martedì 18 novembre 2014

Il ruolo del risparmio e della moneta nel disegno costituzionale

Il ruolo del risparmio e della moneta nel disegno costituzionale.



Il ruolo del risparmio e della moneta nel disegno costituzionale: una storia di abrogazione tacita tra criteri di convergenza post Maastricht e pareggio di bilancio.


L’art. 47 primo comma Cost. dispone: “La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio, in tutte le sue forme, disciplina coordina e controlla il credito
Favorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del paese”.
Il tema del risparmio è costantemente dimenticato nel nostro ordinamento, benché sia un diritto costituzionalmente tutelato. La definizione di risparmio, peraltro, è assai semplice: trattasi di quella parte del reddito non utilizzata e quindi accantonata da ogni cittadino.
Nel nostro paese, nel nome di una falsa emergenza di cassa in realtà causata, come si dirà meglio infra, dalla perdita di sovranità monetaria ed economica, il risparmio viene oggi pesantemente aggredito, sia attraverso una sostanziale tassazione che lo comprime in tutte le sue forme (basti ad esempio pensare alla tassazione sulla casa, per definizione il bene rifugio degli italiani), sia (soprattutto) per tramite la messa al bando delle politiche di deficit nazionale.
Tutelare il risparmio “in tutte le sue forme” e garantire, come prevede il comma secondo dell’art. 47, un risparmio necessariamente “diffuso” comporterebbe un approccio completamente diverso alla politica economica. Siamo in presenza di una sostanziale abrogazione tacita del precetto costituzionale causato da quello che possiamo a tutti gli effetti chiamare “un vincolo esterno” proveniente dall’UE.
Come sempre quando si parla di Costituzione è utile leggere i verbali dell’assemblea costituente. Da essi si evince con forza quanto fosse chiaro e limpido il concetto della tutela del risparmio nelle intenzioni dei padri costituenti e ciò come conseguenza diretta ed immediata della stessa fondazione della Repubblica sul lavoro e del diritto del lavoratore ad una retribuzione adeguata a garantirgli un’esistenza libera e dignitosa (art. 36 Cost.).
Il risparmio è necessario per tale finalità ovviamente.
L’onorevole Tupini, nel dibattito della sottocommissione costituente che presiedeva, propose l’inserimento nella Carta della seguente dicitura: “La legge regola e tutela il risparmio”. Merlin propose invece la formula: “La legge tutela e difende il risparmio”. Si inizio una delibazione sul tema.
Tuttavia, tanto era chiaro il concetto della difesa del risparmio nelle menti dei costituenti, che la replica a queste formulazioni di Mastrojanni dichiarava fu che le formule proposte erano addirittura pleonastiche in quanto: “Nessun cittadino può dubitare che il suo risparmio possa essere aggredito”.
Compito del Parlamento e del Governo è dunque certamente quello di tutelare il risparmio nel senso più totale e pieno del termine. Ma cosa implica tutto ciò e come può essere messo in relazione con i criteri di stabilità e convergenza da Maastricht in poi?
Per rispondere a tale quesito occorre in primo luogo avere ben chiaro come si verifica il fenomeno dell’accantonamento del risparmio entrando necessariamente in logica di politica economica e monetaria.
Ovviamente il risparmio privato è per definizione il risultato di una politica di deficit dello Stato. In sostanza se lo Stato recupera a tassazione ogni singolo euro immesso nel sistema chiaramente lo stesso concetto di risparmio diventa una mera utopia non essendo più realizzabile matematicamente.
Uno Stato che fin dalla sua nascita adotta il principio del pareggio in bilancio è uno Stato che non tutela il risparmio diffuso in tutte le suo forme ma lo rende impossibile ex lege. Un lavoratore che non può risparmiare non potrà avere un’esistenza libera e dignitosa
