martedì 22 novembre 2011

L'utopia del governo dei banchieri


Il governo dei banchieri: la realizzazione di una utopia capitalista
di John Brown - 21/11/2011

Fonte: Come Don Chisciotte

  
In ogni particolare repubblica, il governo propriamente detto, ossia il supremo potere temporale, apparterrà naturalmente ai tre principale banchieri.
Auguste Comte, Catechismo positivista
1. La risposta del potere all’ondata di resistenza contro le politiche dettate dal capitale finanziario ha la grande virtù di non essere ipocrita. Di fronte a quelli che nelle piazze gridavano “La chiamano democrazia e non la è” o “Non ci rappresentano”, l’oligarchia che è al comando del potere ha deciso di non deluderci. La riforma costituzionale “ad alta velocità” in Spagna è stata il primo mattone che poi, con una terribile accelerazione storica, è stata seguita dalla nomina dell’uomo di Goldman Sachs, Mario Draghi, come presidente della Banca Centrale Europea, una banca formalmente “indipendente”, ma che è indipendente solo da qualsiasi organo che derivi dalla volontà popolare. 

La società che ha falsificato i conti pubblici perché la Grecia potesse entrare nell’euro e che poi ha palesemente speculato sul debito greco, tirerà le fila dei destini finanziari dell’Unione Europea. In Grecia, dopo la persecuzione e la deposizione di George Papandreou favoriti dalla Troika (FMI, Commissione Europea, BCE) che ha trattato la Grecia come fosse un paese coloniale, il nuovo primo ministro sarà un altro esponente dell’oligarchia finanziaria, Lucas Papademos, ex responsabile della Banca Centrale Europea. In Italia, Mario Monti – la persona imposta “dai mercati” e dai loro rappresentanti sul globo e in Europa per prendere il posto dell’infausto Berlusconi, è anche lui, secondo i dati della Commissione Europea, oltre che ex commissario, consigliere di Goldman Sachs. (NdR: e membro di Moody's...)

