QUELLA
“MERAVIGLIOSA
UTOPIA”
di Filippo
Giannini
Viviamo
l’anno 2013; il prossimo novembre sarà l’anniversario
dell’enunciazione di quello che viene ricordato come il “Manifesto
dei 18 Punti di Verona”. Quanto in esso contenuto è la logica
conseguenza delle origini fasciste del 1919: principi che hanno
attraversato il “Ventennio”, con un susseguirsi costante
di decreti e leggi, di chiarissime finalità sociali, che già allora
erano all’avanguardia, non solo in Italia, ma nel mondo intero e
senza le quali oggi vivremmo su “palafitte sociali”. Tappa
fondamentale di questo processo sono i principi essenziali
dell’ordinamento corporativo, espressi e ordinati dalla “Carta
del Lavoro” che vide la luce il 21 aprile 1927. La “Carta
del Lavoro” portava il lavoratore fuori dal buio del medioevo
sociale per immetterlo in un contesto di diritti dove i rapporti fra
capitale e lavoro erano, per la prima volta nel mondo, previsti e
codificati.
In altre
parole, la nascita dello Stato Corporativo rappresentò l’intento
di superare sia le angustie imposte dallo Stato liberale, sia le
sanguinose illusioni dello Stato sovietico. Questo esperimento, tutto
italiano, incontrò vasti consensi presso i lavoratori di tutto il
mondo, tanto da spaventare i manovratori della finanza internazionale
che avvertì il pericolo mortale e operò per abbattere il Fascismo e
le sue idee. Cosa che si verificò con la violenza delle armi.
Il 14
ottobre 1944 Benito Mussolini così sintetizzava, lapidariamente,
quei “Punti” i cui aspetti vitali erano le leggi sulla
socializzazione delle imprese: "La socializzazione
altro non è se non la realizzazione italiana, umana, nostra,
effettuabile del socialismo. Dico nostra in quanto fa del lavoro il
soggetto unico dell’economia, ma respinge le meccaniche
livellazioni di tutto e di tutti, livellazioni inesistenti nella
natura e impossibili nella storia".
Questa
“meravigliosa utopia” è oggi riproponibile per risolvere
i problemi che angustiano l’attuale mondo, privo di ogni remora e
adagiato sul sistema di vita americano?
Il
teorico e storico della dottrina cattolica Don Ennio Innocenti, che
tanti anni ha dedicato allo studio e all’insegnamento, ha scritto
che il problema affrontato da Mussolini nell’ultimo decennio della
vita "fu quello di far entrare il corporativismo nelle
imprese per elevare il lavoratore da collaboratore dell’impresa a
partecipe alla gestione e alla proprietà e, quindi, ai risultati
economici della produzione". E ha aggiunto: "Durante
la R.S.I. fu emanato un decreto che prevedeva la socializzazione
delle imprese. E’ stato questo, sostanzialmente, il messaggio che
Mussolini ha affidato al futuro. E’ un messaggio in perfetta
armonia con la Dottrina Sociale Cattolica, che è e resterà sempre
radicalmente avversa sia al capitalismo, sia al socialismo. In
quest’ultimo messaggio mussoliniano di esaltazione del lavoro noi
ravvediamo qualcosa di profetico".
Che il
messaggio mussoliniano sia "in perfetta armonia con la
Dottrina Sociale Cattolica", si evince
chiaramente anche dall’ enciclica “Rerum Novarum” di
Papa Leone XIII del 1891, nella quale è definita la dottrina sociale
della Chiesa. In essa è ben chiara la condanna degli eccessi del
capitalismo e dei monopoli; la denuncia dello sfruttamento dei
lavoratori qualificandolo come peccato sociale, ribadisce, nel
contempo, la legittimità della proprietà, ma solo come funzione
sociale che deve essere rispettata.
Pure se
sembra strano, anche da oltre Oceano giunsero segni di apprezzamento
per l’opera messa in atto dall’Italia del Ventennio. J.P.
Giggins, autore del libro L’America, Mussolini e il Fascismo,
a pag. 45, ha scritto: "Negli anni Trenta lo Stato
corporativo sembrò una fucina di fumanti industrie. Mentre l’America
annaspava, il progresso dell’Italia nella navigazione,
nell’aviazione, nelle costruzioni idroelettriche e nei lavori
pubblici, offriva un allettante esempio di azione diretta di
pianificazione nazionale. In confronto all’inettitudine con cui il
Presidente Hoover affrontò la crisi economica, il dittatore italiano
appariva un modello di attività (…)". E Renzo De Felice
aggiungeva: "La liberale e antifascista “Nation” arrivava
ad auspicare un Mussolini anche per gli Stati Uniti".
Nonostante l’accostamento di principi così elevati, il “messaggio”
del novembre 1943 è stato obliato proprio da quegli stessi che si
sono considerati gli epigoni e i continuatori delle idee del Fascismo
e della Repubblica Sociale.
In questo
secondo interminabile dopoguerra è stato scritto dai seguaci di
questa “Repubblica nata dalla Resistenza” che l’idea
mussoliniana della Socializzazione "fu un tardivo
espediente per ingannare le masse lavoratrici".
E’ uno dei tanti artifizi di un regime corrotto e inetto,
terrorizzato dal dover affrontare un serio confronto con lo Stato che
lo aveva preceduto; tanto terrorizzato che è stato costretto a
creare una cortina di menzogne e, contestualmente, a varare leggi
antidemocratiche e liberticide, quali la “Legge Scelba”,
la “Legge Reale” e la “Legge Mancino”.
L’attuabilità della socializzazione delle imprese è
dimostrata dalla storia. Infatti, anche se la situazione nel 1944
stava precipitando a causa del disastroso corso della guerra, nelle
imprese socializzate si riscontrò un notevole incremento della
produzione. A dicembre 1944 Nicola Bombacci programmò una serie di
comizi e conferenze fra le imprese socializzate e, tra queste, visitò
la Mondadori, traendone sorpresa e emozione. A seguito di ciò, inviò
una lettera a Mussolini nella quale, fra l’altro, scrisse: "Ho
parlato con gli operai che fanno parte del Consiglio di Gestione, che
ho trovato pieni di entusiasmo e compresi di questa loro missione,
dato che gli utili, dopo questi primi mesi, è di circa 3 milioni".
La guerra
volgeva ormai alla fine e, come ha scritto Amicucci ne “I 600
giorni di Mussolini”: "Mussolini voleva che gli
anglo-americani e i monarchici trovassero il nord Italia
socializzato, avviato a mete sociali molto spinte; voleva che gli
operai decidessero nei confronti dei nuovi occupanti e degli
antifascisti, le conquiste sociali raggiunte con la R.S.I.".
Il 20
aprile 1945 gli eserciti invasori ruppero il fronte a Bologna e
dilagarono nella pianura Padana.
Era la fine.
I
comunisti che controllavano il C.L.N.A.I., come primo atto ufficiale,
firmato da Mario Berlinguer (padre di Enrico), addirittura il 25
aprile, mentre si continuava a sparare ed era iniziato “l’olocausto
nero”, come primo atto ufficiale abolirono la legge sulla
socializzazione. Era il dovuto riconoscimento da parte dei comunisti
verso il grande capitale, per l’aiuto economico elargito da
quest’ultimo al movimento partigiano, dominato al novanta per cento
dai comunisti.
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