venerdì 23 settembre 2011

Segreti di Stati - Cap.7 - Nome in codice TATO

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Capitolo 7 - Il commissario svizzero Fausto Cattaneo

Comunicato stampa: Il Ministero pubblico della Confederazione indaga sul ricorso a presunti metodi illegali nel corso di indagini condotte negli anni Novanta

Berna
, 17 settembre 2003. Da alcuni mesi il Ministero pubblico della Confederazione sta conducendo un’inchiesta di polizia giudiziaria sul ricorso a presunti metodi illegali nell’ambito di indagini internazionali condotte a metà degli anni Novanta nel mondo del narcotraffico. Varie persone sono state interrogate in Svizzera e all’estero. Lo scorso giovedì una persona è stata posta in detenzione preventiva. Dall’inizio dello scorso aprile, il Ministero pubblico della Confederazione (MPC) conduce un’inchiesta preliminare di polizia giudiziaria contro ignoti per riciclaggio di denaro, corruzione e infrazione alla legge sugli stupefacenti. Nel corso degli anni Novanta, inquirenti brasiliani, francesi, italiani e svizzeri avevano collaborato strettamente con una rete di informatori che fungevano da intermediari tra narcotrafficanti, partecipando attivamente al traffico di stupefacenti. In cambio della concessione di taluni privilegi da parte della polizia, detti informatori avevano permesso di condurre a buon fine operazioni internazionali di polizia sotto copertura a cui presero parte anche agenti svizzeri. Vi è motivo di sospettare che nell’ambito di tali operazioni gli agenti di polizia abbiano commesso atti illegali. È quanto il MPC ha appreso nella primavera del 2003 da vari testimoni, le cui deposizioni l’hanno indotto ad aprire il presente procedimento. All’inizio e alla metà degli anni Novanta stupefacenti sequestrati dalla polizia sarebbero stati rivenduti, versandone i proventi anche agli informatori coinvolti nelle inchieste sotto copertura. Le indagini del MPC si propongono ora di appurare se il ricorso a tali metodi nell’ambito di indagini internazionali possa assumere rilevanza sul piano penale. Si tratta inoltre di fare luce sul ruolo svolto delle persone che hanno preso parte alle operazioni in Svizzera o a partire dalla Svizzera. Nell’ambito dell’inchiesta, varie persone sono state interrogate in Svizzera e all’estero. Giovedì scorso una persona è stata posta in detenzione preventiva successivamente all’interrogatorio. Si tratta di un collaboratore dell’Ufficio federale di polizia, il quale è stato sospeso dalle sue funzioni lo stesso giorno. Il procedimento del MPC, tuttavia, non ha per oggetto l’attività che l’interessato svolge attualmente in seno alla Polizia giudiziaria federale, presso cui opera quale inquirente da quasi due anni, bensì l’attività da questi svolta in precedenza. La presunzione di innocenza vale anche nei suoi confronti. In ragione del segreto istruttorio e per motivi di protezione della personalità non è per il momento possibile fornire altre informazioni sugli sviluppi dell’inchiesta.

Il responsabile dell'informazione: Hansjürg Mark Wiedmer, Capo informazione Ministero pubblico della Confederazione


Certo che se il nostro amico, l'ex commissario svizzero Fausto"Tato" Cattaneo, avesse previsto questo comunicato stampa, sarebbe rimasto meno stupito, di quanto rimasi io stesso, di quello che gli era accaduto. Per quanto attiene alla sua esperienza, ritengo importnate pubblicare questa sua lettera, non nuovissima - per non compromettere le indagini in corso - ma abbastanza attuale ed esaustiva in quanto a senso e contenuto.

Da: Cattaneo Fausto
Casella postale 205
6595 Riazzino
Tel 859'35'83

A: sig.
Jacques Ducry
via Ravecchia 34
6500 Bellinzona

Immagino la tua meraviglia, o stupore, nel ricevere questo mio scritto nella forma raccomandata. Ho scelto tale forma per essere sicuro che tu l'abbia ricevuto personalmente. Non ti nascondo di essere molto deluso del tuo comportamento, del tuo modo di agire. Tratti le persone che ti sono vicine, per intenderci gli amici con la A maiuscola, come i fazzoletti "usa e getta". Lo stesso trattamento lo stai riservando a tuo figlio, al sangue del tuo sangue. Biasimevoli e deplorevoli atteggiamenti, tipici di persona irresponsabile, immatura, quale tu sei. E intanto il bimbo cresce bello, sano e forte. Lo vedo tutte le settimane. Noi tutti qui in casa gli siamo molto affezionati e lui ricambia il sentimento chiamandoci zii e giocando allegramente con Vivian come se fosse la sua sorellina. Sappi che un giorno o l'altro dovrai affrontare la realta`, guardarla in faccia, a viso aperto, che tu lo voglia o no, e allora potrebbe essere troppo tardi e di conseguenza ti troverai confrontato con delle sgraditissime sorprese. Dalla tua vita, privata e professionale, esce un quadro desolante con l'aggravante dell'alta funzione pubblica che ricopri. Ti avevo già detto queste cose, mesi fa, al telefono: ora te le sto scrivendo. Ho preso questa, non facile, decisione, dopo una lunga, attenta e serena riflessione, dopo aver esaminato fatti e circostanze, dopo aver indagato spendendo del mio e, quel che più conta, dopo aver raccolto delle prove. L`insieme di queste cose mi ha permesso di raggiungere il pieno convincimento, oltre ogni ragionevole dubbio, che con un vero Procuratore Pubblico al mio fianco, come per esempio, qualcuno di nostra amichevole conoscenza, non solo non sarei passato attraverso mille sofferenze morali e materiali, ma sul piano professionale di inquirenti avremmo sicuramente raggiunto, in modo particolare nell`ambito dell`inchiesta "Mato Grosso", risultati di risonanza mondiale. Purtroppo, mio malgrado, con tanta tristezza in cuore, ho dovuto constatare che tu non sei stato un vero Procuratore Pubblico e, ancor peggio, che non lo sarai mai.

Ti voglio citare, di seguito e cronologicamente, tutta una serie di episodi relativi a talune inchieste. Da una parte ti aiuterà a capire, se veramente vorrai capire, e dall'altra ti rinfrescherà la memoria.

Inchiesta dei 100 kg di eroina sequestrati a Bellinzona il 21.2.1987.

L'inchiesta, mascherata, aggiunta a quella nata in parallelo e svolta a carico dei fratelli Magharian, è durata oltre un anno di costante lavoro sotto copertura in Svizzera, Italia, Turchia e Stati Uniti. Indagine che fu sempre sotto il totale controllo dell'allora PP [NdA: procuratore pubblico] Dick Marty. I risultati ottenuti furono, a dir poco, strepitosi, tali da provocare un vero e proprio terremoto nel mondo politico e finanziario del nostro Paese. Sul piano personale, oltre grande gioia e all'orgoglio per il traguardo raggiunto, c'è l'immensa soddisfazione per i due riconoscimenti ricevuti: il primo dall'Associazione Internazionale degli Ufficiali Antidroga, il secondo dal Governo degli Stati Uniti. Negli ambienti della Magistratura Sottocenerina, della quale a quel tempo tu facevi parte, tutto ciò suscitò violente reazioni, aspre critiche, acerrime gelosie e invidie, tali da influenzarti, parole tue, negativamente a riguardo la mia persona.

Pochi mesi dopo ti sei occupato di quel padre di famiglia, americano, divorziato, che aveva sottratto il figlioletto che, per sentenza del Pretore, era stato affidato alla sua ex moglie, scappando negli Stati Uniti. Fu in questa precisa circostanza che ci siamo conosciuti di persona. Avendo bisogno di estendere indagini e ricerche negli Stati Uniti, come a tua richiesta, ti ho dato il mio pieno appoggio mettendoti a disposizione canali ufficiali, quali DEA e FBI. Mi sono fatto in quattro, disinteressatamente, avevo perfettamente recepito il messaggio, umano e non tanto penale, tenendo conto che un simile evento non è considerato reato (federale) dalla legge americana. Tuttavia sono riuscito a convincere, ritrasmettendo il disperato appello di una mamma in lacrime, i miei interlocutori ad occuparsi del caso, a fare tutto il necessario, coscienti che dovevano agire fuori dalla legalità. E alla fine, grazie a questi preziosi appoggi, la giovane donna ha potuto legittimamente riavere suo figlio in Svizzera.

Questo per dirti che già a quel tempo, malgrado le dicerie che giravano sul mio conto, avresti dovuto capire di che pasta ero fatto. E invece hai continuato a credere ai pettegolezzi dei corridoi luganesi. Tant`è vero che, non tanto tempo dopo, avendo a mia volta bisogno della tua assistenza ufficiale di Magistrato per una semplice evidenza fondi in relazione ad un'inchiesta mascherata, nel tuo ex ufficio di Lugano, mi hai trattato come un pezzente e, peggio ancora, l'umiliazione me l'hai fatta subire o ingoiare al cospetto di due alti funzionari della DEA con i quali stavo collaborando. In altre parole mi hai fatto fare la figura del perfetto idiota. Un boccone veramente amaro.

Inchiesta Escobar Severo Jr - operazione Octopus

Penso ti ricorderai come sono nate queste precise inchieste. Ti ricorderai anche del processo a carico di Escobar e soci, "un processo politico", come tu lo hai definito, un processo, il cui risultato, sempre parole tue, era già scontato ancora prima di andare in aula. Un'inchiesta enorme, un lavoro sotto copertura frenetico ed estenuante, con continui spostamenti in Svizzera, Germania, Olanda e Spagna. Considerazioni e valutazioni giuridiche processuali a parte (e lasciamo fuori anche le gelosie, invidie, pressioni, e chi più ne ha più ne metta, riscontrati negli schieramenti della Magistratura penale in generale e della Polizia a riguardo di tale caso), ma valutando unicamente l'aspetto, il profilo investigativo, si può, si deve, tranquillamente affermare che i risultati ottenuti sono stati notevolissimi.

Ben difficilmente si riuscirà ancora a raccogliere tutta una serie di elementi, di valore, di estrema importanza e utili sotto ogni e qualsiasi punto di vista, come quelli messi insieme, dopo tanta fatica, perizia e professionalità, con quelle strutture e supporti tecnici che si aveva a disposizione (praticamente zero), in tale circostanza. Senza poi contare i pericoli corsi, intesi quelli di morte violenta, tuttora esistenti. E chi mai potrà dimenticarsi di tale Calderon Mario che, dal carcere in Germania, sta ancora meditando vendetta? Veramente peccato che un patrimonio, di inestimabile valore, sia stato scialacquato in malo modo, buttato alle ortiche, come si suol dire. Fa rabbia pensare che in un mondo piccolo, civile, democratico e maturo come il nostro, dove il senso del dovere dovrebbe avere di gran lunga il sopravvento sui pettegolezzi, sulle dicerie, sulle invidie, sulle gelosie, dove si dovrebbe badare ai fatti e non alle parole, succedono cose del genere. E la rabbia, frammista a tristezza e amarezza, aumenta quando si hanno le prove che proprio siffatti insani sentimenti, fioriti laddove nessuno minimamente penserebbe o immaginerebbe, sono stati la rovina del costrutto, favorendo, indirettamente il crimine organizzato. Vi è tanta, troppa, superficialità e mancanza di professionalità, in quest'ambito. E tu, mio caro Jacques, mi dispiace dirtelo ancora una volta, rientri in quest'ultima categoria.

Non sei stato capace di importi e, scegliendo la via più facile, quella del quieto vivere, hai accettato la disgiunzione dei procedimenti penali: Escobar Severo Jr da una parte e Scussel ed Erfurth dall'altra. I primi sono stati premiati con una pena mite, i secondi giustamente castigati. Nessuno ha però preso in considerazione che è stato proprio il rampollo Escobar a provocare quella che è poi stata definita "operazione Octopus". Spero ti ricorderai di tutto questo. Era anche a tua conoscenza che, la tanto criticata inchiesta mascherata, aveva permesso il sequestro di circa 3500 kg di cocaina (in Svizzera, Olanda, Spagna e Italia), la scoperta di un importante conto bancario presso un istituto di Lugano, per quel che mi consta, non ne é stato fatto nulla, nonchè la confisca, a favore delle casse statali, di diversi milioni di franchi in pietre preziose, smeraldi per l'esattezza. E tutti questi elementi te li avevo forniti ufficialmente, acconsentendo di metterli a verbale nel corso di un interrogatorio formale, in tua presenza.

Tra l'altro, in tutta questa montagna di elementi, a diretto contatto con Escobar Jr, emergeva anche il nome del Galindo Miguel, quello stesso personaggio che, anni dopo, è risultato essere un pezzo da novanta in quell'inchiesta che ha visto coinvolto l'ex collega Gerber Stefano. Ho sostenuto anche la dura battaglia del contradditorio, martellato di domande anche impertinenti e provocatorie, che venivano dai cinque avvocati della difesa, e me la sono cavata egregiamente da solo, visto come il conduttore, l'allora GI [NdA: giudice istruttore] Eggenschwiler, ha dormito per tutto il tempo. Anche questo ho denunciato a chi di dovere.

Al dibattimento processuale, dove sono stato citato per l'ennesima volta, si è data preferenza a lunghe disquisizioni a riguardo di un paio di bottiglie di champagne bevute con Escobar e soci, champagne tra l'altro offerto dal proprietario che ci aveva anche messo a disposizione il suo albergo per i nostri lavori sotto copertura. Si è preferito mettere in evidenza, dimenticando tutto il resto, i presunti traumi provocati nei soggetti per averli portati nel caveau di una banca di Lugano dove avevamo fatto l'evidenza fondi. Si sono tralasciati fatti di enorme importanza giuridica come quello del Betancur Juan Carlos che, presente a Lugano con l'Escobar nelle diverse fasi sotto copertura, venne arrestato a Madrid con circa 200 kg di cocaina. E questo unicamente grazie al nostro lavoro. Proprio questi particolari, aggiunti ad altri che già conoscevi molto tempo prima dell'inizio del processo, ti hanno fatto pronunciare quelle frasi già evidenziate in apertura del presente capitolo e che ti voglio rammentare ancora: "...processo politico... era già tutto deciso prima ancora di andare in aula...". E ti eri ripromesso di fare qualche cosa, di spifferare tutto, cito, sempre usando parole tue, cose da far crollare il palazzo di Giustizia di Lugano. perché non l'hai fatto? Parole, parole e ancora parole, ricorda una vecchia melodia italiana. Ma tu, in tutta sincerità, mi domando, non ti sei
mai fatto un esame di coscienza?

A Wiesbaden, presso la direzione generale del BKA (Bundeskriminalamt), presenti tutti i delegati dei Paesi interessati, elementi molto rappresentativi e di un certo livello, quando si dovevano prendere delle importanti decisioni, discutere anche di problemi prettamente legali che quindi ti competevano, il tutto per gettare solide basi per la costituzione del gruppo di lavoro (task force) "Octopus", dove sei andato a finire invece di presenziare alla riunione? A passeggio, per le vie di Wiesbaden, almeno così mi è dato a sapere, con una dolce fanciulla mia collega del BKA, lasciando il gravoso compito sulle spalle di chi ti sta scrivendo. Il tuo comportamento provocò meraviglia e disapprovazione generale. Il collega Mossier, del Ministero Pubblico Federale, oltre che deluso ne fu addirittura mortificato. Non ti sei mai chiesto chi ha tenuto insieme il gruppo tanto da creare il giusto spirito, la giusta atmosfera, la carica e le motivazioni, elementi sempre necessari in situazioni del genere, non dimenticando che era una prima europea i cui rappresentanti venivano da differenti Paesi, con differenziate leggi, procedure e di altri usi e costumi?

Proprio a tale scopo, per l'unità del gruppo e quindi per il bene dell'enorme e difficoltoso lavoro che si stava svolgendo, ho indetto parecchie riunioni, meglio dire colazioni di lavoro, in privato, a casa mia e a mie spese s'intende, perfino sui monti di Lanes, sopra Roveredo GR, dove mi ero recato alcuni giorni a riposare. L'ho fatto perché era necessario farlo, ben contento di farlo e di averlo fatto, disinteressatamente, perché chi mi conosce sa che sono fatto così. I risultati si sono visti, un successo maestoso. E tu ne hai fatto il tuo cavallo di battaglia, ti sei messo il fiore all'occhiello, un po'appassito, invero, dai tuoi atteggiamenti. Avresti potuto raccogliere, con un'altra testa, ben più ampi consensi e allori di un'altra dimensione. Nemmeno vanno dimenticati i pericoli, grossi e reali, di morte che il sottoscritto ha corso nelle testè descritte operazioni che hanno avuto, e non mi stancherò mai di ripeterlo, perché i fatti lo provano ampiamente, un'unica e precisa paternità: Escobar Severo IV detto Junior.

Certamente ti ricorderai della preoccupante situazione venutasi a creare dopo che a Madrid, tre killers colombiani, intercettati dalla locale polizia, furono trovati in possesso di una "lista nera". Un elenco di persone destinate al macello, almeno così rientrava nei piani, elaborati, e nelle decisioni, prese, dai vertici del crimine organizzato colombiano, ovvero i famigerati cartelli. Che l'evento fosse di assoluta gravità lo provò il fatto che il commando, una specie di trio suicida disposto a tutto, vistasi la strada sbarrata, non esitò ad aprire il fuoco contro la polizia che, per fortuna nostra e soprattutto mia, riuscì ad avere la meglio dopo aver ucciso uno dei tre. Fortuna mia, ho detto, perché l'obiettivo principale da colpire era proprio il sottoscritto. Identica sorte era stata prevista anche per Escobar Jr e Co colpevoli, per i committenti, di aver parlato troppo. Non a caso, nell'imminenza del processo, ritrattarono tutte quelle versioni, micidiali per la loro importanza, rese dapprima in sede di polizia, confermate poi davanti al magistrato titolare dell'inchiesta, che si inserivano perfettamente, con riscontri oggettivi e concreti, nel grande mosaico investigativo che la fase mascherata aveva permesso di costruire. Ritrattazioni, infine, favorevolmente accolte dalla Corte giudicante. Con quest'ultima e precisa frase non intendo assolutamente sollevare obiezioni, o critiche, sull'operato di un Tribunale. Mi sono limitato a constatare e conseguentemente rimango con le mie convinzioni e opinioni. Tale compito lo lascio invece a quelle competenti persone che, invece di affrontare la problematica globale della criminalità con un vero spirito combattivo e disinteressato, preferiscono sguazzare negli immondi e perversi sentimenti quali sono invidia, gelosia, cinismo e ipocrisia. E traggono poi, questi miseri e poveri tapini, immensa soddisfazione nel sapere che il loro irresponsabile agire ha provocato l'effetto voluto. Aveva ragione Adenauer, sicuramente aveva validi motivi, nel dire : "...sembra che certa gente abbia fatto la fila tre volte quando il buon Dio ha distribuito la stupidità...".

Le delusioni, le amarezze e le preoccupazioni, sempre presenti nel mio corpo, si erano all'epoca intensificate, quando davanti all'ennesimo attentato alla mia persona, nessuno ha voluto, o saputo, fare concretamente qualche cosa, anche minima, tanto da sminuire le tensioni. Nessun magistrato si è degnato di approfondire le indagini, per esempio recandosi di persona a Madrid, in virtù di una richiesta ufficiale di assistenza giudiziaria, per interrogare i due sopravissuti nel conflitto a fuoco. E si sapeva che dovevano usufruire, per raggiungere il loro scopo, di appoggi in Svizzera. Un modo di agire che, definirlo all'acqua di rose, scandaloso e vergognoso, è poca cosa. Completamente differenti sarebbero stati i contegni e i risultati se, su quel funesto elenco, ci fosse stato il nome di un magistrato. Sicuramente qualche richiesta, per avere a disposizione mezzi blindati per la propria sicurezza, sarebbe approdata anche sul tavolo del Dipartimento Militare Federale. E a far aumentare i pericoli ci ha poi pensato la tua amica e collega Del Ponte, acquisendo agli atti, quindi alla portata di tutti, diversi rapporti che lei aveva ricevuto in via confidenziale e che comprendevano argomenti tecnico - investigativi, dunque di nessuna rilevanza ai fini di acquisizioni di prove contro i vari prevenuti. Quali sono state le conseguenze? Pensando soprattutto all'incolumità delle persone (agenti di polizia e informatori), abbiamo dovuto ricostruire tutta la rete di copertura, il che aveva comportato una notevole spesa per lo Stato. Un agire in tal senso della Magistratura denota, quantomeno, una assoluta leggerezza che sta, a mio avviso, a significare totale disprezzo per la vita e la sicurezza di persone che sono attive, semplicemente e professionalmente, nella lotta contro un genere di crimine organizzato che va espandendosi sempre più anche all'interno dei nostri piccoli confini. Era con queste parole che denunciavo al comandante Dell'Ambrogio, con rapporto datato 3 maggio 1991, tale situazione. Aggiungevo anche che, se dovesse diventare prassi comune acquisire agli atti dell'inchiesta notizie del genere citato, era inimmaginabile poter continuare a condurre inchieste mascherate. Un'inchiesta, esaminando gli elementi raccolti da un'angolazione, per quel che mi concerne esclusivamente investigativa, che la si può, in senso figurativo, paragonare ad una tavola imbandita a festa, quella delle grandi occasioni, che capitano una sola volta nella vita, maldestramente rovinata per la presenza di cibo avariato sicuramente preparato dall'aiuto cuoco con la collaborazione del lavapiatti.


Operazione "Cotugre" - Troja Alessandro

Così è stata denominata l'operazione per i suoi risvolti internazionali: "co" per Colombia, "tu" per Turchia e "gre" per Grecia. Il defunto Troja, siciliano, pregiudicato poi diventato informatore di polizia, si era messo ai nostri servizi attraverso il Comando dei Carabinieri di Milano con il quale già stava collaborando in una loro indagine (operazione Bosco) che coinvolgeva, fra i tanti, un noto personaggio, tale Akguller Adem, alias Türküresin Hamza, turco, referente del clan dei Morabito, potente famiglia calabrese. Il citato Akguller, sotto la falsa identità di Türküresin, emergeva in tutta chiarezza nell'inchiesta istruita contro i fratelli Magharian, e si inseriva nel preciso contesto del traffico di eroina e del relativo riciclaggio dei proventi. D'altronde era già conosciuto quale trafficante essendo stato arrestato, nel 1984 a Milano, con 15 kg di eroina.

L'inchiesta Magharian stava ormai per concludersi e, l'attuale PG Mordasini che aveva "ereditato" l'incarto, era nell'imminenza dell'emissione dell'atto d'accusa. Si decise allora, con il consenso del PP, di approfondire le indagini sul personaggio Akguller con la collaborazione dell'informatore Troja. Venne alloggiato, con a fianco il sottoscritto, presso l'albergo Losone. Premessa dovuta, questa, tanto per sgomberare il campo da altri eventuali e possibili, stupidi, commenti già sentiti, e sopportati in passato, prima e dopo l'assassinio del Troja. Per dimostrare anche, se ce ne fosse ancora bisogno, malgrado tutti i difetti presenti nella mia persona, che ho sempre giocato, professionalmente parlando, a carte scoperte. Cosa di non poco conto, che altri non hanno fatto, non fanno e non faranno mai.

Risultati e risvolti del caso Troja sono noti. Tu eri il titolare, fino al momento del grave fatto di sangue, dell'inchiesta. L'assetto operativo era chiaro fin dagli inizi: da una parte la fonte colombiana identificata nella persona di Ramirez Pablo in combutta con la nota famiglia Grajales che, a sua volta, era operativa con il famoso trafficante Santacruz - Londono Josè, dall'altra il già citato Akguller nella funzione di referente della famiglia Morabito. Noi, cioè il Troja ed il sottoscritto, in mezzo, a mantenere i contatti e trattando con i due poli. Le trattative si basarono sulla vendita, rispettivamente acquisto, di 15 kg di cocaina. La merce, come pattuito, doveva essere consegnata, e anche pagata, a Locarno. Sapendo che il carico di droga sarebbe arrivato in Belgio, nel porto di Zeebrugge con la nave Capitan Valiente, rammenterai che venne, nel pieno rispetto delle leggi vigenti, pianificata una consegna controllata. In altre parole la droga, i "nostri" 15 kg dovevano essere prelevati dalla nave e trasportati, via terra, fino a Locarno per la dovuta consegna.

Rammento di essere intervenuto più volte, anche con toni accesi, spiegando e predicando, nei minimi dettagli, il "modus operandi" che i colombiani avrebbero usato in un caso del genere. In fin dei conti una cosa molto semplice, elementare, una regola fissa, e cioè che trattandosi di una spedizione che veniva fatta via mare, con un mercantile, dovendo i colombiani seguire tutto un iter (altra regola fissa) corruttivo, i medesimi avrebbero caricato un quantitativo di gran lunga maggiore, destinato a diversi altri "clienti", e che quindi la nostra parte l'avremmo dovuta prendere proprio da quel quantitativo. Fiato sprecato, nessuno recepì il messaggio, importante e determinante per la buona riuscita dell'operazione.

Ritenuto: che le autorità del Belgio avevano accettato e approvato, ufficialmente, tutti gli schemi legali della consegna controllata da noi proposto; che nell'accordo sottoscritto dalle parti, via Interpol, si è parlato di un unico quantitativo di 15 kg di cocaina che doveva arrivare a bordo della nave Capitan Valiente, sarebbe bastato seguire il mio consiglio affinchè, il tuo collega di Bruxelles, non potesse rifiutarsi all'ultimo momento, come invece ha fatto, di dare via libera alla progettata operazione, avvalendosi, e non poteva fare altro, di un vizio di forma sui contenuti della nostra (tua) richiesta.

Sulla nave c'erano, infatti, 100 kg di cocaina e non 15 come è stato scritto sulla richiesta d'autorizzazione giunta nelle mani del tuo corrispondente in Belgio. Considerato che in quel momento, in Belgio, erano presenti nostri colleghi con il Troja pronti per effettuare il trasporto, che il gruppo dei Morabito, per mano dell'Akguller, aveva già anticipato ai trasportatori 70'000 $, che il sottoscritto si trovava a Losone nell'omonimo albergo, in stretto contatto con altri emissari dell'organizzazione criminosa, aspettando l'arrivo e il pagamento della merce, che era già stato predisposto un adeguato servizio di sorveglianza per eventualmente scoprire la fonte del denaro; considerando tutto ciò, mio caro Jacques, mi viene ancora oggi la tremarella, rabbrividisco pensando che non sei stato capace di correre ai ripari, di trovare una soluzione alternativa, senza oltrepassare i limiti legali consentiti, come ti avevo proposto. E ti avrebbe seguito, e sostenuto, anche il Ministero Pubblico Federale. Bastava prendere una ferma e convinta decisione come quella, che ti avevo suggerito, di sostituire la cocaina tanto da poter permettere la consegna e di concludere, di conseguenza, positivamente l'operazione.

Jörg Schild, ex capo del Ministero Pubblico Federale e attuale Consigliere di Stato del cantone di Basilea Città, personalmente interpellato, mi aveva confermato che doveva essere il titolare dell'inchiesta a decidere in merito, non contrario come tu chiedevi. Ti avevo telefonato, inizialmente supplicandoti, con la speranza di riuscire a convincerti, e infine imprecando e bestemmiando notando che eri sordo come una campana. "Scalare una montagna è ardua impresa, ben più difficile è scendere", ha detto un mio grande amico, non poliziotto, facendo un indovinato e positivo accostamento con l'inchiesta mascherata. Oso sperare che tu capisca che cosa si intende dire con un paragone del genere.

Troja ed io ci siamo trovati in una simile e precisa situazione, in cima ad un'impervia montagna, incapaci di scendere perché i soccorritori non hanno voluto, nemmeno tentare, aiutarci. Morale conclusiva: il Troja brutalmente assassinato ed il sottoscritto che ha rischiato di fare la stessa fine, ennesimo pericolo scampato, salvato da una partita a bridge, si potrebbe dire, dal rifiuto ad un semplice invito che il defunto mi aveva fatto. Chi ha ucciso il Troja? Chi ha segnato il mio destino lasciando in terra, vicino al corpo inerme del Troja, quel chiaro messaggio di morte rappresentato da una pallottola inesplosa posta in piedi, come lo ha definito un grande ed autorevole esperto di mafia qual'era il compianto giudice Falcone? Non ti sei mai posto simili interrogativi? Non ti senti, moralmente, responsabile di tutto ciò? Personalmente, e ho già avuto modo di dirlo e scriverlo, mi sono sentito, e mi sento tuttora, moralmente responsabile della morte del Troja.

La vita, la nostra, quella di inquirenti di battaglia, dovrebbe essere fatta da equilibrate e coraggiose persone, capaci, professionalmente preparate e responsabili. Hai forse dimostrato, in tale circostanza, e non solo in questa, di avere una di queste componenti? Mi dispiace dirtelo, ma affermare che sei stato un coniglio sarebbe una grave offesa per questa simpatica categoria di roditori. Pur avendo una montagna di indizi, validi, vestiti di tutto punto come si dice per la chiamata di correità, non voglio, in questo momento, relazionare fatti, circostanze e nomi circa i presunti responsabili di tale gravissimo evento. Lo farò solamente quando mi saranno date delle garanzie, quando sarò sicuro che verrà fatta una vera inchiesta, concreta, approfondita e meticolosa. Farlo ora sarebbe solo tempo sprecato.


Inchiesta Vinci - Cannavà Domenico, Toledo William, Oliverio Egidio alias Steiner Roberto detto "Rudi" e Co.

Certamente conoscerai nei dettagli l'inchiesta in oggetto. Direttamente non me ne sono occupato, a parte alcune informazioni sviluppate per conto dei colleghi di Lugano che si occupavano del caso. Sarebbe stato meglio, a ragion veduta, se mi fossi rifiutato di dare quel modesto, schietto e trasparente, aiuto che ho dato. È un ragionamento a posteriori che sto facendo. Non potevo evidentemente immaginare, nemmeno minimamente, che simile, limitata e superficiale, collaborazione sarebbe stata, per l'"entourage" luganese, ghiotta occasione per orchestrare e sferrare un duro attacco alla mia persona. L'agire della tua collega Del Ponte, oltre che indicare chiaramente che tipo di clima già regnava in quel tempo, è stato sconcertante, una vera e propria vessazione. Accettando, con assoluta leggerezza e superficialità olimpionica, per fatti acquisiti le idiozie uscite dalla bocca di un burattino interdetto come l'Azzoni (spinto peraltro dai suoi superiori a comportarsi in quel modo), non ha esitato un istante ad inviare una lettera di fuoco al comandante minacciando, testualmente scritto, di "non escludere a priori l'apertura di un procedimento penale". Roba da far accapponare la pelle anche a... un pollo congelato se, in definitiva, si tien conto che il tutto é germogliato da un seme interrato in un campo arido e improduttivo, da parificare alle accuse, gratuite nella circostanza, che malvagiamente sono state costruite con semplici illazioni e con perfidi pettegolezzi! Non sapevo, ne ho però preso atto, che il termine "deontologia" era stato da tempo messo al bando, stralciato da tutti i vocabolari della lingua italiana! Gioivano, "i cari amici", al pensiero di riuscire a distruggermi. Trattasi dell'ennesima prova, visto tutto quanto finora descritto, della frenetica opera di deligittimazione che, già a quei tempi, sistematicamente veniva applicata nei miei confronti. Ma il loro obiettivo non era solo quello di colpire il sottoscritto, di infangare la mia persona, di mettermi in cattiva luce. Lo sai anche tu che riuscendovi, ed è proprio qui che si era insediato il loro proposito, avrebbero, di riflesso, pensato di offuscare l'immagine dell'ex Procuratore Dick Marty, mettendo in discussione tutto il lavoro che lui aveva fatto con me. Ed eravamo negli anni 1988 - 1989, quindi due anni prima dell'inizio della catastrofe, o terremoto, "Mato Grosso".

Opera deligittimante che è poi continuata nel tempo, in maniera sistematica, paziente e diligente. I "bravi colleghi", in questo campo si sono dimostrati dei veri ed autentici maestri. Vediamo un po' più da vicino, entrando nei meandri, questo biasimevole episodio.

Nell'estate del 1988, per ragioni professionali, mi trovavo a Los Angeles. Un mattino, molto presto, tenuto conto del fuso orario, venni svegliato dal telefono che squillava. All'altro capo del filo vi era il collega Mora di Lugano che, sapendo della mia, ufficiale, presenza negli Stati Uniti (stavo vagliando alcune documentazioni dell'inchiesta Magharian) mi invitava a voler fare alcuni accertamenti sulla persona di Toledo William. Cosa che io feci. I risultati della ricerca li riferii all'interessato con una breve nota informativa. Sostanzialmente gli dicevo che il Toledo William era conosciuto come trafficante di cocaina e che appariva nel sistema "Naddis" (informatica federale USA), segnatamente per i suoi stretti legami che, a quel tempo, aveva con il generale panamense Noriega, pure al centro di particolari attenzioni da parte della DEA.

Ricordo, a tal proposito, le preoccupazioni e scetticismo che suscitò, nei colleghi americani, l'eventuale, preventivato, fermo del Toledo. Ritenevano che un prematuro, avventato, non coordinato, provvedimento restrittivo pregiudicasse il buon esito, principe, della loro operazione, e cioè l'arresto del generale Noriega e la confisca dei suoi beni. Particolari che pure ho riferito, a chi di dovere, in un rapporto. Non se ne fece niente, prevalse lo spirito di contraddizione e, in funzione dei quadri operativi in seno alla magistratura di allora, prevalse anche quella tanto decantata, gridata ai quattro venti (chissa perché, oggi abolita), politica del proprio giardino pulito, incurante delle erbacce e sterpaglie del vicino. Chi vuole intendere, intenda! E se tu, Jacques, non vuoi intendere, non me ne frega, assolutamente, un bel niente. E neanche a farlo apposta, poco tempo dopo venne spiccato un mandato d'arresto, internazionale, contro il Toledo William. E venne anche arrestato, in un paese latino - americano. In carcere rimase però poco tempo e, quando i nostri già si apprestavano a salire sull'aereo per andare a prelevarlo, lui era già uccell di bosco. I colleghi americani portarono a termine la loro missione, perché di missione vera e proprio si trattò. E "vissero felici e contenti", mi vien voglia di dire.