In questo momento la Banca Centrale Europea e due paesi dell’Unione sono guidati da persone apertamente legate al capitale finanziario e, nel caso di Draghi e di Monti, a Goldman Sachs. Sembrano realizzarsi le affermazioni dell’istrionico operatore di borsa Alessio Rastani che, intervistato dalla BBC, ha affermato: “I governi non governano il mondo; è Goldman Sachs che governa il mondo.” Invertendo la formula di Marx, possiamo dire, per descrivere quello che succede oggi, che “la storia si ripete due volte: una volta come scherzo, l’altra come tragedia … greca”.
2. Il capitalismo ha sempre avuto una relazione difficile con la democrazia. Diversamente dalla storia ufficiale che ci presenta capitalismo e democrazia come termini di un binomio inseparabile, la democrazia formale ha impiegato molto tempo per stabilirsi nel mondo capitalista e, visti i tempi attuali, possiamo dire che sia durata ben poco. I regimi liberali del XIX secolo e dei primi decenni del XX non erano democratici nemmeno nel senso limitato che diamo oggi a questo termine: in quasi tutti, il suffragio era basata sul censo o era fortemente limitato, e votavano solo gli uomini. La rappresentanza politica era quindi possibile solo per coloro che avevano introiti e un patrimonio notevole e che non erano sottoposti al potere patriarcale nella sfera familiare. Quanto al pluralismo politico è sempre stato molto limitato, e le opzioni anticapitaliste spesso erano ritenute fuorilegge. Le cose cambiarono nel secondo decennio del XX secolo, nel convulso periodo compreso tra la Rivoluzione Russa e gli anni successivi alla crisi del ’29, quando, di fronte alla minaccia della rivoluzione e della crisi, fu indispensabile per le borghesie europee e nordamericane creare un ampio consenso attorno al capitalismo che includesse il proletariato e i suoi rappresentanti. Con i governi di Roosevelt negli Stati Uniti o del Fronte Popolare in Francia - ma anche ai margini della democrazia liberale, con il fascismo e il nazismo -, fu possibile stabilire un accordo sociale egemonico basato sull’ordine capitalistico fondato sullo scambio tra disciplina sociale e lavorativa con la protezione e i diritti sociali. Dopo la Seconda Guerra Mondiale e la vittoria sul fascismo, nell’Europa in ricostruzione fino agli anni ’70 si consolidano regimi capitalistici con una forte componente “sociale” e una notevole influenza delle sinistre, mentre i risultati sociali e democratici dell’era Roosevelt si mantengono nonostante alcuni tagli negli Stati Uniti.
Il capitalismo ammette in questo modo, al suo interno, un margine per la rivendicazione dei diritti sociali e per un qualche gioco politico pluralista e democratico, contenuto negli ambiti stabiliti dal sistema della rappresentanza, nella “democrazia dei partiti” e nella preservazione delle condizioni minime per il funzionamento dello stesso capitalismo.
Questo idillio del capitalismo con la democrazia non dura più di trent’anni (i trenta “anni gloriosi” della crescita successivi alla Seconda Guerra Mondiale) e entra in crisi quando le conquiste popolari nei paesi del centro capitalista e il raggiungimento dell’indipendenza dei paesi del Terzo Mondo riducono fortemente il margine di profitto del capitale per dover aumentare i salari e anche i prezzi delle materie prime. Il capitalismo democratico si trova di fronte a un limite. Siamo davanti a quello che la Commissione Trilaterale definirà come “la crisi della democrazia” e che si caratterizzerà come una crisi di “governabilità”. La soluzione a questa crisi sarà, come si sa, la controrivoluzione liberale con i suoi diversi capisaldi: Pinochet, Reagan, Thatcher, Felipe Gonzalez-Solchaga, eccetera. I suoi strumenti saranno la deregolamentazione finanziaria, il monetarismo, la sostituzione del contratto lavorativo e della contrattazione collettiva con il contratto mercantile e la contrattazione individuale, e la liquidazione progressiva dei diritti sociali.
3. Nel regime neoliberista iniziale si mantengono le forme democratiche: i governi vengono eletti dalla maggioranza parlamentare e gli interessi privati si differenziano dall’interesse pubblico, anche se quest’ultimo tende a tradursi ogni volta di più nei termini di efficacia e di redditività commerciale. La democrazia perde, alla fine, i suoi contenuti una volta introdotta la dottrina di Margaret Thatcher “TINA” (There Is No Alternative – Non c’è alternativa), visto che sono oramai praticamente impossibili le politiche socialdemocratiche. Tuttavia, quando all’inizio del 2008 e della crisi dei titoli spazzatura, il capitale finanziario si trasforma in un creditore spietato degli stessi poteri che hanno salvato le banche dalla propria sparizione, il margine di trattativa dei diritti e degli interessi delle categorie sociali maggioritarie sparisce completamente. L’unica priorità degli Stati è il pagamento del debito e la salvaguardia della credibilità davanti ai mercati. A partire da questo momento, i rappresentanti politici non possono mantenere la finzione dell’ “interesse generale” e diventano apertamente pupazzi nelle mani del capitale finanziario. Le immagini patetiche e le dichiarazioni di Papandreu, Zapatero e, in diversa misura, degli altri dirigenti delle nostre democrazie in questi ultimi mesi danno un buon esempio di questa totale sottomissione del potere politico formale al potere privato. In un certo modo il capitalismo, dopo aver conosciuto una fase democratica abbastanza breve, sta tornando alla sua iniziale costituzione liberale e oligarchica. I governi di diversi regimi capitalistici si trovano oggi sempre più nelle mani di coloro che amministrano il capitale. I sogni della sovranità popolare, della rappresentatività, della mediazione degli interessi svaniscono e resta la realtà di un regime che mai ha avuto molto a che vedere con la democrazia, se non fosse per la diretta emanazione delle dinamiche di mercato di cui sognavano Hayek e Friedman.
