCHE”. L’annuncio, pubblicato dalla Commissione Permanente delle Banche d’Irlanda, gruppo che rappresentava tutte le principali banche irlandesi, informava il pubblico che a causa del grave deterioramento dei rapporti industriali fra le banche e i loro impiegati, "si è giunti a una situazione in cui è impossibile per le suddette banche fornire anche il recentemente limitato servizio nella Repubblica d’Irlanda". L’annuncio proseguiva: "In tali circostanze è rammarico che queste banche annunciano la chiusura di tutti gli uffici nella Repubblica d’Irlanda a partire da venerdì 1° maggio, fino a nuovo ordine". Potrà sconvolgere l’idea che il sistema bancario di una economia avanzata potesse chiudere pressochè in blocco da un giorno all’altro, in tempi così recenti. All’epoca, tuttavia, questo esito era ampiamente previsto, non fosse altro perché si era già verificato una volta, nel 1966. L’oggetto del contenzioso fra le banche e i loro impiegati era ben noto all’ Europa della fine degli anni sessanta: l’aumento degli stipendi rispetto a quello dei prezzi. L’inflazione alta per tutto il 1969 (in autunno il costo della vita era salito più del 10% rispetto ai quindici mesi precedenti) aveva spinto il sindacato dei dipendenti a esigere un nuovo accordo sui pagamenti. Le banche si erano rifiutate, e l’Associazione irlandese dei funzionari di banca aveva decretato lo sciopero.
Fin dall’inizio, ci si aspettava che la chiusura delle banche non sarebbe stata breve, dunque ci si preparò all’eventualità. La prima reazione delle aziende fu quella di fare incetta di monete e banconote. Scrisse l’”Irish Independent”:
Ci furono prelievi massicci di contante in tutto il paese: le aziende accumulavano scorte in previsione di una chiusura. Si preannunciano ottimi affari per le compagnie di assicurazione, rivenditori di casseforti e società di sicurezza durante tutto il periodo di “shut down”. Fabbriche e altre attività dagli organici numerosi si sono attivate per ricevere denaro contante da grosse rivendite come supermercati e grandi magazzini per far fronte ai pagamenti degli stipendi.
Ma nel primo mese della crisi divenne evidente che la situazione non era poi così nera.
Ad aprile la Banca Centrale d’Irlanda aveva soddisfatto deliberatamente il surplus di richieste di contante, dunque a maggio circolavano circa 10 milioni di sterline in più del solito in monete e banconote. I flussi di pagamento diedero inevitabilmente origine a un eccesso di piccoli tagli in alcuni luoghi (in genere nei negozi e altre attività al dettaglio) e una mancanza di altri, di solito grossisti e pubbliche istituzioni che non avevano motivo di ricercare contanti nel corso degli affari della giornata. La Banca Centrale fece persino un vano appello alla società statale di autobus affinchè distribuisse contanti ai passeggeri. Ma questi ingorghi nella circolazione di monete e banconote si rivelarono un inconveniente da poco. Il motivo era che la stragrande maggioranza dei pagamenti continuava a essere effettuata tramite assegno; in altre parole trasferendo denaro dal conto corrente di un individuo o di una azienda a quello di un altro, nonostante le banche dove i conti erano tenuti fossero chiuse. Nella sua relazione sull’intera faccenda, la Banca Centrale d’Irlanda osservò che prima della chiusura "circa due terzi dei patrimoni complessivi sono costituiti da saldi su conti correnti, e il rimanente da banconote e monete".
La domanda cruciale, dunque, era se questo “denaro bancario” avrebbe continuato a circolare. Soprattutto per i privati non c’era davvero scelta: per ogni spesa eccedente il contante che possedevano quando le banche avevano chiuso il primo maggio, l’unica possibilità era quella di scrivere delle cambiali sotto forma di assegno e sperare che fossero accettate.