La sera, tardi, del 3.1.1989, venni telefonicamente invitato, da parte dell'ufficio della DEA di Roma, a mettermi in contatto con l'ex collega Madsen Frank, già della polizia danese che, seppur superficialmente, avevo già conosciuto, anni prima, nel corso di una riunione operativa presso il Segretariato Generale dell'Interpol la cui sede, a quel tempo, era ancora Parigi. Stando a quanto riferitomi dai colleghi della DEA, Madsen, che si trovava in un albergo di Lugano, doveva spiegarmi qualche cosa che poteva interessare i nostri servizi. Quella sera stessa contattai l'ex collega che incontrai il giorno dopo, al mattino, nell'albergo dove risiedeva. Mi raccontò che, quando era operativo nella polizia danese, verso il 1980, lui e il collega della DEA Dennis Silvestri, mio grande amico quest'ultimo e che conosco da un sacco di tempo, a Copenhagen avevano arrestato, con circa 8 kg di cocaina, tale Oliverio Egidio. Come molte volte succede in casi del genere, anche alle nostre piccole latitudini, dopo aver scontato la sua pena il soggetto ha cominciato a fare, anche, l'informatore. Aggiunse, il mio interlocutore, che l'Oliverio, sotto le mentite spoglie di Steiner Roberto (Rudi), si era stabilito in Brasile, a San Paolo per l'esattezza e che, di quando in quando, manteneva contatti con lui. Stando al racconto del Madsen, poi confermato dai fatti, contro tale personaggio, le nostre autorità avevano spiccato un mandato d'arresto internazionale per traffico di cocaina e avevano, anche, posto sotto sequestro un suo conto bancario in un istituto di Ginevra.

Provvedimenti ingiusti ed ingiustificati, così li definì l'interessato raccontando l'episodio al Madsen, aggiungendo che era stato in Svizzera in generale e a Lugano in particolare, non quale trafficante, bensì nelle vesti di informatore dietro mandato della DEA del Brasile, a diretto contatto con i vari Vinci - Cannavà, William Toledo e via dicendo. In sostanza, Madsen, in maniera del tutto trasparente, auspicava un mio interessamento per vedere se, eventualmente, si potesse fare qualche cosa. Tra l'altro, un po'di tempo prima, Steiner, aveva fatto pervenire, alla Procura Pubblica di Lugano, un manoscritto nel quale confermava questa sua versione, e una copia era giunta sul tavolo del mio ufficio a Bellinzona. Con il Madsen, che aveva lasciato la polizia per passare alle dipendenze di una ditta farmaceutica, multinazionale, quale responsabile dei servizi di sicurezza, ci si accordò che, per semplificare le cose, era meglio che lo Steiner mi telefonasse in ufficio. Infatti, quello stesso giorno, mi telefonò dal Brasile. Mi raccontò tutto quello che c'era da raccontare, alla sua maniera, evidentemente. Mi ritelefonò diverse altre volte, dandomi anche delle precise informazioni, estranee però all'inchiesta in corso a Lugano e che lo vedeva coinvolto.

Le risultanze del contatto avuto con Madsen e gli altri avuti, telefonicamente, con Steiner, relative alle informazioni sull'inchiesta Vinci - Cannavà, Toledo e compagnia, vennero scritte in un rapporto, pochi giorni dopo, il 13.1.1989 per l'esattezza, indirizzato all'allora comandante Dell'Ambrogio con copia alla Procura Pubblica Sottocenerina. E avevo, anche, telefonicamente, informato di tutto ciò i colleghi di Lugano. Le presunti funzioni di informatore, in quel preciso caso, e invocate dallo Steiner, non trovarono mai conferma, nemmeno in seguito. Il 28.9.1989, quindi diversi mesi dopo, Azzoni redigeva un rapporto, sempre a riguardo della citata inchiesta, al comandante Dell'Ambrogio. Ricordo di averlo letto attentamente, con occhio particolare, senza però riuscire a capire un gran che. Troppe cose del contenuto mi sfuggivano, a quel tempo, anche perché non le avevo vissute in prima persona.

Un po' di tempo dopo, i colleghi di Lugano, mi contattarono telefonicamente per riferirmi che stavano per chiedere ufficialmente un mandato d'arresto contro il Madsen in quanto, secondo loro, coinvolto in maniera piuttosto grave nella citata inchiesta. Mi chiesero dei consigli, al che risposi che erano liberi di fare e di procedere come meglio credevano, che non avevo sposato il Madsen e che nemmeno era mio parente. Aggiunsi che non avevo nient'altro da dire oltre a quanto già avevo scritto e spiegato nel rapporto del 13.1.1989. Il 6.10.1989, effettivamente, chiesero ufficialmente un mandato d'arresto per il Madsen, dal quale risultava che il medesimo si era reso colpevole di violazione aggravata della LF sugli stupefacenti e meglio, cito testualmente: "...per aver, nel giugno - luglio 1988, effettuato in correità con Toledo William, Oliverio Egidio Giancarlo, Petrucci Paolo e altre persone, a Lima in Perù, Ginevra e Lugano, l'importazione in Svizzera e il deposito a Lugano in attesa di essere venduta, rispettivamente trasferita in Italia, di 32 kg di cocaina, di cui 20 sequestrati a Lugano il 5.8.1988, occultati nelle cassette di sicurezza di una banca..."

Non nascondo di essermi molto meravigliato nell'apprendere tale situazione. Anche se superficialmente, conoscevo il Madsen, e lo stesso mi era stato descritto da colleghi, svizzeri e stranieri, che evidentemente avevano lavorato con lui, come ottima e capace persona. Mi pareva quantomeno strano che fosse quindi coinvolto in un traffico di stupefacenti nella misura descritta.

Il 18.10.1989, la PP Del Ponte, inviava una lettera all'attenzione del comandante dove lo invitava a voler procedere ad un'inchiesta, all'interno del mio ex ufficio per chiarire, nel modo più completo, come si erano svolti i fatti. Rilevava come, nel testo del rapporto Azzoni, erano contenute gravi affermazioni che riguardavano l'inchiesta in corso a Lugano ed il buon esito della stessa. Non escludeva, infine, l'apertura di un procedimento penale per favoreggiamento.

Il 19.10.1989, sempre la PP Del Ponte, inviava una seconda lettera al Delegato Sulmoni invitandolo a chiarire se, Madsen, avesse avuto un ruolo di informatore, o collaboratore, di polizia.

L'1.11.1989, Madsen, venne fermato e quindi tradotto negli uffici della PS di Lugano per quanto del caso. Contemporaneamente, il collega Muschietti, informava il sottoscritto dell'avvenuto fermo, chiedendo ancora delucidazioni sui rapporti intercorsi con il prevenuto. Ribadivo (ne avevo piene le scatole), e non potevo fare altrimenti, quanto avevo scritto nel mio rapporto datato 13.1.1989. Invitavo il collega, per l'ennesima volta, a voler procedere come meglio riteneva, segnatamente sulla base delle prove, o indizi, raccolti.

Passarono i mesi, cinque per l'esattezza, senza più sentir parlare di questa odiosa storia. Un bel giorno, era venerdì 6 aprile 1990 (ti ricordi del triste "venerdì nero" ?), Azzoni, che si trovava a Bellinzona per motivi di servizio, chiese espressamente di parlare con il sottoscritto. Mi riferì che il Madsen era stato interrogato e che aveva detto delle cose non tanto piacevoli sul mio conto. Azzoni stesso, dopo essersi recato nell'archivio del comando, mi procurò copia dei verbali di interrogatorio del Madsen. Era meglio che non li leggessi. Avevo praticamente già dimenticato simili assurdità, già digerito le vigliaccherie (termine che tu e Dell'Ambrogio avete usato) subite. Invece ho dovuto ingoiare un'altra amara realtà, un'angheria violenta, cattiva perché intenzionale, carica di odio, con le immancabili gelosie e invidie.

Da quei verbali, due per l'esattezza, datati 1.11.1989, dai relativi rapporti redatti all'attenzione della tua collega Del Ponte e da tutti gli atti ufficiali allestiti precedentemente, traggo alcune considerazioni che sono, d'altronde, perfettamente evidenziate e documentate.

La PP Del Ponte, come dimostrato, non ha minimamente esitato, abituata com'era ad ascoltare le voci pettegole dei miei colleghi di Lugano, a scrivere al comandante dicendo che non escludeva a priori l'apertura di un procedimento penale per favoreggiamento. E chi altri poteva essere, se non il sottoscritto, il bersaglio da colpire? E perché non l'ha fatto? Sinceramente mi avrebbe reso un grande favore. Avrei potuto esprimerle ufficialmente, documenti alla mano, il mio pensiero a tal proposito.

I cari colleghi di Lugano, nemmeno loro, hanno esitato ad allestire un rapporto di richiesta di un mandato d'arresto contro il Madsen, ritenendolo correo di un gravissimo reato, come lo sarebbe un traffico di cocaina di quelle dimensioni. Roba, come minimo, da 10 anni di reclusione vista la sua posizione e la sua precedente attività.

La PP Del Ponte, con la lettera inviata a Sulmoni, pretendeva sapere se il Madsen fosse un informatore di polizia. A parte il fatto che Madsen non è mai stato tale, almeno per quel che mi riguarda, dove stà scritto che la Polizia è obbligata dire chi sono i propri informatori? Se il Madsen fosse stato operativo, per conto nostro, in quella o in un'altra inchiesta a Lugano, lei sarebbe stata la prima a saperlo.

Madsen, come già detto, è stato fermato a Lugano l'1.11.1989 e interrogato la prima volta alle ore 10.50. Visti gli elementi di prova o di grave indizio che avevano, doveva quantomeno essere interrogato, con le dovute contestazioni, in maniera specifica per chiarire la sua posizione all'interno del traffico in cui, prove alla mano, doveva essere coinvolto. Invece, sempre considerando i sostanziosi indizi che lo gravavano, è stato sentito superficialmente, "all'acqua di rose". Si può tuttavia constatare che, nel medesimo interrogatorio, il mio nome appare diverse volte.

Madsen viene interrogato una seconda volta alle ore 15.45, cinque ore dopo il primo. Sicuramente, e lo si può facilmente immaginare, in questo lasso di tempo, gli addetti ai lavori si saranno riuniti per definire le prossime mosse, non tanto per provare la colpevolezza del soggetto, ma piuttosto per eventualmente incastrare il sottoscritto. E lo si capisce dal come è stato introdotto questo secondo, ultimo, interrogatorio. Tieni sempre presente che il Madsen, in quel momento, è sempre indiziato di un gravissimo reato. Cito testualmente: "...Il Procuratore Pubblico chiede che venga interrogato sulle risultanze del rapporto di polizia datato 13.1.1989 (ndr: mio) ove fra l'altro si evince i miei contatti con l'agente di polizia ticinese isp. Cattaneo Fausto". E segue poi un approfondito interrogatorio per stabilire quali sono stati i miei contatti con il Madsen, non come quello di prima, lo ripeto, fatto "all'acqua di rose". In seguito viene rilasciato, accompagnato in albergo.

Madsen termina il suo interrogatorio affermando testualmente: "... non ho più piacere di incontrare Cattaneo..... Sono rimasto offeso dal fatto che non si sia presentato all'appuntamento (ndr: ero stato invitato ad una cena alla quale non partecipai espressamente) ....In questi ultimi tempi agenti della polizia francese (guarda caso) mi hanno detto "delle cose poco rassicuranti" nei suoi confronti." Alla mia domanda, rabbiosa, rimbombata nei corridoi del Pretorio di Bellinzona, tant'è vero che alcuni colleghi sono accorsi temendo che lo stessi pestando a sangue (magari l'avessi fatto!), Azzoni mi rispose che la frase esatta usata dal Madsen era stata: "..Cattaneo è un corrotto..."

C'è da chiedersi come mai, né i miei colleghi (colleghi per modo di dire) nè la tua collega Del Ponte, non abbiano dato seguito a simili pesantissime affermazioni fatte da una persona gravemente indiziata, così hanno detto e scritto, di un traffico di oltre 30 kg di cocaina. Nemmeno si sono degnati di informare i miei diretti superiori. Farlo era un loro preciso dovere, obbligo, sia per provare la mia, eventuale, colpevolezza sia per scagionarmi, per cancellare ogni ombra, ogni minimo dubbio, dalla grave accusa, anche se ipotetica o immaginaria, del reato (d'ufficio) di corruzione con l'aggravante della funzione. Avrebbero dimostrato buon senso, oltre a quello del dovere, professionalità e un po', dico solamente un po', di rispetto verso la mia persona. Quel rispetto che ogni funzionario, intelligente, delle Istituzioni dovrebbe avere verso il prossimo, sia esso il peggiore dei delinquenti. Loro non sono stati né rispettosi e nemmeno intelligenti. Sono delle virtù che si hanno o non si hanno, che non si possono acquistare al mercato come le banane. E invece, senza tanti scrupoli, hanno messo l'incarto nell'archivio a portata di mano di tutti.

Ti ricorderai della triste scena nel mio ufficio di Bellinzona quando quegli amici (amici per modo dire, tanto per parafrasare Renato Pozzetto) si sono dimostrati solidali con me e tutti in coro, tu compreso, a dirle grosse sul conto di quelli di Lugano. Quelle stesse persone che poi, due anni più tardi, mi hanno, meschinamente e ignobilmente, voltato le spalle schierandosi, per pura convenienza, sull'altro fronte. Il perché, di questo loro spregevole comportamento, lo vedremo, in dettaglio, in seguito. Eri presente anche tu quando, quella sottospecie di essere umano che risponde al nome di Azzoni Sergio, terrorizzato dalla paura di essere linciato, dopo essersi scusato (meno male) ha detto di essere stato aizzato o istigato, dai suoi superiori di Lugano, a comportarsi in quel modo. E le tanto decantate e invocate prove di colpevolezza, contro il Madsen, che a loro dire avevano, in definitiva, che cosa si sono rivelate essere se non un castello di sabbia? Quale obiettivo volevano colpire se non il sottoscritto visto come sono andate le cose?

Davanti a tali ingiustizie reagii con un rapporto, datato 13 aprile 1990, indirizzato al comandante invitandolo ad intervenire, energicamente, per porre fine a tali antipatiche situazioni. Fu però solamente, la mia, una pia illusione. Simbolica punizione ad Azzoni con un ammonimento ufficiale e il resto... nel dimenticatoio!

Ultima considerazione, di carattere strettamente personale, prima di chiudere questo capitolo dai risvolti allucinanti. Ancora una volta, e non era la prima, sono riusciti a dimostrare tutta la loro bassezza d'animo, infima. Dopo la mia classica, inevitabile, sfuriata, a mente fredda quindi, ho provato, e lo sento tuttora, un sentimento di commiserazione, per aver raggiunto il convincimento che, professionalmente parlando, nei miei confronti e in quelli di tanti altri bravi inquirenti, saranno per sempre dei semplici pezzenti, con tutto il rispetto e tutta la comprensione verso chi, per necessità, è costretto a mendicare.

Operazione "Mato Grosso"

Era dunque con questo carico di tensioni, che mi apprestavo ad effettuare la trasferta in Brasile per dare inizio ad un'ampia operazione sotto copertura poi denominata, viste le varie connessioni, "operazione Mato Grosso". E la trasferta in Brasile non è stata improvvisata, decisa all'ultimo minuto, ma preparata nei dettagli molto tempo prima, e la data della partenza rinviata, per varie ragioni, più volte.

Mesi prima, se ben ricordo nell'autunno del 1990, il comandante Dell'Ambrogio aveva partecipato ad una riunione di lavoro, di alto livello, presso il Segretariato Generale dell'Interpol nella nuova sede di Lione, alla quale erano presenti delegati di tutti i Paesi affiliati, di tutto il mondo. Oltre ad essere rimasto molto impressionato, favorevolmente, della popolarità, della buona fama che avevo nei presenti (il fatto lo colpì talmente che lo indusse poi ad esprimermi, per scritto, questo suo sentimento d'orgoglio), ebbe anche un colloquio particolare, di lavoro, con i massimi vertici della polizia federale brasiliana. Sostanzialmente, chiedevano la mia collaborazione per sviluppare alcune indagini che, secondo il loro dire, toccavano da vicino anche la Svizzera.

E non fu casuale o frutto d'invenzione la loro richiesta perché, effettivamente e in collaborazione con il BKA, New Scotland Yard e DEA, già stavano indagando in quell'operazione poi denominata, di comune accordo, "Mato Grosso". E prima ancora di partire, il sottoscritto, diligentemente e come sempre era abituato a fare, aveva esaminato e vagliato tutte le informazioni raccolte, trovando in esse oggettivi e concreti riscontri, come risulta dal rapporto datato 20 febbraio 1991 indirizzato al comandante con copia alla Procura Pubblica.

Non doveva essere Azzoni ad affiancarmi nella missione che stavamo intraprendendo, ma bensì Galusero che già conosceva, per avermi accompagnato in altre precedenti, importanti, pericolose e riuscite operazioni, sistemi, comportamenti, tecniche e tattiche che adottavo. Tuttavia, sapendo dell'imminente trasferta in Brasile, la tua collega ed amica Del Ponte, chiese ufficialmente di interrogare il "Rudi Steiner" circa l'inchiesta, che lo vedeva coinvolto, in corso a Lugano. Cioè in quell'indagine di cui al capitolo precedente, dove era emersa, parallelamente, l'intenzione di colpire il sottoscritto.

Rifiutai. E che altro potevo fare? Dar seguito alla richiesta per poi permettere a questa brava gente di accusarmi di non so che cosa come era già, poco tempo prima, successo? Quelli di Lugano, che si erano dimostrati così meschini nei miei confronti, potevano arrangiarsi in altro modo, per esempio andando separatamente a San Paolo per interrogare "Steiner". Ma non si poteva, nossignori, non si poteva perché bisognava contenere le spese. Eccomi così sull'aereo, il 25.2.1991, con l'amico-nemico Azzoni. Non che la cosa mi disturbasse, o preoccupasse, più di quel tanto. Sapevo quali sarebbero state le sue funzioni nei lavori sotto copertura, ovvero marginali, di contorno quali sono quelle di un guardiaspalle (o "gorilla" come si dice in gergo, ne ha perfino le fattezze, meglio di così...) e che quindi la sua presenza, pur non riponendo nessun tipo di fiducia in lui, non avrebbe compromesso le trattative mascherate che mi accingevo a svolgere. Per prima cosa, subito dopo l'arrivo a San Paolo il 26.2.1991, Azzoni ha provveduto all'interrogatorio del "Rudi Steiner" (diventato poi nel tempo, come vedremo dettagliatamente in seguito, suo grande amico e complice in almeno tre gravi episodi di grossi traffici di cocaina, che tu ben conosci), interrogatorio disposto dalla PP Del Ponte.

Il 27.2.1991 vi è stato un incontro con il dott. Precioso Roberto, capo dei servizi antidroga della polizia federale in San Paolo.

Il giorno dopo, cioè il 28.2.1991, partenza da San Paolo per Brasilia (capitale) per un incontro con i vertici (corrotti, come si è poi scoperto in seguito) della polizia federale, quelle stesse persone che il comandante Dell'Ambrogio aveva incontrato a Lione.

L'1.3.1991, presso l'ambasciata americana, incontro con il collega del BKA comm. Heidtmann Oliver. Lo stesso giorno altro incontro, questa volta presso l'ambasciata inglese, con il collega del New Scotland Yard, Crago Martin.

Il 2.3.1991 partenza per Rio de Janeiro per dare inizio alle fasi sotto copertura vere e proprie, di persona, poiché precedentemente vi erano stati unicamente dei contatti telefonici.

Il 5.3.1991, da solo, lasciando Azzoni a Rio de Janeiro quale collegamento, sono partito ancora per San Paolo per un ulteriore contatto con il collega Precioso, per attingere e sviluppare nuove informazioni.

Il 7.3.1991, da San Paolo, nuova partenza per Brasilia e altro incontro con i capi federali. Il giorno dopo rientravo a Rio de Janeiro dove, all'aeroporto, Azzoni mi attendeva con i due informatori, Franco Fumarola e Carlos Bravo che già da alcuni giorni si trovavano nella metropoli brasiliana ad attendermi.

Non immaginavo, nemmeno minimamente, che avrei dovuto confrontarmi con un'altra, sgradita, sorpresa. Infatti, durante la mia assenza da Rio de Janeiro, Azzoni, sempre lui, tanto per non venir meno alle sue immense doti di vigliacchetto puzzolente, non trovò di meglio che riferire, ai suoi colleghi di Lugano, che ero sparito senza dire nulla, che da giorni non aveva più mie notizie e che, esattamente, non sapeva cosa stessi facendo. Circa quest'ultimo particolare aveva ragione: mai gli avevo riferito nei dettagli, per evidenti e comprensibili motivi, quello che stavo facendo. Se fosse stato un altro, tutto bene; ma dire certe cose a un tipo dai particolari connotati caratteriali come lui (megalomane, egocentrico, pettegolo, vigliacco, buffone, bugiardo, e chi più ne ha più ne metta), cose delicate, importanti, equivaleva a perdere totalmente il controllo della situazione. Sarebbe stato tecnicamente parlando, un vero e proprio suicidio professionale.

E i fatti mi diedero ragione ancora una volta visto come, questo suo ennesimo stolto e stomachevole comportamento, sollevò, con l'effetto a catena, un polverone tremendo fatto di stupidi commenti e affrettate illazioni. Sai perfettamente bene, visto che anche tu sei uno specialista in questo genere, che cosa produce, i danni che provoca, l'arte dello spettegolare, puoi benissimo immaginare che cosa sia successo nel caso specifico: quelli di Lugano, i simili di Azzoni, ne parlarono (non so cosa) con la PP Del Ponte che, a sua volta, riferì (non cosa, ma lo posso immaginare) al PP Mordasini. Preoccupato, ne parlò con i miei diretti superiori ed ex colleghi che poi, in definitiva, mi consigliarono di stare calmo, di cercare di appianare il tutto parlandone, con i dovuti modi, diplomaticamente, con Azzoni. Con il risultato, aggiungo, che negò spudoratamente tutto. Cosa dovevo fare? Ucciderlo forse? Come le altre volte, lasciai perdere. E non eravamo che agli albori di tutta la storia, non si parlava ancora, "pardon", non si spettegolava ancora di Isabel Maria, ora legittimamente, segnatamente dal 7.10.1993, mia moglie, non sapevo esistesse.

Già che siamo nel tema che riguarda la personalità di Azzoni (un pallone gonfiato e gonfiabile a piacimento), vale la pena di aprire una breve parentesi, che si scosta dal fulcro dell'argomentazione "Mato Grosso", e che ti ha toccato da vicino. Certo ricorderai di quell'inchiesta, sotto il pieno controllo del Ministero Pubblico Federale, esperita contro quei trafficanti colombiani che avevamo alloggiato in un appartamento di Lugano-Paradiso. Ricorderai anche che, per il tramite del suddetto ente federale, ai colombiani, che si apprestavano a far giungere un grosso carico di cocaina nel porto di Genova, era stata data, in anticipo, una specie di garanzia per acquisire la fiducia, 5.000 o 10.000 dollari USA. Indagine poi andata a farsi benedire per diversi motivi che non voglio ora rammentare, se non uno. Forse quello più importante, determinante, cioè che in assenza, evidentemente, dei colombiani, l'appartamento in questione veniva usato, per appagare i propri desideri sessuali, chiaramente extra coniugali, da un mio superiore.

Era talmente rimbambito da voglie, amplessi e orgasmi che, quando telefonava alla moglie per giustificare il suo ritardo con banali scuse di lavoro, si dimenticava perfino che l'utenza era stata messa sotto controllo. Quando gli interpreti, costantemente in ascolto presso la centrale del Ministero Pubblico Federale, il cui ordine era quello di avvertire immediatamente gli addetti ai lavori non appena accertata la presenza dei colombiani (si erano assentati per qualche giorno), diedero l'allarme convinti che erano ritornati (avevano fatto confusione ascoltando una incomprensibile voce che parlava dialetto ticinese), non ti dico cosa è successo. Preferisco rispondere alle domande di riserva. Scene da baraccone, degne di un film comico, tanto per intenderci, il cui titolo potrebbe essere "Fantozzi undercover" (sotto copertura letteralmente, di fatto sotto le coperte).

Comunque sia, i colombiani informati poi da un taxista dell'andirivieni del graduato dall'appartamento, un bel giorno, in sordina, si apprestarono a lasciare Lugano. E vi fu quel nostro intervento nei confronti dei colombiani, voluto, pianificato e preparato nei dettagli, a scopo intimidatorio, che nella realtà sarebbe successo veramente, con l'intento di raddrizzare la situazione. Spedizione "punitiva" alla quale partecipò anche Azzoni. Ricorderai, a tal proposito, le reazioni della PP Del Ponte, che a tutti i costi voleva incriminare, per rapina e sequestro di persona, i mandatari dell'operazione, Jörg Schild e sottoscritto inclusi, vertenza poi appianata grazie al tuo intervento. Non ti sei mai chiesto chi è stato ad andare dalla PP Del Ponte a spifferare, in modo del tutto distorto, la storia? Azzoni, sempre lui, l'imbecille, mandato, istigato, da altri. Rammento che questo fatto venne dicusso con l'interessato, assieme all'altro più sopra descritto, nelle circostanze conosciute a Rio de Janeiro.

Fine dell'inserto. Ti stavo dicendo che a quel tempo non conoscevo ancora mia moglie. Non sapevo della sua esistenza e nemmno immaginavo che, di lì a poco, in maniera del tutto fortuita e grazie soprattutto al comportamento spavaldo, da perfetto idiota, tenuto dal Franco Fumarola, l'avrei incontrata. Però, ed è proprio il caso di dirlo, come dice un vecchio adagio o proverbio, "non tutto il male viene per nuocere". Durante la mia assenza da Rio de Janeiro, circostanze testé descritte, il Fumarola, casualmente, capitò nella gioielleria-boutique dove lavorava mia moglie. Non trovò di meglio, per darsi importanza e con l'intento di conquistare le attenzioni di una bellissima donna, laureata in giurisprudenza, amica intima di mia moglie ed impiegata nella stessa catena di gioiellerie, che spacciarsi come agente speciale dell'Interpol, che lavorava per diverse organizzazioni di polizia, quella federale brasiliana compresa. Esibì anche dei documenti, delle patacche ovviamente, per essere più credibile e per avere l'effetto sperato. Diverse persone assistettero a questa sceneggiata e tutte ascoltarono quando disse che in negozio avrebbe portato anche il "suo grande capo Franco Ferri", mio nome di copertura in quell'operazione.

Qualche giorno dopo feci capolino, accompagnato dal Fumarola, nel citato negozio. In quei momenti tutti rimasero colpiti dal modo con il quale, il Fumarola, mi chiamava, una volta Franco Ferri, un'altra Fausto e un'altra ancora Tato. Confusione generale. Ma solamente una settimana più tardi parlai direttamente con quella donna che, due anni dopo, sarebbe diventata mia moglie. Mi ero presentato, accompagnato da Azzoni, che tutti pensavano fosse il mio guardaspalle o "gorilla" (visto che le somiglianze con l'animale, come anticipato, hanno prodotto l'effetto sperato?), per ritirare alcuni oggetti che avevo acquistato a titolo personale. La venditrice, con la quale avevo trattato in precedenza, non era presente quel giorno. Di conseguenza parlai con Isabel Maria, con mia moglie. Ritirai gli oggetti e li pagai, compresi quelli di Azzoni che al momento non aveva contanti, con degli eurochèques, miei personali. In quella conversazione, incuriosita dalle varie identità con le quali le ero stato presentato, mi disse che probabilmente dovevo essere un'"agente segreto" o qualche cosa di simile.

La conferma di tale dubbio l'ebbe poi in seguito quando, fra me e lei, si sviluppò un certa relazione di amicizia e di simpatia. Avevo, in quel preciso periodo, già intrattenuto diversi contatti sotto copertura e, le trattative, sembravano andar bene. Per esempio, avevo già conosciuto e discusso, parecchie volte con i proprietari dell'elegante ristorante "Baroni e Fasoli" situato nell'altrettanto elegante quartiere di Ipanema, poco distante da una delle gioiellerie citate, due noti camorristi, Solimena Luigi, 29.8.1948, da Napoli, detto "Gigi", e Buondonno Vincenzo, 30.8.1956, da Napoli, detto "Enzo", personaggi che ti dovrebbero far ricordare parecchie cose (vedi mio rapporto del 12.4.1991) e dei quali parlerò ancora in seguito, rinfrescandoti così la memoria.

Sapevo che la loro reale attività, la più redditizia, era il traffico di cocaina e che tutto il resto, ristoranti e altro era solo un concreto e funzionale paravento, tipico e classico sistema usato dal crimine organizzato. Sapevo, quantomeno lo immaginavo dai loro discorsi, che il ricavato della cocaina che arrivava in Italia, affluiva in taluni conti bancari svizzeri. Bisognava solo scoprirlo, e ci sarei riuscito, eccome ci sarei riuscito, e te l'avrei preparata tale inchiesta, farcita di tutto punto, come una pizza, servita in un piatto d'argento se, anche minimamente, credevi in me. Ma, alla fin fine, a parte i pettegolezzi, nei quali hai sempre ciecamente creduto (e qui vien fuori il tuo carattere, la tua personalità, roba da scrivere un libro) non avevi nessun altro elemento, valido, per non farlo.

Sapevo infine che "Gigi" ed "Enzo", in combutta con alcune agenzie di viaggio di Rio de Janeiro, da diversi anni avevano costruito un altro, ed altrettanto efficace, paravento, cioè quello delle pubbliche relazioni nel campo dei gioielli e, particolarmente, delle pietre preziose per conto della grande ditta Moreno SA [NdA: Società Anonima] dove, pure da diversi anni, lavorava mia moglie. Tu sai perfettamente, perché lo hai vissuto, anche se a modo tuo, come sia efficace il paravento del commercio di preziosi nel riciclaggio di denaro sporco, difficile da provare senza il supporto di una vera indagine.

Lasciando un segno profondo dietro di sè e indicando quali erano le vie, future, da seguire, l'operazione "Octopus" avrebbe dovuto insegnarti qualche cosa. Tu invece non hai capito nulla di tutto ciò. Infatti non è per semplice casualità che, te lo anticipo e lo vedremo poi dopo approfonditamente, oggi ti ritrovi, nell'ambito di questo preciso ramo del "Mato Grosso", con una (non è l'unica) patata bollente fra le mani che sicuramente finirà in un "non dar luogo a procedere" o decreto d'abbandono perché non ci sono, nemmeno l'ombra, elementi probatori o, quantomeno, concreti indizi.

Ero quindi convinto, per ritornare al filo del racconto, che mia moglie Isabel Maria forzatamente conosceva sia il "Gigi" sia l'"Enzo", fatto poi confermato come vedremo in seguito. Tuttavia non le dissi nulla in proposito, non feci nessun tipo di nome a riguardo delle mie persone di contatto. Sapeva solo che ero un agente di polizia in missione speciale. Rammento che mi raccomandò di fare molta attenzione, di essere attento, e di tener soprattutto sempre presente, l'alto livello di corruzione delle istituzioni del suo paese, specialmente nella polizia. Mi segnalò anche alcuni strani movimenti di persone, vicine ai due napoletani camorristi, che erano giunti al punto di sorvegliarmi e pedinarmi per vedere cosa mai facessi nella gioielleria.

Di fronte a queste circostanze mi aiutò con una messinscena improvvisata fingendo una vendita di gioielli e pietre preziose, per oltre 100.000 dollari USA. Coinvolse pure un loro stilista che fu incaricato di disegnare due progetti di anelli e collane che contribuirono a rendere più verosimile la messinscena. Capii, di conseguenza, che lei sapeva tante cose, che avrebbe potuto aiutarmi nelle indagini, che era, insomma, una preziosa fonte d'informazioni in particolar modo a riguardo del "Gigi " e dell'"Enzo". E così cominciò a darmi informazioni, attingendole anche attraverso suoi collaboratori e collaboratrici che maggiormente erano attivi nelle pubbliche relazioni delle gioiellerie, una rete fittissima per chi non lo sa, e di riflesso più vicine ai due personaggi che mi interessavano.

I medesimi erano molto prudenti. Tieni presente che l'"Enzo" era il braccio destro di Buscetta Tommaso quando questi, anni prima, si era rifugiato a San Paolo aprendo un ristorante battezzato "La Camorra". Esercizio pubblico poi rilevato da lui stesso quando il Buscetta, per le note vicissitudini, venne arrestato ed estradato in Italia. Poi, dopo aver stipulato un'alta polizza assicurativa, il ristorante venne dato alle fiamme, due volte per l'esattezza. Gente che non scherzava, abituata, con estrema facilità, ad eliminare, pronta ad uccidere, meglio dire fare uccidere (così potevano crearsi degli alibi di ferro), chiunque intralciasse il cammino. Elementi che occupavano un alto posto gerarchico nel clan camorristico delle famiglie Rinaldi e Mazzarella, intimi di Maradona e dentro tutti i loschi affari dell'Associazione Calcio Napoli. Ed io ho vissuto, per quel che mi concerne, una prima mondiale come potrebbe apparire quella di un assassinio preannunciato, un fatto che è venuto ad arricchire, se così mi è permesso di definirlo, la mia già grande e vasta esperienza. Mai però mi era capitata una cosa del genere.

Erano prudenti, ho detto poc'anzi, per il semplice fatto che, diversi loro corrieri, erano sistematicamente caduti mentre trasportavano cocaina in Europa, alcuni in Svizzera, come ad esempio: Riccobono Francesco, arrestato a Basilea, Ianiello Giuseppe, arrestato a Basilea, Pinalli Domenico, pure arrestato a Basilea e Bianchini Adelio, arrestato a Ginevra l'1.1.1991, vale a dire esattamente due mesi prima che io li incontrassi. Più che giustificata la loro prudenza. E sapevano anche che qualcuno, molto vicino, li tradiva, sapevano che c'era una talpa che, ogni qualvolta partiva un corriere, si affrettava a passare l'informazione a chi di dovere. Me l'hanno detto in faccia, molto chiaramente, che appena avuta la certezza quella persona si sarebbe trovata, testualmente detto: "...ai piedi del Corcovado, della montagna del Cristo Redentore, con i coglioni in bocca...". Più chiaro di così... si muore! Io avevo buon gioco perché arrivato dopo i fatti, quindi insospettabile, e potevo anche trarre enormi benefici investigativi dalla loro necessità, come sempre avviene in questi casi, di cambiare sistemi, necessità assoluta, imposta dall'alto, pena la morte, di rivoluzionare tutti, e dico e ripeto tutti i canali del traffico, principalmente quelli del riciclaggio. Bisognava solo avere fiducia e pazienza, molta pazienza, lavorare con calma, molta calma, con tranquillità, bisognava che al posto tuo ci fosse stato un Magistrato dal carattere fermo, coerente ed intransigente con i pettegoli e relativi pettegolezzi che invece tu hai accettato come oro colato. Persone, questi pettegoli, ora tuoi stretti collaboratori (chi si somiglia si piglia dice un altro vecchio, ma sempre valido, adagio o proverbio), dai bassi rilievi culturali, che ancora oggi pensano che tutte le brasiliane sono donne di facili costumi, di facile conquista sessuale. Ma si dimenticano, queste persone, che donne di simili profili e, peggio ancora, di squallidi contenuti morali, si possono trovare nel palazzo dove lavoravo e dove tu lavori tuttora, vero Jacques?

