martedì 12 giugno 2012

Allarme spread. Roma sotto tiro


Allarme spread. Roma sotto tiro: ma dopo Atene, Madrid… finiti i mld europei

di Warsamè Dini Casali
Crescita, il Wall Street Journal: "Monti scelga tra Obama e Merkel, tra spesa publica e rigore"
ROMA – Dopo la Spagna ci siamo noi. Nera Piazza Affari, spread di nuovo vicino ai 500 punti, Italia sotto tiro della speculazione. Cento giorni per salvare l’euro, lo diceva lo speculatore Soros,  Christine Lagarde dal Fondo Monetario Internazionale dice che Soros è perfino ottimista, ne mancano meno di cento. E la preoccupazione del governo Monti sale nonostante gli inviti alla calma: quei 100 miliardi alle banche spagnole basteranno a circoscrivere il contagio, basteranno a distogliere gli occhi della speculazione sull’ultima vittima rimasta, ovvero l’Italia? E noi, in caso gli eventi precipitino e facendo gli scongiuri, chi ci salva? Dopo quattro salvataggi al prezzo di 500 miliardi di euro nessuno è ancora veramente al riparo; di salvataggio in salvataggio, la coperta europea è diventata troppo corta per proteggere anche l’Italia. Fa due conti, in proposito, il Sole 24 Ore: “Per sostenere una qualsiasi emergenza italiana, anche solo gli acquisti dei titoli di Stato sul mercato primario e secondario per abbatterne i rendimenti, in cassa di Efsf-Esm non rimarrebbe un centesimo di euro”.
Da Palazzo Chigi si affrettano a spegnere i focolai del panico, le paure del contagio sono infondate, ingiustificati gli allarmi. Ma intanto anche oggi (12 luglio) i responsabili della politica economica italiana devono assistere preoccupatissimi all’aumento dello spread (in mattinata oltre i 480 punti sul bund) con i rendimenti dei Btp stabilmente e pericolosamente attestati sopra la soglia psicologica del 6%. Non abbiate paura, dicono, ma allo stesso tempo guardano con rinnovato terrore a quanto potrà accadere in Grecia domenica per un voto che può trasformarsi “nella scintilla che innesca l’incendio” (fonte governativa raccolta da Repubblica). Non abbiate paura, dicono, ma non è lo stesso concetto con cui continuano a martellare l’inflessibile Merkel: nessuno è al riparo dal diluvio, non abbiamo tempo di aspettare le elezioni tedesche del 2013 per far partire investimenti europei e project bond.
Un articolo del Wall Street Journal di oggi, dopo che il giorno prima insieme al New York Times aveva candidato l’Italia a bersaglio pubblico numero 1 dei mercati e della speculazione, prova a capire quale sarà l’atteggiamento del primo ministro italiano di fronte al drammatico scenario economico. Sembra di capire che a Brian Carney (l’estensore dell’articolo) piacerebbe davvero conoscere la posizione di Monti rispetto all’alternativa secca che il professore, accademicamente, ha descritto in conference call, nel convegno annuale del Council for United States and Italy di Venezia. Un’occasione importante per conoscere il pensiero di quello che sotto molti punti di vista è stato presentato come uno fra i politici dell’anno sulla scena internazionale.
Dice Monti, due sono le strade per invertire il trend e far ripartire la crescita, sinteticamente: quella americana di Obama di spesa pubblica (deficit spending), quella tedesca avviata dall’ex cancelliere Schroeder delle riforme strutturali che rimuovono gli ostacoli per la creazione di posti di lavoro e investimenti. Quale sia l’opzione migliore, secondo Carney, Monti non lo dice, anche se ora è investito di una altissima responsabilità politica e non può nascondersi dietro dotte dissertazioni professorali. Cosa è meglio per l’Italia, la via anglo-sassone (americana) degli investimenti pubblici o le riforme strutturali, Keynes o il rigore teutonico?
La riforma dell’articolo 18 (Carney lo definisce “infamous article 18″) quanto incide su un mercato del lavoro in cui il 90% delle imprese è sotto i 15 lavoratori (dove vale l’articolo 18)? Il tentativo montiano di realizzare una sorta di compromesso tra le due strade, riforme col consenso dei sindacati e iniezione di denaro pubblico alle condizioni imposte da Merkel, è un’acrobazia intellettuale tipicamente accademica, sostiene il WSJ, ma difficilmente suggerisce l’idea e l’immagine del leader riformista e risolutore di cui l’Italia ha bisogno.

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