La cosa degna di nota fu che, durante quella lunga estate, le transazioni proseguirono e gli assegni vennero scambiati quasi esattamente come al solito. L’unica ovvia differenza fu che nessuno degli assegni poteva essere presentato in banca. Di norma è questa la struttura che perlopiù solleva i venditori dal rischi insito nell’accettare pagamenti a credito: gli assegni possono essere incassati alla fine di ogni giornata lavorativa. Con l’arresto del sistema bancario, però, gli assegni erano temporaneamente soltanto delle cambiali private o aziendali. I venditori che li accettavano si affidavano soltanto al proprio giudizio personale sul credito dei compratori. Il rischio maggiore, dunque, era che si abusasse di quel sistema improvvisato. Date che gli assegni non venivano riscossi, in linea di principio nulla impediva di scrivere assegni per importi che non si possedevano. Affinchè il sistema funzionasse i pagati dovevano confidare che gli assegni dei paganti non fossero scoperti, e tutto questo senza avere idea di quando le banche avrebbero riaperto, per poterlo verificare. Il “Times” di Londra seguiva gli eventi al di là del mare d’Irlanda con grande interesse, e a luglio notava sia il fatto straordinario che nulla sembrava essere cambiato granchè, sia la fragilità apparente della situazione. "Le cifre e le tendenze disponibili indicano che finora il contenzioso non ha avuto un’effetto nocivo sull’economia", scriveva il suo corrispondente. "Ciò è dovuto a una serie di fattori, non ultima la prudenza delle imprese nei riguardi delle spese eccessive". Ma quell’equilibri precario poteva durare? " Esiste però oggi il rischio psicologico che, se il contenzioso si trascinerà, la cautela venga abbandonata, soprattutto dalle piccole imprese". Qua e la iniziavano effettivamente ad apparire delle crepe. A un mese dalla chiusura ci fu un momento di panico quando alcuni mercati di bestiame annunciarono che non avrebbero più accettato assegni da privati. A luglio un agricoltore di Omagh che era stato condannato per aver introdotto illegalmente nella Repubblica sette maiali non potè pagare la multa comminatagli di 309 sterline, per mancanza di liquidità. E nel corso dell’estate la lobby delle aziende, incoraggiata dalle banche ed esasperata dalle spese sostenute per aggirare la loro chiusura, iniziò a disseminare nei giornali dichiarazioni allarmistiche, affermando per esempio che " A causa del contenzioso delle banche si sta diffondendo nell’economia una paralisi in rapido aumento". Ma le prove raccolte dalla Banca Centrale d’Irlanda alla risoluzione della crisi nel novembre 1970 dimostrano l’esatto contrario. La sua relazione sulla chiusura concludeva non soltanto che "l’economia Irlandese ha continuato a funzionare per un periodo ragionevolmente lungo pur con le principali banche di compensazione chiuse al pubblico", ma che "il livello di attività economica ha continuato a crescere" in quel periodo. Per quanto sembrasse incredibile subito prima e subito dopo, in qualche modo aveva funzionato: per sei mesi e mezzo, in una delle 30 economie più ricche del mondo all’epoca, "un sistema di credito altamente personalizzato, senza alcuna scadenza definitiva per l’eventuale compensazione di debiti e crediti ha sostituito il sistema bancario istituzionalizzato esistente".
Alla fine, il maggior impedimento causato da questo sistema tanto riuscito si rivelò di natura logistica. Quando le banche e i loro dipendenti raggiunsero finalmente un accordo sui pagamenti, e fu annunciato che le banche avrebbero riaperto il 17 novembre 1970, privati e aziende avevano accumulato una mole enorme di assegni non riscossi. Sui giornali apparvero annunci che invitavano i clienti a non presentarli tutti insieme, e avvertivano che difficilmente i saldi dei conti si sarebbero riallineati prima di parecchie settimane. Ci vollero altri tre mesi, da novembre a metà febbraio del 1971, prima che tutto tornasse alla normalità. A quel punto erano stati presentati per la riscossione cinque milioni di sterline in assegni compilati durante il periodo di chiusura. Era il denaro che il popolo irlandese si era prodotto da sé mentre le banche erano in sciopero.
Come si era potuto realizzare questo apparente miracolo di cooperazione economica spontanea? L’opinione diffusa dopo il fatto era che a questo esito positivo avevano contribuito vari elementi della vita sociale irlandese, non ultimo il più famoso: il pub. La difficoltà principale era stabilire l’affidabilità creditizia di chi pagava con assegni non riscuotibili. L’Irlanda era avvantaggiata in questo senso, dato che le comunità, sia nelle città sia in campagna, erano molto compatte. Ognuno conosceva di persona quasi tutti quelli con cui trattava, e dunque poteva farsi facilmente un’idea della loro affidabilità. Ma nel 1970 l’Irlanda aveva comunque una economia sviluppata e diversificata, per cui le cose non stavano sempre così. Fu qui che i pub e le botteghe si rivelarono preziosi, fungendo da nodi del sistema, raccogliendo, garantendo e riscuotendo assegni come un sistema bancario sostitutivo. L’economista irlandese Antoin Murphy concludeva, con ammirevole circospezione: " Pare che i gestori di queste rivendite e pubblici esercizi disponessero di molte informazioni sui propri clienti; dopotutto non si serve da bere a qualcuno per anni senza venire a sapere qualcosa circa la sua liquidità".
La chiusura delle banche irlandesi dimostra che l’armamentario ufficiale di banche, carte di credito e banconote solennemente decorate con emblemi impossibili da contraffare, non è una componente essenziale del denaro. Tutto ciò può scomparire e il danaro rimarrà comunque: un sistema di credito e di debito, che si espande e contrae senza sosta come un cuore pulsante, mantenendo in vita la circolazione dei commerci. Quel che importa è soltanto che esistano emittenti che il pubblico considera affidabili dal punto di vista creditizio, e una convinzione sufficientemente condivisa che le loro obbligazioni saranno accettate da terzi. In genere è facile soddisfare questi criteri per i governi e le banche: mentre per le società, e ancor più i privati, è in genere difficile. Ma come dimostra l’esempio irlandese, queste regole indicative non hanno validità universale. Quando si disintegrano gli ordinamenti monetari ufficiali, è sorprendente l’efficacia con cui la società improvvisa delle alternative.
Tratto da: Denaro, di Felix Martin, 2013
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