A bordo del Titanic euro
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La finanza è il virus che, inseritosi nei circuiti della moneta, ha trovato i suoi territori favorevoli di coltura nelle economie capitalistiche di mercato. All’abbattimento delle resistenze immunitarie del mercato hanno contributo la mercificazione della produzione e del consumo e, in parallelo, la loro crescente monetizzazione. I cambiamenti istituzionali che hanno accompagnato questi processi nella forma dell’impresa e dello Stato, sono la spia del cambiamento dei rapporti di potere e dei gruppi che hanno pilotato nelle varie epoche storiche queste trasformazioni. Non aver tenuto sufficientemente conto di questa interazione – tra finanza e potere, tra economia e politica – è la ragione sia del determinismo strutturale prevalente nelle correnti critiche, sia del volontarismo panglossiano di parte del riformismo e istituzionalismo nostrano. Quando, ovviamente, sia l`uno che l`altro non siano invece espressione, come accade di sovente, di furbizie opportunistiche. Questo libro offre una vasta panoramica di questi fenomeni. Ridando una dimensione storica sia alla riflessione teorica sia alla politica. Un’operazione utile in un momento in cui le urgenze – vere e allarmistiche dell’economia – sono dettate dal nuovo connubio realizzatosi tra economie europee e poteri finanziari internazionali. Pertanto, nel rinviare il lettore alla lettura dei testi che qui fanno seguito, questa prefazione mette al centro i fenomeni in corso della crisi delle economie di mercato e dei sistemi monetari europei determinati dalla introduzione dell’euro.
La crisi economica in corso da circa tre anni ha messo in evidenza che l’Unione Monetaria Europea (UME) non è priva di difetti. Aumenta inoltre la sensazione che il disastro si vada delineando in un futuro prossimo, anche se consapevoli che gli studi sociali non sono spesso in grado di prevedere gli eventi, e che la storia non si ripete in modo meccanico. Ma pur con queste precauzioni non si può fare a meno di sottolineare i numerosi paralleli che esistono tra l`atmosfera politica di ottimismo e di garanzia che accompagnò l’istituzione dell’euro 10 anni fa e il varo del transatlantico «inaffondabile» Titanic 100 anni fa. È impressionante rileggere le dichiarazioni sull’assenza di rischi per la sua navigazione fatte al momento del varo e la stessa carenza nell`ammissione dei rischi relativi all’euro.
Nonostante le ben note debolezze strutturali e politiche dell’UME, il capitano della nave persiste nell’ordine di procedere a tutta velocità, mentre le maggiori autorità a bordo continuano nelle loro danze frenetiche come se nulla di drammatico stesse avvenendo. A condurre le danze è la coppia Angela Merkel e Nicolas Sarkozy, seguita nel frenetico valzer dagli altri capi di Stato dei Paesi dell’euro accompagnati dagli applausi degli invitati speciali e dei sobri banchieri. La sicurezza a bordo e la forza dei motori sono affidati al capitano Mario Draghi, un ex impiegato della Goldman Sachs. Questa nave di lusso, ribattezzata «euro», è considerata invincibile e nessuno ha il coraggio di associarla al destino dell’altra costruzione invincibile tragicamente inabissatasi. Ogni ipotesi di disastro monetario è considerata sulla pista da ballo di cattivo gusto e inappropriata. Le oscillazioni pericolose dei lampadari rendono qualche coppia di danzatori nervosa, ma ogni riferimento al funzionamento della nave è subito negato. Ovviamente uno sguardo dall’oblò mostrerebbe un oceano artico pieno di iceberg che minacciano la nave di collisione; ma come nella favola sui «vestiti nuovi dell’Imperatore» nessuno ha il coraggio di dire la verità fino a quando è troppo tardi.
Tuttavia le osservazioni fatte dall’equipaggio e registrate dagli strumenti di bordo dovrebbero aver prodotto preoccupazione. I dati economici dei Paesi della zona-euro mostrano da lungo tempo che il meccanismo macroeconomico non funziona nel modo in cui gli economisti dell’euro dicevano avrebbe funzionato dentro l`unione monetaria. La crescita resta inferiore a quella dei Paesi fuori dell’UME. La ragione principale di ciò è una frattura all`interno della zona-euro tra i Paesi dell’Europa del nord e quelli dell’Europa del sud, con la Francia in posizione intermedia. La zona-euro si sta dissolvendo a causa del modello tedesco export-led basato su tagli ai salari e restrizione del mercato interno. Questa politica fortemente unilaterale della Germania, un vero e proprio dumping economico e sociale, crea tensioni all’interno della zona-euro, producendo il crescente indebitamento dei Paesi più deboli verso le banche tedesche e francesi e altri Paesi della zona-euro con un surplus della bilancia commerciale. Queste differenze tendono ad aggravarsi anno dopo anno e non esiste alcun meccanismo dentro il sistema dell`UME che possa fermare questo corso disastroso verso l’aumento del debito dei Paesi dell’Europa del Sud.