Dal comando dei Carabinieri di Napoli trovai conferma che effettivamente c'era una loro talpa, un loro informatore, a fianco dei due delinquenti. Non ho voluto sapere, e nemmeno ho chiesto chi fosse. A volte è meglio non sapere certe cose e questo era il classico esempio: meno si sa, meglio è! Mi era bastata la conferma. E mi son dato da fare per salvare la pelle a quel poveraccio che, ormai, aveva i giorni contati. Avevo dei sospetti, mia moglie mi aveva detto chi poteva essere, tale Farina Roberto che lei conosceva personalmente, italiano, pure nel commercio delle pietre preziose e delle pubbliche relazioni congiuntamente al "Gigi" ed all'"Enzo", nonchè assiduo cliente del loro ristorante, del "Baroni e Fasoli". Dovevo assolutamente trovare un telefono sicuro, per ridurre al minimo il pericolo, non escludendo possibili pedinamenti come era già avvenuto, che qualcuno potesse poi risalire al numero che componevo.

E dove potevo trovarlo se non con l'aiuto di Isabel Maria, che era, ormai, diventata una preziosa collaboratrice? Da casa sua, dei suoi genitori (ebbi così l'opportunità di conoscerli), non avevo altra scelta, telefonai in ufficio e spiegai all'ex collega Della Bruna cosa stava succedendo, pregandola di allarmare urgentemente i Carabinieri di Napoli. Rimane sottinteso che non feci, per meglio controllare la situazione, e di riflesso per non correre inutili rischi, né il nome di Isabel Maria né tantomeno quello della presupposta, predestinata, vittima. Seppi poi, qualche giorno più tardi, che i colleghi di Napoli erano stati solertemente avvertiti del pericolo che stava correndo il loro informatore.

Qualcosa non ha però funzionato. Un po'di tempo dopo, il Farina Roberto, venne trovato assassinato nel suo appartamento, ucciso a colpi di pistola, un tipico regolamento di conti, del genere riservato ai traditori. La sostanza di quanto avevo potuto stabilire, tacendo evidentemente taluni particolari e dettagli, tuttavia con i nomi dei presunti mandatari, la feci al collega ed amico Rosa Paulo, allora capo dei servizi della polizia federale di Rio. Se ben ricordo era presente anche Azzoni a quel colloquio. Ho accennato, poco prima, che avevo avuto modo di conoscere, per un fatto del tutto particolare, la famiglia di Isabel Maria, quella che sarebbe poi diventata anche la mia famiglia. E che famiglia, una signora famiglia, ne sono immensamente orgoglioso, oggi più che mai. La nostra cara amata Svizzera e il nostro altrettanto caro Ticino, per carità, senza nessuna polemica, avrebbe bisogno di famiglie del genere.

Te la descrivo. Isabel è nata e cresciuta a Rio de Janeiro, dove ha frequentato le scuole elementari, ginnasio, liceo e università che ha lasciato dopo sei semestri per entrare nel commercio di gioielli e preziosi. Ha operato alle dipendenze di diverse gioiellerie, fino a diventare responsabile di una fra le maggiori catene del settore presenti in Brasile. Suo padre è docente universitario di lingue e letteratura. Aveva vissuto per parecchio tempo in Europa dove aveva conseguito, in Spagna, Salamanca per l'esattezza, diverse lauree. La mamma è casalinga. Ha un fratello, diplomato in chimica, e che lavora alle dipendenze della multinazionale svizzera Sandoz. Isabel Maria parla diversi idiomi, italiano, spagnolo e portoghese e possiede più che buone nozioni di francese ed inglese. Vivono in un quartiere residenziale, in un bell'appartamento, che hanno acquistato con il proprio sudore. Un suo zio è ammiraglio della marina. Un altro, che hai conosciuto, è medico pediatra, sua figlia è ginecologa e suo marito (coppia che pure hai conosciuto) è medico chirurgo.

Presentando questo breve "curriculum" non voglio assolutamente giusitificare qualche cosa. Ci mancherebbe altro! Dopo tutte le perfide chiacchiere proferite, uscite da quelle sudicie bocche che tu ben conosci, voglio solo che si sappia chi è mia moglie e la sua famiglia, persone onorabili e rispettabili. E che questo sia ben chiaro! Rifletti, fai un esame di coscienza, sii sincero con te stesso prima di esserlo con gli altri, e vedrai che la cosa ti ha toccato da vicino, vedrai che ti ricorderai di aver partecipato ad alcune "colazioni di lavoro" dove, i temi prioritari dell'ordine del giorno, erano le chiacchiere e i pettegolezzi sul conto del Tato e dell'Isabel, dove "les affaires privées" e i sentimenti degli altri, sono stati odiosamente calpestati. Lista con nomi, date, luoghi e..."talpa", a disposizione!

Il cammino della vita in generale è pieno di decisioni che quotidianamente, nel bene o nel male, si devono prendere: talvolta affrettate, altre volte ancora, dopo lunghe, giuste riflessioni, magari dopo essersi consigliati con altre persone. Il cammino del lavoro sotto copertura è tutt'altra cosa. Te lo dice uno che, modestamente, ne sa qualcosa, uno che in passato, svariate volte, si era trovato in situazioni critiche e che sempre era uscito indenne dalle situazioni di pericolo e di tensione esasperante, riuscendo però anche, parallelamente, a dare la dovuta protezione ai collaboratori di turno. Le decisioni, in tali circostanze, si prendono sui due piedi, immediatamente, non c'è troppo spazio, purtroppo, da dedicare alla riflessione, alla ponderatezza. Il cervello, quello adatto a questo particolare tipo di lavoro, è costantemente sollecitato a ragionare, a funzionare con la massima rapidità e lucidità, come un "computer". Deve cioè abituarsi a prendere quelle stesse decisioni che normalmente richiederebbero tempi più lunghi.

E di casi, di esempi, ne potrei citare tanti. Ero però affiancato da colleghi fidati e gli automatismi, già collaudati in altre precedenti occasioni, funzionavano a meraviglia, alla perfezione. Questa volta, inversamente, ero affiancato da un collega (per modo di dire) dalle caratteristiche conosciute, da un tipo del quale non mi potevo fidare. Conseguentemente, forte delle esperienze negative, sulla questione fiducia, acquisite in passato, me ne guardai bene dal dirgli qualche cosa, nemmeno un breve accenno, a riguardo delle informazioni che mi passava Isabel Maria. Il fatto poi che era una donna che mi piaceva, che corteggiavo apertamente, con assoluta trasparenza, particolari questi che tutti sapevano, Azzoni compreso, cadeva a proposito, come la ciliegina sulla torta, giustificava la mia presenza nel suo negozio, era insomma una specie di unire l'utile al dilettevole, come si dice. E non è che l'abbia creato appositamente questo scenario.

Buondonno Vincenzo, detto "Enzo", ritenuto che tu lo sappia, il che non muterebbe assolutamente il quadro dei fatti, non scioglierebbe i nodi cruciali, i quesiti, relativi ad un incarto che si trova sul tuo tavolo (una di quelle patate bollenti che ti parlavo), è stato arrestato mesi fa in Italia, a Napoli, per associazione a delinquere di stampo mafioso. Reato autonomo in Italia, come tu sai, che però si inserisce in tutta una serie di altri reati che gli sono stati contestati e che vanno dall'omicidio, al traffico di stupefacenti, cocaina in modo particolare e, "dulcis in fundo", riciclaggio di denaro sporco. In altre parole è stato arrestato per quegli stessi motivi che io ti avevo preannunciato, ufficialmente, esattamente cinque anni fa, più precisamente il 12 aprile 1991.

E qui potrei sciorinarti, non con chiacchiere da salotti parigini della "belle époque", ma con fatti documentali e concreti, dei lunghi (magari noiosi perché pungenti) esposti sul crimine organizzato, sulle giustificazioni legali e relativo impiego degli agenti "undercover", nonché, visti gli apprezzamenti più che positivi espressi da più parti, vista l'efficacia che ha rappresentato e che rappresenta in certi nostri ambienti istituzionali, un pensiero sulla funzione e sui doveri del Magistrato, sui pettegolezzi, sulle gelosie e invidie.

Se da una parte, comprensibilmente, si fa fatica a tenere il passo nella lotta contro il crimine in generale, dall'altra le voci maligne fioriscono e si aggiornano costantemente. Tralascio dal farlo perché ho tantissime altre cose, importanti, da dirti. Mi limito, per quanto riguarda questo fatto, all'essenziale. Incarto relativo al riciclaggio di denaro sporco, dicevo, "dossier Hermes Lupi", agenzia di viaggio, dirai tu. Ti confesso, apertamente e sinceramente che, in questo momento, mentre sto scrivendo queste cose mi ritrovo fatalmente con le lacrime agli occhi e, in paritempo, mi accorgo che la rabbia aumenta d'intensità fino al punto di rodermi le viscere, di farmi esplodere. Non ti dico cosa ti succederebbe se, in momenti come questi, mi capitassi fra le mani, te lo lascio immaginare! E se poi prenderai la decisione di denunciarmi (tu sei lo specialista in materia, vedi poi tu quali eventuali reati si configurano in questo scritto), mi concederai l'onore e il piacere, oltre a quello di rincarare la dose, di far acquisire il presente ufficialmente agli atti. Nel qual caso ti consiglio di leggere attentamente tutto perché, come vedi, non ho ancora terminato. Sappi che tutto quello che ti sto scrivendo, comprese le punteggiature, lo posso provare e documentare, in larga misura, abbondantemente. Ma ti rendi almeno conto del male che il tuo comportamento, assurdo, superficiale, infantile, anormale, che non si addice ad un Magistrato, ha provocato e provoca ancora? Ti ho già detto una volta, nel corso di una lunghissima telefonata, che nemmeno i "favelados" sudamericani si comportano alla tua stregua. Loro, quelli che conosco e che hanno anche, detto per inciso, curato amorevolmente tuo figlio, sanno cos'è la dignità, tu invece l'hai persa cammin facendo.

Sei capace ora di dirmi come farai a connettere Buondonno Vincenzo e Co con la faccenda dell'agenzia di viaggio citata? Come riciclavano il denaro sporco? Proprio attraverso quella precisa ed identica agenzia viaggi, che era anche nel contempo una specie di ufficio cambio, con il semplicissimo sistema delle false fatturazioni. Difficile da provare, giustamente, mi risponderai. Ma se tu non fossi stato quello che hai dimostrato di essere, un inetto, oggi ti ritroveresti con le prove in mano, non con un pugno di mosche.

E se ce ne fosse ancora bisogno, ti dò un'ulteriore riprova di quello che ti sto dicendo, la prova del nove, per farti capire, se vorrai capirlo (lo dubito fortemente), che i conti tornano. Ti rinfresco immediatamente la memoria. Ne hai bisogno. Ti aiuterà a guardare in faccia la realtà.

Il 25 giugno dell'anno scorso, a casa mia, abbiamo festeggiato il compleanno della nostra bambina Vivian. C'era pure tuo figlio con la sua mamma e altre due coppie, una brasiliana con la loro figlioletta, l'altra italo-brasiliana pure con una bambina in tenera età. Quest'ultima coppia è rimasta mia ospite per un paio di giorni ed è ripartita il lunedì mattina giorno 26. L'uomo, italiano, che conosco dal 1991, abita e lavora a Rio de Janeiro. È attivo nel settore del commercio di pietre preziose e, in modo particolare, delle pubbliche relazioni per conto della Moreno SA, la stessa catena di gioiellerie dove lavorava mia moglie Isabel Maria. Svolge il suo lavoro a stretto contatto con tutte le agenzie di viaggio, uffici cambio ecc. alla ricerca di potenziali clienti. Conosce tutto e tutti, vita e miracoli, specialmente le agenzie di viaggio e di conseguenza, per venire al dunque, anche la "Hermes Lupi".

Detta persona, come tante altre che lavorano con lui, era una di quelle che mia moglie, all'epoca dei fatti che ho più sopra raccontato, attingeva informazioni sul conto di Buondonno e Co che poi mi trasmetteva. E me le trasmetteva anche, telefonicamente, durante i periodi in cui io mi trovavo in Svizzera.

Il 26 giugno sempre dell'anno passato, neanche a farlo di proposito, alla sera, verso le 19.00, mi hai telefonato per invitarmi a cena. Vista l'ora insolita abbiamo combinato di cenare a casa mia, anche perché saremmo stati più tranquilli. E siamo rimasti a parlare di tante cose, seduti al tavolo in giardino, fino a notte fonda. Proprio in quella circostanza mi hai chiesto: ".... non ti dice niente il nome Hermes Lupi, agenzia di viaggio?....". Ti ricordi? Avrei voluto darti un pugno in quella tua testaccia. Mi pento di non averlo fatto, magari ti avrebbe fatto bene, ti avrebbe cambiato. E io cretino, sì, proprio cretino, perché per natura sono altruista, idealista e generoso, invece di risponderti malamente, e non meritavi altro, dimenticando tutto il triste passato, le ingiustizie subite, mi sono dichiarato disposto ad aiutarti a trovare quegli elementi di prova che avremmo già potuto avere, molto tempo prima, se il tutto non fosse finito nella sciagurata maniera che ben conosci, che tu hai permesso che così finisse. Ti ricordi come eravamo rimasti d'accordo dopo averti raccontato tutta la storia, ancora una volta, di Buondonno e compagnia? Dovevi portarmi quello spinoso incarto per far sì che lo analizzassi. Poi, come da te espressamente richiesto, avrei fatto tutto il possibile per metterti nelle condizioni ideali di lavoro.

La mia parte l'ho assolta, e gli elementi o gravi indizi, che possono trasformarsi in prove, valide, ci sono. Sono passati ormai dieci mesi e sto ancora aspettando sia l'incarto sia il signor procuratore del cavolo. Ma chi ti credi di essere? Ne ho piene le scatole (non sono l'unico ad esserlo) delle tue bugie, delle tue menzogne. Non sei una persona seria. Riporre fiducia in te è la cosa più sbagliata che una persona possa fare nella sua vita. Lo hai dimostrato troppe volte in passato, lo dimostri al presente, e lo dimostrerai ancora in futuro, ne ho la piena certezza.

Ho dovuto fare un notevole balzo in avanti per spiegarti questi fatti che vanno, però, inseriti nel contesto di quel materiale che avevo raccolto cinque anni prima, cioè nel 1991. Ed è ancora da qui che continuo a narrarti gli avvenimenti.

Necessitavo di un'interprete per gestire meglio i miei rapporti con la polizia federale e per analizzare correttamente il materiale che scaturiva dal lavoro d'inchiesta. Fu così che collaborò, sto parlando di mia moglie Isabel Maria, in diverse occasioni. Per certi aspetti, praticamente, a tempo pieno. Una prima volta presso la direzione generale a Brasilia dove si tenne una riunione con i vertici delle forze inquirenti locali. Una seconda volta a Belo Horizonte per l'ascolto e la traduzione di numerose intercettazioni telefoniche. Una terza volta a San Paolo con il capo della locale polizia federale, il già citato dott. Precioso Roberto. Fu in quella precisa circostanza che venne a galla il nome di una mia vecchia conoscenza, l'avv. Bolos Ricardo, figura di spicco, perno, di tutte le indagini che stavo svolgendo.

Anni prima, nel 1987 per l'esattezza, in Svizzera avevo inziato e poi concluso, positivamente, un'ennesima inchiesta mascherata che aveva permesso il sequestro di due o tre kg di cocaina e l'arresto di un ex funzionario della Guardia di Finanza, tale Di Mauro Angelo. L'atto conclusivo avvenne a Basilea dove il Di Mauro mi aveva consegnato la cocaina. Le indagini e gli accertamenti, successivi all'arresto, permisero di stabilire il coinvolgimento del Bolos contro il quale, le autorità di Basilea, spiccarono un mandato d'arresto. Rammento di aver telefonato a Sulmoni dicendogli, in via d'urgenza, di spedirmi un piccolo fax con i dati più importanti dell'affare Di Mauro, nomi, indirizzi, numeri telefonici ecc., considerato appunto il coinvolgimento del Bolos e tenendo presente che, all'epoca della citata operazione sotto copertura in quel di Basilea, a fianco dei due criminali, ne spuntava un terzo, un non meglio identificato "Rosenthal".

Mi necessitava tutto questo come materiale di discussione con il collega Precioso ed era importante averlo, come avevo sottolineato, per il prosieguo delle indagini e per il buon esito delle stesse. E Sulmoni non ha potuto farlo perché tu, sapientone, non hai voluto. Era il 20 luglio 1991, ore 16.30 CH, dati rilevati dal diario. A disposizione se vorrai. Sappi che per ogni operazione fatta, e sono state tante, ho sempre tenuto un diario, aggiornato, di ogni cosa. Di transenna avevo anche detto della presenza, in Brasile, del boss della camorra Ammaturo Umberto, precisando che, in quel momento, non era collegato con le nostre indagini. Avevo comunque aggiunto di fare alcune verifiche sospettando che il medesimo fosse tenutario di conti bancari in Svizzera. Ora, Ammaturo, dopo essere stato arrestato in Brasile ed estradato in Italia si trova in carcere a Napoli ed è diventato (assieme all'altro camorrista Alfieri Carmine, pure arrestato in Sudamerica), storia recente, uno dei principali accusatori dell'ex ministro Gava Antonio, già presidente del consiglio di revisione del famoso banco dei fratelli Fabrocini di Marano (Napoli), istituto di credito che in quei tempi era controllato, provato, dalla camorra.

E i fratelli Fabrocini rientravano, e come, nel contesto delle indagini "Mato Grosso", lo avevo scritto, dettagliatamente, nel 1991 al capitolo "Vaticano". Bolos e "Rosenthal", poi identificato in Da Silva Pinheiro Orlando, come emerge dal rapporto della Questura di Milano datato 31 marzo 1992, agivano in correità, da diversi anni, con il defunto Villalon e con il Calzavara Giancarlo, personaggi che certo ricorderai per essere stati attori della sanguinosa evasione dal nostro penitenziario. Ritornerò ancora a parlarti, sia del Bolos sia del Villalon.

Potrei scrivere, per ogni particolare, dati di fatto alla mano (documenti ufficiali), non dei romanzi, ma bensì dei libri di testo, e testo lo sarà anche questo scritto, ci puoi giurare! Perché non hai voluto che mi spedissero quel semplice fax, privo di contenuti giuridici, che riguardava un fatto (quello del Di Mauro) già cresciuto in giudicato, che mi avrebbe permesso di snellire le già, troppe, sotto diversi aspetti e angolazioni, complicate indagini? Perché sei fragile, insicuro, perché non hai fiducia in te stesso, non ne avrai mai, e di riflesso sei come una foglia in mezzo al vento che viene sbattuta da tutte le parti.

Mia moglie continuò a collaborare una quarta volta a Belo Horizonte per ulteriori ascolti telefonici e documenti vari. Poi ancora a Rio de Janeiro dove la polizia federale le aveva recapitato alcune decine di cassette registrate. Ed in seguito ancora, per circa dieci notti consecutive, presso la centrale della polizia federale di Rio ad ascoltare, in diretta, le varie utenze che erano state poste sotto controllo. Mi rendevo conto che stavo esplorando un vasto traffico di cocaina verso l'Europa e riciclaggio di denaro verso la Svizzera. Tuttavia, malgrado le difficoltà, piano, piano, i vari tasselli andavano ad inserirsi nel vasto mosaico. Isabel Maria custodì, presso di sè, in luogo sicuro, tutto il materiale e altri effetti personali, che potessero svelare in qualche modo la mia vera identità ed il mio reale ruolo.

Mi aiutò pure ad approntare un piano d'emergenza in caso di necessità, affittando a seconda dei periodi, appartamenti a suo nome. Più volte mise a disposizione la sua autovettura privata per evitare che dessi nell'occhio in taluni spostamenti. Il suo ruolo divenne più importante con il tempo. Era diventata una sorta di anello di congiunzione, e di comunicazione, per le informazioni provenienti da San Paolo, Belo Horizonte, Rio e dirette verso l'Europa quando io mi trovavo in Patria. Trascorsi anche un periodo di vacanza, una decina di giorni, a Rio de Janeiro per stare vicino a Isabel Maria. Ti ricorderai, quando stavo per partire, di avermi proibito di intrattenere contatti, sotto copertura, di nessun genere. Seguendo i tuoi ordini avrei dovuto delegare tale compito agli informatori. Roba dell'altro mondo! Tu e la tua collega Del Ponte eravate convinti che io lo facessi, caso contrario non me lo avresti detto. E perché mai avrei dovuto fare una cosa del genere se andavo in vacanza per conto mio e a mie spese? Vedi quanto eri, già allora, insicuro? Invece, e lo sai perché te l'ho detto, ho passato quei dieci giorni di "vacanze" trascrivendo le traduzioni dei vari ascolti telefonici che mia moglie stava facendo.

L'inchiesta produsse un primo significativo effetto il 13.6.1991, a Lugano, quando furono arrestati Edu de Toledo e Co con più di un milione di franchi svizzeri in contanti. Assieme al cassiere della banca Migros, il Massa, pure arrestato, il gruppetto stava effettuando il parziale pagamento di una partita di cocaina, 70 kg, precedentemente giunta a Rotterdam. La sostanza stupefacente proveniva dal Brasile ed era stata ritirata da emissari della criminalità organizzata italiana. Il giorno prima, ovvero il 12 giugno 1991, se ti ricordi, assieme a Sulmoni, avevamo partecipato ad una riunione di lavoro, a Monza, con i colleghi italiani. Avevamo fatto tardi, le ore piccole e, il giorno successivo (alla sera), io partivo per il Brasile per continuare le indagini sotto copertura. Mi necessitavano alcune cose, alcuni particolari, che mi sarebbero serviti nelle discussioni con le persone di contatto e relativi al riciclaggio, subordinatamente al trasferimento e deposito in banca, di grosse somme di denaro. Pertanto, dietro mio invito, avevi fissato un appuntamento (al mattino, ore 09.00) con un direttore di un istituto bancario di Lugano.

Era importante che io avessi un'idea, un piano, un qualche cosa di concreto, da sottoporre alle persone che mi attendevano oltre Oceano. Invece, come sempre, ho dovuto arrangiarmi perché tu, quel giorno, non solo non ti sei presentato in ufficio, ma eri anche irreperibile. Sulmoni, e te lo ha detto tante volte, ha sempre sostenuto di averti telefonato più volte a casa senza avere risposta. Hai sempre risposto che eri in casa. C'era poi anche la necessità di prendere la decisione a riguardo dell'arresto delle persone che si apprestavano, proprio quel giorno, a consegnare il denaro al Massa. Quindi, o bugiardo tu, o bugiardo il Sulmoni. Comunque sia, la decisione di arrestare quelle persone l'ha dettata il sottoscritto, a Galusero e Co, prima di partire e, la conferma, intimazione, dell'arresto alle persone fermate, come prescrive la procedura penale, è stata fatta dalla tua collega Del Ponte. La quale poi, a mio modestissimo parere e senza nessuna pretesa, ha arbitrariamente legittimato la proprietà dell'incarto sulla base del principio della territorialità, cioè che quel reato era di sua competenza perché avvenuto nella sua giurisdizione. E tu hai lasciato fare, hai permesso che si tenesse quella fetta di "torta", fresca, profumata, appena sfornata (fosse stata rancida l'avrebbe rispedita al mittente), senza reagire, sempre nel nome del quieto vivere, senza far valere quei diritti che sono legalmente consentiti al magistrato titolare dell'inchiesta.

In passato avevo già vissuto un'esperienza analoga durante le indagini mascherate della "Lebanon Connection" quando, sempre la tua collega Del Ponte, voleva esercitare presunti diritti di competenza nella gestione di una parte dell'inchiesta, quella che riguardava Arman Haser. C'era però "tale" Dick Marty, un vero Procuratore Pubblico, con la "P" maiuscola, per me irripetibile, e quindi puoi facilmente immaginare come andò a finire.

Hai così ricreato, te lo ripeto, ricreato confusione nella confusione. Era la seconda o la terza volta che l'incarto passava da una mano all'altra, a dipendenza dei casi, come una bretella. E io nel bel mezzo dei lavori sotto copertura totalmente disorientato: inserivo marcia in avanti e poi marcia indietro, esattamente quello che facevi tu quale titolare dell'inchiesta, con la differenza che i miei interlocutori erano personaggi del crimine organizzato, con tutti i rischi e pericoli che ne potevano derivare. Mi hai costretto a fare delle acrobazie, salti mortali. Si parla tanto di dotare gli inquirenti dei necessari mezzi legali e tecnici per combattere il crimine organizzato, per mettere in piedi un collaudato ed efficace sitema di indagine mascherata, nessuno parla che per farlo bisogna, per prima cosa, avere magistrati professionalmente capaci, dei veri esperti in materia, magistrati alla Dick Marty per farla breve.

Gli sviluppi successivi permisero l'identificazione del Do Nascimento Francisco, personaggio gerarchicamente superiore, uno dei capi dell'organizzazione, trafficante di cocaina a tutti gli effetti, come indicarono i contatti sotto copertura che ebbi con lui nei giorni 8/10 luglio 1991 a Belo Horizonte presso l'Hotel Oton Palace. Fu proprio prendendo lo spunto dall'arresto di Edu de Toledo che creai l'occasione per agganciarlo, con il pretesto di riferirgli alcune comunicazioni provenienti dal suo subordinato finito dietro le sbarre. Nella circostanza era accompagnato da un secondo individuo, armato, poi identificato in Delmario Ferreira Nogueira, personaggio di spicco della criminalità di Rio de Janeiro.

Sapendo che il Do Nascimento intratteneva importanti relazioni con la criminalità italiana gli diedi, su sua richiesta, le mie false coordinate, segnatamente l'indirizzo della società Interfinanziaria S.A. di Chiasso, in realtà ufficio sotto copertura. Pregai nel contempo i colleghi di Bellinzona, vista la delicatezza e l'importanza dell'operazione, di voler occupare costantemente questi uffici. Cosa che non fu fatta. Si sono limitati a deviare le comunicazioni telefoniche negli uffici di Bellinzona. Di conseguenza se da una parte qualcuno chiamava rispondevano. Per contro, se la stessa persona si presentava negli uffici di Chiasso non trovava nessuno, uffici sempre chiusi. Incredibili la superficialità, la leggerezza e la mancanza di professionalità che i miei colleghi hanno denotato in tale circostanza. Ma cosa vuoi che sia, la pelle non era la loro, chi rischiava grosso ero però io per colpa di un branco di buoni a nulla. Fatalmente, come vedremo, sono risaliti alla mia identità. Cose pazzesche che ancora oggi mi fanno rabbrividire.

Azzoni rientrò in Svizzera pochi giorni prima che io incontrassi il Do Nascimento ed il Noguera dovendo usufruire delle vacanze già programmate, in parte già pagate anticipatamente, con la famiglia. Nei giorni compresi fra l'8 e il 10 luglio 1991, nel corso di uno degli incontri avuti con il Do Nascimento, questi mi invitò a recarmi a Porto Seguro presso la locanda Mar Aberto, di sua proprietà, dove potevo incontrare e conoscere suo fratello Omar e i noti Bisco Rinaldo e Brivio Aldo. Fornendomi tali indicazioni mi consegnò un biglietto con il numero della locanda che corrisponde puntualmente all'8751153. Non se ne fece nulla perché la Procura Pubblica negò il "nulla osta". Rimasi così, alla faccia di chi mi aveva invitato e di chi mi aspettava, ulteriormente spiazzato e di conseguenza, indirettamente, i rischi aumentarono. E il tutto per colpa di persone incapaci.

Omar Do Nascimento poi apparso in un'inchiesta condotta dal Ministero Pubblico della Confederazione in collaborazione con i Cantoni Vaud e Ginevra. Tra l'altro il suo nome era già conosciuto per dei precedenti penali specifici. Da tale indagine emerge che la famiglia colombiana dei Santodomingo aveva installato, a Ginevra e a Losanna, diverse società di copertura per il riciclaggio di ingenti somme di denaro. Omar risultava appunto collegato con una di queste società. In quest'ambito, e cioè con l'universo finanziario dei Santodomingo, fra i tanti, era apparso, emerso, anche il nome del noto Lottusi Giuseppe che, a sua volta, faceva capo alla Fimo S.A. di Chiasso, circa la quale non vale la pena spendere parole.

Dib Tarek, Hassan Ahmad Ayoub, Payot Luc (avvocato di Ginevra) e altri ancora risultano invischiati in questa enorme indagine e gli elementi, gravi indizi, che avevo raccolto in Brasile erano tanti e tali da allargare le indagini ad ampio raggio, a 360 gradi. E invece niente di tutto ciò. Chiedi un po' a Ginevra chi è la famiglia Dib e rimarrai senza parole a quel che ti diranno. Sono attivi nel commercio di gioielli e di pietre preziose. Tutta questa brava gente, in passato, comparve nelle indagini eseguite in diversi casi, fattacci, avvenuti a Ginevra che hanno anche coinvolto un alto funzionario di Polizia. Non vi siete nemmeno dati la pena di trasmettere a Ginevra le informazioni che avevo raccolto sul conto di questi signori tanto da permettere ai nostri colleghi di fare qualche cosa. Non preoccuparti, ci ho pensato io, recentemente. Non ti sembra scandaloso?

Immediatamente dopo l'arresto luganese di Edu de Toledo e Co, avvenuto, come già riferito, il 13.6.1991, Bisco Rinaldo e Brivio Aldo, dal telefono della casa dei Do Nascimento a Belo Horizonte, parlavano in termini straordinariamente espliciti di traffici di cocaina e di pagamenti di precedenti forniture ignorando, ovviamente, di essere intercettati. Da quegli ascolti emerse un traffico di 5000 kg di cocaina che l'organizzazione era in procinto di trasportare dal Sudamerica verso l'Europa. E questo trovava una parallela conferma nel lavoro sotto copertura. Il 22.7.1991, alle ore 14.40 CH, ti avevo telefonicamente confermato (era presente anche il comandante) quest'ultimo particolare. La circostanza risulta tra l'altro anche dal rapporto della Guardia di Finanza di Milano del 23.3.1992, redatto per la Procura di Milano, dove Bisco e Brivio vengono denunciati, unitamente a 32 altre persone, per ripetuta violazione alla legge sugli stupefacenti.

Il documento riferisce che le abitazioni del Bisco sono state oggetto di perquisizione. Fra i diversi materiali sequestrati sono stati trovati i dati relativi al conto bancario intestato all'avvocato Schaller Rudolf presso l'UBS di Zurigo.

Ma quel che più conta è che, nella lunga lista delle persone denunciate, a stretto contatto con Bisco e Brivio, vi è anche tale Orsini Stefano, 5.9.1964. Ritengo acquisito il fatto che tu sappia che il citato Orsini è stato recentemente arrestato in relazione a quel, conosciuto e sequestrato, carico di 5.000 kg di cocaina giunti nel porto di Genova. Immagino pure che tu sappia che la vicenda Zannetti, già detenuto nelle nostre carceri per un grosso riciclaggio di denaro, è ricollegabile alla vicenda più sopra esposta. Zannetti che è poi stato rilasciato nel corso del mese di febbraio di quest'anno previo pagamento di una cauzione di 250.000 franchi svizzeri. Chi lo ha mandato in Ticino? Da chi è stato assoldato? Io lo so. Anche tu
lo sai.

Credo pure che tu abbia letto il rapporto della Guardia di Finanza del 23.3.1992, in gran parte stilato sulla base di informazioni, verificate, che avevo loro trasmesso e che avevo ripetuto nella mia relazione durante la nota riunione di Berna, particolare, quest'ultimo, che analizzerò separatamente. Ti sarai accorto, a pagina 45, che i redattori hanno riportato alcune sintesi delle conversazioni più rilevanti, registrate sulle varie utenze che avevano posto sotto controllo. Pertanto si legge: "...il 28.8.1991, ore 20.18, Brivio chiama Cecca (ndr: Cecca Leonardo) all'utenza 0055/73/2882763 (utenza del Brasile, di Porto Seguro). Costui chiede al suo interlocutore l'invio di U.S. $ 1500 per pagare i contributi degli operai. Il denaro dovrà essere accreditato sul c/c nr. 767457 della S.B.S., intestato a tale Hermes...". Chi pensi che sia questo "Hermes" se non quel Lupi del quale ti ho detto e del quale tu sei titolare di un incarto per riciclaggio di denaro sporco? Sempre dal citato documento si evince che uno dei capi dell'organizzazione è il Delmario Ferreira Nogueira, cioè quella stessa persona che avevo incontrato, sotto copertura, a Belo Horizonte assieme al Do Nascimento Francisco. Al loro fianco appare un personaggio che viene chiamato "Nonno" il cui vero nome, e questo te lo dico io, è Nunes Aercio, figura di immensa potenza, uno fra i maggiori fornitori di cocaina che, dopo la guerra colombiana, transita massicciamente attraverso il Brasile. E a lato del Nunes, il cui vero nome è Francisco Antunes Da Costa detto "il professore", troviamo anche il già citato avvocato Bolos Ricardo. Il 17.9.1991, alle ore 20.09, la moglie del Do Nascimento Francisco, arrestato a Roma dietro mandato d'arresto spiccato dalle nostre autorità, viene avvertita, telefonicamente, dal "Nonno" che "...le autorità elvetiche hanno chiesto l'estradizione del Do Nascimento...". Strano, si direbbe, che il "Nonno" era al corrente che le nostre autorità avevano chiesto l'estradizione e che poi, da San Paolo, dove abita, lo abbia comunicato alla moglie del Francisco che in quel periodo si trovava a Roma per stare vicino al marito. Non poi così tanto strano considerando il fatto che il "Nonno" è amico (anche socio in affari) di "Steiner Rudi". E qui lascio spazio alla tua immaginazione, al tuo acume investigativo, per capire cosa sia successo. Ho dei forti dubbi, a tal proposito, che si indirizzano verso qualcuno. Significativo e interessante è il fatto che, "Steiner", sempre nel citato rapporto, appare come figura di primo piano nel traffico di cocaina. Gli inquirenti italiani, astutamente, arrivarono al punto di denunciarlo con la dicitura in rubrica: "... Rudi, non meglio identificato...". Un chiaro intento. Coscienti delle malefatte commesse in quel di Nizza si sono premuniti di coprirsi, adeguatamente, le spalle da un eventuale procedimento penale. Hanno cercato di salvare la capra e i cavoli. Erano convinti, adottando una simile depistante strategia, che mai e poi mai, ruminante e legumi, un giorno, sarebbero stati cucinati e serviti come primo piatto l'uno e quale contorno gli altri. Imperdonabile leggerezza. Non hanno tenuto conto che, in Ticino, la carne di capra bollita, accompagnata da patate e cavoli lessati, è una pietanza prelibata.