4. Il capitalismo sta trasformando in realtà la propria utopia. Non quella di una democrazia di mercato – anarchico – dove, come sosteneva Hayek, il mio denaro è la mia scheda elettorale, ma quella di un capitalismo del debito, dove chi governa è il capitale finanziario tramite i propri agenti. Alla fine del secolo XIX, questo sogno che oggi si fa realtà venne descritto da Auguste Comte in vari suoi testi. Per il fondatore del positivismo, ogni costituzione politica deve rispondere allo stato della civilizzazione che le corrisponde. Secondo la legge dei tre Stati, l’umanità avrebbe conosciuto prima uno stadio teologico (coi suoi tre momenti: feticismo, politeismo e monoteismo), un secondo stadio dominato dalle rappresentazioni astratte della metafisica e un terzo stadio di maturità dominato dalla scienza e dall’industria, lo stadio positivo. In questo ultimo stadio della civiltà, l’osservazione dei fenomeni naturali e, in particolare, di quelli sociali deve essere la base di ogni organizzazione politica. La base dell’ordine politico è la “”sociocrazia”, il potere delle leggi della società enunciate dalla sociologia. In questo Comte è un erede diretto dei fisiocratici, che già avevano appoggiato un governo basato sulla natura (fisiocrazia o governo naturale). La democrazia, per Comte, rimane relegata all’ordine delle anticaglie dello stadio metafisico, dato che si basa su astrazioni come la sovranità popolare o l’eguaglianza dei diritti che non coincidono con le conclusioni dell’osservazione scientifica e delle leggi che da esse derivano: “In politica tutto è fissato in conformità a una legge realmente sovrana, riconosciuta come superiore a tutte le forze umane, visto che in ultima analisi deriva dalla nostra organizzazione, sulla quale non si potrebbe esercitare alcuna azione. In una parola, questa legge esclude, con la stessa efficacia, l’arbitrarietà teologica, ossia il diritto divino dei re, e la arbitrarietà metafisica, la sovranità dei popoli” (“Piano di lavori scientifici necessari per riorganizzare la società”, 1822). Per Comte, lo stato positivo è la fine dell’arbitrarietà rappresentata dal pensiero teologico e da quello astratto-metafisico. Il principio unico di governo è il rispetto delle leggi scientifiche, naturali e inviolabili scoperte dalla sociologia. La politica diventa completamente naturale e assoggettata, come la natura stessa, a un sapere scientifico e a un intervento tecnico. Per questo motivo, non ha senso mettere in discussione l’ordine positivo, dato che si impone non con l’arbitrarietà della volontà umana, ma per la forza dei fatti che corrisponde a un dispotismo non arbitrario: “Se qualcuno volesse vedere nell’imperio supremo di questa legge una trasformazione dell’arbitrarietà esistente, bisognerebbe chiedere loro che si lamentino anche del dispotismo inflessibile esercitato su tutta la natura dalla forza di gravità” (Ibid.) 
Per Comte, la fine dell’arbitrarietà si traduce in un nuovo tipo di governo, basato sulla politica scientifica, in cui gli uomini smettono di governare e sono le cose a farlo: “In questa politica la specie umana viene considerata come soggetta a una legge naturale che può essere determinata dall’osservazione e che prescrive, in ogni epoca e nel modo meno equivoco, l’azione politica che si può esercitare. Quindi l’arbitrarietà cessa necessariamente. Il governo delle cose sostituisce quello degli uomini.” (Ibid.) Il problema è che il governo delle cose sugli uomini ha bisogno sempre di alcuni intermediari tra le cose e gli uomini che possano formulare e interpretare le leggi positive dettate dalle cose. 
I banchieri occupano, nella scala dell’industria, un posto privilegiato dato che, nella classe degli imprenditori, la loro funzione è più astratta e generale, ed è quella che meglio gli consente di conoscere le leggi fondamentali della società e di applicarle. La gerarchia sociale degli imprenditori si eleva, in effetti, “dagli agricoltori ai fabbricanti, da questi ai commercianti, per salire da ultimo fino ai banchieri, e ogni classe si poggia sulla precedente. Quelle operazioni più indirette, che vengono affidate ad agenti più selezionati e poco numerosi, richiedono quindi concezioni più generali e più astratte, così come una più ampia responsabilità” (Catechismo positivista). Per questo motivo untriumvirato di banchieri deve assumere il potere temporale in ognuna delle repubbliche che configurano l’ordine mondiale positivista: “In ogni repubblica particolare, il governo propriamente detto, cioè il supremo potere temporale apparterrà naturalmente ai tre principali banchieri” . Si profila così l’utopia di un governo mondiale del capitale attraverso i suoi agenti: “Duemila banchieri, centomila commercianti, duecentomila produttori e quattrocentocinquantamila agricoltori mi sembrano dirigenti industriali sufficienti per centoventi milioni di abitanti che compongono la popolazione occidentale. In questo piccolo numero di patrizi, si concentrano tutti i capitali occidentali la cui attiva applicazione dovranno dirigere liberamente, sotto la loro costante responsabilità morale, a beneficio di un proletariato trenta volte più numeroso.”
5. L’idea che chi governa realmente il mondo non sono i governi ma Goldman Sachs è stato considerata una barzelletta e si è anche creduto per alcuni giorni che l’intervista di Alessio Rastani alla BBC fosse uno scherzo degli Yes Men. La psicoanalisi ci ha insegnato, invece, che una battuta non è solo una battuta, perché ha una forte relazione con l’inconscio. La battuta (Witz) come manifestazione dell’inconscio ci apre, secondo Freud, a un sapere che non conosce sé stesso, perché sarebbe insostenibile. Nelle forme liberali e democratiche assunte fino ad oggi dal capitalismo, affermare che viviamo sotto la dittatura del capitale sembrava un’esagerazione che poteva essere espressa solo attraverso una parodia. Si poteva obiettare a chi lo affermava che nei nostri paesi ci sono le elezioni e che il popolo può cambiare la linea del governo, cosa oltretutto vera nell’ambito di precisi limiti che hanno sempre coinciso con quelli del capitalismo stesso. In un capitalismo democratico, tutto si può cambiare a parte il capitalismo stesso. Ma l’evoluzione del sistema ci ha portato, in prima battuta, a un completo svuotamento dei contenuti della politica nella prima fase (monetarista, de-regolamentatrice) della controrivoluzione neoliberista e, nella sua seconda fase dominata da quella che Maurizio Lazzarato chiama “l’economia del debito”, a una aperta sparizione delle forme democratiche, a uno stato di eccezione permanente. Le battute peggiori e i sogni più assurdi diventano realtà di fronte ai nostri occhi. La crisi della rappresentanza politica nel capitalismo non è mai stata così prosciugata, e mai è stata più urgente e più sentita la necessità di rifondare la democrazia su una base diversa dal capitalismo.
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13.11.2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE

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