I dati della bilancia dei pagamenti hanno per anni illustrato e confermato la distribuzione ineguale di queste tendenze tra i Paesi della zona-euro. Il deficit crescente della bilancia dei pagamenti è divenuto un problema comune ai Paesi dell’Europa del sud con un peso particolare all’interno dell’area monetaria comune. L’indebolimento delle industrie di esportazione in Grecia, Spagna e Portogallo ha generato un «circolo vizioso». Assistiamo infatti in questi Paesi alla crescita della disoccupazione seguita congiuntamente dalla diminuzione delle entrate fiscali, l’aumento del deficit di bilancio con l’aumento del debito pubblico e del tasso d`interesse.
Tuttavia, l’orchestra suona indisturbata e, con piccole modifiche alle regole del gioco, il ballo continua. Ma nella stiva sottostante al ponte si può vedere la falla dalla quale la nave sta immettendo acqua, e l’equipaggio ha attivato le pompe e si interroga: é l’ammiraglia «euro» veramente inaffondabile? Sono le proposte fatte dagli economisti della Commissione Europea veramente sufficienti a evitare la collisione con l’iceberg? E se questo non è possibile come facciamo a spiegarlo al capitano?
Alle origini, ci si pose questioni ipotetiche sui vantaggi e svantaggi per i passeggeri di imbarcarsi su questa nuova e non ancora sperimentata imbarcazione. Salire a bordo avrebbe dato alcuni vantaggi immediati: riduzione dei costi di transazione, rimozione delle incertezze dovute alle variazioni dei tassi nominali di cambio, e un tasso di interesse pari a quello tedesco. Mai Paesi della zona-euro devono rinunciare ad alcuni dei loro strumenti macro-economici; e i governi devono rinunciare al diritto privilegiato di stampare moneta. Nel caso di una crisi finanziaria nell’UME i governi dei Paesi in deficit potrebbero rischiare di sospendere il pagamento dei salari ai dipendenti pubblici e le pensioni di vecchiaia a causa della mancanza di moneta. Un Paese membro potrebbe vedersi negata la liquidità in euro necessaria e venir spinto al fallimento se non accetta le condizioni poste dall’FMI e dagli altri Stati membri. Questa mancanza di accesso alla liquidità in euro potrebbe quindi impedire ai Paesi in deficit di riavviare il processo di crescita.
Il problema fondamentale nell’UME è che i Paesi membri hanno preferenze diverse rispetto alla crescita, occupazione e inflazione. I governi dei Paesi relativamente più poveri dell’Europa dell’Est e del Sud considerano la crescita economica l`obiettivo prioritario per poter aumentare l`occupazione e il reddito reale. La Germania e alcuni altri Paesi danno maggiore priorità alla stabilità dei prezzi, mentre la crescita è considerata meno importante. La coppia leader sulla pista da ballo non ha dubbi: proclama che i Paesi della zona-euro dovrebbero fare quello che la Germania ha fatto molti anni fa imponendo restrizioni salariali e la disciplina del settore pubblico. Il problema che lo squilibrio delle bilance dei pagamenti sia la causa sottostante delle difficoltà dell’UME non viene affrontato. L’attenzione si concentra esclusivamente sul deficit e il debito del settore pubblico. Nessuno sembra dare attenzione al fatto che i tagli al settore pubblico sono la più sicura ricetta per l’aumento della disoccupazione e la caduta della crescita, che rinforzano il «circolo vizioso» messo in moto dall’indebolimento della posizione competitiva delle imprese private. In tal modo si fissa la linea per la crescita della disoccupazione nell’Europa del Sud, seguita dalla riduzione delle entrate fiscali, dal rafforzamento del deficit della bilancia dei pagamenti, dall’aumento dell`indebitamento con le banche straniere, dall’indebolimento del settore finanziario con una crescita insostenibile dei tassi di interesse di lungo periodo. Un tasso d’interesse maggiore di quello della crescita economica reale è noto come «la trappola dell’interesse che finisce con lo spingere le economie verso il collasso finanziario». Questi fenomeni non sono gli inevitabili risultati della attuale crisi economica, ma sono dovuti all’incomprensione del fatto che una singola moneta per Paesi con aspirazioni e bisogni così diversi è una scelta prematura. I dirigenti politici dovrebbero ammettere che non possono ballare allo stesso ritmo degli altri. I Paesi dell’Europa del Sud preferiscono probabilmente un passo rapido invece del valzer classico e per far ciò devono abbandonare la pista da ballo se vogliono riprendere il loro corso in direzione delle loro priorità, riattivando il motore della crescita, riacquistando una posizione forte sui mercati internazionali e rapidamente riequilibrare la loro bilancia dei pagamenti.