Bolos Ricardo, altro elemento importante dell'organizzazione criminosa, è un avvocato residente a San Paolo. Nel 1992 è stato colto in flagrante, in quella città, con 8 kg di cocaina. Una nostra vecchia conoscenza come ti avevo spiegato prima, per i fatti avvenuti a Basilea e che avevano portato all'arresto del Di Mauro. Intrattiene stretti legami con il "Nonno" Nunes Aercio, il grossista della cocaina. Risulta coinvolto in un particolarissimo episodio che ebbe luogo ai primi del mese di novembre 1990, quando, a San Paolo, furono sequestrati 500 kg di cocaina e furono arrestati i trasportatori; tre cittadini italiani tutti residenti a Roma, nelle persone di De Montis Giuliano, Filippini Renato, Porcacchia Giancarlo, unitamente al colombiano di Calì Gaviria - Vasquez Manuel. La droga era pronta per partire verso il porto di Genova nascosta dentro un carico di mobilio destinato a Città del Vaticano. Anche in questo caso (che fu di conseguenza chiamato "Operazione Vaticano"), risultò che il carico era stato fornito dal "Nonno". Tramite l'avvocato Bolos e tramite tale Adecelli Alberto, factotum dei fratelli Guido e Mariano Fabbrocini, acquirenti della droga e organizzatori del traffico, la mezza tonnellata di stupefacente avrebbe dovuto attraversare l'oceano. (La vicenda è stata illustrata, ampiamente, dal sottoscritto, nel rapporto datato 12.4.1991)

I fratelli Fabbrocini comparvero agli inizi degli anni 80 in uno snodo cruciale della storia delle organizzazioni criminali italiane. Trattasi dei titolari del Banco Fabbrocini di Marano (Napoli), che poi fallì in circostanze oscure. Vengono indicati dagli atti della magistratura di Palermo quali banchieri della arcinota famiglia di Michele Greco, il capo della cupola di "Cosa Nostra". Notoriamente, scrivono i magistrati italiani, i Fabbrocini risultano strettamente legati al "clan" camorrista che fa capo a Lorenzo Nuvoletta che costituiva una fondamentale base continentale della mafia siciliana. Dopo le disavventure dell'istituto bancario maranese i Fabbrocini fuggirono in Brasile. Fra i loro contatti eccellenti quelli con il gruppo camorristico del potente contrabbandiere Michele Zaza. Lo scandalo del Banco Fabbrocini coinvolse anche l'ex ministro italiano Gava Antonio, che faceva parte del collegio di revisione della banca con il ruolo di presidente. Proprio in questi periodi, si sta celebrando il processo contro l'ex ministro, per corruzione e appartenza ad un organizzazione criminale come la Camorra. Risultò che De Montis, Filippini, Porcacchia, trasportatori, avevano agito in correità con tale Bartoletti Fabrizio e Capitani Beatrice, personaggi, questi ultimi, che non furono arrestati.

Il nome del Porcacchia era già apparso nella mastodontica inchiesta statunitense "Pisces". Prima del sequestro (fra il 24.4.1990 e il 14.10.1990) questi personaggi avevano soggiornato in diversi alberghi di Zurigo e Ginevra. Da qui chiamavano le stesse utenze telefoniche romane. Permettimi di dire che non a caso venivano chiamati numeri telefonici di Roma, visto come, il Porcacchia appunto, faceva parte della famosissima "banda della Magliana".

E non era nemmeno del tutto casuale il legame fra questi personaggi con uno dei capi della malavita romana, tale Emidio Salomone, recentemente arrestato a Roma mentre proveniva dal Brasile dove si trovava da parecchi anni e dove, naturalmente assieme ad altri, organizzava i trasporti della cocaina. In Brasile si era perfino sottoposto ad un intervento chirurgico plastico facciale. Se vuoi ti posso anche fornire l'indirizzo della clinica dove si era sottoposto all'intervento, tra l'altro già emersa nel corso delle indagini "Mato Grosso". Il sequestro dei 500 kg causò ai fratelli Fabbrocini una perdita (inclusiva del prezzo del carico e del trasporto, già pagati) quantificabile nell'ordine di circa 4 milioni di dollari.

Per rifarsi, i fratelli Fabbrocini organizzarono l'invio di quantitativi più ridotti con l'impiego di corrieri. Alcuni fra questi furono intercettati in Svizzera, in particolare a Lugano. Il 5.2.1991 sulle rive del Ceresio furono arrestati René Albert Janssen e Ruben Carlos Mejia Arza. Il 9.2.1991, sempre a Lugano, fu la volta di Angel Roberto Candiy - Ayala. In totale furono sequestrati 6 kg di cocaina. Il sottoscritto partecipò, sotto copertura, quale taxista, all'operazione e scoprì che il gruppo aveva fatto precedenti viaggi, come mi confidò uno degli arrestati. Lo stesso giorno, nello stesso albergo dove erano arrivati i corrieri, fu pure arrestato tale Amici Antonio, proveniente da Roma come tutto il gruppo cui qui si fa riferimento, il quale aveva con se il denaro per l'acquisto della droga. Era lui il trasportatore incaricato di far giungere lo stupefacente nella capitale italiana.

I corrieri sudamericani erano in possesso dell'utenza telefonica di un albergo di San Paolo (l'Hotel Studius) dove era reperibile tale "Carlos", professione portiere, l'uomo che organizzava le partenze. "Carlos" riceveva disposizioni da Adecelli Alberto, cioè il factotum dei fratelli Fabbrocini. Segnalai, telefonicamente, queste circostanze ai colleghi di Bellinzona sottolineando i forti dubbi, validi indizi, secondo cui l'organizzazione doveva disporre di conti bancari in Svizzera. Invitai i colleghi, in via d'urgenza a voler trasmettere queste informazioni alla procura pubblica di Lugano al fine di aprire, eventualmente, un procedimento penale.

La tua collega Del Ponte, tuttavia, non diede seguito alle informazioni ritenendole inverosimili, dicendo agli ex colleghi, latori del rapporto informativo, "che ne aveva piene le scatole delle menzogne del Cattaneo". Un contegno, quello della tua collega Del Ponte, biasimevole sotto ogni aspetto. E, come dimostrato, non era la prima volta. Ma, come dice un altro vecchio detto popolare, il diavolo fa le pentole dimenticandosi dei coperchi.

Infatti, il 4.6.1991, la Kantonspolizei di Zurigo Kloten trasmise un telex a Bellinzona segnalando l'arresto di tre persone con poco più di un kg di cocaina. Si trattava di Avino Giorgio, Guerra Raffaele e Cogliati Alessandro, tutti cittadini italiani. Era stato quest'ultimo a trasportare la droga da Rio de Janeiro a Zurigo. Gli altri, Avino e Guerra, provenivano da Marano, località vicino a Napoli, per occuparsi delle fasi successive del trasporto.

I biglietti aerei Rio-Zurigo di Cogliati e quelli Napoli-Zurigo degli altri due personaggi risultarono pagati, sempre secondo le indicazioni della polizia zurighese, da Fabbrocini Mariano, uno dei due fratelli ex proprietari dell'omonimo Banco Fabbrocini di Marano. I tre disponevano di numerose utenze telefoniche di Milano, del Brasile (Rio e Porto Seguro) e soprattutto di Roma. Gli accertamenti dei colleghi di Zurigo mostrarono che la droga era stata pagata tramite il conto 5665-52-1 c/o Credito Svizzero di Chiasso, conto intestato a tale Bertoni Matilde agenzia viaggi Fiesta Tur, rua de la Quitanda, Rio de Janeiro. (Toh! Un'agenzia di viaggio!)

Cogliati aveva con sé, fra gli altri, i numeri telefonici 06-5897875, di Roma e 02-781068 di Milano. Il primo risulta intestato a: Agenzia viaggi Fiesta Tur S.R.L, viale Trastevere 60, Roma, cioè alla consorella italiana usata per coprire il pagamento della droga. L'utenza milanese risulta invece intestata all'agenzia Publimedia S.R.L, Corso Venezia 18, Milano appartenente al dott. Fabbrocini Mariano.

Avino era stato notato, sorvegliato e fotografato in quel di Locarno, tempo prima, in compagnia del noto Rallo Vito, arrestato in seguito proprio nella città del Verbano, per traffico di droga, armi, monete false ecc. In seguito Rallo si era messo a disposizione della polizia quale informatore. Certo saprai anche del suo coinvolgimento per il furto - truffa di buoni del tesoro in danno del Vaticano e che ha trascinato nella voragine l'ex ministro italiano Martelli e la sua segretaria, di cittadinanza svizzera, Kolbrunner.

Rallo, Avino e gli altri avevano un contatto a Zurigo nella persona di tale Ottomano Joe che condusse al sequestro di 7 kg di cocaina. Anche in questo caso la droga proveniva dal Brasile. Nel telex inviato dai colleghi zurighesi il 4.6.1991 vengono segnalate altre utenze telefoniche scaturite dopo l'arresto di Avino, Guerra e Cogliati. Tre numerei vengono indicati come importanti: 0055 - 21 - 4473880, tale Orlando a Rio de Janeiro; 0055 - 73 - 8751051 e 0055 - 73 - 2882888. Gli ultimi due si riferiscono alla località brasiliana di Porto Seguro. Va notato, qui, che Porto Seguro era una delle basi dell'organizzazione criminosa. Al numero 0055 - 73 - 8751051 corrisponde l'hotel Veranda do Sol. Per verificare i sospetti relativi all'eventuale connessione dei fratelli Omar, Francisco e Jacqueline Do Nascimento, Demario Ferreira Nogueira e compagnia, con l'universo criminoso legato ai fratelli Fabbrocini, ho proceduto ad un elementare controllo componendo l'utenza sopracitata e chiedendo solo e semplicemente di Omar. La voce femminile ha testualmente risposto che: "... Omar non è qui, si trova a una certa distanza da qui, alla locanda Mar Aberto. Hai il numero di telefono?...". Alla mia risposta, evidentemente negativa, la signora ha aggiunto: "...un attimo che te lo dò... 8751153...". Nei giorni compresi fra l'8 e il 10 luglio 1991, come già detto in precedenza, avevo incontrato sotto copertura, all'Hotel Oton Palace di Belo Horizonte, il Do Nascimento Francisco e l'amico di questi Delmario Ferreira Nogueira. Come riferito puntualmente nel diario "undercover" dell'operazione "Mato Grosso", in uno di questi incontri il Do Nascimento mi invitò a recarmi a Porto Seguro presso la locanda Mar Aberto per incontrare Bisco Rinaldo, Brivio Aldo e sicuramente, di conseguenza, altre interessanti persone. Fornendomi queste indicazioni mi diede un biglietto con il numero 8751153, lo stesso numero trovato in possesso ai galoppini dei Fabbrocini. La Procura Pubblica, la nostra, purtroppo mi negò il permesso. Perché? Per ragioni di sicurezza? Nient'affatto! Impossibile che pensassero alla mia sicurezza, non l'hanno mai fatto! D'altra parte non c'era nessun pericolo evidente, il modo in cui mi ero infiltrato nell'organizzazione, lasciamelo dire da vero professionista, non dava adito a dubbio alcuno, quindi... No, mio caro ex amico, bisogna parlarci chiaro, avere il coraggio (che tu non hai) di dire le cose come stanno: stavate credendo (come sempre) nei pettegolezzi, nient'altro che quello! Juan Ripoll Mary, altro personaggio importante con il quale, sempre sotto copertura, ho avuto diversi contatti, in Brasile e in Ticino. Godeva (magari li gode ancora), in Brasile, di poderosi appoggi politici, specialmente nel 1991, quando ero in contatto con lui, epoca in cui era al potere l'ex presidente Collor, destituito perché coinvolto in uno scandalo legato ad un vasto giro di trafficanti di cocaina e riciclatori che, detto per inciso, si ricollegano con quanto emerso dall'inchiesta "Mato Grosso". Lascio perdere tutti i dettagli, peraltro già detti e scritti diverse volte nel 1991, per venire al sodo, ritenuto e considerato che, in questi ultimi tempi, fatti nuovi, importanti sono venuti alla luce, puntualmente riconducibili in tale preciso contesto delle indagini, volutamente ed intenzionalmente stroncate da un manipolo di guastatori o, per azzeccare un termine più appropriato, avidi portatori di "virus" corruttivo.

Disponeva il Ripoll di quattro società paravento, panamensi, dislocate a Lugano dove era pure in contatto con un legale di fiducia con funzione di amministratore. A suo dire usava queste società per far circolare il denaro proveniente da attività illegali. Asseriva pure di aver perso alcuni canali per il transito del denaro e di essere alla ricerca di soluzioni sostitutive. Ci chiese quindi di assumere tale ruolo. Sua intenzione era quella di riciclare 300 milioni di dollari provenienti dalla Francia, dalla Spagna e dall'Italia oltre a altri 100 milioni del gruppo terroristico ETA. Già aveva pianificato nei dettagli un sofisticato e immenso apparato di riciclaggio prevedendo addirittura i codici di contatto fra le persone che ne dovevano costituire le pedine. A suo dire il denaro bloccato in Italia proveniva dall'impero della Fininvest, meglio dire, per usare parole sue, "dal gruppo di Silvio Berlusconi".

Era, questa, una parte delle informazioni che avevo raccolto, dai vari contatti avuti con Ripoll nel 1991. E la faccenda rimase a quel punto, allo stato embrionale, non si fece nulla oltre il livello informativo, nessuna verifica e nessun approfondimento delle indagini; a dipendenza dei ragionamenti e delle interpretazioni che ognuno poteva liberamente fare e dare, il tutto è andato a finire nel dimenticatoio oppure, se si vuole, messo in un cassetto a marcire o a stagionare con l'aggiunta di ingredienti calunniosi nei miei confronti. Sono passati esattamente cinque anni e sono successe parecchie cose che riguardano il gruppo Fininvest, in modo particolare nel corrente anno, tangenti, corruzione e fondi neri sono all'ordine del giorno.

Ti è mai passato per il cervello, ammesso che tu ne abbia uno che funzioni come dovrebbe funzionare, che le informazioni del Ripoll, da me fedelmente riportate senza nulla togliere o aggiungere, potevano essere fondate?

Parallelamente, sempre Ripoll, aveva previsto, d'accordo con personaggi politici di spicco, di far trasportare 600 milioni di dollari tramite corrieri (compito che avrebbe affidato a noi) dal Brasile a Zurigo. Lì sarebbero stati depositati su una serie di conti bancari che avrebbe indicato. Da Zurigo i capitali sarebbero stati trasferiti, per via bancaria, su conti a Montreal a favore di una società fittizia che noi avremmo dovuto creare. Da lì il denaro avrebbe dovuto essere ritrasferito in Brasile, sottoforma di prestiti, per essere impiegato nella realizzazione, ex novo, di un'intera città denominata Nova Atlantida. Infatti era già stato approntato un progetto di dettaglio per la città, città che avrebbe richiesto un investimento di 20 miliardi di dollari. Anche i 300 milioni menzionati in precedenza sarebbero stati affidati a noi. In seguito avremmo dovuto farli accreditare su conti bancari a Lugano, conti che sarebbero stati indicati di volta in volta in occasione delle consegne. E anche questo denaro sarebbe confluito nel faraonico progetto di Nova Atlantida. Queste, in sintesi, le informazioni raccolte nel 1991 a riguardo del Ripoll. E tali sono rimaste nel tempo. Nessuna verifica, nessun approfondimento, niente di niente.

Sicuramente tutte queste, saggie, decisioni saranno state prese dopo una profonda analisi della situazione e dopo aver raggiunto il pieno convincimento, oltre ogni ragionevole dubbio, che erano tutte frottole da me inventate, o costruite, per giustificare le trasferte in Brasile il cui unico scopo era quello di stare vicino a mia moglie Isabel Maria, "donna di malaffare" (per non dire altro) come è stata più volte definita in passato da alcuni, comuni conoscenti, pettegoli. Persone che pensano, riescono perfino a farlo credere, solo ai loro simili, di essere delle aquile: invece, nella realtà, con pregi e difetti, sono dei semplici gallinacei da cortile quali sono i tacchini.

Agli inizi dello scorso anno, in diversi conti presso altrettanti istituti bancari di Ginevra, sono stati scoperti e posti sotto sequestro, perché di provenienza illegale, qualcosa come 850 milioni di dollari. Tale cifra, da capogiro, è giunta sui quei conti ginevrini, a diverse riprese, attraverso tutta una serie di operazioni, illecite evidentemente, commesse da un gruppo di persone del mondo politico e amministrativo delle istituzioni brasiliane, iniziate nel 1991. Proprio quando ero attivo sotto copertura. Perno delle operazioni truffaldine risulta essere tale Do Nascimento Nestor. Anticipo che non ha nessun legame di parentela con il "nostro" Do Nascimento Francisco. In verità ha dei legami, ma di tutt'altre origini, quelli connessi al traffico di cocaina! Nestor Do Nascimento era stato, in passato, Direttore di un Penitenziario Federale dapprima, Presidente di una Camera di un Tribunale Penale poi, e, infine, Presidente di un Tribunale Civile. Nel periodo aprile - maggio 1991 (avevamo da poco iniziato l'inchiesta "Mato Grosso") il suo nome venne alla ribalta in maniera clamorosa e scandalosa in quanto sorpreso, con le "mani nel sacco", nel corso di una transazione di 24 kg di cocaina assieme a quel Delmario Ferreira Nogueira che, susseguentemente, come già riferito, ebbi modo di incontrare e di conoscere, sotto copertura, all'Oton Palace di Belo Horizonte, congiuntamente al Do Nascimento Francisco.

Arrivava perfino al punto di ricevere i fornitori di cocaina, grossi trafficanti, all'interno del palazzo di Giustizia. Era legato, saldamente, con vari personaggi della malavita internazionale, in generale, e a quella di Rio de Janeiro in modo particolare. La cocaina venne trovata nel suo appartamento ed era di proprietà di tale Mateo Sbabo Negri, cileno, conosciuto, con grossi precedenti specifici, che agiva in correità con il cittadino cileno, da anni residente in Brasile, Oscar Guzman Pena, personaggio, quest'ultimo, di notevole portata internazionale, conosciuto dalle autorità di mezzo mondo. Sbabo Negri Mateo è peraltro noto per i suoi grossi legami con la mafia siciliana. Il Do Nascimento Nestor, anche in virtù delle alte funzioni pubbliche che ricopriva, aveva notevoli relazioni con importanti persone dell'allora governo Collor, non tanto per ragioni professionali, ma soprattutto per varie attività illegali, traffico di droga incluso. Se da una parte la vicenda sollevò un gran polverone, principalmente nei media, dall'altra non ebbe, penalmente, sostanzialmente nessun seguito.

È interessante sapere che l'amico del Nestor Do Nascimento, Sbabo Negri Mateo, nel 1986, a Rio de Janeiro, venne sorpreso con 100 kg di cocaina che dovevano essere destinati in Europa. Trattavasi dunque di una flagranza di reato che determinò pure l'arresto, per correità, di una vecchia conoscenza delle nostre autorità, il cittadino belga Barbé Edgard. Agli inizi degli anni 80, dopo aver subito durissimi colpi, cominciarono a cadere gli ultimi baluardi della famosissima "French Connection" che, a quei tempi, era notoriamente conosciuta per essersi alleata, in tutto e per tutto, con "Cosa Nostra" siciliana e americana, con la "n'Drangheta, con la "Camorra" e, di conseguenza, con altre organizzazioni criminali internazionali. Le varie inchieste condotte negli USA ed in Europa dimostrarono, infatti, che la "French Connection" operava con le consorelle organizzazioni turche e sudamericane. Barbè Edgard aveva un sontuoso appartamento a Lugano - Paradiso dove gestiva pure una società, import - export, fittizia, la classica società paravento che gli serviva per coprire l'attività illegale. In seno alla "French Connection" egli ricopriva un ruolo di primissimo piano. Personalmente partecipai ad una riunione di coordinamento a Losanna a riguardo di tale affare.

In seguito presenziai anche alle varie perquisizioni effettuate nell'appartamento e negli uffici del Barbè. Era coinvolto in un grossissimo traffico internazionale di eroina e di cocaina che aveva portato all'identificazione di diverse altre persone, in parte arrestate, in Svizzera, Italia, Francia, Stati Uniti e Belgio. Le indagini avevano anche evidenziato l'alto grado di corruzione, istituzionale, che da tempo era in atto in Belgio. A Bruxelles, infatti, finirono dietro le sbarre alcuni magistrati penali e diversi agenti di polizia.

Una vera e propria piovra i cui tentacoli avvinghiarono pure un avvocato di Lugano, già noto per precedenti attività illegali o quantomeno dubbiose, che aveva fondato la SA del Barbè e che aveva assunto la presidenza in seno al consiglio di amministrazione, sapendo, o presumendo, dell'effettiva attività del Barbè medesimo nonchè delle reali funzioni della società. All'espletamento delle indagini del ramo luganese della "French Connection" partecipò anche, ufficialmente, una delegazione belga capeggiata dall'allora maggiore Vernaillen. Alcuni mesi più tardi, a Bruxelles, alcuni "killers" dell'organizzazione criminale fecero irruzione nella sua abitazione, sparando all'impazzata, provocando la morte della moglie e il ferimento, grave, dell'ex alto funzionario di polizia.

Se da una parte il nome "French Connection" sparì praticamente dalla faccia della terra rimanendo solo un brutto ricordo, dall'altra i superstiti, i "pesci grossi" per intenderci, si integrarono totalmente nelle varie consorelle organizzazioni criminali internazionali. La grossa inchiesta, conclusasi positivamente nel 1986 a Friborgo - Les Paccots, è un esempio. Elementi della ex "French Connection", con il prezioso apporto dei loro ricercatissimi chimici (i migliori del mondo, quelli che da 1 kg di morfina base sono capaci di produrre 1 kg di eroina pura al 90/95 %), avevano impiantato un laboratorio in grande stile (quello che noi abbiamo poi usato come "trappola" per Mirza e Giulietti) in uno "chalet" della regione. Al momento dell'arresto avevano già prodotto oltre 20 kg di eroina pura. Un altro esempio viene proprio dal Barbè Edgard. Non era presente a Lugano nel corso del nostro intervento più sopra descritto. Non conosco l'esito del procedimento penale avviato, in quei periodi, in Belgio. Nemmeno posso dire, non ricordo, se per quei fatti sia stato arrestato. Sicuro è che, come dimostrato, trovò rifugio a Rio de Janeiro dove venne accolto, a braccia aperte, presso quelle persone che già conosceva, così si è stabilito, quando era a Lugano-Paradiso. Persone che contano, di peso, come lui del resto, capaci di aiutarlo nella buona e cattiva sorte.

Già ho spiegato i vari ruoli, importanti, svolti da Isabel Maria, mia attuale moglie, in seno all'inchiesta "Mato Grosso". Le intercettazioni telefoniche, con traduzione simultanea, che lei aveva fatto presso la centrale della polizia federale di Rio de Janeiro, portarono ad un significativo sviluppo delle indagini. Non tanto dal punto di vista, numerico, dei kg di cocaina sequestrati, ma piuttosto dal lato qualitativo delle persone attrici dell'evento puntualmente inseritesi nella scacchiera investigativa "Mato Grosso".

Brevemente: il 30.6.1991, a Rio de Janeiro, all'esterno dell'enorme mercato "Barrashopping", tali Francisco Josè Dos Santos, Martin Peter Rivera, (cileno) Helcio Fernandes Filho (agente della polizia federale) e Francisco Zarza vennero tratti in arresto mentre stavano concludendo una consegna di 5 kg di cocaina; un chiaro, semplice e incontestabile reato poiché trattavasi di flagranza. Immediatamente dopo, all'aeroporto internazionale, fu la volta di una "mula", biglietto in mano, pronta per l'imbarco con destinazione Zurigo e con 3 kg di cocaina nella valigia, a finire nelle mani della polizia. Le indagini, relative a questo episodio, dimostrarono che i succitati avevano agito in correità con persone di un alto livello nella scala dei valori del crimine organizzato, quali sono l'avv. Ricardo Bolos (arrestato quasi un anno dopo a San Paolo), Oscar Guzman Pena e Sbabo Negri Mateo. La banda aveva già fatto trasportare a Zurigo, a diverse riprese, oltre 100 kg di cocaina.

Il 16.10.1991, a Lugano sono state arrestate quattro persone, sudamericane, e sequestrati 9 kg di cocaina più 60.000 dollari USA in contanti. Oltre ad essere in possesso di diversi numeri telefonici di San Paolo, avevano anche quello di un certo "Nunes", pure di San Paolo. Potrebbe anche trattarsi di pura coincidenza, non ho mai escluso un simile fattore nella mia attività investigativa e l'ho sempre tenuto presente, però il fatto concreto è che erano in possesso del biglietto da visita dell'avvocato Ricardo Bolos. Altra coincidenza?

Il rapporto della Questura di Milano datato 31 marzo 1992 evidenzia molto bene la potenza e la portata dell'attività criminosa dell'avvocato Bolos. Un esempio, in tal senso, è dato dalle amicizie, strette, che lo circondano o che lo hanno circondato:
- Lucien Edward Forbes, 1946, americano, noto trafficate di droga;
- Orlando Da Silva Pinheiro, alias "Rosenthal" (ha scontato una pena in Italia, per traffico di cocaina, con questo nome);
- il defunto Villalon Guillermo, cileno;
- il noto pregiudicato sudamericano Pedro Moacir - Exstein;
- Casini Roberto, residente a Viterbo, albergo Roma, che Bolos (nel 1987) contattò telefonicamente più volte: Casini è cognato del già citato Di Mauro Angelo, ex funzionario della Finanza di Roma ed arrestato a Basilea nel 1987 dopo un'indagine mascherata condotta dal sottoscritto: l'albergo Roma appartiene alla sua famiglia;
- Balestra Luigi Felice, 1933 e Caputo Michele: il Caputo (notissimo pregiudicato italiano) è stato il principale responsabile del sequestro del noto Paul Getty, fatto del quale hanno parlato i media di tutto il mondo. Dopo il sequestro, sempre Caputo, riparò in Brasile in quanto ricercato in Italia per quel reato: più tardi venne assassinato. Tuttavia, durante la sua permanenza in Brasile, mise a segno un altro sequestro (un banchiere) con la correità di tale Pellittieri Salvatore, altro pregiudicato latitante di Palermo. Il Balestra è stato indagato per il riciclaggio del provento del riscatto del sequestro Getty; D'Alessandro Italo Antonio, 1947, italiano: nel 1986 è stato arrestato in Brasile per traffico di cocaina. Uscito dal carcere ha ucciso i due testimoni che avevano deposto, in tribunale, contro di lui;
- Mannino Matteo, 1950, della nota omonima famiglia di Palermo e stretta collaboratrice dei pari clan mafiosi dei Ciulla, Fidanzati e dei Madonia, in perfetta sintonia con quella arcinota, italoamericana, dei Gambino.

Queste famiglie, a loro volta alleate con la non meno potente stirpe calabrese dei Morabito, vennero coinvolte in una maxi indagine che prese avvio, negli Stati Uniti, dalle confessioni, fatte ai magistrati dell'Alta Corte di New York, dal pentito Joe Cuffaro, precedentemente arrestato a seguito di un sequestro di 600 kg di cocaina che erano giunti in Sicilia con il mercantile "Big John", droga che era destinata ai citati gruppi mafiosi. Trattasi, in sostanza, di quella vicenda che coinvolse poi la "Fimo SA" di Chiasso attraverso le confessioni del Lottusi Giuseppe, stretto collaboratore del Cuffaro Joe. E se tutto ciò non bastasse a convincerti di quanto detto, particolarmente in riferimento ai vari anelli di congiunzione con la maledetta operazione "Mato Grosso", cito immediatamente un particolare (altri seguiranno), concreto, stabilito ed emerso dagli accertamenti bancari a seguito dell'arresto, avvenuto a Lugano il 13.6.1991, di Edu de Toledo, Massa e compagnia. I documenti bancari sequestrati, in tale occasione, presso la Banca Migros, dimostrano che ingenti somme di denaro (dollari USA) sono stati inviati a Santiago del Cile a beneficio della nota Elena Espinal Guerrero, già conosciuta agli inquirenti ticinesi per ingenti traffici di cocaina emersi nei primi anni 80. L'inchiesta, già a quei tempi, stabilì che la cocaina (oltre 100 kg) era destinata ai Ciulla e ai Fidanzati. Allo stesso risultato portò l'inchiesta, condotta dal sottoscritto, che nel 1985 permise l'arresto del Piazzi Walter, poi condannato a 17 anni di reclusione. Circa 300 kg di cocaina finirono nelle mani del citato clan.

La donna era la moglie del pluripregiudicato (defunto) Ciulla Giuseppe, uno dei capi storici dell'omonimo "clan" e relativi consociati, che da molti anni hanno ormai insediato una base operativa nella capitale cilena. Dopo la morte del marito (deceduto in un incidente stradale) è andata a convivere con il più volte citato (pure defunto) Guillermo Villalon che da parecchio tempo era un fido del consorzio di tali famiglie mafiose. L'Orlando Da Silva Pinheiro alias Rosenthal, dall'Hotel Nikkey di San Paolo, nel periodo compreso fra il 15 e il 17 ottobre 1991, ha chiamato diverse volte alcune utenze di Lugano. Non voglio anticipare niente a tal proposito. Non escludo però che ad uno di quei numeri telefonici di allora corrisponda quell'avvocato che amministra, o amministrava, le società panamensi del Ripoll. Al momento concedo il dubbio. Se però la particolarità sarà confermata (alcuni indizi tendono a farlo), ebbene, ciò aggraverebbe l'insieme dei fatti finora illustrati, già gravi e delicati per loro natura, e contribuirebbe ad aumentare, oltre misura, le mie preoccupazioni specialmente per quanto attiene la mia sicurezza personale nonché quella dei miei cari.

Alla fine del 1991 diversi episodi rendevano palese il grado di rischio in cui mi trovavo esposto dopo una serie di operazioni, praticamente ininterrotta, che era iniziata alla metà degli anni 80 e che mai nessuno, a livello istituzionale Cantonale o Federale, aveva concretamente affrontato. Nessuno, in quest'ambito, si era preoccupato di strutturare il servizio dei mezzi di appoggio, nemmeno del minimo indispensabile, utili per la conduzione delle varie inchieste mascherate e, soprattutto, necessari per diminuire rischi, pericoli e tutto quello che ne consegue durante e dopo simili operazioni. Son stati spesi litri d'inchiostro a tal proposito, evocando tali esigenze, da parte di tutti, politici, magistrati e media, senza mai approdare a qualcosa di concreto. Neanche le mie reclamazioni, ufficiali, hanno provocato l'effetto sperato, solo promesse, parole...

Voglio ricordare, brevemente, queste terribili e sconcertanti vicende.

Le fughe di informazioni dovute all'impressionante grado di corruzione dell'autorità turca in occasione dell'operazione dei 100 kg di eroina sequestrati a Bellinzona.

La notte fra il 16 e il 17 ottobre l990, sul piazzale dell'Hotel Losone era stato ucciso l'informatore Alessandro Troja. Per puro caso non mi trovavo con lui nel momento in cui un "killer", con estrema e gelida professionalità, lo aveva colpito mentre stava uscendo dall'automobile. Mai come in quell'occasione sentii l'odore della morte così vicino: Troja mi aveva invitato, quella sera, ad assistere a una partita di bridge. Fossi stato minimamente appassionato al gioco delle carte, sarei stato con lui nel momento della sua "esecuzione". Senza dimenticare il chiaro messaggio di morte, nei miei riguardi, lasciato vicino al cadavere e rappresentato da un proiettile, inesploso, in posizione verticale.

Dopo l'operazione "Escobar", a Madrid, la polizia spagnola si era imbattuta in un gruppo di narcotrafficanti. Ne era nato un conflitto a fuoco nel quale uno dei malviventi era rimasto ucciso. Fra i documenti rinvenutigli addosso figurava una lista di persone da sopprimere. Sulla lista vi era il sottoscritto, indicato con il nome di copertura e relativi connotati. Il gruppo disponeva, tra l'altro, di una persona di appoggio situata in territorio elvetico, segnatamente a Interlaken.

Durante il processo Escobar un teste fu tradotto a Lugano per deporre. Si trattava di un trafficante, emissario europeo dei cartelli colombiani, in arresto in Germania per un traffico di 375 kg di cocaina sequestrati ad Amburgo grazie al nostro lavoro sotto copertura. Il suo nome è Mario Calderon - Barrera. Questi si era distinto per la sua irriducibile crudeltà, avendomi costretto a incredibili "acrobazie" per impedirgli di sterminare, senza mandare in fumo il lavoro, una famiglia della quale faceva parte un bimbo di 3 anni. Lasciò di stucco la Corte, i giornalisti e il pubblico, estraendo di tasca una mia fotografia, con tanto di nome e cognome, apparsa alcuni anni prima su un quotidiano in occasione della consegna di una riconoscenza da parte del Governo degli Stati Uniti. Calderon lasciò chiaramente intendere che, presto o tardi, si sarebbbe vendicato.

Un altro episodio rientra nella vicenda che sfociò nel sequestro di 14 kg di eroina. Quattro cittadini turchi, fra cui Nevzat Ozdemir (residente ad Agno), furono condannati a pene pesantissime alla fine del 1991. Durante la notte di sabato 2 novembre 1990, in concomitanza con il succitato processo, l'attenzione di due agenti di pattuglia nella zona di viale Zara a Milano, venne attirata da una Peugeot 405 SR bianca. Nel baule dell'auto, abbandonata in un giardino pubblico da alcuni giorni, vennero ritrovati i corpi martoriati dalle botte e "incaprettati" del cittadino turco Alì Altimas, 21 anni, e del suo compatriota Aydin Aydemir, 29 anni. Aydemir era l'informatore che aveva collaborato con il sottoscritto in quell'occasione e aveva reso possibile il sequestro dei 14 kg di eroina. A seguito del comportamento sospetto di alcune persone che erano a contatto con l'imputato Nevzat Ozdemir, il collega commissario Bazzocco del servizio antidroga di Chiasso segnalò, con un rapporto indirizzato al Comando, che la mia vita e quella di altri colleghi, nonchè quella dell'informatore, erano in grave pericolo. Rammento che proprio una delle persone sospette che presenziavano ai dibattimenti processuali, cercò di tendermi una trappola con il pretesto di una presunta consegna di droga che doveva avvenire in quelle sere a Lugano. Diede informazioni in tal senso ad Azzoni, che già conosceva, chiaramente fasulle, sperando che abboccassi. Non fu il caso perché (e questo prima ancora del tempestivo rapporto Bazzocco), quando Azzoni me ne parlò, mi accorsi che qualche cosa non quadrava; l'informazione, così come mi era stata riferita, era strana, confusa, contorta e quindi priva di quella logica che inversamente, per essere valida e credibile, doveva avere. I fatti, purtroppo, diedero ragione al collega Bazzocco e al sottoscritto, poiché tre giorni dopo avvenne il macabro rinvenimento di viale Zara. Il Nevzat Ozdemir ha perfino avuto la spudoratezza di minacciarmi apertamente, nel corso del contraddittorio, davanti all'allora GI Meli e al suo difensore nella persona dell'avvocato Edy Salmina.

