Il ruolo del risparmio e della moneta nel disegno costituzionale.
Il
 ruolo del risparmio e della moneta nel disegno costituzionale: una 
storia di abrogazione tacita tra criteri di convergenza post Maastricht e
 pareggio di bilancio.
L’art. 47 primo comma Cost. dispone: “La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio, in tutte le sue forme, disciplina coordina e controlla il credito. 
Favorisce l’accesso del risparmio 
popolare alla proprietà dell’abitazione, alla proprietà diretta 
coltivatrice e al diretto investimento azionario nei grandi complessi 
produttivi del paese”.
Il tema del risparmio è costantemente dimenticato nel nostro ordinamento, benché sia un diritto costituzionalmente tutelato. La definizione di risparmio, peraltro, è assai semplice: trattasi di quella parte del reddito non utilizzata e quindi accantonata da ogni cittadino.
Nel
 nostro paese, nel nome di una falsa emergenza di cassa in realtà 
causata, come si dirà meglio infra, dalla perdita di sovranità monetaria
 ed economica, il risparmio viene oggi pesantemente aggredito, sia 
attraverso una sostanziale tassazione che lo comprime in tutte le sue 
forme (basti ad esempio pensare alla tassazione sulla casa, per 
definizione il bene rifugio degli italiani), sia (soprattutto) per 
tramite la messa al bando delle politiche di deficit nazionale. 
Tutelare il risparmio “in tutte le sue forme” e garantire, come prevede il comma secondo dell’art. 47, un risparmio necessariamente “diffuso”
 comporterebbe un approccio completamente diverso alla politica 
economica. Siamo in presenza di una sostanziale abrogazione tacita del 
precetto costituzionale causato da quello che possiamo a tutti gli 
effetti chiamare “un vincolo esterno” proveniente dall’UE.
Come
 sempre quando si parla di Costituzione è utile leggere i verbali 
dell’assemblea costituente. Da essi si evince con forza quanto fosse 
chiaro e limpido il concetto della tutela del risparmio nelle 
intenzioni dei padri costituenti e ciò come conseguenza diretta ed 
immediata della stessa fondazione della Repubblica sul lavoro e del 
diritto del lavoratore ad una retribuzione adeguata a garantirgli 
un’esistenza libera e dignitosa (art. 36 Cost.).
Il risparmio è necessario per tale finalità ovviamente.
L’onorevole
 Tupini, nel dibattito della sottocommissione costituente che 
presiedeva, propose l’inserimento nella Carta della seguente dicitura: “La legge regola e tutela il risparmio”. Merlin propose invece la formula: “La legge tutela e difende il risparmio”. Si inizio una delibazione sul tema.
Tuttavia,
 tanto era chiaro il concetto della difesa del risparmio nelle menti dei
 costituenti, che la replica a queste formulazioni di Mastrojanni dichiarava fu che le formule proposte erano addirittura pleonastiche in quanto: “Nessun cittadino può dubitare che il suo risparmio possa essere aggredito”. 
Compito
 del Parlamento e del Governo è dunque certamente quello di tutelare il 
risparmio nel senso più totale e pieno del termine. Ma cosa implica 
tutto ciò e come può essere messo in relazione con i criteri di 
stabilità e convergenza da Maastricht in poi? 
Per
 rispondere a tale quesito occorre in primo luogo avere ben chiaro come 
si verifica il fenomeno dell’accantonamento del risparmio entrando 
necessariamente in logica di politica economica e monetaria. 
Ovviamente il risparmio privato è per definizione il risultato di una politica di deficit dello Stato. In sostanza se
 lo Stato recupera a tassazione ogni singolo euro immesso nel sistema 
chiaramente lo stesso concetto di risparmio diventa una mera utopia non 
essendo più realizzabile matematicamente. 
Uno
 Stato che fin dalla sua nascita adotta il principio del pareggio in 
bilancio è uno Stato che non tutela il risparmio diffuso in tutte le suo
 forme ma lo rende impossibile ex lege. Un lavoratore che non può risparmiare non potrà avere un’esistenza libera e dignitosa
Il
 concetto sembra solo in apparenza controintuitivo, anche per i 
giuristi. Ciò accade in quanto anche noi professionisti siamo soggetti a
 forme di condizionamento mediatico e culturale che trovano terreno 
fertile laddove le nostre competenze non sono sufficienti ad avere un 
pensiero del tutto autonomo e fondato su solide basi in fatto ed in 
diritto: non siamo dunque in grado di comprendere il significato
 giuridico-costituzionale del concetto di deficit pubblico, concetto che
 necessariamente dovrà prima o poi essere trattato dai giudici della 
Corte Costituzionale.
