martedì 22 novembre 2011

“Occupy Wall Street” diventa “Occupy America”


“Occupy Wall Street” diventa “Occupy America”
di Massimo Mazzucco - 21/11/2011

Fonte: Luogo Comune



Negli ultimi giorni il movimento “Occupy Wall Street”, detto anche movimento del 99%, ha decisamente cambiato marcia.

Dopo lo sgombero di Zuccotti Park, eseguito la scorsa settimana dalla polizia di New York, il noto commentatore della Fox Bill O’Reilly, che rappresenta la voce dell’estrema destra americana, aveva annunciato con soddisfazione: “Il movimento è morto e sepolto”. Dal suo volto emanava un tale senso di sollievo che sembrava quasi avesse detto “L’incubo è finito”.

Ma era solo wishful thinking (noi diciamo “ti piacerebbe”).

Purtroppo per lui – e per il restante 1% degli americani - l’incubo continua, e sembra anzi peggiorare di giorno in giorno. Dopo aver rimosso le tende, i manifestanti di Zuccotti Park si sono ripresentati compatti e determinati, tornando subito ad occupare il ponte di Brooklyn e le zone circostanti. La polizia ha dovuto compiere più di trecento arresti nell’arco di 24 ore per liberare la zona, mentre le televisioni mandavano spezzoni che ritraevano episodi di violenza ben poco edificanti contro i cittadini disarmati.

Nel frattempo il movimento ha già invaso più di trecento città americane. Oltre alle grandi metropoli come Washington, Los Angeles, Chicago o San Francisco, si aggiungono alla lista dozzine e dozzine di piccoli centri abitati da tutti gli stati dell’Unione. Cittadine pressochè sconosciute come Amarillo nel Texas o Eugene nell’Oregon, che distano fra loro migliaia di chilometri, si ritrovano improvvisamente unite in una lista che cresce di giorno in giorno, e che nessuno sembra più in grado di fermare.

Mentre i media mainstream esitano ancora ad occuparsi seriamente di questo fenomeno, molti azzardano già un paragone storico con i movimenti giovanili degli anni ’60, che portarono ad un profondo mutamento nei costumi della società americana. Ma vi sono alcune profonde differenze, fra il movimento di allora e quello di oggi, che rendono quest’ultimo ancora più potenzialmente devastante, rispetto ai canoni sociali, di quello precedente.

Mentre il movimento degli anni ’60 era formato quasi interamente da studenti, quello odierno accomuna in modo trasversale gli strati più disparati della società. Oggi vedi maestri di scuola accanto a commercianti, piccoli imprenditori accanto ad impiegati di banca, tutti uniti nello stesso coro di protesta.

Negli anni ’60 quindi fu abbastanza facile etichettare l’intero movimento come “fannulloni, drogati e criminali”, dando inizio alla reazione conservatrice che portò all’uccisione di Robert Kennedy e all’elezione di Richard Nixon alla presidenza.

Oggi invece è estremamente difficile trovare una qualunque etichetta che serva ad identificare il movimento attuale. E senza un’etichetta – lo sappiamo bene - è quasi impossibile demonizzare l’avversario, prima di attaccarlo e di sconfiggerlo.

Un’altra differenza fondamentale – fra ieri ed oggi – sta nella propagazione mediatica delle notizie. Negli anni ’60 uscivano solo servizi dei telegiornali che erano stati accuratamente “ripuliti” e montati per attenuare l’impatto e la portata delle manifestazioni studentesche. Oggi invece la presenza dei telefonini sul campo impone ai poliziotti di limitare al massimo la violenza, mentre l’esistenza di Youtube e della rete rendono del tutto inutile qualunque tentativo da parte dei media di modificare la percezione pubblica degli eventi.

Ieri mattina a Los Angeles la polizia ha usato il pepper spray contro gli studenti, e dopo mezz’ora le vergognose immagini dei poliziotti bardati alla “Mad Max”, che spruzzavano gli studenti seduti a terra come se fossero dei moscerini fastidiosi, avevano già fatto il giro del mondo.

C’è però anche il rovescio della medaglia, che rende la situazione molto preoccupante: mentre la gente ormai ha capito che non può più fidarsi dei politici per risolvere i propri problemi, a Washington il “supercomitato finanziario” – una commissione mista di repubblicani e democratici – non riesce nemmeno ad accordarsi sulle misure più urgenti da prendere per cercare di riequilibrare il budget nazionale.

I democratici fingono di difendere gli interessi della “middle class” con richieste assolutamente inutili e superficiali, mentre i repubblicani si rifiutano sdegnosamente di accettare un qualunque aumento del gettito fiscale da parte della casta dei privilegiati.

La spaccatura fra la gente e la classe politica ormai è irreparabile, ma questo a Washington non lo ha ancora capito nessuno. E purtoppo, per ora, gli strumenti per il controllo violento delle masse sono ancora tutti nelle mani del famoso 1%.

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