Le telefonate dei narcotrafficanti protagonisti dell'inchiesta "Mato Grosso" intercettate, in Brasile, durante tale operazione; telefonate che indicavano chiaramente i tentativi dell'organizzazione criminale volti a una mia identificazione.

Il penultimo evento, in modo particolare, ti indusse, a fine novembre 1991, a redigere una lettera all'attenzione del comandante Dell'Ambrogio invitandolo a volermi accreditare negli Stati Uniti, presso gli uffici DEA, per allontanarmi dal pericolo. Riconosco la tua buona intenzione. Devi però ammettere che fu una cosa senza capo né coda, così alla buona, senza nessuna pianificazione. Non ti sto muovendo nessun rimprovero; non era compito tuo preparare e pianificare una situazione del genere. A parte ciò, il comandante accelerò la mia partenza. Dovevo raggiungere Washington prima del 7.12.1991 dovendo rilasciare un'intervista, poi diffusa dalla trasmissione televisiva T.T.T, alla quale abbiamo, mesi dopo, assistito assieme. Il comandante medesimo, attraverso un biglietto, mi comunicò tutte le coordinate necessarie per contattare la squadra televisiva della TSI che già si trovava nella capitale degli Stati Uniti.

Prima di partire per gli USA scrissi un rapporto, precisando di che cosa mi sarei occupato con la DEA: ovvero di tutte le ricerche bancarie relative all'inchiesta "Mato Grosso". Infatti gli accertamenti effettuati fino a quel momento, soprattutto dopo l'arresto del cassiere della banca Migros Gianmario Massa, avevano fatto emergere parecchi conti bancari statunitensi (in particolare sull'asse New York - Miami), conti accesi presso la Audi Bank e la Republic National Bank sui quali erano transitate diverse centinaia di milioni di dollari.

Le informazioni a disposizione dei colleghi americani al servizio degli uffici antiriciclaggio della DEA indicavano che quel denaro veniva accreditato in Giappone e in Inghilterra, per poi rientrare sistematicamente in Svizzera e in Brasile. Era dunque evidente la necessità di un coordinamento fra il lavoro della DEA e quello elvetico. Ancor più palese era l'esigenza di approfondire le ricerche bancarie per trovare nuovi elementi. D'altronde questa era anche la tua volontà nella lettera al comandante Dell'Ambrogio.

Partii per gli States il 3.12.1991. Contattai immediatamente il collega Passic Greg, mio amico personale, capo dei servizi antiriciclaggio della DEA, col quale si era creata una proficua collaborazione da diversi anni, principalmente quando era capo ufficio della DEA a Berna. Con lui venne discussa tutta la problematica riguardo alle ricerche bancarie e venne pianificata la relativa centralizzazione dei dati. Il collega americano si dichiarò disposto a dare ampia collaborazione ed anche a partecipare, in grande misura, alle spese che sarebbero derivate da tale lavoro. Greg Passic chiese se fossi regolarmente accreditarto. Risposi che, come vuole la prassi e come inteso, i miei superiori se ne sarebbero occupati in tempi brevi. Era pure inteso che dovessi rimanere distaccato presso la DEA per un periodo di almeno sei mesi. In sostanza avrei operato alle dipendenze dell'antidroga americana. I colleghi della polizia federale brasiliana di Belo Horizonte, d'accordo con la DEA di Brasilia, comunicarono che necessitava la mia presenza a Belo Horizonte in quanto stavano procedendo al sequestro dell'ufficio cambio di Jaime Hoffmann, una vera e propria miniera di indicazioni finanziarie, dove stavano emergendo decine e decine di conti correnti utilizzati dai narcotrafficanti che avevo contattato sotto copertura.

La mia presenza poteva dunque fornire indicazioni estremamente preziose. Ero l'unico, ripeto l'unico, che conosceva il caso nella sua globalità e nei numerosi dettagli e particolari che lo componevano. La persona perspicace è, soprattutto, quella dotata di acume, cioè che sa penetrare con la mente nell'intimo delle cose e nelle teste degli altri, che sa leggere e valorizzare i vari dati raccolti, che sa interpretare le mezze frasi, i silenzi, i sottintesi e le reazioni. Io sono fatto così e devo ringraziare chi mi ha dato tale immenso bene, un dono, un sesto senso, che più volte mi ha anche salvato la vita, ricordalo, solo quello mi ha salvato la vita e nient'altro; altrimenti sarei morto e sepolto da diverso tempo. Non sarò l'unico ad avere delle capacità del genere, probabilmentele le hai anche tu, però con la differenza che non sei capace di applicarle convenientemente.

Un'altra necessità ancor più pressante era quella di verificare, attraverso l'ascolto e la traduzione di decine di ore di registrazioni telefoniche, quelle conversazioni nelle quali i trafficanti facevano riferimento, dicendolo a chiare lettere, a Franco Ferri di Locarno, cioè al sottoscritto. E qui la posta in gioco era molto alta, anzi, altissima, c'era in gioco la mia vita e quella dei miei cari. Non era la prima volta che succedeva. Si trattava della mia vita, non della tua o di quella di altri. Delusioni, amarezze, angoscie e rabbia esplodevano in mè. Mi sentivo come se qualcuno mi tirasse per il collo da una parte e per i piedi dall'altra; sentimenti che, immancabilmente, provo quando rievoco tali fatti, come li sto provando tuttora mentre ti sto scrivendo.

Vergognoso e scandaloso il vostro comportamento. Nessuno di voi si è dato la pena di fare qualche cosa. Bastava solo un poco di buona volontà, di buon senso soprattutto. Era così difficile mandare qualcuno ad ascoltare e tradurre quelle numerosissime telefonate che, tenendo conto degli altri gravi pericoli che avevo corso in passato, poteva essere determinante per la mia incolumità o, specialmente, per quella dei miei famigliari? Fare un piccolo sforzo del genere non vale forse la vita di una o più persone? Non mi risulta che tu sia un chiaroveggente. E anche se tu fossi un mago ormai non credo più in te, sia come uomo sia come magistrato, immagina quindi se potessi credere in un venditore di fumo.

Nessuno, dico nessuno, nemmeno i carri armati della ex Unione Sovietica mi avrebbero impedito di raggiungere Belo Horizonte per fare quello che ho fatto. Non ho assolutamente nulla da rimproverarmi, ci mancherebbe! Tu e gli altri, invece, si, avete molte cose sulla coscienza! A spettegolare, per esempio, con tutti i vostri carichi di pregiudizi mettendo, volutamente, i paraocchi, tanto da considerare il problema soltanto da un determinato aspetto, perdendo di vista (dimenticando) i valori positivi di tutto il complesso. Siete stati dei veri professori.

Raggiunsi pertanto Belo Horizonte nella piena convinzione che il mio accreditamento fosse stato regolato. In quella località mi avvalsi della collaborazione di mia moglie. Per fortuna che c'era lei ad interessarsi di cose e svolgere compiti che altri avrebbero dovuto fare! Era già stata avvisata, dei pericoli, dal dottor Getulio Bazzerra, capo dei servizi antidroga di quella città. Appena giunto in Brasile presi contatto con gli uffici della DEA. La lettera inviata a suo tempo dal collega Passic al comandante Dell'Ambrogio era molto chiara in tal senso. Va sottolineata la lealtà e la tempestività con la quale il dottor Getulio Bazzerra, presente alla famosa riunione-farsa di Berna (ne parlerò separatamente), aveva provveduto a segnalare questi pericoli. Dapprima telefonicamente e poi con un telefax, il 20.11.1991, fece giungere nei nostri uffici di Bellinzona alcuni estratti di quelle bollenti registrazioni, per prevenire il pericolo.

L'iniziativa del collega brasiliano è risuonata come un urlo nel deserto. Nessuno, nel modo più assoluto (lo ripeto ancora), si è preoccupato di questo ennesimo attentato alla mia sicurezza. Da Belo Horizonte contattai più volte i nostri uffici spiegando cosa stavo facendo. Parallelamente mantenevo contatto quotidianamente con il collega, e amico fraterno, Passic a Washington. Tutto il materiale raccolto dal sequestro dell'ufficio di Jaime Hoffmann fu inviato per fax ai nostri uffici a Bellinzona: erano più di 70 (settanta) conti bancari fra i quali anche quello del Francisco Do Nascimento in Lussemburgo, altri del Jaime Hoffmann stesso in Svizzera, e quelli, numerosi, accesi negli USA presso la Repubblic National Bank di proprietà del notissimo Edmond Safra, banchiere, nome apparso nelle più grosse inchieste a livello mondiale: Pizza Connection, Lebanon Connection, Pisces, Polar Cap, ecc. ecc.!!!

Tale materiale, delicato perché si riferiva a conti bancari con nome e cognome delle persone, nome e numeri dei conti più nome delle banche, l'avevo ricevuto dal dottor Getulio Bazzerra informalmente, con la promessa di ufficializzare la consegna il più presto possibile. Telefonai pertanto a Sulmoni e, il caso volle, che tu ti trovassi nel suo ufficio proprio in quel momento. Non solo non ti sei degnato di parlare con me (avevo forse la rogna o la peste?), ma ti sei rifiutato di dar seguito alla mia richiesta (due piccole righe per fax) dicendo a Sulmoni "che ne avevi piene le scatole di questa storia".

Una frase che non mi giungeva nuova, che avevo già sentita e proferita, tempo prima e sempre per la stessa inchiesta, dalla tua collega e amica Del Ponte. Povero e piccolo uomo, in tutti i sensi, ti dico oggi, anche se avrei dovuto dirtelo molto tempo prima. Più avanti capirai perché non l'ho fatto. Nessuno può sensatamente sostenere che io operassi "fuori controllo". Lo dimostra la quantità e la qualità del materiale che, attraverso mille difficoltà tecniche e di altro genere, feci pervenire a Bellinzona, via fax, il 19.12.1991: complessivamente oltre una trentina di pagine, con dati, nomi, indirizzi di persone con precisi riferimenti ticinesi.

Il febbrile lavoro a Belo Horizonte si svolse su diversi fronti: l'identificazione del materiale e la sua puntuale traduzione dal portoghese all'italiano e all'inglese: l'ascolto e relative traduzioni delle registrazioni telefoniche: le analisi di tutto il materiale e la "cucitura" in una visione d'insieme. D'altronde, già prima di partire, in data 29.10.1991 e successivamente in data 29.11.1991, Sulmoni ed io avevamo segnalato a chi di dovere, Jacques Ducry in prima linea, quale via seguire nell'indagine e quali compiti, di indispenasbile supporto, svolgere a Bellinzona e altrove: Stati Uniti, Italia e Brasile compresi.

Che sei sordo come una campana (dipende dai casi, certe volte il tuo udito è più fine di quello di un cane da guardia), l'avevo capito da tanto tempo, adesso però non venire a dirmi che sei anche cieco o analfabeta!! Pochi giorni dopo la trasmissione del materiale da Belo Horizonte mi giunse in Brasile l'amara sorpresa. Nessuno aveva provveduto a regolarizzare la mia posizione, ovvero da Bellinzona, e quindi da Berna, non era giunto nessun regolare accreditamento. Scoprii che solo verso il 20 dicembre 1991, cioé quasi tre settimane dopo la mia partenza, la ex collega Della Bruna era stata sommariamente e informalmente incaricata di redigere un rapporto di accreditamento, che fu fra l'altro steso in modo inadeguato. A mettere l'accento sull'irregolarità dell'accreditamento era stato l'ufficio DEA di Berna, che mostrava risentimento essenzialmente per due motivi: perché mi trovavo a Washington con una funzione realmente operativa (e non semplicemente per uno stage di perfezionamento) e, dall'altra parte, perché il nostro referente principale era, per quanto attiene all'operazione "Mato Grosso" e ai suoi risvolti riguardanti la criminalità organizzata italiana, l'ufficio DEA di Milano. Si trattava di una situazione più che ovvia poiché la DEA milanese era il primo interlocutore di spicco dei servizi italiani (Guardia di Finanza nel caso specifico) che, al nostro fianco, si stavano occupando delle indagini.

Va notato, inoltre, che l'ufficio bernese DEA era presente alla ben nota riunione (farsa di carnevale!) internazionale tenutasi a Berna nei giorni 22/23.10.1991. Caspita, ma c'eri anche tu. Con Patzold, giurista dell'Ufficio Centrale di Polizia, dirigevi i lavori. Si dovevano prendere delle decisioni, importanti, che dovevano dare una svolta decisiva, in tutti i sensi, alle indagini. I lavori si sono svolti nell'arco di due giorni, il 22 e il 23 ottobre 1991. Di conseguenza ricorderai sicuramente che, quando mi hai dato la parola dopo i soliti convenevoli, ho passato in rassegna tutti i tasselli del grande mosaico investigativo. In conclusione ho fatto una ferma, valida, opportuna e precisa proposta: la costituzione di un gruppo di lavoro sul modello "Octopus" che aveva ottenuto enorme successo, non per merito tuo però. Eravamo alla fine della prima giornata di lavoro. La decisione relativa alla mia, sensata, proposta è stata rinviata all'indomani.

Contavo molto sul tuo appoggio. Malgrado la cattiva esperienza fatta con "Octopus" ero convinto che, questa volta, avresti dimostrato le tue capacità decisionali e che la bambinesca superficialità che ti opprime, almeno per una volta l'avresti lasciata fuori dalla porta. E invece mi hai deluso, come hai deluso e amareggiato tutti i presenti. Ho provato vergogna e umiliazione quando, all'indomani, alla ripresa dei lavori, la tua sedia è rimasta vuota per tutta la giornata. Gli occhi di tutto il mondo erano puntati su di noi: alla presenza delle delegazioni della DEA di Milano, della DEA di Berna, della DEA di Brasilia, dell'Ufficio Centrale di Polizia, della Guardia di Finanza di Milano, della Polizia Federale di Belo Horizonte, dell'Interpol Olanda, di Scotland Yard Londra, del BKA della Germania, dell'Interpol Parigi (OCTRIS), della Polizia Cantonale di Zurigo e della Polizia Cantonale di Ginevra, hai brillato per la tua assenza, questo sì!

Sei stato un vero protagonista in senso negativo! Partecipando e dormendo, oppure mandando tutti a quel paese, al limite, avrei cercato di capirti e forse ti avrei anche giustificato e difeso. Ma questo tuo puerile, irresponsabile, scandaloso e vergognoso comportamento, non lo si può, in nessun modo giustificare, anzi è meritevole di biasimo e condanna! Le conseguenze le conosci perfettamente, la riunione si è sciolta con un nulla di fatto. Personalmente mi trovai sempre più isolato e completamente spiazzato per quanto riguardava la sicurezza.

Al contrario sei stato invece la sera precedente, prima durante e dopo la cena fatta in comunione, brillante ed intraprendente nel comandare "champagne pour tout le monde" e a dettare ordini del tipo: "Tato tira fuori la carta di credito (quella che usavo sotto copertura per intenderci) che qui comando io!". Ti sei sentito importante a fare il grand'uomo, il grande e irriducibile Procuratore Pubblico deciso, fermo e convinto, davanti a quegli stessi occhi che avevano creduto in te ma che, il giorno dopo, ridevano per non piangere. E proprio questo tuo sgradevole comportamento ha provocato le reazioni di Patzold il quale, solitamente difficile da smuovere, si è sentito in dovere di scriverti una letteraccia.

A tal proposito ti voglio ricordare che tu eri il magistrato titolare dell'
incarto. Così scriveva, il 4 aprile 1991, la PP Del Ponte al PP Mordasini:
"... a seguito della nostra riunione del 27 marzo 1991, presenti l'avvocato Joerg Schild, MPF - Berna, nel pomeriggio il Comandante dott. Dell'Ambrogio, dopo aver discusso con i colleghi, le confermo l'accordo del nostro ufficio nel senso che la vigilanza-sorveglianza delle inchieste mascherate svolte dalla Polizia nell'ambito della lotta al traffico di stupefacenti, verrà condotta dalla Procura Pubblica Sopracenerina, segnatamente dal Procuratore Pubblico Sostituto Jacques Ducry...."

E l'11 aprile 1991 il PP Mordasini confermava, al Comandante Dell'Ambrogio, tale decisione presa all'interno delle due Procure.

L'indagine "Mato Grosso" era appena stata avviata, eravamo agli albori di tutta la storia. Era la "prova del fuoco", della verità, in riferimento alle tue capacità di saper condurre in porto una mega inchiesta con grande determinazione, con sagacia e spirito battagliero, era, insomma, la verifica dell'"essere o non essere ...". Pertanto, l'8 maggio 1991, sulla base delle esperienze passate e sulla scorta delle proiezioni dei vari filoni, poi unificati in "Operazione Mato Grosso", analizzati nel corso della riunione del 1 maggio 1991, intravedendo uno spiraglio di chiarezza nell'oscurità che era calata dopo la partenza dell'allora PP Dick Marty, decisi, non a caso, di scriverti un lungo e dettagliato rapporto nella speranza che il barlume diventasse cielo sereno. Rapporto, tra l'altro, che tutti i colleghi d'ufficio hanno approvato e sottoscritto e che riporto nella sua versione integrale:
"... I'l maggio 1991, per sua iniziativa e in accordo con il signor Comandante, nei locali della Procura Pubblica, si è tenuta una riunione di lavoro per discutere le varie indagini, tuttora sul tappeto, più sopra elencate. (Ndr: i citati filoni unificati in "Mato Grosso") A tale riunione hanno partecipato:
- Procura Sopracenerina: On SPP J. Ducry;
- Ministero Pubblico della Confederazione: dr. J. Schild, dr. R. Patzold, J. Kaeslin; - DEA: J. Costanzo capo servizio DEA Italia a Roma;
- Comando Polizia Cantone Ticino: Cdt avv. M. Dell'Ambrogio, Del Pol S. Sulmoni, comm. c D. Corazzini, comm. G. Galusero, comm. F. Cattaneo.

I vari punti trattati, oggetto di approfondita analisi, sono stati oltremodo interessanti e la relativa discussione, proficua particolarmente dal profilo giuridico. In quest'ottica sono state date precise disposizioni e le idee chiarissime. Non altrettanto dicasi per quanto attiene il lato tecnico-operativo sul prosieguo delle singole indagini. Concretamente nessuno ha deciso cosa fare, chi lo deve fare e come farlo; più specificatamente: mancanza di supporti e strutture per facilitare l'attività sotto copertura, come e dove incontrare, in queste prime fasi, le varie persone implicate che, rammentiamo, tutte chi più chi meno, hanno contatti operativi con la Svizzera e in modo particolare con Lugano. Da questo punto di vista, la situazione non ha cambiato aspetto, malgrado anni di interventi e di richieste intesi ad ottenere piccole cose, comunque essenziali, tali da facilitare il lavoro. Si sono provati amaro in bocca e grande delusione, nel corso della citata riunione, quando si è detto che non è possibile portare avanti questo genere di indagini, non tanto per la mancanza di strutture, bensì per questioni di non disponibilità finanziaria. È da anni che si ripetono le stesse cose: politici e massmedia sono concordi nel dire che il fenomeno droga va colpito specialmente ai livelli più alti, ma nessuno, concretamente ed operativamente, ha fatto qualche cosa, in prima linea la Confederazione. Non si vuole colpevolizzare nessuno ma, tuttavia, da Berna ed in questa riunione, ci si attendeva qualcosa di più. Personalmente, se prima nutrivo ancora qualche dubbio, ora ho raggiunto la convinzione che in Svizzera si è organizzati e strutturati, al massimo, per dare la caccia "alle formiche", frase che ho più volte ripetuto anche in occasione dei recenti seminari dell'Istituto Svizzero di Polizia, a Lyss e Chaumont. I nostri servizi, modestia a parte, hanno avuto enormi successi con riconoscimenti sia a livello nazionale sia internazionale. Nessuno ha però mai chiesto come è stato possibile e soprattutto con quali mezzi e strutture operative. Tali risultati sono stati conseguiti unicamente grazie all'immaginazione e all'inventiva dei singoli e alla fortuna che li ha fin qui assistiti.

Con quali strutture e mezzi si è operato e si opera ancora oggi? Domanda semplice e risposta altrettanto semplice: facendo capo al numero telefonico privato (top secret) che di volta in volta viene cambiato ed alla quale utenza rispondono i familiari con identità varie. Oppure grazie alla disponibilità di privati cittadini, amici personali che, proprio in virtù di questa amicizia, prestano la loro collaborazione. È sempre difficile fare un calcolo pratico dei rischi che un'indagine mascherata comporta, non si sa mai cosa può esserci dietro l'angolo. Esistono tuttavia dei rischi che si devono eliminare a priori, preventivabili, vedi il coinvolgimento di terze persone che nulla hanno a che vedere con l'attività dello Stato, in questi casi della Polizia. Ritornando al discorso delle operazioni in oggetto, come stabilito durante la riunione citata, i nostri servizi si sono adoperati per mantenerle vive e calde, temporeggiando con argomenti finora plausibili. Non sappiamo però fino a quando si potrà mantenere tali atteggiamenti. Forzatamente si dovrà arrivare ad una conclusione, vuoi positiva, vuoi negativa. Sinceramente ed onestamente non dipende più ora solo dalla volontà dei singoli agenti impegnati nelle varie indagini sotto copertura. In caso di conclusione negativa, bisognerà tener presente che, oltre a quella degli agenti, vi è in gioco anche l'incolumità di informatori che sono attualmente e costantemente in contatto diretto con i malavitosi.

Di conseguenza, l'eventuale rinuncia (in altre parole l'inserimento della retromarcia), dovrà essere oltremodo credibile. Intravediamo uno spiraglio per aggirare il pur comprensibile ostacolo rappresentato dalla mancanza di mezzi finanziari: invitare le varie persone in Ticino, basterebbe un colpo di telefono, per continuare le trattative.
Però:
a) non si hanno valide strutture sotto copertura e quindi il discorso è già frenato. Per un tipo, ad esempio, come Ripoll che ha quale uomo di fiducia un avvocato ticinese, sarebbe un gioco da ragazzi risalire alle identità degli agenti;
b) in questi giorni è d'attualità il prossimo processo contro Escobar Severo e compagnia, che sicuramente avrà risonanza internazionale. In questo dibattimento i nostri servizi sono stati citati quali testi. Quindi....;
c) come già spiegato nel rapporto 3.5.1991 allestito all'attenzione del signor Comandante (vedi fotocopia allegata), i nomi degli agenti sotto copertura e, soprattutto, i mezzi tecnici con i quali hanno operato in passate inchieste, sono stati acquisiti agli atti ufficiali dalla Magistratura Sottocenerina (in particolare ci riferiamo all'inchiesta contro Escobar).

Proprio tutte queste considerazioni ci hanno portato, dopo approfondita riflessione, a concludere che, seppur a malincuore e colmi di rabbia, ma senza vittimismo e senza addossare colpe specifiche a chiunque, l'unica soluzione possibile è la rinuncia alla continuazione, in siffatte condizioni, a questo particolare genere di indagini.

Non vorremmo più trovarci di fronte, in futuro, a gravi situazioni come quella verificatasi a Losone, per la quale, in coscienza, ci si può sentire in qualche modo responsabili. (Ndr: assassinio dell'informatore Troja dove il sottoscritto ha salvato la pelle grazie ad una... partita di bridge).

Come elemento di dissuasione, e tanti fatti lo hanno dimostrato, l'inchiesta mascherata si è rilevata un mezzo molto valido. Si vuole continuare su questa strada? Bisognerà allora cambiare totalmente mentalità e ciò ad ogni livello: in seno agli organi di Polizia, della Magistratura e dei politici. Caso contrario non dovremmo meravigliarci più di quel tanto se grosse organizzazioni criminali si saranno radicate nel territorio cantonale o nazionale.

Il nostro servizio ha ritenuto di coinvolgere lei in prima persona visto che, proprio lei è stato designato responsabile di alcune delle operazioni elencate in rubrica. Chiediamo quindi che sia lei ad estendere il nostro pensiero a chi di dovere e di competenza. Una presa di posizione, una volta tanto, chiara e con conseguente risposta scritta, non si può più rimandare. Siamo fiduciosi e crediamo nelle Istituzioni: la volontà e l'impegno nostri sono assicurati. Chiediamo solo che ci venga data la possibilità di continuare ad operare con la necessaria tranquillità e serenità. Un'ultima cosa: non rientra nelle nostre ambizioni la pretesa di risolvere o debellare un problema di portata mondiale come è quello della droga. Ci sia comunque messo a disposizione il minimo indispensabile per arginarlo, prima che deteriori - più di quanto lo abbia già fatto - la nostra intera società."

Ricorderai che, alcuni giorni dopo, circa il contenuto di questo rapporto, c'è stata una discussione alquanto vivace con l'allora comandante Dell'Ambrogio. Alla fine si decise di continuare con le inchieste mascherate nella speranza che qualche cosa cambiasse. Campa cavallo che l'erba cresce! In verità qualche cosa effettivamente e concretamente cambiò.... in peggio! La tanto sospirata schiarita lasciò spazio libero a dense e minacciose nuvole temporalesche e mi trovai in un buio cupo costretto a procedere a tastoni. È proprio il caso di dire che "si stava meglio quando si stava peggio." Me ne accorsi, sperimentandolo sulla mia pelle, accettando di continuare il lavoro sotto copertura dell'operazione, appena avviata, "Mato Grosso". Gravissimo errore, avrei dovuto mandare a quel paese te e comandante, come d'altronde avevo iniziato a fare (ti ricordi?) nel corso della discussione.

Rammenterai che fu proprio il comandate Dell'Ambrogio a calmarmi dandomi
amichevolmente alcune pacche sulle spalle. Se, ipoteticamente, vi avessi buttato tutti e due fuori dalla finestra, ora starei fisicamente, moralmente e materialmente, meglio, molto meglio !!!

Contavo molto sul tuo pieno appoggio e sulla tua fiducia. Sei stato abile a farmelo credere. Mi sono sentito tradito e deluso mettendoti in disparte nei momenti cruciali, allorquando il tuo pieno appoggio sarebbe stato determinante e risolutorio. Almeno ti fossi limitato a rimanere impassibile come hai fatto. Invece hai contribuito ad annientarmi andando a raccontare, personalmente, tutti quei pettegolezzi che avevi raccolto e preso come oro colato, al Comandante Dell'Ambrogio, dimostrandogli nel contempo la tua totale sfiducia nei miei confronti. E in quel periodo, pur fra mille difficoltà, io continuavo il mio lavoro, sempre alla ricerca del prossimo anello di congiunzione con l'intento di avere un mosaico il più completo possibile.

In quest'ottica, Fasanotti e Ceretta erano due pedine fondamentali. Tempestivamente li avevo segnalati ai nostri uffici di Bellinzona direttamente dal Brasile. Soprattutto il Fasanotti che godeva di importanti appoggi a Zurigo dove aveva già piazzato diversi e svariati kg di cocaina e dove, in un istituto bancario, depositava i proventi dei suoi loschi traffici. Era in combutta con il garagista Pola Agostino (noto, preparava le macchine con doppio fondo, per il trasporto della droga dalla Spagna alla Svizzera) che a sua volta intratteneva stretti rapporti con un personaggio, un autista professionale (al momento non faccio il nome). Tra l'altro il nome del Fasanotti era apparso in una maxi-inchiesta condotta dal "New Scotland Yard" di Londra per una sequela impressionante di reati. Il citato autista professionale ebbe modo di trasportare diversi clienti, gravemente indiziati di riciclaggio di enormi somme di denaro (inchiesta in mano alle autorità del Canton Vaud), dall'aeroporto di Zurigo-Kloten negli uffici di un noto professionista già emerso nella vicenda dei fratelli Magharian rispettivamente al centro dello scandalo Kopp.

Gli informatori, fin tanto che ebbi la possibilità di tenerli sotto controllo e di dirigerli convenientemente, si comportarono entro i limiti legali. Non ho mai permesso che commettessero sconcerie tipo quelle che conosciamo. Mi hanno trasmesso alcune informazioni e mi hanno, dietro mia precisa richiesta, introdotto nel giro di alcuni personaggi che mi interessavano. Questo per quanto attiene il Franco Fumarola e il Guillermo Bravo detto "Carlos". Pur essendo amici del Rudy Steiner non ho mai voluto che i tre agissero insieme, fintanto che la PP Del Ponte non avesse preso una decisione in merito al mandato d'arresto di quest'ultimo. Con Rudy Steiner ho parlato diverse volte, unicamente per ottenere il massimo possibile delle informazioni. E ho fatto il tutto con assoluta trasparenza.

Dovresti sapere che quella dell'informatore è una figura indispensabile quanto problematica. Esiste tutta una tipologia degli informatori. Con questa parola si intendono:
- privati cittadini che hanno assistito a eventi significativi o sono entrati accidentalmente in possesso di informazioni rilevanti;
- persone che forniscono informazioni alla polizia a titolo amichevole;
- persone che propongono informazioni unicamente in cambio di denaro, i cosiddetti "cacciatori di taglie";
- sospettati o pregiudicati che, oltre ad essere alla "caccia di denaro", cercano di negoziare o coprire la loro attività illegale in cambio di informazioni.

La maggior parte delle inchieste "undercover" nascono da rivelazioni fornite alla polizia da informatori appartenenti a questa tipologia, segnatamente da elementi dalle caratteristiche comportamentali che rientrano negli ultimi due punti testé descritti.
È possibile, senza definire nei dettagli i criteri direttivi da adottare di fronte agli informatori, illustrare alcune norme di base:
- l'informatore non deve creare esso stesso l'occasione delittuosa e di conseguenza l'informazione;
- la credibilità dell'informatore e dell'informazione da lui fornita vanno analizzate e verificate con occhio attento ed esperto, cosa che pochissimi sanno fare;
- mantenere il controllo della situazione evitando in particolare travasi di informazione dalla polizia verso l'informatore stesso, altra cosa che pochissimi sanno fare;
- una volta acquisita la fiducia dell'organizzazione criminosa, estromettere, con i dovuti criteri, astuzia e diplomazia, l'informatore o limitarne per quanto possibile il ruolo e la funzione;
- affiancare costantemente un funzionario all'informatore, sin dalle prime mosse, per non perderne il controllo.

In conclusione occorre tener presente che l'informatore non è la persona che garantisce il buon esito dell'operazione. Oltre alla gestione, nei termini citati, della "talpa" l'inchiesta trae il suo successo, legale, da un consistente, serio, lavoro tecnico e da una particolare predisposizione intellettuale affiancata da un'adeguata preparazione specialistica.

Il professor Girodò, docente di psicologia dell'Università di Ottawa e membro della commissione esaminatrice per il reclutamento degli agenti "undercover" del Canada, afferma che nel suo Paese "... la scelta dei candidati si base su persone che già hanno esperienza nel campo di polizia giudiziaria, provata, con attitudini intellettuali superiori alla media...".

Quando iniziai l'operazione "Mato Grosso" avevo alle mie spalle una lunghissima esperienza acquisita da un impressionante (che ti voglio ricordare) curriculum professionale specifico. E non era la prima volta che mi trovavo al cospetto di quella particolare categoria di informatori più sopra citata. Avevo, risultati alla mano, una provata esperienza nella difficile gestione di siffatti personaggi, come dimostra questo breve curricolo professionale.

Nel 1969 mi sono iscritto all'Accademia di polizia, che ho frequentato a partire dal 1. novembre di quell'anno, fino alla conclusione dei corsi, a fine giugno del 1970. Sono stato assegnato al Posto di gendarmeria di Locarno. Nel 1973, dopo aver frequentato un corso speciale dell'Antiterrorismo a Ginevra, sono stato impiegato, quale agente speciale di sicurezza, sui voli di linea Swissair. Per circa 4 mesi ho svolto questo servizio viaggiando in tutto il mondo e collaborando con le polizie di numerosi paesi. Nel maggio del 1975 dalla Gendarmeria sono passato al Servizio antidroga di Locarno del quale sono divenuto responsabile. Con queste mansioni ho operato per dieci anni esatti, fino al mese di maggio del 1985. Durante il periodo locarnese ho avuto modo di occuparmi dei mille problemi legati al mondo della droga: le difficoltà dei tossicodipendenti, che spesso chiedevano aiuti più simili a quelli dei servizi sociali che non a quelli tradizionalmente considerati "di polizia". Mi sono confrontato con i piccoli spacciatori locali, con i venditori di droga italiani che giungevano in Ticino durante il fine settimana, con i "distributori" di media portata fino ad arrivare a personaggi di grande portata nell'ambito di questo squallido e crudele commercio. Le inchieste che mi hanno impegnato in prima persona, durante questo periodo locarnese, sono innumerevoli:

- quella sui fratelli Martinoni (traffico di 40 chili di hascish e 1 chilo di oppiacei);

- quella che ebbe per protagonista il giovane boliviano Roberto Suarez, figlio del monopolista della cocaina di quei tempi, fu uno dei primi lavori eseguiti "sotto copertura" in collaborazione con i servizi americani della DEA. Operammo sul triangolo Ticino, New York, Miami. Riuscimmo a sequestrare 600 chili di cocaina a Miami e a scoprire con quali modalità l'organizzazione approfittava delle strutture bancarie elvetiche, segnatamente ticinesi, per riciclare una parte dei proventi. Suarez Jr. fu arrestato a Locarno dove si muoveva sotto falsa identità. Fu poi estradato negli States. Un caso che fece giurisprudenza poiché spinse il Tribunale federale a prendere posizione in senso favorevole riguardo al lavoro "sotto copertura" svolto soprattutto negli Stati uniti.

- un'altra inchiesta di spicco fu quella a carico del noto politico e municipale di Ascona Stelio Stevenoni, legato indirettamente alla faccenda Suarez. Stevenoni fu condannato per traffico di cocaina e alcuni reati minori a 7 anni di reclusione.

- su un altro fronte, quello dei traffici di eroina proveniente dai mercati orientali, segnalo l'inchiesta "Haldi Elisabeth e Roger", una coppia che si occupava di autotrasporti nel canton Soletta e che disponeva di una casa di vacanza a Gordevio. Anche questo fu un lavoro "undercover" svolto in stretta collaborazione con il Bundeskriminalamt di Wiesbaden (BKA). Un "affare" di 10 chili di eroina e 50 di hascish.

- Parallelamente ho svolto l'inchiesta a carico dello spagnolo Pedro Alarcon, personaggio che era fuggito dal famigerato carcere di Burgos. Scoprimmo che Alarcon, dopo una lunga latitanza, si era rifugiato in Valle Maggia dove rimase per 3-4 mesi, portando a segno una serie impressionante di reati gravi: traffico di cocaina, eroina, lsd, assassinio, diverse rapine a mano armata, una lunga serie di furti con scasso, spaccio di monete false, falso in documenti, traffico di armi ... L'abitazione valmaggese era stata trasformata in una base operativa e in un vero e proprio arsenale.

