Mastrapasqua e gli altri, la vera casta impossibile da licenziare
Ammesso che il ministro Fornero abbia ragione sui dati sbagliati forniti dall’Inps sugli esodati, Mastrapasqua si dovrebbe dimettere. Licenziarlo non sarebbe impossibile, ma nessuno sa come fare. Le strade sono due: o una sfiducia da parte del Consiglio dei ministri, che però gli ha prolungato il mandato, oppure varare in fretta la riforma della governance del più grande ente previdenziale d’Europa. Un’urgenza rimarcata ogni anno dalla relazione della Corte dei Conti.
Antonio Mastrapasqua, presidente Inps
21 giugno 2012 - 13:19
«È grave l’episodio riguardante l’uscita dei numeri sull’entità degli esodati. Se l’Inps facesse parte di un settore privato, questo sarebbe un motivo per riconsiderare i vertici». Ammesso e non concesso che il ministro Fornero, nel pronunciare queste parole, abbia ragione, come si fa a licenziare Mastrapasqua? Il titolare del più grande ente previdenziale europeo per masse gestite, nominato con decreto del Presidente della Repubblica nell’estate 2008, in scadenza quest’anno ma prorogato al 2014 dal decreto Salva Italia, non è impossibile. Il problema è che nessuno sa come fare.
Come si legge sul sito dell’Inps, «il Presidente che ha la legale rappresentanza dell'ente, predispone il bilancio e i piani di spesa e investimento, attua le linee di indirizzo strategico dell’Istituto». La legge finanziaria 122/2010, che tra le altre ha riorganizzato gli enti pubblici non economici, ha successivamente «accentrato nella figura del Presidente le funzioni precedentemente attribuite allo stesso e al Consiglio di Amministrazione». Misura che la Corte dei Conti, nella sua relazione 2011, ha bocciato senza appello, parlando di un consolidamento della catena di comando «che appare più vicino alla logica delle agenzie ministeriali e contrasta con l’autonomia riconosciuta agli enti», e ancora di «inusuale concentrazione dei poteri di indirizzo gestionale in capo al Presidente, che non esclude i rischi – in concreto già verificatisi e potenzialmente riproponibili – di interferenze dirette nella operatività gestionale e quindi di incidenza sulle attribuzioni riservate, innanzitutto, al Direttore generale e, inoltre, alla stessa dirigenza». Il tutto per uno stipendio annuo di 194mila euro per il ruolo di presidente e circa altri 50mila per «i compiti sostitutivi del CdA», per un totale di 265mila euro.
Insomma, per i magistrati contabili Mastrapasqua è il capo incontrastato dell’ente previdenziale, a dispetto degli altri suoi 24 incarichi, dalla casa di produzione cinematografica Fandango a Idea Fimit, oltre alla vicepresidenza di Equitalia, alla presidenza di Equitalia Nord, Equitalia Centro, Equitalia Sud, al collegio sindacale di Autostrade per l’Italia, Telecom Italia Media, ADR Engineering, Eur Spa, Eur Congressi Roma, Coni servizi, Telecontact Center, Fintecna Immobiliare, eccetera. Poltrone che portano il suo stipendio annuo a 1,2 milioni di euro. Secondo fonti interne, Mastrapasqua è un uomo sempre più solo, che parla con il direttore generale Mauro Nori soltanto in virtù di una “pace armata”. I rapporti tra direttore generale e presidente sono regolati dalla direttiva del 28 aprile 2011 sul funzionamento degli «organi degli enti pubblici non economici», e recita: «Al presidente compete, invece, la valutazione annuale del direttore generale e l’attribuzione ad esso dei premi incentivanti, sulla base della proposta formulata dall’OIV».
L’Oiv, acronimo che sta per Organismo indipendente di valutazione delle performance, introdotto dalla famigerata riforma Brunetta, ha però le armi spuntate, come racconta a Linkiesta il presidente Francesco Varì: «L’Oiv è un organo consulenziale che esprime pareri obbligatori ma non vincolanti, che il presidente può ignorare. In ogni caso, valuta gli organi apicali e non quelli di nomina politica, anche se per via del blocco del turnover dettato dalla riforma Brunetta il nostro parere, legato ai rinnovi contrattuali, ha un raggio d’azione limitato». A livello normativo, i poteri dell’Oiv sono sanciti dall’art. 14 del decreto legislativo 150/2009, mentre la responsabilità dirigenziale nelle amministrazioni pubbliche è regolata dall’art. 21 della legge 165 del 2001, che a sua volta rimanda al mancato raggiungimento degli obiettivi fissati all’ar.17 della 59/1997. Il quale è piuttosto generico.
Ovviamente, le suddette norme non valgono per i dirigenti di nomina politica. Guido Abbadessa, presidente del Consiglio d’indirizzo e vigilanza dell'Inps, un organo di indirizzo strategico composto da 24 membri prevalentemente di provenienza sindacale, spiega a Linkiesta che, oltre a una moral suasion, nemmeno loro possono farci niente: «Soltanto la Fornero può sfiduciare Mastrapasqua». Ciò significherebbe però ammettere i propri errori, poiché, come detto, è grazie al Salva Italia che l’era del manager vicino a Gianni Letta è stata prolungata al 2014. Elio Lannutti, senatore Idv e presidente dell’Adusbef, che assieme a Marco Perduca (Radicali) e Vincenzo Vita (Pd) ha annunciato l’avvio di una commissione d’inchiesta su Mastrapasqua, dice a Linkiesta: «È il ministro Fornero ad avere la facoltà di chiedere le dimissioni di Mastrapasqua, magari dipendesse dal Parlamento».
Giorgio Jannone (Pdl), presidente della Commissione parlamentare di controllo sugli enti previdenziali, la vede diversamente: «L’unico modo per mandare via un manager pubblico è un atto di sfiducia palese da parte del Parlamento, attraverso una mozione. La vera risposta alla domanda se è possibile licenziare Mastrapasqua – spiega ancora Jannone – è nel precedente della Rai: quando è cambiata la metodologia di nomina dei vertici il vecchio cda si è dimesso, quindi è necessario prima intervenire sulla governance».
Qualora non si andasse a votare ad ottobre è probabile che la riforma dell’Inps sia legge entro il 2012. Il che significherebbe l’uscita di Mastrapasqua, a prescindere dagli esodati.
Leggi il resto: http://www.linkiesta.it/fornero-esodati-mastrapasqua-inps-riforma-governance#ixzz1ySLqGUXr
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