Il concetto sembra solo in apparenza controintuitivo, anche per i giuristi. Ciò accade in quanto anche noi professionisti siamo soggetti a forme di condizionamento mediatico e culturale che trovano terreno fertile laddove le nostre competenze non sono sufficienti ad avere un pensiero del tutto autonomo e fondato su solide basi in fatto ed in diritto: non siamo dunque in grado di comprendere il significato giuridico-costituzionale del concetto di deficit pubblico, concetto che necessariamente dovrà prima o poi essere trattato dai giudici della Corte Costituzionale.
Deve essere chiarito fino a rendere il concetto pacifico per tutti, esattamente come è oggi pacifico affermare che la terrà non è piatta, che ad uno Stato non possono applicarsi logiche economiche di stampo aziendale e dunque logiche proprie della microeconomia.
Un’azienda crea risparmio facendo attivo, lo Stato invece può crearlo per i propri consociati unicamente attraverso il proprio passivo, ovvero immettendo più moneta di quanta ne drena. Lo Stato secondo il modello costituzionale dunque è la figura che regolamenta le principali variabili macroeconomiche del paese lo Stato appunto deve: “disciplinare, coordinare e controllare il credito”.
Lo Stato in definitiva deve immettere moneta nel circuito economico.
Una moneta può essere immessa in circolo unicamente attraverso la stampa di diretta, attraverso la spesa pubblica in deficit (meccanismo oggi adottato), oppure attraverso le esportazioni. Oggi sia la stampa diretta di moneta che la spesa pubblica a deficit sono precluse dai Trattati UE e dunque ci rimane solo la via dell’esportazione. La base monetaria può essere aumentata unicamente drenando liquidità da altre nazioni (esattamente in questo contesto si spiega l’attivo della bilancia dei pagamenti della Germania, forte grazie alle esportazioni).
Viene altresì facile intuire che non potendo svalutare la moneta il nostro paese può tornare a crescere unicamente con le esportazioni e dunque per farlo deve acquisire la tanto decantata (Monti insegna) maggiore competitività ottenibile solo passando dalla svalutazione salariale, ovvero facendo esattamente l’opposto di quanto prevede il modello costituzionale.
I salari si svalutano unicamente distruggendo la domanda interna e causando una spirale deflazionistica (destroy internal demand – Mario Monti). Tutto secondo pronostico, ma palesemente contrario al dettato Costituzionale che fonda la Repubblica sul lavoro.
Dunque la tutela del risparmio si pone in evidente contrapposizione ad i vincoli d’indebitamento dei Trattati UE ed al pareggio in bilancio in Costituzione che costituisce la certificazione definitiva del fatto che la Repubblica non si occuperà più del risparmio e dunque del lavoro.
Prima di esaminare i vincoli di convergenza occorre evidenziare come si sia verificata la cessione di sovranità monetaria (illegittima per le già più volte declamate ragioni: l’art. 11 Cost. consente unicamente le limitazioni di sovranità in condizioni di reciprocità tra le nazioni ed al fine di aderire ad un ordinamento che promuova la pace e la giustizia tra i popoli e non le cessioni definitive).
-Articolo 127 (versione consolidata TFUE)
(ex articolo 105 del TCE)
“1. L’obiettivo principale del Sistema europeo di banche centrali, in appresso denominato “SEBC”, è il mantenimento della stabilità dei prezzi. Fatto salvo l’obiettivo della stabilità dei prezzi, il SEBC sostiene le politiche economiche generali nell’Unione al fine di contribuire alla realizzazione degli obiettivi dell’Unione definiti nell’articolo 3 del trattato sull’Unione europea. Il SEBC agisce in conformità del principio di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza, favorendo una efficace allocazione delle risorse e rispettando i principi di cui all’articolo 119.
2. I compiti fondamentali da assolvere tramite il SEBC sono i seguenti:
definire e attuare la politica monetaria dell’Unione, 6655/7/08 REV 7 RS/ff 136
JUR IT
− svolgere le operazioni sui cambi in linea con le disposizioni dell’articolo 219,
− detenere e gestire le riserve ufficiali in valuta estera degli Stati membri,
− promuovere il regolare funzionamento dei sistemi di pagamento.
3. Il paragrafo 2, terzo trattino, non pregiudica la detenzione e la gestione da parte dei governi degli Stati membri di saldi operativi in valuta estera.
4. La Banca centrale europea viene consultata:
