domenica 6 novembre 2011

Italia rapinata dai bankster


Una vera e propria dittatura si abbatte sulle spoglie di una Nazione già defraudata delle maggiori ricchezze
Di Monia Benini, Rinascita

"Mesi di tensioni sui mercati finanziari e di aggressioni speculative contro i debiti sovrani sono (…) il segnale inequivocabile di una debolezza degli assetti istituzionali dell’area euro”.

Questa frase, inserita nella lettera inviata dal presidente del Consiglio italiano all’Ue, fotografa con linguaggio diplomatico la situazione nel vecchio continente. La corrispondenza, inaugurata da Trichet lo scorso 5 agosto, verso l’Italia non può certo essere descritta come una foscoliana corrispondenza di amorosi sensi. Innanzitutto perché manca il caro estinto: il governo Berlusconi, nonostante il fuoco incrociato interno ed estero, sta per ora reggendo. In secondo luogo, l’atteggiamento di Francia, Germania e più in generale dell’Europa nei confronti del nostro Paese non può certo essere definito come compassionevole e affettuoso.
Al di là delle risatine di Sarkozy (non per nulla legato al mondo sionista), premier di quel paese - la Francia - che ha maggiormente attinto ai prestiti della Bce negli ultimi mesi, e senza soffermarsi sulla rabbia di larga parte dei cittadini italiani, emerge con forza il potere della Banca Centrale Europea rispetto ad uno stato che, sulla carta, dovrebbe intendersi sovrano. Ma così non è.
I provvedimenti richiesti con la missiva di Trichet, in parte accolti con la manovra ferragostana di Tremonti e ora esauditi con la lettera di Berlusconi, rappresentano una piena ingerenza nelle politiche interne italiane: la vendita dei beni pubblici a privati, la privatizzazione dei servizi pubblici, i licenziamenti facili per motivi economici (sic!), l’innalzamento dell’età pensionabile, sono alcune delle misure “imposte” e immediatamente recepite.<!--more-->
A scanso di equivoci, è utile entrare nel merito dei provvedimenti, ad esempio spiegando che in base ai dati del Corriere della Sera, gli uomini in Italia vanno mediamente in pensione a 61,5 anni mentre in Germania a 61,6; le donne italiane terminano di lavorare a 60 anni, rispetto ai 59,9 della Germania. Il dato francese invece attesta a 58,8 anni l’età della quiescenza per entrambi i sessi. Quindi tutta la campagna allestita in merito all’arretratezza dell’Italia rispetto ai parametri europei è del tutto infondata. Non solo: il meccanismo di aggancio delle pensioni alle aspettative di vita, da tempo concretizzato dal governo Berlusconi, ha fatto sì che la soglia del pensionamento sia già stata innalzata. Non c’era dunque bisogno di utilizzare quest’arma, a meno che non si mirasse ad impiegarla per minare lo stesso governo. Ne è riprova il fatto che tutta l’opposizione, la stampa italiana e internazionale tifavano per misure ancor più draconiane da parte dell’Europa, in modo che Berlusconi non potesse riuscire a… saltare l’asticella.
Se si accettasse di mettere da parte qualunque tipo di partigianeria ideologica, si potrebbe agilmente vedere come le misure assunte dai vari governi nazionali che si sono avvicendati in Italia abbiano sempre e comunque teso ad assecondare l’ingordigia del sistema bancario internazionale e della grande finanza.
E’ lo stesso Massimo D’Alema a dichiarare bellamente alcuni giorni fa in una trasmissione televisiva che è stato il centro sinistra ad adottare l’Euro, a imporre severe misure di rientro del debito pubblico, a dare il via alle maggiori privatizzazioni che hanno sin’ora interessato il nostro paese. E’ il governo Prodi a rifiutare, in totale assenza di un reddito minimo di cittadinanza, la proposta dell’allora senatore Fernando Rossi di raddoppiare un “bonus” per la popolazione povera previsto inizialmente di 40 centesimi al giorno per persona, mentre nell’ambito della stessa seduta al Senato, a distanza di circa tre quarti d’ora, il medesimo governo stanzia la cifra di 2 miliardi e 700 milioni per sgravi al sistema bancario e assicurativo.
Come sostiene l’avv. Marco Della Luna, scrittore ed esperto di economia, qualunque misura drastica sia intrapresa da qualsivoglia governo potrà al limite alleviare temporaneamente la morsa europea, ma non potrà dare quelle risorse che sono continuamente richieste da un monopolio finanziario e monetario gestito dalla grande finanza internazionale. Una sorta di dittatura che si abbatte su scala mondiale sui vari paesi, che decide quando stringere il cappio attorno alle nazioni e che si “protegge”, accettando fra i propri vertici solo persone che garantiscano il perpetuarsi del sistema.