D’altronde non è troppo tardi per modificare il corso dell’UME. Di fatto esiste una via di uscita dalla crisi. Molte persone fuori dalla sala da ballo sono consapevoli del fatto che la moneta unica è divenuta il problema invece di essere la soluzione. La Germania e i suoi Paesi associati hanno un vantaggio competitivo del 30% in termini di costo, che dà alle merci tedesche una posizione dominante a spese dei Paesi dell’Europa del Sud. L’egemonia dei Paesi del Nord Europa è possibile perché i Paesi del Sud sono paralizzati dalla camicia di forza della moneta unica e perciò incapaci di migliorare le capacità produttive delle loro imprese private sui mercati esteri. L’Europa del Sud è chiusa in una trappola di alta disoccupazione e di crescita continua del debito pubblico ed estero dalla quale non può uscire come hanno invece fatto la Gran Bretagna, la Svezia e la Polonia mediante la riduzione del tasso d’interesse. Il paradosso è che i Paesi che generano questi squilibri nel sistema economico europeo (Germania) esportando disoccupazione e deficit in altri Paesi minacciano oggi i Paesi più deboli di espulsione dalla «sala da ballo» se non accettano di pensare come i tedeschi e di effettuare tagli dragoniani di bilancio.
Nel mezzo di una profonda recessione ha senso tentare di implementare questo «modello tedesco» in altri Paesi dell’euro, come chiedono Merkel con il plauso di Sarkozy? È veramente una buona politica perseguire il dogma classico del pareggio di bilancio in tutti i Paesi dell’euro prima del 2015 nel tentativo di «salvare l’euro»? Pareggiare il bilancio potrebbe essere un compito abbastanza facile per la Germania, i Paesi Bassi e l’Austria con disoccupazione in diminuzione; ma cosa fare in quei Paesi la cui posizione competitiva è deteriorata a un livello tale che la disoccupazione è in continua crescita, le entrate fiscali decrescono e la bilancia dei pagamenti è in forte deficit? Come sappiamo dal sistema di contabilità nazionale, il surplus di un Paese ha sempre il corrispettivo nel deficit di esattamente la stessa grandezza di uno o più Paesi. Quindi, fino a quando la Germania perseguirà la sua politica neo-mercatile di realizzare un enorme surplus nella bilancia dei pagamenti, i Paesi con un corrispondente deficit non avranno alcuna possibilità di rompere il circolo vizioso di crescente indebitamento, alti tassi d’interesse e bassa o assente crescita economica. Il cambiamento di questa situazione richiede cooperazione tra tutti i Paesi partecipanti, di quelli con surplus in particolare. Fin quando la Germania negherà che la condivisione di questa responsabilità dovrebbe essere parte del piano di «salvare l’euro» è difficile vedere come una catastrofe economica nei prossimi anni possa essere evitata.
In questa situazione esistono alternative al patto finanziario tra Merkel e Sarkozy? Fortunatamente sì, poiché non è troppo tardi per cambiare il corso degli eventi. Molti piani costruttivi sono stati presentati da accademici e politici situati fuori dai centri del potere della sala da ballo. La soluzione preferita è quella cooperazione basata sulla solidarietà europea. Questo modello richiede che i Paesi con il surplus nella bilancia dei pagamenti dovrebbero aumentare i loro consumi domestici e praticare politiche salariali meno restrittive. Inoltre, i Paesi con surplus dovrebbero condividere una quota del rischio relativo al finanziamento del debito dei Paesi in deficit. Questo processo di comune assunzione del rischio potrebbe essere organizzato mediante l`emissione di Eurobond con una assunzione in comune della garanzia per, ad esempio, il 60% del debito pubblico totale di ogni Paese membro. Infine, la tanto invocata e necessaria ripresa del processo di crescita potrebbe essere avviata con un «Piano Marshall» europeo dove i Paesi con surplus paghino, ad esempio, il 10% del loro benessere estero ad una Banca di Compensazione Europea (European Clearing Bank) con l`obiettivo preciso di utilizzare questi fondi per progetti rivolti a migliorare il potenziale produttivo dei Paesi in deficit.