- Anche il "caso Foglia", dal nome della principale protagonista, fece clamore nel nostro Cantone e soprattutto a Locarno. La donna fu riconosciuta colpevole del traffico di alcuni chili di cocaina e di eroina. Fu condannata a 11 anni di reclusione. L'inchiesta coinvolse anche, quale destinatario di una parte della cocaina, il discusso leader della Lega dei ticinesi Giuliano Bignasca.

- L'ultima inchiesta, fra quelle che mi impegnarono maggiormente durante il mio servizio alla testa dell'antidroga locarnese, fu quella a carico di Walter Piazzi, cittadino italiano residente da anni in Colombia. Attraverso il Ticino transitarono centinaia di chili di cocaina destinate alla n'drangheta calabrese notoriamente alleata di Cosa nostra. Piazzi ingaggiava ragazzi di Locarno e degli altri centri ticinesi per trasportare la droga verso l'Italia. Fu condannato a 17 anni di reclusione.

Nel maggio 1985 ebbi una formidabile occasione per mettere a frutto l'esperienza acquisita in quel periodo, fui infatti assegnato al Comando della polizia cantonale, Servizio informazioni droga (SID), dove costituii un gruppo speciale con l'intento di mettere a frutto in modo ottimale le conoscenze acquisite in precedenza. Il servizio, tuttora attivo, si occupa in particolare di inchieste con risvolti internazionali e di tutte le attività sotto copertura. In quest'ambito ho ottenuto dei grossi successi operando in diversi paesi (Italia, Germania, Olanda, Belgio, Inghilterra, Francia, Turchia, Tailandia, Stati uniti d'America, Canada, diversi paesi dell'america latina, Austria...).

Le principali inchieste "undercover":

- Il "caso dei 100 chili di eroina di Bellinzona"

- la cosiddetta "lebanon connection" che ebbe clamorosi e sorprendenti conseguenze nel "caso Kopp".

- Il caso connesso del turco Nurettin Goven che arrestammo a Graz (A) con 40 chili di eroina.

- Il sequestro di 50 chili di eroina che un gruppo turco stava trafficando in Belgio. Un altro "nucleo" criminale fu arrestato a Milano con 60 chili della stessa sostanza.

- la vicenda del turco Hamza Turkuresin, pure legata alla "lebanon connection" e ad altre importanti inchieste italiane. Il turco era divenuto "agente" per conto della nota famiglia Morabito della n'drangheta di Platì (Calabria). L'inchiesta ci portò in Belgio, a Zeebrugge, dove potemmo togliere dal mercato 100 chili di cocaina nascosti sotto una nave mercantile. L'inchiesta ebbe un tragico risvolto a Losone, dove fu ucciso l'informatore Alessandro Troja e dove rischiai personalmente la stessa fine.

- Il caso "Morias", un ex capitano dei servizi antidroga peruviani, che aveva certi interessi in Svizzera. Lo arrestammo in Francia con 480 chili di cocaina.

- Il notissimo "caso Escobar", dal nome del giovane narcotrafficante, figlio del primo "cavaliere della coca" estradato negli States dalla Colombia. Anche in questa inchiesta presi dei grossi rischi, lo scoprì la polizia di Madrid quando intercettò, ed ebbe un conflitto a fuoco, con 3 killer che avevano ricevuto l'ordine di eliminarmi. Uno di loro rimase ucciso nello scontro. Aveva con se la mia descrizione, il mio nome di copertura e il gruppo già disponeva di appoggi in Svizzera per mettere in atto il suo piano.

- Parallelamente gestii l'indagine a carico di Mario Calderon Barrera, amico di Escobar. Operammo su una moltitudine di fronti: Svizzera (Ticino e Canton Vaud), Spagna, Germania e Olanda. In totale sequestrammo più di 3 tonnellate di cocaina.

- Da questo lavoro nacque poi la conosciuta indagine finanziaria battezzata "Octopus". Furono sequestrate pietre preziose per oltre 2 milioni di franchi e furono ricostruiti i meccanismi di riciclaggio per circa 10 milioni di dollari.

- Il "caso Navarrete", personaggio sorpreso a Lugano mentre stava effettuando una transazione di oltre un milione di franchi svizzeri provenienti dal traffico di cocaina.

- Il cosiddetto "caso dei 15 chili di eroina" scoperti e sequestrati a Lugano, con il coinvolgimento di una banda turca che faceva capo a tale Nevzat Ozdemir residente a Agno. Un informatore che collaborava con i servizi italiani e, nel caso specifico, con me, fu ucciso con il crudele timbro mafioso dell'"incaprettamento". Anche in questa occasione si soprì che l'organizzazione aveva teso una trappola per togliermi di mezzo e vendicarsi. Un collega aveva segnalato per iscritto che la vita dell'informatore e la mia stessa esistenza erano in grave pericolo. Queste informazioni erano contenute in un rapporto consegnato tre giorni prima dell'assassinio avvenuto a Milano, nei pressi di viale Zara.

- Infine l'"operazione Mato Grosso". Un'inchiesta che ha reso possibili sequestri di parecchie tonnellate di cocaina e l'identificazione di centinaia di conti bancari utilizzati per il riciclaggio. Su questi conti scoprii, in collaborazione con la DEA e la Polizia federale brasiliana, il passaggio di parecchie centinaia di milioni di dollari sporchi. Purtroppo, simile immenso patrimonio investigativo è stato malamente sciupato.

Come detto è praticamente impossibile, per me, fornire un elenco completo delle inchieste nelle quali ho investito le mie energie. Dopo aver persorso tutti i gradini della gerarchia professionale (gendarme, appuntato, caporale, agente PS, agente PS I, ispettore, commissario) ho attualmente il grado di COMMISSARIO AGGIUNTO.

Riconoscimenti:

Indico unicamente quelli che considero maggiormente significativi.

- PREMIO MERITO ALL'ONORE dell'Associazione internazionale degli ufficiali di polizia antinarcotici (INEOA). Agosto 1987. Orlando, Florida, USA. Riconoscimento ricevuto con l'allora procuratore pubblico Dick Marty.

- PREMIO MERITO ALL'ONORE del Dipartimento di Giustizia del Governo degli Stati uniti d'America. Novembre 1987, Washington D.C. . Premio pure ricevuto a fianco dell'on. Marty. L'onorificenza fu consegnata dal direttore della DEA, Jack Lawn, in occasione di un ricevimento alla Casa Bianca alla presenza del Presidente degli Stati Uniti, Ronald Reagan.

- RICONOSCENZA SPECIALE PER L'ATTIVITA' CONTRO IL NARCOTRAFFICO da parte del Federal Bureau of Investigation (FBI), Berna, estate 1988.

- RICONOSCENZA SPECIALE PER L'ATTIVITA' CONTRO IL NARCOTRAFFICO da parte del Bundeskriminalamt (BKA) di Wiesbaden, 1990.

- Due ATTESTAZIONI DI RICONOSCENZA per il lavoro svolto. Da parte del Segretariato Generale Interpol (SGI), Lione, febbraio 1990 e marzo 1991.

Altri riconoscimenti simili sono giunti da Italia, Olanda, Belgio e Canada.

Dal 1977, fino al momento in cui ho cessato, per motivi di salute, l'attività, ho inoltre rappresentato il Ticino nel Gruppo di lavoro permanente intercantonale che si riuniva periodicamente, a Berna, sotto la direzione del Ministero pubblico della Confederazione.

Nel 1990 il Consiglio Federale, attraverso il Dipartimento di Giustizia e Polizia, mi aveva designato rappresentante per la Svizzera nel gruppo internazionale di lavoro per il coordinamento delle indagini sotto copertura che si riuniva periodicamente nelle capitali dei paesi affiliati. A seguito dell'azione denigratoria e deligittimante, portata avanti dai servizi francesi con il sostegno dei nostri, sono stato, ingiustamente, estromesso dal gruppo. Nel contempo, ho preso atto che un funzionario corrotto, come il comm. Lecorff (OCTRIS Parigi), ha continuato a farne parte.

Chiusa questa dovuta parentesi, ritorno al filo del discorso che avevo lasciato sulla figura degli informatori. L'irrefrenabile avidità di voler far denaro a tutti i costi li portò a commettere delle vere e proprie piraterie. Dal trafficante e ricettatore italiano, residente da anni a Rio de Janeiro, il Nino Esposito tanto per intenderci, titolare di conti bancari denominati "Venus" accesi presso la Discount Bank di Lugano e la omonima filiale di Zurigo, si fecero consegnare, con la promessa di un pagamento futuro (mai avvenuto), una serie di gioielli, provento di furti e rapine, per un valore di circa 30.000 dollari USA. Con fatica riuscii a contenere le pretese del Nino Esposito il quale voleva, pretendeva, che fossi io a rifondere la quota dei valori eclissati. Non ti parlo poi dei rischi che mi hanno fatto correre. È facilmente intuibile. Già ti ho detto dell'uso della gioielleria dove lavorava mia moglie. Utilizzavo le strutture di tale lussuoso negozio per alimentare la convinzione, nei narcotrafficanti, che ero un facoltoso malvivente. Ebbene, approfittando della fiducia che si era creata, Franco Fumarola e Guillermo Bravo detto "Carlos", non esitarono ad avvantaggiarsi della favorevole occasione facendosi consegnare, a credito, gioielli vari per un importo di 8.500 dollari USA, poi divisi con il Giancarlo Egidio Oliverio alias "Rudy Steiner".

Immediatamente dopo tali fatti, avvenuti in rapida successione nello spazio di ventiquattro ore, sparirono dalla circolazione. Si rifugiarono a Parigi, "chez OCTRIS". Dal terzo, che era a San Paolo, mi feci rifondere, dopo numerose insistenze, lo scoperto che avevo anticipato di persona al negozio pagando con degli Eurocheques, per non pregiudicare il lavoro e anche per salvare la faccia.

Di questi comportamenti sleali e pirateschi, nei confronti sia del negozio sia dell'Esposito, ne fu testimone anche il vostro "nouveau enfant prodige" Sergio Azzoni. Tuttavia, forte del fatto che avevo, nel rispetto delle norme comportamentali descritte, evitato travasi di informazioni verso gli informatori (Azzoni incluso), ero cosciente che il loro allontanamento non poteva assolutamente compromettere il buon esito dell'operazione in corso.

La svolta decisiva, in senso negativo, è iniziata immediatamente dopo il naufragio dei prefissati traguardi che si dovevano e si potevano raggiungere con la riunione internazionale di Berna, rivelatasi poi, per la tua incompetenza (ti sfido a dimostrare il contrario), scabrosa e sconcertante. Era la tua grande occasione, doveva brillare la tua perspicacia, sinonimo di penetrazione, sottigliezza, acume, accortezza, astuzia, acutezza, avvedutezza, intuito, finezza, intelligenza, lucidità e sagacia: hai invece lasciato spazio all'oscurità e la tanto attesa perspicacia si è tramutata in lentezza, ottusità, ebetismo e sprovvedutezza. È stato l'inizio... della fine.

I rappresentanti, deviati, dell'OCTRIS di Parigi (commissario Lecorff e congrega, vera e propria accozzaglia di delinquenti internazionali legalizzati), inaspettatamente si sono trovati davanti la strada spianata per mettere in atto le perverse e corrotte operazioni "Nizza 1 e Nizza 2" che, paradossalmente, la lacunosa riunione, da te maldestramente diretta, aveva preparato. Li vedremo più dettagliatamente in seguito, tali fatti.

Il 14.1.1992 il commissario Lecorff comunicò al nostro Ministero Pubblico Federale, facendo proprie le dicerie di Franco Fumarola, che il trio di informatori non aveva più intenzione di lavorare con il sottoscritto poiché, a loro dire, frequentavo una donna qualificata come "prostituta". Gli informatori ritenevano che ciò costituisse un pericolo e si rifiutavano di prestare collaborazione con il sottoscritto. Ma di quale collaborazione parlavano se erano già diversi e svariati mesi (inizio aprile 91, dopo le piraterie accennate) che erano spariti dalla circolazione? Semplici banalità e puerilità sulle quali taluni (troppi), a piacimento e per convenienza, hanno costruito una marea di maldicenze e di pettegolezzi.

Le dicerie, diffuse un po' ovunque, praticamente in tutto il Mondo (dove ero, e lo sono tuttora, molto conosciuto) e, peggio ancora, in Svizzera e in Ticino, hanno avuto un effetto devastante sulla mia figura professionale che fu completamente deligittimata. In realtà è stata incredibilmente strumentalizzata la relazione sentimentale con la mia attuale moglie Isabel Maria, colpevole di essere rimasta al mio fianco a combattere una giusta causa. È impressionante la facilità con la quale è stata gettata alle ortiche un'inchiesta di grande importanza in nome di pettegolezzi usciti dalle bocche di ciarlatane comari ottocentesche. Mi sentivo completamente disorientato, solo, abbandonato, calpestato, infangato, umiliato e tradito. Ero totalmente paralizzato, confuso, non riuscivo più a ragionare. Eravamo agli inizi del 1992. Quell'anno lo passai all'Università di Losanna. È stata la mia salvezza perché avevo meditato, seriamente ed intensamente, il suicidio. Avevo perso tutto: casa, famiglia, mamma e fratelli. Il periodo trascorso all'Università mi aiutò a sollevarmi un poco dalle tremende angoscie che mi soffocavano e dalle ansie e timori astratti che mi opprimevano. Riuscii quantomeno, aiutato da pochi (ma buoni) amici rimasti fedeli, a capire cosa era successo ed a scoprire le sporche manovre messe in atto dai miei ex colleghi, il tutto raccolto nel noto rapporto di denuncia indirizzato al Consiglio di Stato, al Ministero Pubblico Federale, al Ministero Pubblico Cantonale e al Comando Polizia, steso in data 27.11.1992. Rapporto poi sfociato nella conosciuta inchiesta amministrativa.

Alcuni giorni prima c'era stato un tentativo di conciliazione con i colleghi d'ufficio. Spero ti ricorderai di quella triste riunione, da te presieduta, dove tutti si sono schierati contro il sottoscritto chiudendosi, nel contempo, a riccio per proteggere il "grande accusatore" Azzoni, venditore di fumo nella circostanza. Non sei stato imparziale, neutrale, non hai sentito le parti in causa con equità, obiettività e serenità, come lo sarebbe stato un buon giudice. Ti sei scandalizzato dalla montagna di scemenze dette dall'Azzoni; le hai prese per vere come se fossero state dette dal depositario della verità! Tant'è vero che, ad un certo momento, mi sono alzato e, indignato, ho lasciato quel "processo" dall'esito già scontato. Dovetti anche subire l'aggressione, verbale, di Galusero, che arrivò al punto di minacciarmi di conseguenze, fisiche, assai pesanti. Galusero che, fino a un po'di tempo prima, aveva pubblicamente biasimato il comportamento di Azzoni, definendolo un demente.

Cosa era successo e cosa mi aveva spinto ad allestire il rapporto di denuncia del 27.11.1992, lo sai meglio di me. Avevo la supervisione dell'operazione "Mato Grosso" e mi competeva la responsabilità, come sempre avevo fatto in passate e numerose operazioni, di sorvegliare per evitare qualsiasi irregolarità. Quando l'inchiesta mi fu tolta dalle mani dal Comandante Dell'Ambrogio, che aveva creduto a tutte le baggianate che tu e altri gli avevate riportato, i servizi francesi, gli informatori nonché elementi deviati della polizia federale brasiliana, ebbero la via spianata. Si inserirono fra fornitori e acquirenti sostituendo ed eliminando i reali fornitori all'origine del traffico di droga, di cocaina per l'esattezza. Furono gli informatori stessi, in pieno accordo con poliziotti francesi e brasiliani, a trasportare 60 kg di cocaina dal Brasile alla Francia.

E lo sai anche tu che la droga non proveniva dai cartelli colombiani o da qualche raffineria dell'immensa regione brasiliana Mato Grosso. Tale conferma la si legge, tra l'altro, tra le righe del rapporto del Ministero Pubblico Federale datato 27 aprile 1992, che a tal proposito, a pagina 6, riferisce: "... tale quantità di droga è stata messa a disposizione a Carlos e Rudy Steiner (i conosciuti informatori) da Marco Cavaliero, vice capo della Polizia Federale Antidroga Brasiliana, che l'aveva prelevata dai suoi depositi...". Cavaliero era il sostituto di Romeo Tuma, vice presidente di una setta religiosa, tuttora sotto inchiesta per traffici internazionali di cocaina!!! I funzionari brasiliani e francesi falsificarono anche le carte facendo apparire il tutto come una cosiddetta consegna controllata. La cocaina venne poi venduta dagli informatori, con la sorveglianza dei servizi francesi, a Fasanotti, Ceretta e compagnia. Incassarono circa 800.000 dollari USA che divisero fra loro, poliziotti compresi. Il dileguamento degli informatori, al momento della consegna della droga a Fasanotti e compagnia, trova poi una infantile spiegazione nel rapporto francese che, riferendosi a quanto avvenuto a Nizza, sostanzialmente dice: ".. sfortunatamente al momento di arrestare, oltre agli acquirenti, anche i fornitori, questi si erano già dileguati da pochi minuti...". E pensare che era stato messo in atto un massiccio dispositivo di sorveglianza. Una barzelletta da.... far piangere! Volevano far apparire legale un traffico di droga attuato da informatori e ufficiali di polizia. Prima ancora del Ministero Pubblico Federale, avevo provveduto io stesso a mettere sull'attenti i miei ex colleghi e superiori: di non mettere le mani in simili "operazioni" totalmente avverse alla legalità. Li avevo invitati a non partecipare, chiudendo gli occhi davanti alla realtà, a traffici di droga, "operazioni" con tutti i crismi dell'illegalità, che venivano commessi da funzionari di polizia stranieri. Il già citato rapporto del Ministero Federale ha focalizzato il gravissimo reato commesso dai servizi francesi, brasiliani e dagli informatori. Anche i nostri ne erano a conoscenza. L'avvertimento, il monito, del Ministero Pubblico Federale, era molto chiaro ed esplicito. Metteva bene in risalto questa delicata situazione avvertendo i Cantoni affinché non rimanessero invischiati in simili "operazioni di polizia". Parole dette e scritte al vento che soffiava in un deserto. In modo particolare gli ammonimenti contenuti nella pagina 11 di tale rapporto: "... abbiamo cercato, in questo rapporto, di mettere in relazione l'insieme dei fatti e delle informazioni importanti che ci sono state comunicate. Non è nostro compito esprimere giudizi sul modo di operare e di agire di certi servizi stranieri di polizia coi quali noi dovremo comunque continuare a lavorare nel quadro di altre inchieste. Ci sembra per contro particolarmente importante che tali elementi siano portati a conoscenza dei servizi e delle autorità coinvolti nella presente operazione Mato Grosso per far sì che se ne traggano i dovuti insegnamenti per il futuro e per l'attuazione di simili operazioni...".

Purtroppo nella perversa operazione che abbiamo chiamato "Nizza 1" era già stata abbozzata l'idea dell'ancor più malsana e malversa operazione "Nizza 2", poiché le sorveglianze rivelarono la presenza, nella zona delle transazioni, di un'autovettura con targhe ginevrine intestata a tale Paolo Tarditi, poi identificato nel latitante Sergio Bonacina, una vecchia conoscenza dell'Autorità giudiziaria ticinese sul quale pendevano ben due mandati di cattura internazionali per gravi reati legati al traffico di sostanze stupefacenti.

Sempre nel documento del Ministero Federale, a pagina 10, si legge che: "... il 6 aprile 1992 a Berna si è tenuta una riunione di lavoro al fine di definire il seguito dell'operazione concernente l'affare Bonacina Sergio. L'Italia, la Francia, i cantoni Ticino, Vaud e Ginevra e il nostro ufficio hanno partecipato a questa riunione. Dalla discussione è emerso che i servizi francesi erano fortemente interessati a infiltrare un loro agente, non un funzionario di polizia, bensì l'informatore Franco Fumarola, con lo scopo di fare una consegna di 150 kg di cocaina a destinazione del Bonacina Sergio. Per poter realizzare il contatto era però necessario che il Ticino fungesse da intermediario per fornire "la chiave d'entrata" (...) Incidentalmente abbiamo saputo, al di fuori della riunione, che la fonte dei 150 kg di cocaina era il nominato Guillermo Bravo detto Carlos (Ndr: altro informatore)...".

Malgrado gli avvertimenti del Ministero Pubblico Federale e perfettamente al corrente di tutti i risvolti più sopra elencati, sapendo dunque che stavano commettendo un atto altamente illegale, Azzoni venne inviato dapprima in Brasile e poi a Parigi e a Nizza per partecipare, con i francesi, all'attuazione del "piano Bonacina". I nostri servizi, oltre a contattare i collaterali francesi, si misero in diretta relazione con gli informatori, dando loro precise disposizioni, creando di conseguenza il diretto contatto con i coniugi Bonacina. L'informatore Guillermo Bravo, detto Carlos, venne piazzato presso l'Hotel Concorde Lafayette sotto la falsa identità di Hernan Carlo Soto. Venne così ripetuto il copione, già visto, della prima operazione, con la differenza notevole del chiaro, rilevante nonchè documentato, coinvolgimento dei nostri servizi.

È stata, quella dei nostri servizi, un'attiva e frenetica partecipazione dall'inizio alla fine, in tutte le sue fasi e in tutti i sensi, con scienza e coscienza, ben sapendo che stavano commettendo un reato gravissimo. Basti pensare che il caro Azzoni ha perfino partecipato direttamente al lavoro sotto copertura!! Dai diari e dai manoscritti redatti durante "l'operazione" emergono contingenze di estrema gravità. Da queste annotazioni traspare con chiarezza assoluta la partecipazione attiva dei nostri servizi. La circostanza è d'altronde attestata dal fatto che la polizia ticinese ha sostenuto le spese di tale gravissima farsa.

E ti dirò di più. Ai coniugi Bonacina è stata consegnata cocaina in due precise circostanze: una prima volta 5 kg a Parigi che i Bonacina, evidentemente, hanno pagato. Ma, si sa, per gli avvoltoi, morti di fame, era ben poca cosa. Volevano un'entrata più sostanziosa, più appetibile, la fame era tanta! Di conseguenza programmarono un'altra consegna, a Nizza, una decina di giorni più tardi. In quell'occasione, i Bonacina, ricevettero e pagarono, 50 kg di cocaina. Furono arrestati e, manco a dirlo, malgrado le imponenti misure di sorveglianza, "i fornitori di origine sudamericana riuscirono a sottrarsi all'arresto". Così, testualmente, si legge ancora nei rapporti francesi allestiti per questo evento. "Sequestrati ben 50 kg di cocaina", magnifica, eccezionale, strepitosa e grandiosa operazione antidroga della nostra Polizia, in collaborazione con altre. Questi sono stati i commenti dei media. Il nostro Comando, aveva infatti rivendicato la paternità, con un comunicato ufficiale, la buona riuscita dell'"operazione" che aveva permesso l'arresto del latitante Bonacina. Non dimenticare che il Bonacina era colpito, da anni, da due mandati d'arresto internazionali, per enormi traffici di droga, emessi dalle nostre Autorità Giudiziarie.

Perché mai, allora, non lo si è arrestato prima? I nostri servizi sapevano dove si trovava. Era proprio necessario che funzionari di polizia ticinesi commettessero un gravissimo reato, rimanendo impuniti, per "provare" che il Bonacina fosse un trafficante di droga? Bisogna forse commissionare un omicidio ad un conosciuto, identificato e accertato come tale, "serial killer" per dimostrare che è un assassino? Che fine hanno fatto i 5 kg venduti la prima volta? Dato il tempo trascorso fra le due consegne, circa dieci giorni, è facile suppore che siano stati immessi sul mercato di dettaglio, finiti nelle vene, o nei nasi, di parecchi consumatori.

Se poi pensiamo alle statistiche che vengono allestite ogni qualvolta viene effettuato un sequestro, mi vien da ridere istintivamente. Di fatto, come in un circolo vizioso, lo stesso quantitativo viene sequestrato un'infinità di volte e, di conseguenza, i fondamentali valori e criteri statistici, vengono travisati dando un'immagine surreale della situazione. E poi, tutti i dati, con i relativi numerini, vengono distribuiti a tutti i livelli, ai media, ai politici, alle organizzazioni internazionali preposte alla lotta contro il traffico di droga come l'ONU, il Segretariato Generale d'Interpol, l'Undercover World Group, la DEA, l'FBI ecc, e usati per svariati intenti e scopi che si possono facilmente leggere senza doverli scrivere. Sembrerebbe un concetto utopistico, chimerico, invece è quello che realmente succede. Non ti sembra grave e scandaloso tutto ciò?

L'inchiesta amministrativa non si è addentrata in questo campo, non ha affrontato gli aspetti principali che ho denunciato, che denuncio tuttora e che continuerò a denunciare finchè avrò fiato. Ha solo precisato che i funzionari di polizia ticinesi hanno partecipato, marginalmente, con l'interesse di scoprire eventuali conti bancari intestati al Bonacina. Puerile e banale giustificazione!!

Si dimentica facilmente che, un simile eventuale risultato, lo si sarebbe potuto scoprire con il semplice arresto del Bonacina, quando era stato identificato e quando era noto il suo indirizzo, molti giorni prima dell'attuazione di un siffatto crimine. Nemmeno si è tenuto conto del risultato del processo, contro Bonacina e compagnia, celebratosi a Nizza.

Riducendo sensibilmente (massicciamente), in maniera clamorosa, le proposte avanzate dall'accusa, la Giuria, nella commisurazione delle pene, ha principalmente considerato, in misura predominante, la grave provocazione commessa da un branco di avidi e spregiudicati sciacalli. Non riesco a trovare altri aggettivi per definire personaggi del genere che, oltretutto, quando sussiste l'opportunità, con la compiacenza di funzionari di polizia, spogliano sistematicamente le vittime di tutti i loro beni mobili. Polizia francese (OCTRIS) e Procuratore Pubblico, quella specie di un vermiciattolo qual'è il tuo collega di Nizza che sosteneva l'accusa e che ha avuto il coraggio di definirmi, pubblicamente, vile e codardo, sono usciti sconfitti dal dibattimento processuale. È stata la mia grande vittoria, ottenuta e voluta, da solo contro tutti, contro un potente sistema istituzionale corrotto, come lo era quello della "grande" Francia.

Mi è stato detto che non si possono smantellare le Istituzioni. Sono perfettamente d'accordo. Non mi si dica però che non si può intervenire laddove il marciume è più che evidente. Sarebbe veramente preoccupante. Non sarebbe di buon auspicio per il nostro sistema istituzionale.

E ora, amico mio, come la mettiamo con il Bonacina? Verrà chiesta l'estradizione tenendo conto che, da noi, ha ancora dei conti in sospeso con la giustizia? Quando sarà scarcerato in Francia troverà alloggio nelle nostre carceri? Non dirmi che le passate responsabilità del Bonacina verranno suggellate con un non luogo a procedere in nome del principio, peraltro giusto e fondato quando ne sussistono le premesse, "ne bis in idem". Sarebbe veramente grottesco!

In Francia non è stato giudicato per i gravi reati commessi in Ticino, e altrove, che sono all'origine dei due mandati d'arresto internazionali citati. Lasciami anche dire che la sequela degli atti commessi dai nostri servizi nella gestione dell'affare Bonacina, visti i precedenti dell'"operazione Nizza 1", vanno ben oltre il puro e semplice comportamento superficiale (dolo eventuale). Si tratta, in questo caso, di un atto illecito, punibile dalle nostre legislazioni, commesso con premeditazione e con l'aggravante della funzione. Sbagliare è umano, perseverare è diabolico! In quel periodo, proprio a cavallo degli anni 1992 / 1993, al Comandante Dell'Ambrogio subentrò il tanto, da te, decantato Comandante Wermelinger che, messo alla prova, si è rivelato un totale fallimento. Un comandante che non comandava, anzi, che si lasciava comandare, senza nerbo, senza spina dorsale, un coniglio come te!!

Nel frattempo la situazione in Brasile si aggravava. La vita di mia moglie era seriamente in pericolo. Le minaccie si facevano forti e consistenti. Scrissi pertanto due dettagliati rapporti al Comandante Wermelinger, il primo datato 13.4.1993 e il secondo datato 8.6.1993, rapporti che trascrivo, qui di seguito, fedelmente.

Rapporto di segnalazione
Minacce intervenute dopo l'operazione Mato Grosso

Polizia del canton Ticino
Alla cortese attenzione del Comandante
Dott. Saverio Wermelinger

Bellinzona 13.4.93

Egregio sig. Comandante,
Come lei sa, a partire dal febbraio del 1991 sono stato incaricato dal Comando e dalla Procura pubblica di occuparmi dell'inchiesta denominata Mato Grosso. Al fine di identificare e rendere perseguibili gli organizzatori di numerosi e consistentissimi traffici di cocaina verso il nostro paese, mi sono recato più volte, sotto copertura, in Brasile, entrando in contatto con i trafficanti. A causa delle note divergenze sulla regolarità del mio accreditamento ho poi dovuto abbandonare bruscamente l'operazione. In precedenza era emerso chiaramente che i narcotrafficanti facenti capo alla famiglia Do Nascimento, all'onnipresente Aercio Nunes, ai fratelli Fabbrocini notoriamente legati alla camorra napoletana, stavano cercando di identificarmi con l'aiuto di alcuni avvocati elvetici chiaramente compromessi nel traffico di stupefacenti. Purtroppo devo constatare l'assoluta assenza di un lavoro di retrovia che avrebbe dovuto tutelare la mia sicurezza. Nessun collega ha proceduto a verificare quali modalità e quali contingenze avessero permesso ai narcotrafficanti di individuare la mia reale località ticinese di provenienza. A questa fonte di pericolo si è poi aggiunto il brusco disimpegno, disimpegno che si è svolto forzatamente al di fuori delle normali regole di conduzione di un'inchiesta mascherata. Le note oscure vicende che hanno avuto per protagonista l'ufficio dell'OCTRIS francese già menzionato altrove e i tre informatori scaduti a trafficanti costituiscono una terza, ulteriore, fonte di pericolo. Da alcuni giorni sono rientrato in Ticino affrontando i molti timori che offuscavano questo rientro. Purtroppo questi timori hanno trovato preoccupanti riscontri. Nemmeno ora mi sento al sicuro, tanto più che la mia vita è già stata ripetutamente messa in pericolo e molto concretamente minacciata da diverse organizzazioni. Constato tra l'altro che almeno un magistrato ticinese è stato dotato di scorta armata durante il periodo della mia assenza. Personalmente mi trovo ora ad affrontare, da solo, quei problemi di sicurezza che in passato non furono mai affrontati a fondo. Come noto durante l'operazione Mato Grosso sono entrato in contatto con la cittadina brasiliana che qui menzionerò come "A". Grazie al suo lavoro nel commercio A ha fornito un consistente contributo alla mia sicurezza ed alla creazione di quegli artifici che, purtroppo, sono ancora eccessivamente lasciati alla capacità di improvvisazione del singolo agente. A. mi ha inoltre aiutato nelle traduzioni dei materiali d'inchiesta, grazie al suo contributo ho potuto almeno osservare quei meccanismi che hanno permesso ai trafficanti di ottenere dati importantissimi riguardo alla mia identità. Dopo avermi fornito prove inconfutabili della sua affidabilità A. è divenuta, per me, molto più di una compagna occasionale d'inchiesta. Le fughe di informazioni e le sbavature con le quali sono stato confrontato durante la fase sotto copertura, hanno purtroppo avuto delle conseguenze, conseguenze che solo ora sono valutabili in tutta la loro gravità. Già dopo la fase undercover A. ricevette, attraverso i suoi genitori, numerose telefonate da parte di una sedicente giornalista della nota rivista Veja. La voce femminile al telefono chiedeva di contattare A. per conoscere l'operato del "poliziotto europeo" che era con lei. Evidentemente la figura del "poliziotto europeo" coincide con la mia persona. I genitori di A. si insospettirono soprattutto perché la sedicente giornalista rifiutava di lasciare qualsiasi recapito che permettesse di richiamarla. La stessa voce femminile si è rifatta viva, dopo mesi di silenzio, intorno allo scorso 20 marzo. Stavolta il tono e il contenuto della telefonata erano però sostanzialmente diversi: la voce chiedeva di incontrare A. per trasmetterle una citazione della procura federale brasiliana per "falsa testimonianza". Dopo aver verificato l'impossibilità di una simile situazione A. trasse la conclusione che potesse trattarsi si una telefonata intimidatoria con riferimento alla sua attività di traduttrice espletata durante l'operazione Mato grosso. La situazione si è ulteriormente chiarita, ed aggravata, in questi giorni. Lo scorso 30 marzo sono rientrato in Europa. Immediatamente il quotidiano la Regione ha pubblicato un servizio nel quale faceva esplicitamente riferimento al mio arrivo e al Brasile. Il giorno seguente è uscito lo scandaloso articolo del Blick, il 2 aprile è stata la volta del Corriere del Ticino che indicava come imminente il mio arrivo. Sabato 4, infine, ancora la Regione pubblicava ben due pagine sull'inchiesta amministrativa in corso lasciando intendere cose molto gravi a proposito dei contatti intrattenuti dal sottoscritto in terra brasiliana e indicando chiaramente che il mio rientro era avvenuto. Il giorno seguente, cioè domenica 4 aprile, i genitori di A. hanno ricevuto una prima serie di 2 telefonate, seguite da altre 3 nei giorni successivi. La voce era sempre la stessa, ma ancora una volta cambiava il contenuto: stavolta l'ignota interlocutrice diceva di essere la segretaria dell'avvocato Riccardo Bolos. Ebbene, Riccardo Bolos è una figura di grande importanza nell'ambito dei rilievi emersi dall'inchiesta Mato Grosso, un personaggio a stretto contatto con i narcotrafficanti indicati in precedenza. Il suo nome, tra l'altro, emergeva a stretto contatto con quell'Angelo Di Mauro che era stato protagonista di un'inchiesta del 1987. In quell'occasone, con un lavoro sotto copertura, avevo concretato l'arresto del Di Mauro. A carico dell'avvocato Bolos, che risultava presente a Basilea come sorvegliante dell'operazione criminosa, l'allora Procuratore pubblico sopracenerino Dick Marty aveva spiccato mandato di arresto internazionale. È molto curioso, inoltre, osservare che nell'ambito dell'operazione Di Mauro, emergeva anche il nome - falso - di tale Rosenthal che risulta oggi essere il noto Orlando Da Silva, personaggio attualmente incarcerato in Ticino per le vicende che hanno portato in carcere il defunto Anasco Villalon (traffico di 9 chili di cocaina). Da Silva è risultato, inoltre, in contatto con quell'Abilio, che nella sua dubbia veste di infiltrato della polizia civile brasiliana, risulta essere uno dei protagonisti della malaugurata operazione Bonacina, operazione che altrove ho chiamato "Nizza 2". Queste contingenze mi spingono ad alcune riflessioni: è molto probabile che le notizie pubblicate dalla stampa ticinese siano giunte, in tempo reale, in Brasile. Gli stessi dati collezionati durante l'inchiesta Mato Grosso mostravano con quale disponibilità alcuni avvocati elvetici si prestino ad aiutare i narcotrafficanti nel tentativo di identificare i poliziotti. È dunque provato che esistono numerosi canali di informazione che legano i narcotrafficanti sudamericani al Ticino e, in particolare, al Canton Ginevra. Noto inoltre che, pur rimanendo invariata la voce femminile delle telefonate, il contenuto di queste chiamate è variato puntualmente man mano che variava la situazione. Posso desumerne che i grossisti della cocaina temano un mio intervento chiarificatore di fronte alla commissione d'inchiesta. Fin qui trattasi di doverose riflessioni, di ragionamenti "cuciti" sulla base dei dati a disposizione. Vi è però una certezza, che scaturisce dal fatto che la voce femminile abbia pronunciato il nome, inconfutabile, dell'avvocato Bolos: i narcotrafficanti hanno identificato A. come collaboratrice del sottoscritto nell'ambito dell'inchiesta. Non è necessario, qui, che vi ricordi i pericoli insiti in un paese notoriamente attraversato da fenomeni di corruzione i cui esempi più lampanti sono emersi con la recente destituzione del capo della polizia federale Romeo Tuma nonché dello stesso presidente Collor. Sottolineo dunque l'urgenza di intervenire a protezione di A. e della figlioletta di 6 anni che le è stata affidata in occasione di un precedente divorzio. Sono convinto che la sola soluzione consista nello spostamento di A., anche se questa ipotesi contrasta duramente con i progetti esistenziali di A., che gode, nel suo paese, di una rispettabilissima collocazione professionale e sociale. Rimango a disposizione in qualsiasi momento per completare queste informazioni, per verificarne l'attendibilità e per valutare qualsiasi soluzione appaia praticabile. Devo aggiungere che queste circostanze mi appaiono, oltre che dolorose, anche imbarazzanti. Temo infatti che, con le tensioni sviluppatesi all'interno del mio servizio a seguito della malaugurata operazione di Nizza, qualcuno possa avere la crudeltà e l'insensibilità di rimproverarmi per aver chiesto allo Stato di risolvere un "mio" problema. Il dato essenziale è invece quello relativo al pericolo cui si trova esposta attualmente questa persona. Se l'inchiesta Mato Grosso non avesse avuto il ben noto esito negativo, avrei potuto tutelare in modo ben migliore la sicurezza mia e delle persone che mi hanno aiutato. Personalmente ho grande e piena fiducia nell'inchiesta amministrativa in corso. Tuttavia non potevo certo attendere l'esito di questa inchiesta trovandomi di fronte a situazioni di pericolo che sono preoccupantemente evolute in queste ultime ore.