Deve
 essere chiarito fino a rendere il concetto pacifico per tutti, 
esattamente come è oggi pacifico affermare che la terrà non è piatta, 
che ad uno Stato non possono applicarsi logiche economiche di stampo 
aziendale e dunque logiche proprie della microeconomia. 
Un’azienda
 crea risparmio facendo attivo, lo Stato invece può crearlo per i propri
 consociati unicamente attraverso il proprio passivo, ovvero immettendo 
più moneta di quanta ne drena. Lo Stato secondo il modello 
costituzionale dunque è la figura che regolamenta le principali 
variabili macroeconomiche del paese lo Stato appunto deve: 
“disciplinare, coordinare e controllare il credito”. 
Lo Stato in definitiva deve immettere moneta nel circuito economico.
Una
 moneta può essere immessa in circolo unicamente attraverso la stampa di
 diretta, attraverso la spesa pubblica in deficit (meccanismo oggi 
adottato), oppure attraverso le esportazioni. Oggi sia la stampa
 diretta di moneta che la spesa pubblica a deficit sono precluse dai 
Trattati UE e dunque ci rimane solo la via dell’esportazione. La
 base monetaria può essere aumentata unicamente drenando liquidità da 
altre nazioni (esattamente in questo contesto si spiega l’attivo della 
bilancia dei pagamenti della Germania, forte grazie alle esportazioni).
Viene
 altresì facile intuire che non potendo svalutare la moneta il nostro 
paese può tornare a crescere unicamente con le esportazioni e dunque per
 farlo deve acquisire la tanto decantata (Monti insegna) maggiore 
competitività ottenibile solo passando dalla svalutazione salariale, 
ovvero facendo esattamente l’opposto di quanto prevede il modello 
costituzionale. 
I
 salari si svalutano unicamente distruggendo la domanda interna e 
causando una spirale deflazionistica (destroy internal demand – Mario 
Monti). Tutto secondo pronostico, ma palesemente contrario al dettato 
Costituzionale che fonda la Repubblica sul lavoro.
Dunque la tutela del risparmio si pone in evidente contrapposizione ad i vincoli d’indebitamento dei Trattati UE ed al pareggio
 in bilancio in Costituzione che costituisce la certificazione 
definitiva del fatto che la Repubblica non si occuperà più del risparmio
 e dunque del lavoro. 
Prima
 di esaminare i vincoli di convergenza occorre evidenziare come si sia 
verificata la cessione di sovranità monetaria (illegittima per le già 
più volte declamate ragioni: l’art. 11 Cost. consente unicamente le 
limitazioni di sovranità in condizioni di reciprocità tra le nazioni ed 
al fine di aderire ad un ordinamento che promuova la pace e la giustizia
 tra i popoli e non le cessioni definitive).
-Articolo 127 (versione consolidata TFUE)
(ex articolo 105 del TCE)
“1. L’obiettivo
 principale del Sistema europeo di banche centrali, in appresso 
denominato “SEBC”, è il mantenimento della stabilità dei prezzi. Fatto salvo l’obiettivo della stabilità dei prezzi, il SEBC sostiene le politiche economiche generali nell’Unione
 al fine di contribuire alla realizzazione degli obiettivi dell’Unione 
definiti nell’articolo 3 del trattato sull’Unione europea. Il SEBC 
agisce in conformità del principio di un’economia di mercato aperta e in
 libera concorrenza, favorendo una efficace allocazione delle risorse e 
rispettando i principi di cui all’articolo 119. 
2. I compiti fondamentali da assolvere tramite il SEBC sono i seguenti: 
− definire e attuare la politica monetaria dell’Unione, 6655/7/08 REV 7 RS/ff 136
JUR IT
− svolgere le operazioni sui cambi in linea con le disposizioni dell’articolo 219, 
− detenere e gestire le riserve ufficiali in valuta estera degli Stati membri, 
− promuovere il regolare funzionamento dei sistemi di pagamento. 
3.
 Il paragrafo 2, terzo trattino, non pregiudica la detenzione e la 
gestione da parte dei governi degli Stati membri di saldi operativi in 
valuta estera. 
4. La Banca centrale europea viene consultata: 
− in merito a qualsiasi proposta di atto dell’Unione che rientri nelle sue competenze, 
−
 dalle autorità nazionali, sui progetti di disposizioni legislative che 
rientrino nelle sue competenze, ma entro i limiti e alle condizioni 
stabiliti dal Consiglio, secondo la procedura di cui all’articolo 129, 
paragrafo 4. 
La
 Banca centrale europea può formulare pareri da sottoporre alle 
istituzioni, agli organi o agli organismi dell’Unione competenti o alle 
autorità nazionali su questioni che rientrano nelle sue competenze. 
5.