− in merito a qualsiasi proposta di atto dell’Unione che rientri nelle sue competenze,
− dalle autorità nazionali, sui progetti di disposizioni legislative che rientrino nelle sue competenze, ma entro i limiti e alle condizioni stabiliti dal Consiglio, secondo la procedura di cui all’articolo 129, paragrafo 4.
La Banca centrale europea può formulare pareri da sottoporre alle istituzioni, agli organi o agli organismi dell’Unione competenti o alle autorità nazionali su questioni che rientrano nelle sue competenze.
5. Il SEBC contribuisce ad una buona conduzione delle politiche perseguite dalle competenti autorità per quanto riguarda la vigilanza prudenziale degli enti creditizi e la stabilità del sistema finanziario.
6. Il Consiglio, deliberando all’unanimità mediante regolamenti secondo una procedura legislativa speciale, previa consultazione del Parlamento europeo e della Banca centrale europea, può affidare alla Banca centrale europea compiti specifici in merito alle politiche che riguardano la vigilanza prudenziale degli enti creditizi e delle altre istituzioni finanziarie, escluse le imprese di assicurazione”
-Articolo 128 (versione consolidata TFUE)
(ex articolo 106 del TCE)
“1. La Banca centrale europea ha il diritto esclusivo di autorizzare l’emissione di banconote in euro all’interno dell’Unione. La Banca centrale europea e le banche centrali nazionali possono emettere banconote. Le banconote emesse dalla Banca centrale europea e dalle banche centrali nazionali costituiscono le uniche banconote aventi corso legale nell’Unione”.
Lo Stato dunque ha rinuncia a poter stampare direttamente moneta, cosa che non faceva già anche prima del 1981 (divorzio tesoro-banca d’italia) ma certamente allora tale comportamento era una libera scelta nazionale su cui il popolo poteva sovranamente intervenire, oggi invece è un’imposizione, una cessione di sovranità.
-Articolo 130
(ex articolo 108 del TCE)
“Nell’esercizio dei poteri e nell’assolvimento dei compiti e dei doveri loro attribuiti dai trattati e dallo statuto del SEBC e della BCE, né la Banca centrale europea né una banca centrale nazionale né un membro dei rispettivi organi decisionali possono sollecitare o accettare istruzioni dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell’Unione, dai governi degli Stati membri né da qualsiasi altro organismo. Le istituzioni, gli organi e gli organismi dell’Unione nonché i governi degli Stati membri si impegnano a rispettare questo principio e a non cercare di influenzare i membri degli organi decisionali della Banca centrale europea o delle banche centrali nazionali nell’assolvimento dei loro compiti”.
Ecco dunque il dogma della banca centrale indipendente in tutta la sua forza. Tale dogma si pone in insanabile e radicabile contrasto con l’obbligo della Repubblica di disciplinare, coordinare e controllare il credito. Un Banca indipendente è per definizione un controllore e non una controllata, la menomazione dell’indipendenza nazionale è reato ai sensi e per gli effetti dell’art. 241 c.p., norma che solo dal 2006 menziona la violenza quale elemento necessario alla configurazione del reato. Ma l’austerità non è forse violenza?
-Articolo 123 (versione consolidata TFUE)
(ex articolo 101 del TCE)
“1. Sono vietati la concessione di scoperti di conto o qualsiasi altra forma di facilitazione creditizia, da parte della Banca centrale europea o da parte delle banche centrali degli Stati membri (in appresso denominate “banche centrali nazionali”), a istituzioni, organi od organismi dell’Unione, alle amministrazioni statali, agli enti regionali, locali o altri enti pubblici, ad altri organismi di diritto pubblico o a imprese pubbliche degli Stati membri, così come l’acquisto diretto presso di essi di titoli di debito da parte della Banca centrale europea o delle banche centrali nazionali.
2. Le disposizioni del paragrafo 1 non si applicano agli enti creditizi di proprietà pubblica che, nel contesto dell’offerta di liquidità da parte delle banche centrali, devono ricevere dalle banche centrali nazionali e dalla Banca centrale europea lo stesso trattamento degli enti creditizi privati”.