Con grande stima

Comm. Fausto Cattaneo

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Rapporto di aggiornamento
Ulteriori minacce

Polizia del canton Ticino
Alla cortese attenzione del Comandante
Dott. Saverio Wermelinger

Bellinzona 8.6.93

Egregio signor Comandante,

Devo purtroppo aggiornare le segnalazioni contenute nel mio rapporto dello scorso 13 aprile con nuovi dati, dati che, purtroppo, per me, sono sempre più preoccupanti. Immediatamente dopo il 30 marzo, data del mio rientro in Ticino, la persona che menzionavo in quel rapporto con l'appellativo di "A", aveva ricevuto alcune telefonate chiaramente minacciose da una sedicente "segretaria dell'avvocato Bolos", uno fra i personaggi più rilevanti dell'organizzazione di narcotrafficanti emersa con l'indagine "Mato Grosso". A quel momento, come riferito nel rapporto del 13.4.93, avevo espresso il sospetto che tali minacce fossero in qualche modo conseguenza della campagna di stampa ostile e calunniosa che aveva accompagnato il mio arrivo dal Brasile. In seguito "A" ha dovuto subire altri episodi indicativi e chiaramente preoccupanti . A metà aprile un individuo si è presentato sul posto di lavoro di "A", cercando di scattare delle fotografìe. Due giorni dopo al suo domicilio si è fatto vivo un sedicente commesso, dicendo di dover consegnare un mazzo di fiori. Avendo constatato l'impossibilità di entrare in casa, l'individuo si è poi dato alla fuga. Evidentemente si trattava di una falsa consegna poiché nessun negoziante di fiori si è fatto vivo nei giorni successivi. Queste contingenze mi hanno seriamente preoccupato. Gli sviluppi menzionati hanno avuto luogo proprio quando le mie condizioni di salute erano assai precarie, cioè durante i giorni di permanenza in clinica. In tali condizioni, e a migliaia di chilometri di distanza, non potevo minimamente essere di aiuto ad "A" e ai suoi familiari, né potevo seriamente concentrarmi sui miei problemi di salute e abbandonarmi con un minimo di serenità alle cure mediche. Alcuni fraterni amici hanno quindi deciso di organizzare un particolarissimo regalo offrendo un viaggio in Ticino alla persona menzionata. In questo modo ritenevano di poter sbloccare una situazione di pericolo, dando temporaneamente sollievo al sottoscritto. Questi amici speravano di anticipare, con il loro contributo, i tempi di una "soluzione ufficiale", che attendo tuttora. Al momento attuale questi amici sono le sole persone che si siano occupate concretamente di quei problemi di sicurezza per i quali ero stato inviato negli USA nel dicembre del 1991. Ricordo brevemente queste vicende: L'uccisione dell'informatore Alessandro Troja avvenuta il 17.10.90; per puro caso mi trovavo nella stanza d'albergo e non con la vittima; Il ritrovamento di una lista di persone da eliminare sul cadavere di un narcotrafficante morto in uno scontro a fuoco con la polizia spagnola; il mio nome figurava sulla lista; La minaccia proferita dal teste Calderon durante il processo a Severo Escobar e coimputati (aveva con se una mia fotografia e il mio indirizzo esatto); L'uccisione tramite incaprettamento (preannunciata da un rapporto del comm. Bazzocco) dei turchi Ali Altimas e Nevzat Ozdemir nell'ambito dell'operazione undercover che portò al sequestro di 14,5 chili di eroina; le fughe di informazioni dovute all'impressionate grado di corruzione dell'autorità turca in occasione dell'operazione dei cento chili di Bellinzona; le telefonate dei narcotrafficanti brasiliani intercettate durante l'operazione Mato Grosso, telefonate che indicavano chiaramente i tentativi della famiglia Do Nascimento volti a una mia identificazione.

Come noto il mio ritiro avvenuto in occasione dello spoglio dei materiali sequestrati al cambista Jaime Hoffmann, ha fatto tornare la situazione al punto di partenza. Anzi, in queste settimane mi sono trovato a fare i conti con nuove, ulteriori emergenze. Invero il "ritiro dal fronte" è stato di assai breve durata: durante il processo a carico di Francisco Do Nascimento, Gianmario Massa e coimputati sono stato convocato poco prima delle 22 di sera affinché fossi presente in aula il giorno successivo quale testimone. Cosa che in effetti è avvenuta. Ancora una volta, in consonanza con le nostre leggi, ho ritenuto mio dovere presentarmi quale testimone così come richiesto dal presidente della Corte. Durante la precedente giornata processuale l'imputato Francisco Do Nascimento ha formulato pubblicamente il mio nome sotto copertura: cioè quello dell'inesistente avvocato Franco Ferri. Il fatto che Franco Ferri fosse un agente della polizia sotto copertura è poi stato confermato agli imputati, pochi secondi dopo, dal delegato Silvano Sulmoni, presente pure quale testimone. Pochi giorni dopo, ovvero lo scorso 25 maggio, la signora "A" ha dovuto rientrare in Brasile per occuparsi dei suoi cari. Mentre l'aereo sorvolava l'oceano Atlantico, a casa di "A" giungeva una nuova telefonata di minaccia: una voce maschile, che si esprimeva, stavolta, in lingua italiana, diceva di voler parlare con "A", qualificandosi con l'appellativo di "Franco Ferri". Nessuno, in Brasile, sapeva che A sarebbe partita quel giorno per rientrare in Patria. Pochissimi lo sapevano in Ticino. La situazione diviene di giorno in giorno più inquietante. La mia sensazione, già espressa nel rapporto del 13 aprile, ed ora ulteriormente rafforzata, è che queste telefonate abbiano origine dal Ticino: è in Ticino, infatti, che proprio nei giorni precedenti, è stato fatto pubblicamente per la prima volta il nome di Franco Ferri. Un'ennesima telefonata è giunta direttamente ad "A" la sera dello scorso giovedì 3 giugno quando, stavolta in portoghese (con accento brasiliano) affermava che "presto arriveremo alla resa dei conti". Egregio signor Comandante: durante i lunghissimi mesi di questa vicenda ho ricevuto molti inviti alla calma, a non drammatizzare, ad avere fiducia e, non ultimo, a curare la mia salute. Vorrei tanto sapere come poter curare la mia salute e progettare il mio futuro in simili condizioni, come ottemperare alle disposizioni del medico che mi impone di conservare uno stato d'animo sereno e stare lontano dai problemi. La degenerazione dell'operazione Mato Grosso, il mio rientro affrettato dagli USA, i numerosi rischi precedenti, gli effetti catastrofici che tutti questi elementi hanno avuto sulla vicenda privata del mio divorzio, tutto questo fa si che io mi trovi a vivere, da molti mesi, in condizioni non molto dissimili da quelle di un rifugiato dell'ex-Yugoslavia. Non ho un'abitazione mia, né un volume di entrate accettabile, non un luogo dove "nascondermi" dopo una lunga serie di operazioni undercover condotte senza interruzione, non ho neppure la possibilità di proteggere adeguatamente, se non me, almeno le persone care, prima fra tutte, "A", mia futura sposa. Posso contare unicamente sull'aiuto di amici. Vorrei sapere che cosa lo Stato mi consiglia o mi chiede di fare. In queste condizioni di attesa, attesa soprattutto di un ristabilimento della mia dignità di uomo e di poliziotto, mi riesce assolutamente impossibile pianificare una sana via d'uscita per il futuro. Non posso abbandonare le persone care al pericolo, né posso dimenticare di essere un umile servitore dello Stato, pronto a testimoniare a favore della verità, anche quando questa verità è dolorosa. Le telefonate di minaccia che giungono in Brasile ogniqualvolta succede qualcosa di rilevante in Ticino sembrano rispondere a una sola, possibile, logica: quella di scoraggiarmi affinché io rinunci a testimoniare nell'ambito di quell'inchiesta amministrativa che il Consiglio di Stato ha deciso di avviare dopo la lettura dei rapporti di Berna e dell'ampio esposto intitolato "Rapporto di segnalazione sull'inchiesta Mato Grosso" da me redatto. Mi risulta che durante il processo l'imputato Francisco Do Nascimento abbia rilevato una circostanza che - se vera - apparirebbe quantomeno strana: durante gli interrogatori l'ispettore Azzoni, che era con me in Brasile, si sarebbe fatto volontariamente riconoscere dall'imputato. Non capisco per quale motivo un poliziotto debba presentarsi spontaneamente al narcotrafficante incappato in un'operazione undercover. Mi risulta inoltre che il delegato Sulmoni abbia dichiarato di aver visto il summenzionato rapporto di segnalazione e che, quindi, non sia stato protetto da un minimo segreto istruttorio. Da più parti mi sono reso conto che parecchie persone sono state erroneamente informate nel senso che costoro sono convinti dell'esistenza di un'inchiesta a mio carico. La mia permanenza in Ticino, di questi ultimi mesi è inoltre permeata da una serie di episodi ulteriormente preoccupanti: come noto da anni il presunto trafficante Arman Haser, da noi inquisito nell'ambito dell'operazione Eiger (lebanon connection) cerca di vendicarsi inviando lettere minatorie e precetti esecutivi per milioni di franchi ai protagonisti di quell'inchiesta. Una sua recentissima lettera inviata all'informatore A.C. menziona la mia permanenza presso la clinica di Castelrotto. Vorrei notare, di transenna, che Haser era in contatto con persone ampiamente menzionate nell'ambito dell'inchiesta Mato Grosso, in particolare con un avvocato sul quale si addensano pesanti sospetti. Vorrei tanto sapere come mai Haser, che si trova da anni in Canada, possa conoscere simili particolari della mia vita privata. In conclusione, egregio signor comandante, vorrei attirare la sua attenzione sulla mia attuale situazione personale e su quella dei miei cari. Credo di aver dato tutto quanto potessi dare allo Stato del Canton Ticino e in generale al mio Paese. Nelle attuali condizioni di solitudine e di provvisoria delegittimazione i rischi cui sono sottoposto vanno oltre qualsiasi limite accettabile.

in fede: comm. Fausto Cattaneo

Speravo tanto in un aiuto consistente, un sostegno morale. A nulla sono valse le mie suppliche, le mie preghiere e le mie lacrime. Se ne fregò altamente dei miei problemi, se ne lavò le mani, come Ponzio Pilato. Che fare? Per prima cosa accelerammo i tempi del matrimonio anche se, in verità, nessuno dei contraenti voleva sposarsi. La nostra intenzione era quella di convivere pacificamente. In quel momento però era l'unica soluzione proponibile, che avrebbe dato la possibilità, in barba a tutti, alla mia futura moglie di stabilirsi in Svizzera. Per carità, non è che ora siamo pentiti di esserci sposati, anzi, siamo felicissimi di averlo fatto.

Nello stesso periodo, l'Arman Haser, aveva intentato una causa contro l'onorevole Dick Marty e contro la mia persona per presunte e pretese irregolarità commesse nell'esercizio delle mie funzioni. Causa poi sfociata, in ultima istanza, davanti al Tribunale Federale, il quale sentenziò infondate prive di ogni e qualsiasi valore giuridico le richieste avanzate dall'interessato. Nell'iter procedurale ricevetti un'infinità di lettere raccomandate che dovevo ritirare a Bellinzona. Mi rivolsi ancora al comandante Wermelinger. Era compito suo prendere posizione in merito. Se ne lavò le mani ancora una volta dicendomi di rivolgermi ad un avvocato !! Si rifiutò perfino di rifondermi le spese che dovetti sostenere nelle svariate trasferte da Locarno a Bellinzona. Povero e misero tapino anche lui!

Nell'estate 1994 cominciai a frequentare una spiaggetta del Gambarogno, località che tu ben conosci. Un bel giorno, di un caldo torrido e afoso, nella spiaggetta, all'occasione affollatissima, fece capolino un personaggio, noto negli ambienti come violento e bevitore abituale. Era armato di pistola calibro 9, colpo in canna più altri 8 nel caricatore. Era seriamente deciso ad uccidere la propria moglie, gerente dello spaccio, e tutti i suoi amanti. Così diceva, brandendo l'arma. Una situazione terrificante e traumatizzante. Riuscii a neutralizzarlo. Tra le varie altre armi da fuoco che teneva in casa, con relative munizioni, aveva un fucile pompa, carico, sotto il letto. Feci poi intervenire chi di dovere ai quali consegnai armi e bagagli. In quel periodo non ero ancora al beneficio della pensione, ero in malattia, con tanto di permesso medico di uscire. Morale della favola: alcuni giorni più tardi, dal Comando, ricevetti la seguente stringata e fredda lettera, senza nessun convenevole di sorta, firmata dal Vice Comandante: "... per ordine del signor Comandante la invito a consegnare immediatamente la tessera di polizia...". Fine della citazione. Un ordine perentorio, senza nessuna motivazione, dal sapore squisitamente dispotico e antidemocratico, che non s'addice certamente alle capacità intellettuali che un Comandante e un Vice dovrebbero avere. Telefonai immediatamente al Comandante Wermelinger. Volevo che giustificasse e motivasse tale provvedimento. Già sai cosa mi fu risposto perché, a suo tempo, te l'avevo detto. Ora lo scrivo perché è giusto che certe cose si sappiano, soprattutto se dette, non dal "Gigi di Viganello", ma da un alto funzionario qual'è il Comandante: "... mi risulta che lei ha lavorato in periodo di malattia effettuando un intervento, non autorizzato, in un bagno pubblico del Gambarogno...". Non faccio ulteriori commenti, già si commenta da solo. Aggiungo solo che al Comandante Wermelinger ho detto quel che pensavo di lui, telefonandogli appositamente in presenza di testimoni, dagli uffici di Locarno. Pensiero che ricalca esattamente quello che ho scritto ora. Storie incredibili, cose dell'altro mondo, si potrebbe definirle. Se tutto quanto non l'avessi vissuto sulla mia pelle non crederei, nemmeno io, ad una storia simile. Ancora oggi mi capita di pensare che il tutto sia stato un brutto sogno.

Ma ritorniamo in Brasile dove avevo lasciato mia moglie in mezzo a tanti pericoli e dove la situazione, come già accennato, si aggravava ogni giorno. Isabel Maria dovette abbandonare il posto di lavoro e la propria casa per sottrarsi alle concrete minaccie di morte. Trovò rifugio presso parenti e amici cambiando sistematicamente indirizzi. Tutto ciò avvenne quando le mie condizioni di salute erano assai precarie. Mi portavo dietro, già da un po'di tempo, uno stato di avvilimento e depressivo, a dir poco, mostruoso. L'idea che potesse succedere l'irreparabile nei confronti di mia moglie, unico bene che mi era rimasto,
faceva aumentare il già precario grado di scoramento, di tristezza, di
smarrimento e sgomento.
Mi trovavo a migliaia chilometri di distanza nell'impossibilità di
aiutarla e i miei problemi di salute si aggravavano. Il mondo mi crollava
addosso. Non avevo i mezzi necessari per vivere. Non ho vergogna (semmai altri dovrebbero averne), a dire che, per circa un anno, il mio stipendio era di 350 franchi mensili. Sì, hai capito bene: trecentocinquanta franchi svizzeri mensili!!! Uscivo da un divorzio che mi aveva letteralmente ridotto sul lastrico e di conseguenza mi trovai in una situazione finanziaria fallimentare. Le richieste di trattenute alla fonte per i corrispettivi pagamenti, inoltrate dall'Ufficio Esecuzioni e Fallimenti e dalla mia ex moglie, vennero accettate dalla Cassa Cantonale, subordinatamente dall'Ufficio Stipendi. Il decurtamento dello stipendio, abusivamente ed illegalmente accettato, con una facilità e superficialità che ha dell'incredibile, soprattutto perché avvenuto in uno Stato di diritto, democratico, come il nostro, mi gettò maggiormente sulla strada dell'abbandono, della miseria, della povertà, dell'indigenza e dell'accattonaggio: non trovo altri aggettivi visto come, prove alla mano, la mia paga mensile, per quasi un anno, è stata, lo ripeto ancora, di TRECENTOCINQUANTA FRANCHI SVIZZERI.

Mi sentivo moralmente e materialmente distrutto, annientato, denigrato, deriso, ferito a morte nell'orgoglio, completamente in balia alla rassegnazione, senza volontà alcuna di reagire davanti a tutto quello che mi stava capitando. Non riuscivo, insomma, ad alzare minimamente la testa (o la cresta, come si suol dire) per far rispettare i miei diritti. Lo sanno tutti (alcuni lo sapevano anche allora) che avrei dovuto ricevere, quantomeno, il minimo vitale garantito. Invece, tale sacro diritto (sta scritto da qualche parte), è stato arbitrariamente calpestato. Lo Stato deve preservare qualsiasi individuo dall'"indegnità di una vita mendace". Con questa storica sentenza il Tribunale Federale aveva costretto il comune di Ostermundigen ad assistere materialmente tre fratelli cecoslovacchi colpiti dall'indigenza a causa di una situazione giuridica estremamente complessa. (Sentenza 2P. 418/1994 del 27.11.1995) Nel mio caso, invece, è lo Stato che mi ha ridotto all'indegnità di una vita di mendicità per circa un anno, causandomi un danno notevolissimo. Danno che ora qualcuno dovrà pagare! Ero peggio di un mendicante, di un barbone. Un qualsiasi rifugiato di "vattelapesca" (ce ne sono tanti in Svizzera), nei miei confronti, era un privilegiato: io non avevo i soldi per comperare un misero tozzo di pane raffermo per sfamarmi!!! E, in tali condizioni finanziarie, con tutto l'altro carico di annessi e connessi (salute, morale, sicurezza, paure, angoscie ecc. ecc., che mi porto appresso ancora oggi), sono stato costretto a vivere per almeno un anno!!!

Sei capace di dirmi come ho potuto vivere e far fronte ai miei impegni in simili condizioni tenendo presente che anche Isabel Maria, per i conosciuti e risaputi motivi di sicurezza, fu costretta ad abbandonare il proprio lavoro? Bussai a parecchie porte statali, compresa quella del Comandante (per modo di dire), umiliandomi a chiedere la carità, anche se chiedevo il giusto che dovevo avere, quel minimo per poter vivere dignitosamente che, di riflesso, oltre ad infondermi coraggio e speranza, mi avrebbe permesso di pianificare, gradatamente e con un poco di tranquillità, il futuro. Nossignore, niente di tutto ciò. Tutti se ne fregarono altamente in maniera, a dir poco, ignobile e vile; in "primis" il signor Wermelinger. E lui sapeva di questa situazione, glielo avevo perfino scritto, come traspare dalle due lettere più sopra accennate e fedelmente riportate. Mi sentivo come un pezzo di escrementi umani, volgarmente detto "un pezzo di merda". E di lettere, il signor Wermelinger, ne aveva ricevuto una terza in data 5 aprile 1993: "... Improvvisamente, a causa delle calunnie diffuse da un gruppo di informatori e da servizi francesi corrotti e interessati, mi sono ritrovato in una situazione di totale deligittimazione. Da solo ho dovuto ricostruire la dinamica dei perversi meccanismi che mi hanno fatto toccare con mano la vulnerabilità delle nostre Istituzioni. Mi sono ritrovato solo, con una parte dei colleghi nettamente ostile. Le verifiche del Ministero Pubblico della Confederazione - peraltro lungamente inascoltate - hanno ricostruito parzialmente la verità. Dietro ai futili motivi che hanno mosso questi perversi meccanismi vi erano colossali interessi. La reazione dello Stato è stata inevitabilmente lenta. Gli effetti devastanti sono invece stati immediati. Mi sono quindi trovato a pagare un triplice prezzo per questa situazione: un prezzo in termini di salute, poiché il mio impegno è stato ininterrotto per anni. Gli agenti speciali di altri Paesi godono tra l'altro di un'adeguata assistenza psicologica che serve a sorreggerli dopo ogni cambio di identità dovuta ad operazioni "undercover"; un prezzo in termini di immagine e di rapporti professionali. Alcuni miei colleghi, consapevolmente, si sono schierati dalla parte dei servizi francesi che sostanzialmente trafficano cocaina tradendo lo Stato; Un prezzo incalcolabile in termini di sicurezza personale, come ben dimostra l'alluvione di articoli e servizi che è puntualmente iniziata. Nomi di copertura, luoghi strategici di precedenti operazioni, parentele, tutto è finito in pasto a giornalisti senza scrupoli. (...) Durante quest'ultimo anno la situazione è ulterormente peggiorata senza contare i rischi di identificazione che ho corso durante l'operazione "Mato Grosso" senza che qualcuno dei colleghi potesse darsi da fare per proteggermi. Aggiungo inoltre che l'operazione "Mato Grosso" è rimasta in buona parte incompiuta con tutti i pericoli supplementari del caso. (...) Vorrei che lei confrontasse le situazioni nelle quali mi sono trovato con quelle dei colleghi esteri che erano al mio fianco durante le operazioni "undercover", quei colleghi americani che dopo i lavori più impegnativi o dopo determinati periodi vengono trasferiti altrove con nuova identità. Per me nulla di tutto questo. (...) Qualsiasi malvivente che dovesse confrontare con un minimo di attenzione i dati riferiti dalla stampa sarebbe in grado di trovarmi. Sono stato presentato dal quotidiano Blick, che evidentemente ignora la verità, non come vittima della spietata dinamica delle lotte fra Stato e criminali, bensì come utilizzatore di denaro pubblico sperperato in orge e champagne. L'amministrazione pubblica per ora non ha potuto aiutarmi. Decine di volte ho dovuto presentare il mio volto in aula penale senza precauzione alcuna, rispondendo al fuoco di fila delle domande dei difensori. Contemporaneamente ero impegnato sotto copertura in altre indagini. Oggi come oggi chiedo solo che lo Stato mi riconosca il diritto di vivere, di occuparmi serenamente delle persone che mi sono care, togliendo almeno loro dal pericolo. Allo Stato del Cantone Ticino ho dato tutta la mia vita traendo energia dai volti dei ragazzi che ho conosciuto quando militavo nell'antidroga di Locarno...."

Se avessi scritto tutto ciò al pastore delle pecore dell'alpe del Gesero, forse un minimo di appoggio e di comprensione l'avrei ottenuto. Ero salito agli onori della cronaca in tutto il mondo, più volte decorato a livello internazionale per il grande impegno e gli enormi risultati ottenuti, per aver lottato in prima linea in tantissime battaglie, disinteressatamente, con grande altruismo, fronteggiando lealmente e legalmente lo strapotere di un nemico crudele e spietato. Avevo cooperato allo smantellamento di varie organizzazioni internazionali colpendole nelle finanze (loro tallone d'Achille) e, implicitamente, permesso il sequestro dei loro beni a favore dello Stato, togliendo nel contempo dal mercato nero diverse tonnellate di droga pesante quali sono l'eroina e la cocaina, prodotti dagli effetti sociali pestilenziali che, giustamente come recita la legge, avrebbero messo in pericolo la salute di parecchie persone, un numero incalcolabile davanti a quantitativi del genere. Tenendo presente gli elevatissimi costi sociali che un tossicodipendente comporta avevo anche contribuito a far risparmiare allo Stato un'enorme, indefinibile, somma di denaro. Senza che me ne rendessi conto, caddi improvvisamente, spintonato con premeditazione, nel fango. Dalle stelle alle stalle. Mi sono risollevato. Altri però, e su questo ci puoi scommettere, andranno a finire nell'adiacente letamaio e ci rimarranno per sempre.

Il mio corpo e la mia mente erano, letteralmente, devastati, distrutti, come se fossi passato attraverso un tritacarne. Peggioravo non di giorno in giorno, ma di ora in ora. Alla sera avevo paura di addormentarmi per paura di risvegliarmi all'indomani: la grande paura del domani tremendo, ingiusto, ostile, vigliacco, inumano, egoista, senza sentimenti, buio, sordo, senza speranza, senza gioia, senza sorriso, il domani dall'impatto freddo e crudele, da affrontare con le continue sofferenze e, conseguentemente, con un aumentato carico di disperazione.

Ecco le percezioni che provavo, che mi stroncavano, che mi soffocavano e mi schiacciavano. Non c'ero più con la testa, stavo impazzendo, me ne rendevo conto. Ero abulico, apatico, inerte: non avevo, malgrado gli sforzi che facevo per trovarla, la forza mentale per affrontare i numerosi problemi, me ne infischiavo, scappavo dai problemi adottando la politica dello struzzo. Volevo essere quello di una volta, forte, coraggioso, sicuro e intraprendente: non ci riuscivo, ero attanagliato dalle angoscie. Non ero più vivo, vegetavo. A Isabel Maria non ho mai potuto dire queste cose. Soffriva già molto a causa di tutta questa bruttissima storia. La sua salute era precaria, depressa anche lei. Non volevo che i suoi sensi di colpa, già presenti, aumentassero. Lei, che mi aveva salvato la vita, doveva uscire viva da quest'inferno. Lei che pure, ironia della sorte, aveva perso tutto, la casa ed un posto di lavoro molto ben retribuito per quelle latitudini. Non potevo, quindi, trarre benefici, nemmeno morali, dalla persona amata. Anche questo mi è stato negato.

Ma in nome di chi, di cosa e per quali ideali ho lottato una vita intera contro la peggior forma di gangsterismo mondiale, dando più del massimo che potevo dare, dando l'anima e il corpo, mettendo a repentaglio la mia vita, quella del sangue del mio sangue, quella dei miei cari e sacrificando tutto e tutti? Non ne potevo più, basta, era ora di finirla! Quella strana, dolce, sensazione di sollievo che il pensiero del suicidio mi provocava, che avevo già provato prima, si fece ancora avanti, più forte che mai. Convulso e confuso, come uno zombi, come un automa, lasciai spazio a siffatto insano gesto.

Si era nella primavera, inizi, del 1993 e di li a poco doveva cominciare l'inchiesta amministrativa. Ero appena rientrato dal Brasile dove mi ero recato alla fine dell'anno 1992 per stare vicino ad Isabel Maria. Lasciai due righe sul tavolo, bagnate di lacrime, a mia figlia Fausta, l'unica, a parte Isabel Maria, che mi aveva compreso e che, forse, avrebbe capito quel tragico atto. "Addio carissima Fausta, sii orgogliosa, come sempre lo sei stata, di tuo padre, addio a tutti, anche alle pezzenti, miserabili e meschine persone che consideravo amiche".

Presi la pistola e con l'auto mi recai a Locarno in zona Bosco Isolino. Il colpo era in canna. Cominciai a pensare a tutta la mia vita che, quasi per incanto, mi passava davanti agli occhi. Pensai a Isabel Maria, ai miei famigliari, a chi mi voleva bene, a mia mamma ultraottantenne..... piansi, piansi e ancora piansi, molto, a dirotto. Ero annebbiato, deliravo e farneticavo. Stavo vivendo un incubo, mi apparivano stranissime visioni. Il pensiero si focalizzava sui ghigni beffardi e sarcastici di quelle persone che mi avevano voltato le spalle.

Non so come, mi è difficile spiegarlo, ma questo pensiero, allucinante, figure dai volti che gioivano e sorridevano per quello che stavo facendo, fece scattare, dentro di me, una molla carica di una rabbia impressionante. Improvvisamente mi resi conto che stavo sbagliando, che stavo per commettere un atto di vigliaccheria, che mi stavo arrendendo nella maniera più scellerata e stupida possibile. Un ulteriore impeto di collera, di furore, salì dal mio corpo; non pensavo più al suicidio, sentivo una gran voglia di "vendetta", di vittoria e di giustizia, provavo piena soddisfazione pensando di poter, un giorno, sputare in faccia a certe persone. Stava piovendo. Scesi dall'auto e cominciai a girovagare in mezzo al bosco, in riva al lago, fino ad arrivare in centro città. Camminavo sotto l'acqua, bagnato fradicio, piangevo, parlavo, gridavo e ridevo. Nella mia mente si affacciavano mille pensieri, buoni e cattivi, ma quel che più conta, abbandonai, quasi per magia, l'idea del suicidio. Rientrai a casa deciso di dare battaglia fino in fondo, fermamente convinto che dovevo farlo essendo nel giusto: costi quel che costi. Deposi l'arma e stracciai la lettera d'addio.

Tu non puoi immaginare, nemmeno minimamente, come mi sentivo, qual'era il mio stato d'animo, in quei momenti. Veramente traumatizzante. Il peggior periodo della mia vita. Non avevo mai provato cose simili, neanche quando, nelle tantissime operazioni "undercover", la puzza di morto mi era salita più volte su per le narici. Non potrò mai dimenticare, cancellare, cosa ho passato: il trauma è ancora presente e lo sarà per sempre. Ora, mentre sto scrivendo queste cose, mi sento malissimo; solo io so quanto non avrei voluto farlo! Le fresche ferite si riaprono e mettono ancora in evidenza la carne viva, lacerata.

Tuttavia c'è in me la ferma convinzione che lo devo fare, che lo devo mettere nero su bianco (come lo sto facendo), per il mio bene, per sentirmi appagato delle ingiustizie subite. Per eventualmente evitare che, a futura memoria, ad altri succeda quel che è successo a me e, se possibile, per il bene delle nostre Istituzioni. Non si tratta, te lo ripeto, di una vendetta o di una rivincita, ma bensì di una voglia di giustizia equilibrata. Cosa succederà? Francamente non lo so e non lo voglio sapere. Non mi interessa sapere o presumere cosa succederà. Al momento ho raggiunto la certezza, in sostanza per me è l'aspetto prioritario, che quando avrò finito di scrivere, mi sentirò vuoto e sollevato, come il vomito che libera lo stomaco da una tremenda indigestione.

Mi sforzai di riordinare la mente, le idee. Dovevo assolutamente fare qualche cosa, reagire. Pensai all'avv. Mario Molo, professionista che stimo moltissimo. È strano, ma il pensiero di telefonare all'avv. Molo e quindi di recarmi nel suo ufficio, mi metteva paura, mi angosciava. Nella mia testa si inseriva il timore di trovare altre porte chiuse. Con fatica vinsi tale stato d'animo che mi strigeva, come una morsa, la gola. Il giorno dopo ero nel suo ufficio. L'avv. Molo capì all'istante la drammaticità e la gravità della situazione, era molto preoccupato, al punto tale che mi mandò immediatamente dal dottor Tazio Carlevaro. Finalmente trovai il tanto agognato sostegno morale e il necessario calore umano. Grazie a loro due ho cominciato a rivivere. Ero ancora vivo e avevo voglia di vivere. Cominciai, gradatamente, a sperare e a ritrovare, piano piano, quella necessaria fiducia che, per molto, troppo, tempo avevo perso. In un periodo successivo mi recai a Berna presso il Ministero Pubblico Federale dove fui accolto dai sigg. avv. Wyss e Schmid nonchè dal collega ed amico Kaeslin. Assolutamente bisognava escogitare un intervento in Brasile a favore di mia moglie. I pericoli e le tensioni aumentavano. Dovevo, ad ogni costo, metterla in salvo. Memore di luttuosi, tragici fatti, avvenuti alle nostre "tranquille" latidudini, dove alcuni informatori furono barbaramente assassinati, dovevo evitare il peggio. La realtà sudamericana, dove la vita non ha nessun valore, dove la facilità di uccidere una persona è, per noi in Svizzera, paragonabile al furto di una bicicletta abbandonata, è notoria. L'avevo, purtroppo, vissuta simile triste realtà. Che ne sarebbe stato di me se l'imminente pericolo si tramutava in tragedia? Cosa avrei fatto? Come avrei reagito? Immagina, ipoteticamente, una simile situazione e troverai una facilissima risposta al quesito.

A Berna capirono la gravità e la delicatezza della situazione. Assolutamente non si doveva più tergiversare. E si meravigliarono che in Ticino le mie suppliche d'aiuto non trovarono accoglimento. Paradossalmente, i pettegolezzi e le dicerie, ne trovarono, Jacques, eccome! Approntarono e finanziarono immediatamente un piano d'emergenza. Giorni dopo mi trovai sull'aereo che mi stava portando in Brasile. Le mie batterie si stavano, lentamente, ricaricando. Stavo affrontando una missione per la quale valeva la pena di rischiare la vita.

