mercoledì 19 settembre 2012

Che vuol dire: "populista" ?


Perché non dobbiamo berci la favola del mostro cattivo populista

Ecco la favola. Un fantasma cattivo si aggira per l’Europa: il populismo. A esso se ne contrappone uno buono: l’europeismo. Il fantasma cattivo ha un pessimo carattere: odia l’euro, non ha mai amato l’unità del Vecchio continente, diffida delle banche, in qualche caso è xenofobo se non razzista, ha paura del nuovo, difende il territorio e la nazione, è stufo di fare sacrifici pagando tasse e usufruendo di minori servizi. Ha molte facce, quella della Lega e quella di Grillo dalle nostre parti, quella di Marine Le Pen o di Heinz-Christian Strache, leader del partito austriaco della Libertà e persino quella di Alexis Tsipras capo di Syriza (colpevole di dire sì all’euro ma no all’austerità) in Europa. Spesso si insinua in fasce di popolazione sociali più ampie che con quei partiti non hanno niente a che fare. E’ successo in Europa quando grandi paesi come la Francia e l’Olanda non hanno votato i trattati europei. O quando nelle piazze di Atene, di Madrid o di New York è divampato l’odio contro le misure delle Banche centrali.
Il fantasma buono invece difende l’euro, ha la faccia del Parlamento europeo, delle Banche centrali, dei sacrifici necessari, del politicamente corretto, della sobrietà nordica, di un moderato multiculturalismo. E’ efficiente e retto. Vuole che tutto funzioni a dovere, senza sprechi e senza eccessi. E’ penetrato dovunque. Negli istituti finanziari, nei governi europei, nei grandi giornali. Ha imposto il rigore e promesso la crescita. E’ nemico giurato del populismo e pensa che contro di esso occorra lottare senza tregua. Il nostro di governo ha proposto addirittura di convocare un summit con i capi di stato europei su questo tema. Per prendere le adeguate misure. Basta col populismo, ha detto severamente Mario Monti.
Troviamo la favola del fantasma cattivo e del fantasma buono ogni giorno sui giornali nazionali. Con tempestività e sincronia direttori ed editorialisti hanno unito il loro coro a quello dei politici preoccupati. Usando le stesse parole, facendo le stesse confusioni e servendosi delle stesse semplificazioni di comodo. E’ una semplificazione di comodo, ad esempio, dire che sono egualmente populisti Grillo, Tsipras, i movimenti di ribellione alla politica di austerità, che il fantasma venga intravisto anche nelle critiche che partiti pur moderati fanno alle attuali politiche europee, che, insomma, si sospetti in tutte le posizioni non coincidenti con quelle dei centri finanziari e dei governi che sono in sintonia con essi.
E allora nasce un dubbio, anzi molti. Forse il mostro populista è evocato per paura che alle attuali, sobrie, rigoriste e conformiste politiche europee si contrapponga un’opposizione, di qualunque tipo, di qualunque natura, comunque non reggibile da chi pensa di detenere “tecnicamente” e quindi chissà perché ormai giustamente il potere. Forse il fantasma è creato per occultare una impotenza o un probabile fallimento di fronte all’enormità dei problemi posti dalla crisi. Forse la favola cela una insopportabilità verso qualunque forma di disaccordo, comunque si manifesti. Sono dubbi forti che le tirate quotidiane contro i populismi accrescono. Che la sincronia fra la descrizione del mostro e i dati drammatici sulla situazione sociale avvalorano.
Oggi si ha bisogno della favola dei due fantasmi. Si ha bisogno di raccontarla e di raccontarsela, invece di fare un esercizio più utile e salutare. Capire che sotto ogni pulsione popolare o populistica, persino la più spregevole, c’è un motivo e un bisogno. La pulsione xenofoba, forse la più odiosa, non è in gran parte frutto della insicurezza non solo economica? La ribellione all’euro non nasce dalla constatazione innegabile che le condizioni di vita sono peggiorate? La diffidenza nei confronti delle banche non ha seri motivi su cui fondarsi? La rabbia è sempre indistinta e condannabile, oppure qualche volta nasce da una disperazione che si deve comprendere? Forse chi evoca il fantasma del populismo fa solo la politica dello struzzo. Nasconde la testa sotto la sabbia per non vedere.
di Ritanna Armeni

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