Se i capi di Stato, impegnati nel loro valzer, non possono accordarsi su un cambio di corso su queste linee di cooperazione, la sola opzione che resta ai Paesi in deficit è quella di uscire dalla sala da ballo. Ed è consigliabile che lo facciano il più presto possibile per entrare nelle scialuppe di salvataggio fin quando il Titanic ancora si tiene a galla. I Paesi dell’UME con forte disoccupazione e una posizione competitiva debole non avranno altra scelta per evitare il fallimento: questo perché ulteriori tagli alla spesa pubblica sono autodistruttivi.
Nella situazione qui delineata di Paesi membri che salgono sulle scialuppe di salvataggio si tornerebbe alla situazione pre-UME, con un numero di monete europee corrispondente all`incirca a quella dei Paesi membri dell`UE. Dobbiamo sperare che non sia troppo tardi per ristabilire il vecchio Sistema Monetario Europeo (European Monetary System - EMS) nel quale le reintrodotte monete nazionali (potrebbero chiamarsi euro-italiano, euro-greco, ecc.) (1) potrebbero istituire un sistema di tassi di cambio fissi, ma con una fascia di variazione concordata. Di fatto questo sistema ha funzionato abbastanza bene durante il periodo 1993-1999 (lo SME (II) con margini di variazione del +/- 15 percento) senza alcuna significativa crisi monetaria.
Nel riassumere la situazione attuale una sola opzione appare certa: l’Unione Monetaria Europea non può continuare nel suo corso intrapreso. Se ciò avviene, la temuta collisione sarà inevitabile. Nel contempo perseguire il modello tedesco non sarebbe una soluzione utile, poiché produrrebbe la prosecuzione di un periodo prolungato di stagnazione senza ridurre in modo significativo l`ammontare del debito. Ci sono buone ragioni per non insistere troppo sulla metafora del parallelo tra il corso dell` «euro» e il destino del «Titanic». Tuttavia è un fatto storicamente accertato che il Titanic si inabissò il 15 aprile 1912, e solo quattro ore dopo la collisione con l’iceberg la nave giaceva sul fondo dell`oceano. Solo un terzo dei passeggeri e dell`equipaggio si salvarono. Tradotto nelle norme dell`Unione Monetaria Europea questo significherebbe che solo sei Paesi manterranno l’euro (Germania, Belgio, Paesi Bassi e Austria, forse Finlandia e Francia).
Per evitare questa catastrofe imminente dobbiamo sperare che i capi di governo che danzano sulla pista interrompano la musica, vadano dal capitano, gli chiedano di fermare la nave e inizino a negoziare insieme un cambio di corso cooperativo. Questo potrebbe concludersi con una riduzione del numero dei membri della zona-euro, il che non sarebbe una catastrofe se fosse una soluzione concordata. La storia fornisce un numero consistente di esempi che mostrano come la dissoluzione dell`unione monetaria può aver luogo in modo ordinato. Nella situazione attuale i Paesi che abbandonino la zona-euro dovrebbero ricevere un compenso generoso per i danni che questa partecipazione ha prodotto alle loro economie.
Quindi esiste una via di uscita che consentirebbe la ripresa della crescita economica in Europa: questo è possibile abbandonando l’orgoglio politico e il pregiudizio a vantaggio del realismo economico. Ma il tempo è scarso perché l’iceberg è ormai visibile a vista d`occhio.
Bruno Amoroso e Jesper Jespersen, Roskilde University, DK
1) Questo scioglimento delle Unioni Monetarie ha una lunga tradizione. L’Unione Monetaria Scandinava fu sciolta nel 1914 e la corona svedese, la corona danese, e la corona norvegese ne furono il risultato. L’Unione Monetaria Latina, con il franco come moneta comune, fu sciolta nel periodo tra le due guerre, dove la Francia, il Belgio e la Svizzera mantennero ciascuno il «franco» ma con il prefisso nazionale.
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