Ma chi e perché resiste all’apertura degli archivi?
Al di là del carattere più o meno elettorale della sortita renziana, conviene fare qualche considerazione più generale sull’apertura degli archivi dei servizi, delle forze di polizia e di “tutte le amministrazioni dello Stato” (Ministero degli Esteri? Del Commercio con l’Estero? Banca d’ Italia? Banche pubbliche ed enti a Ppss del tempo? Dove ci fermiamo?) e sugli interessi che si scontrano intorno a questo nodo. Quando si parla di archivi di polizia e servizi, subito la mente va alle stragi ed al terrorismo. Ma, a costo di dare una grave delusione a chi mi legge e spera nella “grande rivelazione”, questa è, probabilmente, la parte meno rilevante e quella che spiega meno le tenaci resistenze che si oppongono all’apertura degli archivi.
Delle stragi sappiamo già molto, abbiamo arato quegli archivi da cima a fondo, abbiamo acquisito decine di migliaia di documenti, sono emersi testimoni… Certo possono venire fuori ancora elementi di qualche interesse che, però, più che rovesciare il quadro storico ormai delineatosi, potrebbero corroborarlo riscontrando qualche testimone, chiarendo meglio qualche angolo oscuro, arricchendo il quadro e aggiungendo qualche tessera al mosaico già abbondantemente delineato. Ma non mi aspetto nulla di particolarmente clamoroso. Forse se si potessero vedere archivi nuovi, sinora inesplorati, potrebbe venire fuori qualcosa di più consistente (in particolare sul caso Moro), ma, bisogna anche tener presente l’eventuale lavoro di “ripulitura”, che a suo tempo può essere stato fatto.
Insomma: va benissimo aprire gli armadi, ma senza alimentare aspettative eccessive; se poi, viene fuori la grossa sorpresa tanto meglio.
Insomma: va benissimo aprire gli armadi, ma senza alimentare aspettative eccessive; se poi, viene fuori la grossa sorpresa tanto meglio.
Ma allora perché tante resistenze? Anche perché ormai, né fra i politici, né fra i responsabili degli apparati di intelligence e polizia, c’è più nessuno che abbia qualcosa da temere da quelle rivelazioni.
Alcune resistenze si capiscono subito: per inviare i fascicoli all’Acs occorrerebbe fare un lavoro di cernita bestiale, di cui gli apparati proprio non vogliono saperne (e posso capirli), magari con il rischio di qualche scivolata. Ad esempio penso al caso dell’archivio della Guardia di Finanza, dove ci sono notizie molto delicate riguardanti anche transazioni finanziarie, gare d’appalto, fusioni societarie, giochi in borsa ecc e magari qualcuna è tale da poter suscitare un contenzioso giudiziario ancora oggi, per cui occorre andarci molto cauti per non pestare qualche m. troppo grossa…
Poi ci sono problemi di privacy, di immagine di imprese ecc… Dunque bisognerebbe passare le carte foglio per foglio: sai che prospettiva esaltante per chi deve farlo?!
Si capisce che potendosi sottrarre a questo massacro, gli uffici si dilegueranno con entusiasmo.
Si capisce che potendosi sottrarre a questo massacro, gli uffici si dilegueranno con entusiasmo.
Poi ci sono tutte le pratiche tangentizie che, se ormai sono “fredde” sul versante politico, possono invece ancora “mordere” su quello delle imprese corruttrici e, magari, rivelare le lontane origini di qualche grande fortuna ancora esistente. Insomma, molti, anche fuori dai palazzi, avrebbero da temere dall’apertura di quegli armadi.
Ma i motivi più scottanti sono altri e riguardano soprattutto le attività all’estero di servizi, imprese, politici del nostro paese. E il nodo più scottante è quello della maggiore anomalia della nostra politica estera della quale qualcuno disse che “L’Italia ha la moglie americana e l’amante araba”. E le mogli hanno spesso gelosie retroattive. Poi ci sono anche altri interessati alla faccenda. Negli anni settanta ed ottanta Moro (sinché ci fu), Andreotti, Berlinguer e poi Craxi spinsero per una politica marcatamente filo araba del nostro paese, dando un grosso dispiacere a Tel Aviv.
Beneficiaria e protagonista di quella stagione fu soprattutto l’Eni, che agì sempre di concerto con il servizio segreto militare (e l’infelice battuta televisiva di Renzi, mi fa sospettare che di questo si parli molto a Palazzo in queste settimane). Ovviamente l’Eni ha sempre avuto una sua specifica struttura per la bisogna, le cui attività e modalità di intervento sono sempre state fra i segreti meglio custoditi del nostro paese. Pensate al fatto che ancora oggi non sappiamo a chi appartiene il grosso fondo, custodito in una banca svizzera, che accoglie la tangente del caso Eni-Petromin (1979). E della Libia non parliamo neppure. Chissà quanto piacerebbe agli analisti di Tel Aviv disporre di un bel po’ di dati (anche storici, si intende) su quella struttura dell’Eni. E si capisce che, per converso, chissà quanto questo dispiacerebbe a tanti altri.
Stesso discorso potremmo fare sul commercio di armi o sul nucleare e sul ruolo di aziende come la Breda, l’Oto Melara, l’Ansaldo ecc. che, ovviamente hanno sempre agito a fianco del servizio militare. Non giureremmo che tutte le transazioni di questo tipo siano perfettamente confessabili ancora oggi.
E poi di cose relativamente meno importanti, ma che ancora oggi potrebbero dare qualche grana ce ne sono: penso all’autostrada del Tana Beles in Etiopia, penso ai traffici con l’Argentina della dittatura militare o a quelli massonico-polizieschi con la Romania “comunista” di Ceausescu.
E questo per tenerci agli anni ottanta, perché poi, nei novanta che ne sarebbero tante altre di storie… Certo, bisogna vedere quali archivi potrebbero essere aperti e cosa ci si potrebbe trovare. Ma è palese che una volta aperta una breccia poi non si sa dove si potrebbe andare a finire.
Credetemi: non sono le verità nascoste sulle stragi quelle che fanno più paura. C’è ben altro di pericoloso.
Aldo Giannuli
Nessun commento:
Posta un commento