Ecco che in questo contesto dove palesemente lo Stato non può fare politica monetaria, non avendo a disposizione una propria banca centrale, si innestano contestualmente i cd. parametri di convergenza che, da Maastricht in poi, costituiscono una cessione manifesta di sovranità in materia di politica economica. Il deficit (dunque il risparmio) viene attaccato in un modo mai visto prima nella storia.
L’esame della normativa, anche in questo caso, è semplice e davvero sconcertante:
Il protocollo n. 12 allegato al Trattato di Maastricht “Sulle procedure di disavanzo eccessivo” inaugura concetti tristemente noti:
-il vincolo del 3% per il rapporto tra disavanzo pubblico e pil (deficit annuo);
-il vincolo del 60% nel rapporto fra debito pubblico e pil.
Ovviamente con tali criteri si verifica esattamente quanto sin d’ora dibattuto ovvero la cancellazione della tutela del risparmio visto che si costringe l’Italia a tassare più di quanto spende. Il limite del 3% del PIL è superato già dal semplice computo degli interessi sul debito pubblico. L’Italia infatti ha collezionato avanzi primari in serie (un record) in questi anni (ovvero ha avuto una spesa pubblica inferiore alle entrate fiscali) e la conseguenza di ciò non è stata vedere i propri conti in ordina ma esattamente l’opposto, l’Italia è morta di avanzo primario.
Con il regolamento n. 1466/97, prima ancora dell’entrata in vigore dell’Euro, vennero immediatamente stabiliti obiettivi di convergenza e stabilità ancora più pregnanti. Il regolamento, redatto a cura della Commissione Europea, ha precisamente ristretto i margini di bilancio già risicati previsti dai Trattati, specificatamente nel citato protocollo n. 12. Il Regolamento n. 1466/97 anticipa il pareggio in bilancio oggi diventato addirittura tragica realtà costituzionale: “l’obiettivo a medio termine di una situazione di bilancio della pubblica amministrazione, con un saldo prossimo al pareggio o in attivo e il percorso di avvicinamento a tale obiettivo nonché l’andamento previsto del rapporto debito/PIL”.
Segue poi nel novembre 2011 l’inasprimento del patto di stabilità e crescita con una serie di nuovi Regolamenti meglio noti con i nomi di six Pack e two pack, ivi si codifica ciò che vedete avvenire in questi giorni, ovvero il controllo esterno sulla legge di stabilità ad opera di Bruxelles, l’applicazione del limite dello 0,5% nel rapporto fra disavanzo e pil annuo (con il 3% avevamo già una crescita troppo vigorosa…) e l’obbligo di ridurre il debito di 1/20 l’anno fino ad arrivare ad un rapporto pari al 60% del PIL. Inoltre si attua un semi automatismo sanzionatorio. La commissione applica le sanzioni agli Stati ed il Consiglio può solo respingerle con voto a maggioranza qualificata.
Viene altresì introdotto il controllo esterno della nostra legge di Stabilità con presentazione della stessa a Bruxelles con possibilità per la commissione entro due settimane dalla ricezione di chiedere una revisione della stessa.
Il successivo Trattato sulla stabilità il coordinamento e la governance nell’unione economica e monetaria (cd. Fiscal Compact) ratificato con Legge LEGGE 23 luglio 2012, n. 114 non fa altro che ribadire tale disciplina prevedendo la raccomandazione per gli Stati di inserire, preferibilmente in Costituzione, il pareggio in bilancio cosa che l’Italia ha immediatamente fatto con la modifica dell’art. 81 del 2012.
L’Italia sotto la spinta del Governo collaborazionista di Mario Monti, con legge Costituzionale n. 1 del 20 aprile 2012, ha immediatamente riformato la Costituzione, limitando la sovranità dello Stato Italiano in favore dell’Unione Europea. Il nuovo art. 81 Cost.recita: “Lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico.
Il ricorso all’indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali.
Ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte”.
Ogni politica di espansione monetaria è stata così messa definitivamente al bando nel nome della stabilità dei prezzi si è verificata l’abrogazione tacita dell’art. 47 Cost. Anzi con la riforma costituzionale si è verificato addirittura un contrasto interno tra norme di rango costituzionale. 
Oggi la Repubblica Italiana non tutela più lavoro e risparmio ma tutela unicamente il totem della forte competitività del mercato e della stabilità dei prezzi, si è sostanzialmente tornati ad un modello giuridico arcaico che farebbe certamente inorridire i padri costituenti. Un modello illegittimo data la manifesta superiorità dei principi fondamentali della Costituzione e dei diritti inviolabili dell’uomo sul diritto internazionale come ribadito dalla recentissima (e splendida) sentenza n. 238/2014 della Corte Costituzionale.
Abbiamo dunque la speranza di portare in Corte Costituzionale le leggi di ratifica dei Trattati determinando il ritorno della sovranità per il nostro paese. La prima udienza è a gennaio 2015, andiamo avanti!
Si pubblicano i video degli interventi sul tema di Luciano Barra Caracciolo, Presidente della V sezione del Consiglio di Stato e ell’Onorevole Giuseppe Lauricella ripresi al convegno del giorno 8.11.2014 www.riscossaitaliana.it 

Nessun commento:

Posta un commento