 Il SEBC contribuisce ad una buona conduzione delle politiche perseguite
 dalle competenti autorità per quanto riguarda la vigilanza prudenziale 
degli enti creditizi e la stabilità del sistema finanziario. 
6.
 Il Consiglio, deliberando all’unanimità mediante regolamenti secondo 
una procedura legislativa speciale, previa consultazione del Parlamento 
europeo e della Banca centrale europea, può affidare alla Banca centrale
 europea compiti specifici in merito alle politiche che riguardano la 
vigilanza prudenziale degli enti creditizi e delle altre istituzioni 
finanziarie, escluse le imprese di assicurazione”
-Articolo 128 (versione consolidata TFUE)
(ex articolo 106 del TCE)
“1. La Banca centrale europea ha il diritto esclusivo di autorizzare l’emissione di banconote in euro all’interno dell’Unione.
 La Banca centrale europea e le banche centrali nazionali possono 
emettere banconote. Le banconote emesse dalla Banca centrale europea e 
dalle banche centrali nazionali costituiscono le uniche banconote aventi
 corso legale nell’Unione”. 
Lo
 Stato dunque ha rinuncia a poter stampare direttamente moneta, cosa che
 non faceva già anche prima del 1981 (divorzio tesoro-banca d’italia) ma
 certamente allora tale comportamento era una libera scelta nazionale su
 cui il popolo poteva sovranamente intervenire, oggi invece è 
un’imposizione, una cessione di sovranità.
-Articolo 130
(ex articolo 108 del TCE)
“Nell’esercizio
 dei poteri e nell’assolvimento dei compiti e dei doveri loro attribuiti
 dai trattati e dallo statuto del SEBC e della BCE, né la Banca centrale
 europea né una banca centrale nazionale né un membro dei rispettivi 
organi decisionali possono sollecitare o accettare istruzioni dalle 
istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell’Unione, dai governi 
degli Stati membri né da qualsiasi altro organismo. Le istituzioni, gli 
organi e gli organismi dell’Unione nonché i governi degli Stati membri 
si impegnano a rispettare questo principio e a non cercare di 
influenzare i membri degli organi decisionali della Banca centrale 
europea o delle banche centrali nazionali nell’assolvimento dei loro 
compiti”.
Ecco dunque il dogma della banca centrale indipendente in tutta la sua forza. Tale
 dogma si pone in insanabile e radicabile contrasto con l’obbligo della 
Repubblica di disciplinare, coordinare e controllare il credito. Un 
Banca indipendente è per definizione un controllore e non una 
controllata, la menomazione dell’indipendenza nazionale è reato
 ai sensi e per gli effetti dell’art. 241 c.p., norma che solo dal 2006 
menziona la violenza quale elemento necessario alla configurazione del 
reato. Ma l’austerità non è forse violenza?
-Articolo 123 (versione consolidata TFUE)
(ex articolo 101 del TCE)
“1. Sono
 vietati la concessione di scoperti di conto o qualsiasi altra forma di 
facilitazione creditizia, da parte della Banca centrale europea o da 
parte delle banche centrali degli Stati membri (in appresso denominate 
“banche centrali nazionali”), a istituzioni, organi od organismi 
dell’Unione, alle amministrazioni statali, agli enti regionali, locali o
 altri enti pubblici, ad altri organismi di diritto pubblico o a imprese
 pubbliche degli Stati membri, così come l’acquisto diretto 
presso di essi di titoli di debito da parte della Banca centrale europea
 o delle banche centrali nazionali. 
2.
 Le disposizioni del paragrafo 1 non si applicano agli enti creditizi di
 proprietà pubblica che, nel contesto dell’offerta di liquidità da parte
 delle banche centrali, devono ricevere dalle banche centrali nazionali e
 dalla Banca centrale europea lo stesso trattamento degli enti creditizi
 privati”. 
Ecco
 che in questo contesto dove palesemente lo Stato non può fare politica 
monetaria, non avendo a disposizione una propria banca centrale, si 
innestano contestualmente i cd. parametri di convergenza che, da 
Maastricht in poi, costituiscono una cessione manifesta di sovranità in 
materia di politica economica. Il deficit (dunque il risparmio) viene 
attaccato in un modo mai visto prima nella storia.
L’esame della normativa, anche in questo caso, è semplice e davvero sconcertante:
Il protocollo n. 12 allegato al Trattato di Maastricht “Sulle procedure di disavanzo eccessivo” inaugura concetti tristemente noti:
-il vincolo del 3% per il rapporto tra disavanzo pubblico e pil (deficit annuo);
-il vincolo del 60% nel rapporto fra debito pubblico e pil.