Sbarcai a San Paolo e raggiunsi Rio de Janeiro con l'esistente ponte aereo che collega le due metropoli ben sapendo che non esistono controlli. A Rio de Janeiro mi attendeva una persona di assoluta fiducia. Mi portò a casa sua, in una "favelas", dove Isabel Maria aveva trovato rifugio. All'indomami, la stessa persona, ci portò fuori città. Con un autobus di linea, pieno di contrabbandieri, raggiungemmo Assuncion in Paraguay transitando per il valico stradale, senza controllo alcuno, di Fotz Iguassù. Avevamo percorso 3.200 km! Sei giorni dopo eravamo a Zurigo attesi all'aeroporto dall'amico Kaeslin che, per una quindicina di giorni, sempre per motivi di sicurezza ci ospitò a casa sua. Missione compiuta, dunque.

Nel frattempo avevo trovato un piccolo appartamento, ammobiliato, a Locarno. Eravamo nel mese di dicembre 1993. Agli inizi del 1994 raggiunse la Svizzera, proveniente dal Brasile, anche la piccola Vivian. Un giorno di primavera di quell'anno, a Locarno, mi incontrai con Sam Meale, agente della DEA di stanza a Milano. Tu sai chi è Sam. Non sai però (non potrai mai saperlo) quanto sia grande, profonda e leale l'amicizia che da anni ci lega. Fianco a fianco abbiamo combattuto più volte, rischiando la pelle, un comune nemico. Assieme abbiamo diviso gioie e dolori. A Istanbul, nella nota operazione dei "cento kg di eroina", quando la situazione si era fatta critica a dismisura, gli ho salvato la vita. Le ha dette e scritte queste cose, al suo Governo. Mi è bastato il suo grazie, il grazie sincero di un vero amico. Era da tanto tempo che non lo vedevo. Puoi quindi immaginare il piacere nel rivederlo. Si trovava a Bellinzona per motivi di lavoro e doveva incontrarsi con te e con i miei ex colleghi. Quando hai saputo che era in mia compagnia, ti sei sdegnato gridando allo scandalo, sollevando un polverone a non finire.

Temevi che mi raccontasse qualche cosa circa l'inchiesta che stavate facendo e che, così facendo, avrebbe rovinato tutto. Evviva la fiducia. Non mi ha detto niente e nemmeno ho voluto sapere particolari. Già sapevo che, dietro vostro invito, doveva incontrarsi con il vostro informatore, protetto, Nicola Giulietti, vecchia conoscenza, braccio destro di Haci Mirza, arrestato per la ormai storica inchiesta dei 100 kg di eroina. Me lo avevano detto i "muri del tuo ufficio". Lo sai anche tu che i muri, a volte, parlano. Ricorderai che ti ho immediatamente telefonato dicendoti quel che pensavo. E quando ti ho buttato li il nome del Giulietti sei rimasto pietrificato, senza parole. Vedi come eri prevenuto e carico di pregiudizi nei miei confronti? Ma con quale diritto, mi chiedo ancora oggi, eri così fortemente contrariato dal fatto che l'amico Sam fosse in mia compagnia?

Non ti ho più visto, o sentito, per molto tempo. Seppur a stenti, con enorme fatica, sono sopravvissuto. Ed ora eccomi qua, non in forma smagliante (quella arriverà con il passare del tempo, almeno così spero), ma vivo e vegeto, deciso più che mai a dare battaglia fino in fondo. Se ho sbagliato, pagherò nella misura in cui ho sbagliato. Ma altrettanto dovranno pagare gli altri! È una questione di equità, prevista anche dai nostri ordinamenti. Mi sembra di poter dire che io abbia già pagato, pesantemente e ingiustamente, colpe altrui, a favore dei veri responsabili che invece, paradossalmente, ne hanno tratto beneficio.

Poi, improvvisamente, nell'estate 1994, mi hai telefonato per invitarmi a cena. E siamo andati a Vogorno: tu, io, Federica e Isabel. Mi aveva fatto piacere rivederti e, soprattutto, mi aveva fatto piacere vedere che ti trovavi bene con Federica. Non ho mai capito bene il perché, dopo tanto tempo, di quell'invito. Forse volevi dirmi che Federica era incinta (apparentemente non si notava), ma non te la sei sentita di farlo. Un poco più tardi ci siamo incontrati in quella spiaggetta del Gambarogno. Io ero con Isabel, e ci hai invitati a cena in un ristorante della regione con i genitori di Federica. Eravamo seduti al tavolo, eri allegro e contento con Federica e i suoi genitori. Mi è sembrato strano anche quell'invito. Ti si leggeva in viso che dovevi dirmi qualche cosa d'importante. Tant'è vero che, alla sera a casa, dissi ad Isabel che ti volevi sposare. Almeno questa è stata la mia impressione. Veramente, l'ultima cosa a cui pensavo, era che Federica fosse incinta. Più tardi ho poi saputo della nascita del piccolo Francois, tuo figlio, nel caso tu l'abbia dimenticato, nato il 7 settembre 1994.

A proposito, quanto tempo che non vedi tuo figlio? È un bel bambino, mi chiama zio, ti assoglia moltissimo, fisicamente beninteso! In prosieguo di tempo c'è poi stata la campagna elettorale durante la quale, lasciatelo dire, hai predicato bene ma razzolato male, molto male. Tantissima gente ti ha votato. I risultati usciti dall'urna hanno effettivamente dimostrato un largo consenso a tuo favore. Significa che la gente aveva creduto in te, alle tue belle parole dette in campagna elettorale, ma son rimaste solo parole, senza valore, come le promesse non mantenute e le bugie. Hai turlupinato i tuoi affetti e i tuoi amici per cercare di riuscire nei tuoi intenti. E alla fine, quando sei stato servito, hai abbandonato tutti in maniera turpe, vergognosa. Sei veramente tagliato per la politica.

Il 16 aprile 1995, il giorno di Pasqua, dopo tanto tempo che non ti sentivo, sei arrivato improvvisamente a casa mia. Più tardi giunse anche la Federica con il piccolo François. Era la prima volta che vedevo tuo figlio. Si vedeva che volevi dirmi qualche cosa, il tuo atteggiamento lo lasciava intuire chiaramente. Poi, ad un certo punto, sei scoppiato e hai cominciato a dirmi, riferendoti all'indagine "Mato Grosso" e tutti i suoi risvolti, che avevo ragione su tutta la linea. E mi hai chiesto scusa per tutte le ingiustizie che avevo sopportato. Accettai le tue scuse con tanta umiltà e bontà d'animo. Se da una parte mi ha fatto piacere sentirti dire queste cose, non ti nascondo che, dall'altra, ho provato un sentimento di disagio, di smarrimento. Dopo tutto quello che avevo passato, autentiche infernali sofferenze, mi sentivo come uno che, trasportato in ospedale per le medicazioni ad un piede, si ritrova senza gambe.

Mi hai detto che non potevi più fidarti di nessuno della Polizia Cantonale, che "gli amici" di Bellinzona avevano anche cercato di attribuirti frasi e fatti che tu non avevi mai pronunciato né, tantomeno, disposto. Mezze frasi, piene di significato, alle quali però non hai voluto aggiungere altro se non dei pacchiani e comuni detti "se parlo io... ti dirò poi...". In quella circostanza hai lanciato l'idea di costituire un gruppo di lavoro, escludendo elementi della Polizia Cantonale, che avrebbe dovuto occuparsi di riprendere tutto il discorso "Mato Grosso", malamente troncato poco dopo i suoi albori. Si trattava, in sostanza, di concentrare fatti, elementi, informazioni, documenti ecc., per analizzarli e cucirli in un lavoro di assieme. Esattamente come io avevo proposto nella sciagurata riunione internazionale di Berna. Inoltre, il "pool", avrebbe cercato di portare a compimento un'altra inchiesta, scottante e preoccupante per la connivenza di persone del mondo politico - finanziario ticinese, personaggi della "Ticino bene" per intenderci, con loschi traffici internazionali di droga e, parallelamente, con il riciclaggio dei proventi. Un'indagine dalle solide basi di partenza, con delle connotazioni ben marcate. Parlo della confessione di una prevenuta, arrestata a Zurigo con un carico di cocaina, suffragata da validi e oggettivi riscontri, ottenuti anche attraverso precise indicazioni che l'interessata ha fornito durante un sopralluogo. Una lampante chiamata di correità, vestita di tutto punto, prescindendo dal fatto che, con assoluta certezza, a mano di foto segnaletiche, ha riconosciuto uno dei destinatari della cocaina. Qualcuno ti ha anche consigliato, suggerito, di fare qualche cosa di concreto prima dell'inizio della campagna elettorale. Lo hai promesso, ma non hai fatto niente. Forse, nei tuoi calcoli elettorali, non hai voluto rinunciare ad un tot numero di suffragi, preventivati, giunti da un certo schieramento politico che, altrimenti, non ti sarebbero stati dati.

È dall'estate - autunno del 1994 che hai in mano simili carte vincenti e
non sei capace a giocarle. Lasciale nel cassetto. Con il passare del tempo dapprima matureranno, poi invecchieranno, quindi marciranno e, infine, quando sarà subentrata la prescrizione, saranno ridotte in polvere. L'allora PP Dick Marty, con il sottoscritto, aveva fatto esattamente così nella gestione di un vero e proprio "fiore all'occhiello" qual'è stato l'affare Stevenoni! Non abbiamo però avuto la fortuna di trovarci in mano una chiamata di correo vestita, ma solamente alcune informazioni con addosso un paio di minuscole mutandine.

Sei stato abile a convincermi e io sono stato veramente un idiota a credere e ad accettare. Mi sono dannato l'anima per mettere in atto quella che doveva essere, come tu l'hai definita, "una rivoluzione" legale a tutti gli effetti. Personalmente ho contatto tutte le persone che avevamo scelto, i colleghi: Christian Hochstaettler di Losanna, Reynold Guglielmetti di Ginevra, Carlo Crespi di Zurigo, Jacques Kaeslin del Ministero Pubblico Federale e Sam Meale della DEA di Milano. Con alcuni di loro ho anche indetto delle riunioni a Berna e a Losanna. Tu però ti sei limitato a tirare il sasso e poi, fatto deplorevole, a nascondere il braccio.

Il primo maggio 1995, ci siamo nuovamente trovati a casa mia a cena. C'era anche la Federica. Mi hai ripetuto le stesse cose. In toni accesi e scandalistici hai poi commentato quella fotocopia di quell'articolo giornalistico della "Regione" che mi avevi portato. Riguardava il neo costituito comitato di sostegno a favore del Casinò di Lugano. Il tuo disappunto era rivolto al Comandante Ballabio che figurava in quella lista. Già immaginavi lo scandalo, le ripercussioni generali e il putiferio che avrebbe provocato qualora, il Casinò di Lugano, ente a rischio come tutti gli altri del resto, venisse chiamato in causa e coinvolto in un riciclaggio di denaro sporco.

La sera dopo, ovvero il due maggio 1995, altro incontro a casa mia. Presente anche la Federica. Ricorderai che quella sera hai voluto assistere al dibattito televisivo, confronto, fra Chirac e Jospin che si contendevano, in quel periodo, il trono di Presidente della Francia. Abbiamo fatto le ore piccole. Hai rinnovato le tue intenzioni, i tuoi entusiasmi e il tuo voler agire. Tant'è vero che abbiamo programmato la trasferta a Milano per discutere con il collega della DEA Sam Meale. Rammenterai il mio entusiasmo quando mi hai confermato che ci sarebbe stato anche il comune amico Dick Marty. La sua presenza è stata per me un ulteriore sicurezza, mi aiutò a raggiungere il convincimento che stavi facendo le cose seriamente. Invece, nella realtà, ci hai gabbati entrambi, ci hai preso per i fondelli come si suole dire.

Il 6 maggio l995, era un sabato, con Dick Marty ci siamo recati a Milano dove, negli uffici della DEA, abbiamo discusso con Sam Meale, lungamente, tutta la problematica. Se ti ricordi bene, avevamo raggiunto l'accordo che, quando i lavori sarebbero terminati, il relativo documentato e dettagliato rapporto, per chiari motivi di sicurezza e anche per soffocare prevedibili pettegolezzi e polveroni, sarebbe giunto nelle tue mani attraverso uno dei tanti canali ufficiali che avevamo a disposizione.

Il 20 maggio 1995 ti avevo invitato, con la tua ex compagna Federica e con il tuo figlioletto Francois, a cena a casa mia. Invito che hai accettato con entusiasmo. Come ti avevo detto, volevo farti conoscere alcuni parenti di mia moglie Isabel Maria (zii e cugini) che si trovavano in viaggio in Europa. Penso che non scorderai tanto facilmente quella serata. Eravamo circondati da medici: un pediatra, una ginecologa e un chirurgo. Potevamo strafare quella sera, il pronto intervento sanitario era assicurato. Tuo figlio Francois, eccitatissimo per il gran trambusto, non riusciva a prendere sonno e, alla fine, si è poi addormentato fra le braccia del medico chirurgo.

Il 27 maggio 1995 abbiamo trascorso il fine settimana al San Bernardino nella casa della Federica. Io ero accompagnato da mia moglie e dalla piccola Vivian. C'era anche tuo figlio Francois. Noi due ci eravamo incontrati, prima, al rist. Brocco per discutere le nostre faccende. Era ormai tutto pronto, ti avevo fatto un resoconto della situazione. Il "pool" era ormai costituito e pronto ad entrare in funzione. Il tuo tanto atteso segnale d'inizio non è però mai giunto. Non ti dico la figuraccia che mi hai fatto fare al cospetto degli altri colleghi.

Poi non ti sei più fatto vivo fino al 26 giugno 1995. Era un lunedì. Verso le 19.00 mi hai telefonato per invitarmi a cena. Vista l'ora abbiamo combinato di trovarci a casa mia. Era una bella e calda serata d'inizio estate. Siamo rimasti a pasteggiare in giardino discutendo lungamente, di tutto, talvolta anche con toni vivaci e facendo, come di solito, le ore piccole. Lanciando un chiaro appello di aiuto, ad un certo momento, hai tirato fuori il nome "Hermes Lupi", dicendomi che ti era appena arrivato un "dossier" per riciclaggio di denaro sporco e non sapevi che pesci pigliare. A tal proposito, in un'altra parte del presente scritto, dove ti ho già spiegato dettagliatamente nessi e connessi che riguardano tale personaggio, ti ho anche detto che non so come ho fatto a trattenermi, a non reagire, da quell'impulso di rabbia che si è scatenato, interiormente, nel sentirti dire certe cose e nel vederti impacciato con l'incarto "Hermes Lupi". Se tu non avessi ascoltato le perfide e pestifere voci, piene di calunnie e di pettegolezzi nei miei confronti, ora i pesci li avremmo pigliati! E non avresti pianto sul latte versato.

Il giorno prima avevamo festeggiato il compleanno della piccola Vivian. C'era anche la Federica con il piccolo Francois. Raccontandoti ciò ti ho anche chiesto quanto tempo era che non vedevi tuo figlio. Sapevo che era dal quel fine settimana passato al San Bernardino che non lo vedevi. Alla festicciola avevano partecipato anche due coppie di amici: una brasiliana con la loro figlioletta e l'altra italo-brasiliana, pure con la loro bambina in tenera età. Di quest'ultima coppia, l'uomo è colui che per anni ha lavorato nella gioielleria di Rio di Janeiro assieme a mia moglie. Era quello che, occupandosi delle relazioni pubbliche, era a stretto contatto con Vincenzo Buondonno, Hermes Lupi e compagnia. Era la vera fonte delle informazioni che mi giungevano attraverso Isabel Maria. E proprio quel giorno mi chiedeva che fine avessero fatto i suoi "amici". Gli risposi che era meglio parlare d'altro, della nostra amicizia, della bella giornata e della bella festicciola, che non valeva la pena parlare di tutto ciò, che era solo fiato sprecato. Ironia della sorte, proprio il giorno dopo, sei arrivato sparato a casa mia a parlarmi, anche, di questo episodio.

La lingua batte dove il dente duole, dice un altro vecchio e comune adagio. E così, dopo tutte le mezzi frasi, significative peraltro, che mi avevi più volte ripetuto nei precedenti incontri, hai finito per dirmi che l'"informatore" Rudy Steiner era finito dietro le sbarre mentre si apprestava a consegnare circa 13 kg di cocaina che, dal Sudamerica, aveva trasportato o, quantomeno, fatto giungere in Italia. Gli inquirenti italiani, volendo incastrare o, meglio dire, prendere con le mani nel sacco (in flagrante quindi), "Pinco Pallino, Tizio, Caio e Sempronio", si sono appoggiati ai nostrani e farfalloni "James Bond" ticinesi i quali non hanno esitato a fare il contatto con l'Egidio Giancarlo Oliverio, alias Rudy Steiner.

L'inchiesta italiana aveva pertinenza con un ramo ticinese che coinvolgeva il noto Alari Ivano recentemente condannato a 9 anni di reclusione. Atti ufficiali dimostrano che l'Alari, sempre nel contesto della sua attività criminosa, aveva stretti contatti con il Blanditi che a sua volta li aveva con il Martignoni Giorgio. Per certi versi, i tre, hanno anche agito in correità fra di loro. Tuttavia qualcosa andò storto, visto come il tuo collega di Varese PP Abate, non esitò minimamente a sbatterlo in galera che poi, in definitiva, è il suo originale "habitat".

Si è ripetuto, nei minimi dettagli, quanto avvenuto nelle depravate operazioni francesi "Nizza 1 e Nizza 2". È un vizio! Si fa in fretta a far denaro con questo sistema! Non è quindi escluso, in un prossimo futuro, visto e constatato che tale struttura di lavoro è praticamente legalizzata, che mi metta anch'io ad operare in questa direzione. Risolverò così tantissimi problemi finanziari e in breve tempo sarò ricco sfondato.
La Polizia delega i trafficanti di droga per le operazioni "undercover". E la Magistratura sta a guardare, con i paraocchi! È una farsa degna del grandissimo Totò!
Assommando le scempiaggini francesi con l'assurdità varesina e con tutto il resto, ne viene fuori un quadro veramente decaduto, depravato. I confini, o i limiti, della legalità sono stati sfrontatamente e spudoratamente usurpati. Non riesco a capire come mai, la nostra Magistratura, non abbia ancora aperto un procedimento penale contro alcuni nostri funzionari di polizia.

Siamo davanti ad una palese, evidente e chiara, ripetuta violazione aggravata della Legge Federale sugli stupefacenti acutizzata dalle funzioni. Il solo e semplice fatto, mi riferisco a quello di Varese, di contattare, anche per conto di funzionari stranieri, un personaggio qual'è il Rudy Steiner, sapendo perfettamente che:
a) è ricercato da un mandato d'arresto per traffico internazionale di droga emesso dalla nostra Magistratura;
b) che avrebbe trasportato, o fatto trasportare, oppure spedito, un certo quantitativo di cocaina;
c) che la cocaina l'avrebbe consegnata, dietro pagamento (quindi venduta), ad un'altra persona;
d) che sarebbe ripartito, tranquillo ed impunito, con l'illecito provento nelle proprie tasche;
e) visti e conosciuti i gravissimi reati commessi in Francia nella conduzione delle malsane operazioni "Nizza 1 e Nizza 2", è di una mostruosa gravità impressionante. È una ricaduta premeditata nell'illegale.

A dimostrazione degli amichevoli e confidenziali rapporti che i mei ex colleghi di Bellinzona intrattenevano con il trafficante di droga Rudy Steiner, ti voglio raccontare un brevissimo, ma importante e significativo, episodio.

Nel corso della conosciuta inchiesta amministrativa, con il chiaro intento di danneggiarmi, non hanno esitato a far pervenire al giudice avv. Gaja una testimonianza, chiaramente a mio sfavore, sottoscritta dall'interessato. Un agire concertato di comune accordo, con premeditazione, vendicativo, di una meschinità, di una bassezza d'animo, di una cattiveria e di un coraggio da far allibire anche le mummie egiziane. Solo questo fatto, ce ne sarebbero altri, evidenzia lo straordinario genere di rapporto che intercorreva fra di loro.

Per dei fatti di minore importanza, che non reggono affatto il confronto con quelli descritti e al centro della mia attenzione, reatucoli come si dice in gergo, successi nell'ambito della Polizia Cantonale, recentemente alcuni elementi hanno pagato a caro prezzo le loro voglie sessuali. Un evento grave, più che dal punto di vista penale, da quello dell'immagine. Giustamente sono state tolte dal cesto alcune mele tarlate. Mi meraviglio che non vengono tolte quelle marce!

Un altro esempio, dai parametri totalmente capovolti, viene dal caso dei due agenti della Polizia Comunale di Locarno, Orlando Guidetti e Ivan Valsecchi. A tal proposito il presidente dell'Associazione delle Polizie Comunali Ticinesi e Comandante della Polcomunale di Muralto, Daniele Olgiati, in occasione della quindicesima assemblea tenutasi il 27 marzo 1996 a Giubiasco, ha espresso dure critiche all'indirizzo della nostra Magistratura. Nella sua relazione presidenziale ha posto l'accento sulla vicenda dei due agenti. Se da un lato ci sono stati episodi gravi che hanno macchiato il corpo di Polizia in generale, dall'altro sono avvenuti fatti che, a detta di Olgiati, dovrebbero indurre a qualche profonda riflessione. Emblematico, da quest'ultimo profilo, il caso dei due colleghi citati, nei confronti dei quali, Olgiati, ha espresso la solidarietà sua e dell'Associazione. "Due colleghi - ha fatto presente - che, per aver svolto il loro lavoro nel terrario della prostituzione, hanno conosciuto l'onta della galera. Arrestati ed incarcerati per niente, ma unicamente per il fatto che, quella che la stampa scritta ha definito tra virgolette una ballerina, li aveva denunciati. Una denuncia risultata poi mendace. Sette mesi di attesa per il decreto d'abbandono da parte del procuratore pubblico ma, ciò che lascia più perplessi, sette mesi di sospensione dal lavoro senza stipendio. E ancora non è finita. Più che una telenovela io la definisco una vergogna".

Mi associo, e mi complimento, con il Comandante Olgiati. Questo brutto fatto, che denota una chiara mancanza di professionalità, dove la Magistratura è tempestivamente intervenuta in maniera intransigente, costruendo un castello accusatorio unicamente sulle nefandezze dette da una prostituta, non è solamente vergognoso, come ha giustamente sottolineato il Comandante Olgiati, ma è anche biasimevole sotto ogni e qualsiasi punto di vista. E il biasimo aumenta, a dismisura, quando si pensa che davanti agli intrallazzi che ho riferito, che tu ben conosci e che si ripetono a scadenze regolari (come le telenovele brasiliane), la Magistratura non reagisce, rimane impassibile. Piuttosto che epurare si permette, si accetta con assoluta indifferenza, che il virus contagioso della perversione si propaghi irrimediabilmente fino ad insediarsi stabilmente nel tessuto istituzionale. C'è di che preoccuparsi, eccome! Ti senti forse, in qualche modo, compromesso in maniera tale da trovarti con le mani legate? Si direbbe di sì visto il tuo (non) agire!

E ora amico mio, come la mettiamo con Rudy Steiner?
In tempi non troppo lontani hai chiesto ed ottenuto l'estradizione di William Toledo. Nel caso che tu non lo sapessi, ti rammento che il Toledo era ricercato per gli stessi reati, commessi a Lugano e altrove, in correità con lo Steiner. Misure restrittive emesse, a suo tempo, dalla PP Del Ponte nel contesto delle indagini esperite contro Vinci Cannavà e compagnia. Trattasi quindi di un minestrone cucinato, nello stesso brodo e nella stessa pentola, con le medesime verdure. Solerte come sei, in ossequio ad un equo trattamento, mi è facile immaginare che avrai già avviato la procedura di una formale richiesta d'estradizione nei confronti del Rudy Steiner. A meno che tu abbia deciso di trasmettere gli atti al tuo collega di Varese per farlo giudicare in Italia anche per i reati commessi in Ticino, in correità, come ho detto prima, con il William Toledo. In questo caso troverebbe una giusta applicazione il principio "ne bis in idem", cioè evitare che il prevenuto venga giudicato due volte per gli stessi motivi. Il Martignoni Giorgio è stato arrestato l'anno scorso in Colombia, in casa del trafficante Torres, e poi estradato in Svizzera. Il relativo "dossier" si trova nelle tue mani. Immagina ora il seguente scenario: "Il Martignoni si trova, come detto, in casa del Torres. Le sue coordinate vengono fornite, dai nostri inquirenti, al Rudy Steiner in Brasile con il preciso ordine e compito di infiltrarsi, di intrufolarsi, nel giro del Torres. Entra in contatto, di persona, con quest'ultimo e con il Martignoni. D'accordo con i nostri investigatori, dalla Colombia, organizza la spedizione di circa 13 kg di cocaina a Roma. Dopo alcune trattative, fatte personalmente in Italia con i futuri acquirenti che, a loro volta, sono direttamente legati al già citato Alari Ivano, Steiner la trasporta da Roma a Varese. A consegna avvenuta, nel parapiglia confusionale generale, viene arrestato assieme ai destinatari della cocaina."

Ecco giustificate le tue paure, le tue angosce, quando, agitatamente mi hai ripetutamente detto quelle mezzi frasi che, oggi, sono piene di significato. E quando mi hai raccontato il fatto di Varese hai volutamente tralasciato gli aspetti e i particolari negativi, quelli gravi tanto per parlare chiaro. Mi hai raccontato solo una mezza verità, quella facilmente insabbiabile. Davvero un bellissimo scenario.

Un giro ormai conosciuto, avente sullo sfondo la fattoria dei Torres in Colombia, la figura del Miguel Galindo di cui pure già si è detto (all'epoca era in strette relazioni di "lavoro" con l'Escobar Severo IV detto "Junior"), il Martignoni Giorgio appunto, e dove si intrecciavano gli affari dell'ex collega Gerber, del barista Patrick Baratti e del Bruno Blanditi.

Sarebbe stata, provocazioni e istigazioni a parte, una bellissima e riuscita operazione se non fosse stata commissionata ad un trafficante di droga, ricercato, come il Rudy Steiner.

A parte il fatto che il soggetto non è certo il tipo che lavora gratuitamente, tenendo conto anche delle numerose spese da rifondere, rimane l'azione per sé stessa gravissima che è stata commessa. Un'"operazione" iniqua come tutte le altre, dove il premeditato ingaggio del prezzolato personaggio, da parte dei servizi della Polizia Cantonale, si è sempre delineato in una graduale serie di azioni viziose e debosciate. Gli sono stati affidati ruoli, funzioni e compiti attivi, dalle ragguardevoli connotazioni illegali. Un vero e proprio connubio quello esistente con il Rudy Steiner. Non siamo nella "Repubblica delle Banane" dove gli ordinamenti vengono travolti e stravolti a piacere, "à la carte"!
Sembrerebbe, in senso metaforico, che da tempo in Ticino si stanno facendo esperimenti a riguardo della convenienza, o meno, di privatizzare delicate indagini di polizia giudiziaria che, di regola, dovrebbero essere condotte solo da particolari esperti, dando in caso positivo, l'esclusiva ai trafficanti di droga patentati. Non ne vale la pena, già sono stati fatti seri studi in tal senso, esistono valide tesi fatte da autorevoli persone. Quello che invece succede da noi è roba da baraccone del circo equestre, con la differenza che alle risa che provocano i pagliacci si sostituiscono le lacrime determinate dalla degenerazione di un sistema.

L'ho detto prima e lo ripeto ancora: la Polizia delega notori trafficanti di droga, ricercati d'arresto, per svolgere operazioni sotto copertura. Tu, Procuratore Pubblico, sei stato, e rimani, a guardare. È l'ennesimo esempio, l'ennesima riprova. Steiner che poi, in tempi non tanto lontani, poco prima del suo arresto a Varese, si era incontrato con Azzoni 5 - 6 volte in Italia.
Inaudito! Vuoi forse che la Polizia Cantonale diventi il rifugio di trafficanti di mezzo mondo seguendo il conosciuto copione francese peraltro già ben assimilato?
Un Azzoni che, non dimentichiamolo, ha fatto delle false dichiarazioni sia davanti al Giudice Gaja, incaricato dell'inchiesta amministrativa, sia davanti alle Assisi Criminali di Lugano nel corso del processo contro Josè Do Nascimento e compagnia.
In questa precisa circostanza ha avuto la spudoratezza di dire, già evidenziata in occasione della riunione conciliatoria da te presieduta, che io non avevo assolutamente incontrato il Do Nascimento sotto copertura a Belo Horizonte. Non solo è stato smentito dal sottoscritto, pure presente quale teste, ma anche dai fatti e dall'imputato medesimo.
Non c'é che dire, ha veramente tantissimo pelo sullo stomaco!
Lunedì 26 giugno 1995. È stata quella l'ultima volta che ti ho visto. Poi sei scomparso, dileguato, in non so quali meandri.

Il 3 luglio 1995, non sopportando più il tuo biasimevole agire, ti ho telefonato e ti ho detto, chiaro e tondo, quel che pensavo. Mi hai promesso che ti saresti fatto vivo entro pochi giorni. Parole, solo parole... promesse di marinai.

Il 19 agosto 1995 ti ho ritelefonato. Altre promesse...

Il 21 agosto 1995, ho fatto un ulteriore tentativo. Ti sei scusato e mi hai nuovamente promesso che ti saresti fatto vivo, che ci saremmo incontrati per appianare il tutto. E invece hai continuato a perdurare nella tua latitanza.

Il 25 ottobre 1995, era un mercoledì, sapendo che partivi per Roma in buona compagnia, sono andato all'aeroporto di Agno per vederti salire sull'aereo. So che mi hai visto, ma tu hai fatto finta di niente. Io non avevo, assolutamente, nulla da nascondere. Tant'è vero che ti ho lasciato un messaggio sul parabrezza della tua automobile. Un grazioso messaggio poetico: "Roma città antica, che Dio ti benedica; Roma città dai caduti Imperi, cadrà anche il tuo, forse non lo speri; Cadrà, cadrà e ancora cadrà, aspetta solo e si vedrà". E in fondo al foglietto: "Tato tel 8593583, e Sidney".

Il 28 ottobre 1995, era un sabato sera, ti ho chiamato sul tuo apparecchio Natel. Sì, perché nel frattempo avevi disdetto il tuo numero di Ravecchia. Non eri reperibile e di conseguenza ti ho lasciato un messaggio sull'apposita segreteria. Non ti sei mai chiesto chi mi ha dato il tuo numero di telefono visto che in Procura non sono autorizzati a farlo? Tu di sicuro non me lo hai dato. La Federica nemmeno perché non l'ha mai avuto. Fosse successo qualcosa a tuo figlio ti avremmo avvertito con un piccione viaggiatore. Tuttavia qualcuno me lo ha dato, qualcuno che ti è molto vicino.

Il 30 ottobre 1995, era un lunedì, al mattino verso le ore 09.20, con mia grande sorpresa, mi hai telefonato. Non credevo alle mie orecchie. Eri già in piedi a quell'ora. Ho perfino pensato che solo uno strabiliante evento poteva averti buttato fuori dalle calde lenzuola così di buon'ora. Ti ricordi cosa mi avevi promesso, cosa avresti fatto entro pochi giorni? Le solite promesse...

Non a caso ho detto di aver passato un lungo e interminabile periodo infernale. Alle angosce, alle paure, a un grave stato di avvilimento, alla miseria, alla povertà, al mendicare, alle umiliazioni, ai gravi pericoli di vita derivati dai lavori sotto copertura, al totale abbandono, si sono ripetutamente aggiunti altri problemi di salute. Non facevo a tempo a riprendermi da un malanno che già ne subentrava un altro: infezione alla prostata, infezione alla ciste, virus viscerale, infezione ad un ginocchio, infezione inguinale, infezione in bocca, attacchi gottosi e blocchi renali a ripetizione, tanto per dirti quel che mi ricordo.

Già un po'di tempo fa volevo scrivere queste cose. Prima non potevo, non riuscivo, non avevo né la volontà, né la forza e nemmeno le condizioni mentali per farlo.
Tant'è vero che non sono nemmeno stato capace di redigere il rapporto del 27 novembre 1992. Ho dovuto farmi aiutare dal mio amico Sidney Rotalinti. Susseguentemente, quando ho cominciato a riacquistare fiducia, volontà, capacità e condizione mentale, avevi appena costruito un tuo nucleo famigliare con la Federica, rallegrato e rinsaldato, più tardi, dalla nascita del piccolo Francois. Anche i nostri rapporti erano migliorati. Dopo aver riflettuto, esaminando il problema da diverse angolazioni e tenendo in considerazione alcuni aspetti, ho preferito lasciar perdere. Poi sei arrivato con le tue lusinghiere proposte, per un certo verso allettanti, perché all'orizzonte lasciavano intravedere il cammino della verità.
Mi sono confidato e appoggiato al dott. Tazio Carlevaro il quale mi ha consigliato che, riprendere un'attività investigativa di tale qualità, soprattutto con il supporto del Procuratore Pubblico, sarebbe stato un toccasana, un'iniezione di fiducia al morale. Al contrario, hai rovinato tutto. Mi hai dapprima illuso e poi deluso. Ecco spiegati i motivi che mi hanno indotto a prendere una simile, sofferta, decisione. E non devi nemmeno vagare troppo con la tua immaginazione per cercare di capire chi mi abbia aiutato. Risparmiati la fatica. Ho fatto tutto da solo.

Non ho nessuna pretesa di rifarmi la verginità. Voglio che si conosca la verità. Quella verità che mi consentirebbe di uscire di scena dalla porta principale.
Sono altri che devono uscire da quella secondaria, per non dire da quella anti-incendio.
"Sono fermamente convinto che la verità disarmata e l'amore disinteressato avranno l'ultima parola" ha detto una volta Martin Luther King. E qualcun'altro, cui non ricordo il nome, ha aggiunto: "... il cuore ha le sue prigioni che l'intelligenza non apre...".
C'è poi l'aspetto, da prendere seriamente in considerazione, della rifusione dei danni, morali e materiali, che mi sono stati causati. E non è cosa da poco conto. Prima o poi qualcuno dovrà pur affrontare simile spinoso problema.
Bisogna poi anche valutare la prospettiva della sicurezza. Non mi sento al riparo da possibili vendette. Fonti ufficiali mi hanno informato che, organizzazioni criminali, hanno rinnovato i loro propositi di vendetta nei miei confronti. La vendetta è un piatto che si mangia freddo. Ora esigo che si affronti anche questo spinoso problema. Per me è giunto il momento di dire basta, di finirla. Ed è proprio con questo scritto che metto la parola fine, cosciente che potrebbe anche essere... l'inizio.

Non ho mai avuto la cattiva abitudine di augurare del male a chicchessia.
Ti auguro quindi ogni bene.

Riazzino, 10 aprile 1996.

Fausto Tato Cattaneo

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