E’ il caso di Mario Draghi, designato presidente della Banca Centrale Europea lo scorso 24 giugno (ruolo operativo a partire dal 1 novembre). La sua carriera lo rende l’uomo giusto nel posto giusto per salvaguardare gli interessi delle banche: direttore esecutivo della Banca Mondiale dal 1984 al 1990, componente del consiglio di amministrazione di diverse banche ed aziende (ENI, IRI, BNL, IMI), artefice delle maggiori privatizzazioni italiane nel periodo 1993-2001, vicepresidente dal 2002 al 2005 della Goldman Sachs e governatore della Banca d’Italia a partire dal 2006. Inoltre, come si legge sul web, Draghi presiede da cinque anni il Financial Stability Board che riunisce rappresentanti dei governi, di istituzioni finanziarie internazionali, di associazioni internazionali di autorità di regolamentazione, esponenti delle banche centrali e delle autorità nazionali di vigilanza sulle istituzioni e sui mercati finanziari, di comitati di esperti di banche centrali. Tutti insieme appassionatamente: controllori e controllati.
L’autorità attribuita alla BCE con il trattato di Maastricht e con quello di Lisbona è tale da permettergli di imporsi su ogni stato membro e di sfuggire nel contempo a qualunque tipo di procedura democratica che risponda ai popoli delle varie nazioni europee. L’unico mostro effettivamente costruito, in barba all’ideale europeo, è un Europa dei mercati e della finanza, devota al Dio denaro, che comanda e impera sugli stati sovrani.
Questo appare evidente se si considera l’accordo sulle banche, che prevede che le queste debbano iscrivere i titoli di stato ai valori di mercato e ricapitalizzare, ma qualora queste non ce la facciano, sono gli stati a dover intervenire con soldi pubblici. Il testo parla chiaro: deve essere garantito il finanziamento a medio termine delle banche.
Non paga di questo, l’Europa si inventa una nuova entità, il Meccanismo Europeo di Stabilità. Questo trattato, è giunto come emendamento al Consiglio Europeo il 25 marzo e l’11 luglio era già pronto per la ratifica degli stati membri che, pare, sarà anticipata al 2012. Utilizzando il paravento del non ampliamento delle competenze dell’UE, il monopolio finanziario è anche riuscito anche ad evitare le prove referendarie in vari paesi membri. Questa struttura, governata da 17 ministri delle finanze, avrà privilegi ed immunità in tutti i paesi membri, potrà adire le vie legali, ma non potrà essere citata in giudizio da nessuno. Tutte le proprietà del MES sono esenti da confisca e requisizione e il Meccanismo è esente da qualunque tipo di tassazione. Tutte le persone che sono coinvolte nel MES sono coperte da immunità e sono tenute al segreto professionale. La cosa più paradossale resta però lo sforzo che viene richiesto ai vari stati per la compartecipazione: l’Italia vi partecipa con una quota del 17,91% il che significa che dovrà versare, suddiviso in 5 tranches, un importo di oltre 125 miliardi di euro.
125 miliardi di euro: mentre l’Italia affoga nel debito, l’Europa le impone un versamento di questa portata. Il falso bersaglio della riduzione del debito pubblico si trasforma dunque in un aumento del debito pubblico per sostenere le banche. L’Italia si trova così spogliata della propria sovranità, con una popolazione frammentata in assurde tifoserie politiche, con una situazione sociale spaventosa, con un debito pubblico stellare, frutto di scelte politiche irresponsabili e delle spese clientelari del sistema partitocratico che dalle istituzioni dà l’assalto al denaro pubblico, ma causato ed alimentato costantemente anche dal signoraggio. In sintesi, attraverso lo shock creato dall’allarmismo finanziario, usciremo da questa crisi ancor più schiavi del sistema bancario.

*Monia Benini è la coordinatrice nazionale del movimento Per il Bene Comune (PBC), lista civica nazionale, fondata l’8 febbraio2008. Del movimento è portavoce l’ex senatore Fernando Rossi, entrambi fuoriusciti dai Comunisti Italiani.

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