Ovviamente con tali criteri si
 verifica esattamente quanto sin d’ora dibattuto ovvero la cancellazione
 della tutela del risparmio visto che si costringe l’Italia a tassare 
più di quanto spende. Il limite del 3% del PIL è superato già dal 
semplice computo degli interessi sul debito pubblico. L’Italia infatti 
ha collezionato avanzi primari in serie (un record) in questi anni 
(ovvero ha avuto una spesa pubblica inferiore alle entrate fiscali) e la
 conseguenza di ciò non è stata vedere i propri conti in ordina ma 
esattamente l’opposto, l’Italia è morta di avanzo primario.
Con
 il regolamento n. 1466/97, prima ancora dell’entrata in vigore 
dell’Euro, vennero immediatamente stabiliti obiettivi di convergenza e 
stabilità ancora più pregnanti. Il regolamento, redatto a cura della 
Commissione Europea, ha precisamente ristretto i margini di bilancio già
 risicati previsti dai Trattati, specificatamente nel citato protocollo 
n. 12. Il Regolamento n. 1466/97 anticipa il pareggio in bilancio oggi 
diventato addirittura tragica realtà costituzionale: “l’obiettivo
 a medio termine di una situazione di bilancio della pubblica 
amministrazione, con un saldo prossimo al pareggio o in attivo e il 
percorso di avvicinamento a tale obiettivo nonché l’andamento previsto 
del rapporto debito/PIL”. 
Segue
 poi nel novembre 2011 l’inasprimento del patto di stabilità e crescita 
con una serie di nuovi Regolamenti meglio noti con i nomi di six Pack
 e two pack, ivi si codifica ciò che vedete avvenire in questi giorni, 
ovvero il controllo esterno sulla legge di stabilità ad opera di 
Bruxelles, l’applicazione del limite dello 0,5% nel rapporto fra 
disavanzo e pil annuo (con il 3% avevamo già una crescita troppo 
vigorosa…) e l’obbligo di ridurre il debito di 1/20 l’anno fino ad 
arrivare ad un rapporto pari al 60% del PIL. Inoltre si attua un 
semi automatismo sanzionatorio. La commissione applica le sanzioni agli 
Stati ed il Consiglio può solo respingerle con voto a maggioranza 
qualificata.
Viene
 altresì introdotto il controllo esterno della nostra legge di Stabilità
 con presentazione della stessa a Bruxelles con possibilità per la 
commissione entro due settimane dalla ricezione di chiedere una 
revisione della stessa.
Il successivo Trattato
 sulla stabilità il coordinamento e la governance nell’unione economica e
 monetaria (cd. Fiscal Compact) ratificato con Legge LEGGE 23 luglio 
2012, n. 114 non fa altro che ribadire tale disciplina 
prevedendo la raccomandazione per gli Stati di inserire, preferibilmente
 in Costituzione, il pareggio in bilancio cosa che l’Italia ha 
immediatamente fatto con la modifica dell’art. 81 del 2012. 
L’Italia
 sotto la spinta del Governo collaborazionista di Mario Monti, con legge
 Costituzionale n. 1 del 20 aprile 2012, ha immediatamente riformato la 
Costituzione, limitando la sovranità dello Stato Italiano in favore 
dell’Unione Europea. Il nuovo art. 81 Cost.recita: “Lo
 Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio 
bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del 
ciclo economico.
Il
 ricorso all’indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli 
effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere 
adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al 
verificarsi di eventi eccezionali.
Ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte”.
Ogni
 politica di espansione monetaria è stata così messa definitivamente al 
bando nel nome della stabilità dei prezzi si è verificata l’abrogazione 
tacita dell’art. 47 Cost. Anzi con la riforma costituzionale si è 
verificato addirittura un contrasto interno tra norme di rango 
costituzionale. 
Oggi
 la Repubblica Italiana non tutela più lavoro e risparmio ma tutela 
unicamente il totem della forte competitività del mercato e della 
stabilità dei prezzi, si è sostanzialmente tornati ad un modello 
giuridico arcaico che farebbe certamente inorridire i padri costituenti.
 Un modello illegittimo data la manifesta superiorità dei principi 
fondamentali della Costituzione e dei diritti inviolabili dell’uomo sul 
diritto internazionale come ribadito dalla recentissima (e splendida) 
sentenza n. 238/2014 della Corte Costituzionale.
Abbiamo dunque la speranza di portare
 in Corte Costituzionale le leggi di ratifica dei Trattati determinando 
il ritorno della sovranità per il nostro paese. La prima udienza è a 
gennaio 2015, andiamo avanti!
Si pubblicano i video degli 
interventi sul tema di Luciano Barra Caracciolo, Presidente della V 
sezione del Consiglio di Stato e ell’Onorevole Giuseppe Lauricella 
ripresi al convegno del giorno 8.11.2014 www.riscossaitaliana.it 
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